Gaber

Giorgio Gaber (Gaberscik) inizia a esercitarsi con la chitarra a quindici anni per curare il braccio sinistro colpito da una paralisi. Studia economia e commercio alla Università Bocconi, pagandosi gli studi con le esibizioni al Santa Tecla di Milano, locale in cui nascono le sue prime canzoni e dove incontra amici e complici come Jannacci. In questo locale viene notato da Mogol che gli procura un’audizione per la Ricordi, a cui farà seguito un primo disco. Nello stesso periodo (fine anni ’50) intraprende la carriera nel gruppo rock’n roll dei Rocky Mountains; in seguito si esibisce in coppia con Maria Monti al Teatro Gerolamo di Milano con lo spettacolo Il Giorgio e la Maria . Dopo queste prime esperienze, negli anni ’60 si afferma con una vena più delicata e nostalgica, recuperando brani del repertorio popolare milanese. Passa poi a una dimensione decisamente più umoristica impegnandosi (dalla fine degli anni ’60) in un repertorio maggiormente attento all’attualità sociale e politica del Paese (forte è l’influenza di J. Brel). Appare in tv come conduttore in Canzoniere minimo (1963), Milano cantata (1964) e Le nostre serate (1965) oltre a numerosi altri spettacoli di varietà.

Nel 1965 sposa O. Colli. A Canzonissima (1969) presenta “Come è bella la città”, una tra le prime canzoni in cui traspare la sua sensibilità sociale. Nel 1970 il Piccolo Teatro di Milano gli offre la possibilità di allestire uno spettacolo: nasce così Il Signor G. (che resterà il suo soprannome), in cui le canzoni sfumano in monologhi dal gusto amaro e ironico, che trasportano lo spettatore in un’atmosfera vagamente surreale, in cui si mescolano sociale e politica, amore e speranza. A partire dagli anni ’70 l’unico riferimento artistico di G. è il teatro; egli si avvale della collaborazione di S. Luporini, pittore di Viareggio e suo grande amico, con il quale firma tutti i suoi spettacoli. G. diventa così cantante-attore-autore, o `cantattore’, con gli spettacoli Dialogo fra un impiegato e un non so (1972), Far finta di essere sani (1973), Anche per oggi non si vola (1974), Libertà obbligatoria (1976), Polli d’allevamento (1978), tutti prodotti con il Piccolo Teatro di Milano. Le sue storie sono quelle di un uomo qualunque, di un uomo del nostro tempo, con le speranze, le delusioni, i drammi e i problemi tipici dell’esistenza quotidiana. Tutti i suoi recital vengono ripresi in incisioni dal vivo. Nel 1980 scrive Io, se fossi Dio , atto d’accusa ispirato ai tragici avvenimenti del rapimento Moro. L’anno seguente, sulla scorta del successo degli americani Blues Brothers, forma con E. Jannacci il duo Ja-Ga Brothers rinnovando l’antica collaborazione degli esordi.

Nel 1981 ripropone in tv i suoi spettacoli teatrali più importanti nella trasmissione Retrospettiva ed è in teatro con lo spettacolo Anni affollati . Negli anni ’80 Gaber si sposta in direzione della prosa con gli spettacoli Il caso di Alessandro e Maria (1982) con M. Melato, sul rapporto uomo-donna, Parlami d’amore Mariù (1986), in cui G. descrive quella strana invenzione che è l’amore e Il grigio (1988), metafora di una spietata analisi introspettiva. Con gli anni ’90 Gaber riprende la forma di teatro musicale che gli è congeniale con Il Teatro Canzone (1991), spettacolo retrospettivo; Il Dio bambino , sull’incapacità dell’uomo di uscire dall’infanzia e di evolversi; E pensare che c’era il pensiero (1994), sull’assenza di senso collettivo e sull’isolamento umano; Gaber 96/97 , in cui sostanzialmente riprende il precedente spettacolo; Un’idiozia conquistata a fatica (1997-98), spettacolo di intervento sul contingente, legato all’isteria dei fanatismi politici e del mercato.

 

Viola

Conosciuto dal grande pubblico come giornalista sportivo tv anomalo e anticonformista, Beppe Viola è stato al pari di altri intellettuali come L. Bianciardi e U. Simonetta, lo stesso U. Eco, grande testimone delle contraddizioni della Milano tra il Dopoguerra e gli anni Settanta. Tutti più o meno direttamente hanno influito non poco sulla cultura, anche teatrale e cabarettistica, della città. A V. in particolare si deve buona parte delle invenzioni del linguaggio comico che, partito dal Derby club, segnò un’epoca irripetibile della comicità diretta, abolendo non solo la quarta parete, ma anche le altre tre. Viola lavorò con Jannacci firmando assieme a lui decine di canzoni storiche del `periodo di mezzo’ tra cui “Quelli che…” (1975), geniale adattamento di una lirica di Prévert, e “Vincenzina e la fabbrica” (1974), struggente canzone che fu colonna sonora del cult-movie Romanzo popolare di cui Jannacci e Viola furono decisivi co-sceneggiatori. Tra l’altro in questo film di Monicelli Viola si ritagliò un divertente cameo in cui egli stesso interpreta il proprietario di un cinema bigotto e reazionario, il suo esatto contrario.

Nel 1978, sempre assieme a Jannacci Viola scrive e dirige La Tappezzeria, spettacolo di cabaret surreale e comico che consacrò Massimo Boldi e lanciò il semisconosciuto Diego Abatantuono, che fino a allora aveva bazzicato al Derby club soprattutto perché figlio delle mitica Rosa, guardarobiera (e cognata) del proprietario Bongiovanni. Altri comici selezionati da Jannacci e Viola per questo lavoro furono i neofiti Faletti, Porcaro, Di Francesco, Micheli, Salvi, tutti destinati a ritagliarsi uno spazio nel mondo dello spettacolo. Negli anni del Derby Viola lavorò in amicizia e complicità anche con Cochi e Renato ma, in modo più o meno ufficioso, anche con tutti i comici più anticonformisti del grande zoo di viale Monterosa.

In tv collaborò come autore ad alcune trasmissioni di Jannacci dalla sede un po’ defilata ma prolifica per originalità della Rai di Milano. Appassionato oltre che di calcio, di automobilismo e soprattuttodi cavalli, curioso di letteratura e di politica Viola riuscì a cogliere in ciascun ambiente, in ognuno dei suoi incontri, i linguaggi comici, ironici e satirici e a trasmetterli anche nelle sue esperienze professionali. Una sua riscoperta a dieci anni dalla morte dovuta anche alla ristampa dei suoi racconti migliori (Quelli che, 1992), ha fatto sì che Viola sia tornato ad essere un punto di riferimento per le attuali generazioni di artisti e autori milanesi.

Andreasi

Andreasi  Felice può essere considerato uno dei padri nobili del cabaret milanese nato verso la metà degli anni ’60 al Derby Club di Milano. Artista mai banale che sa venare d’assurdo la sua comicità sale alla ribalta con Jannacci, Toffolo, Lauzi, Cochi e Renato partecipando alla trasmissione televisiva Il poeta e il contadino , grande successo del 1972. Nel 1968, a teatro, interpreta Mercadet l’affarista di Balzac e nel ’73 interpreta una parte in Il sospetto film di C. Maselli con G.M. Volonté. Nel 1986 a teatro è protagonista in L’antiquario di Goldoni per la regia di G. Tedeschi. Ritorna al cinema nell’89 con Storie di ragazzi e ragazze di P. Avati. L’anno successivo lo ricordiamo in Aspettando Godot con Jannacci, Gaber e P. Rossi (debutto al Teatro Goldoni di Venezia) e nel ’92 nel film Un’anima divisa in due di Soldini. A. ha scritto anche diversi libri tra cui ricordiamo la raccolta di monologhi e racconti D’amore (diverso si muore). Oggi privilegia al teatro la sua attività di pittore.