Pericoli

Dopo gli studi classici Tullio Pericoli frequenta la facoltà di giurisprudenza a Roma e a Urbino e inizia a collaborare con disegni e illustrazioni a diversi giornali. Si trasferisce a Milano nel 1961 dove per dieci anni lavora nel quotidiano “il Giorno”. Del 1972 sono le sue prime mostre di pittura e nello stesso anno comincia una fruttuosa collaborazione con la rivista Linus. Con E. Pirella pubblica strisce di critica politica; nel 1974 il “Corriere della Sera” gli pubblica regolarmente i suoi disegni. I suoi acquerelli vengono esposti nella galleria milanese Studio Marconi, e si susseguiranno mostre di pittura e di disegni nelle più importanti gallerie nazionali e internazionali.

Nel 1981 partecipa alla Triennale di Milano e a una mostra sulla scenografia della televisione italiana. Nel 1984 ha inizio la sua collaborazione con “la Repubblica” dove disegna ritratti di scrittori. Segnaliamo nel vasto panorama della sua attività di pittore e illustratore, la commissione avuta da L. Garzanti di dipingere un salone all’interno della casa editrice. Cura insieme a P. Cerri, una serie di sigle animate nell’ambito di un programma di rinnovamento televisivo dell’immagine di Raitre. Ricordiamo nel 1991 l’importante mostra retrospettiva di Pericoli nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano dove vengono esposte opere legate all’editoria, alla stampa quotidiana e periodica, ai libri illustrati e a opere non legate alla committenza. In teatro debutta come regista scenografo e costumista nel sorprendente Elisir d’amore di Donizetti a Zurigo nel 1996, poi ripreso alla Scala di Milano nel 1998.

Sensani

Dopo aver partecipato ad importanti esposizioni europee d’arte, Gino Carlo Sensani esordisce a Roma come figurinista per le Marionette del Teatro dei Piccoli, dedicandosi tuttavia in seguito all’attività di illustratore, limitandosi ad allestire spettacoli ‘privati’ per l’aristocrazia di Firenze, dove lavora dal 1918. Un passo importante è la partecipazione al primo Maggio musicale fiorentino (con i costumi per Il mistero di Santa Uliva, regia di J. Copeau, 1933, ispirati ai figurini di Pisanello per i balli della corte estense), della quale diventa ben presto un assiduo frequentatore (Incoronazione di Poppea di Monteverdi, 1937; Antonio e Cleopatra di Malipiero, 1938; Le astuzie femminili di Cimarosa, regia di C. Pavolini, 1939; L’elisir d’amore 1940; Ritorno di Ulisse in patria, 1942). Il suo stile, che evoca immagini antiche del teatro musicale italiano, sfrutta policromie preziose, rifacendosi liberamente alla fantasia figurativa delle epoche rappresentate. Lavora anche per la Scala di Milano (Cenerentola di Prokof’ev, 1947, andato in scena dopo la sua morte), con una particolare raffinatezza nelle citazioni che lo annovera inoltre tra i maestri storici del costume nel cinema italiano, a cui si dedica con vivo interesse.

Curcio

Nato a un giorno di distanza da Eduardo De Filippo, con cui ebbe un proficuo sodalizio artistico, Armando Curcio scrisse la sua prima commedia a ventisette anni: Lionello e l’amore fu rappresentata nello stesso anno dalla compagnia De Cristoforis-Leonardi; seguì nel 1929 La diva del cinema . Il grande successo di critica e pubblico arrivò nel 1939 con A che servono questi quattrini? , messo in scena al Quirino di Roma dai tre De Filippo. Questo lavoro rimane il migliore di C., che riesce a costruire lo straordinario personaggio di Eduardo Parascandolo, sedicente professore e marchese, che predica l’elogio della povertà a patto che gli altri vi credano ricchi. Il sodalizio con la famiglia De Filippo (sia divisa sia unita) dura fino alla fine della Seconda guerra mondiale, con titoli quali I casi sono due (1941), La fortuna con l’effe maiuscola (1942, in collaborazione con Eduardo), Casanova farebbe così (1945), C’era una volta un compagno di scuola (1946; le ultime in collaborazione con Peppino). Altri titoli: Ci penso io (1940), Le barche vanno da sole (1941), Lo strano caso di Salvatore Cecere (1952), oltre a due riviste musicali come Tarantella napoletana e Funiculì funiculà . Fondò la casa editrice che porta il suo nome.

Mantegazza

Dapprima pittore e illustratore, Agostino Mantegazza incomincia a interessarsi di spettacolo agli inizi degli anni ’60 dirigendo due locali di Milano, ma è nel 1964 che con la moglie Velia allestisce il suo primo teatrino di pupazzi su nero. È la svolta della sua vita artistica che lo porta verso il teatro di figura inteso come teatro popolare d’arte, dove l’immagine, il testo e la musica si fondono per creare un teatro di totale impatto emozionale. Nel 1974 fonda il Teatro del Buratto di Milano e fa del Teatro Verdi uno dei centri del teatro ragazzi italiano più importanti, dirigendo anche il festival di Muggia dal 1983 al 1985. Profondo conoscitore del teatro di figura, dopo l’uscita dal Buratto cura diverse altre iniziative in questo ambito. È stato tra gli ideatori della trasmissione televisiva “L’albero azzurro”.

Preetorius

Laureato in giurisprudenza, bibliofilo ed esperto d’arti grafiche, fondatore di una scuola d’illustrazione e professore presso prestigiosi istituti tedeschi d’arte grafica, Emil Preetorius esordisce come scenografo solo nel 1921 ( Ifigenia in Aulide di Gluck, regia di W. Wirk; Monaco, Teatro Nazionale). Due anni più tardi è chiamato ufficialmente ai Kammerspiele di Falckenberg, iniziando una felice produzione che lo conduce ben presto ai maggiori teatri europei (a Berlino è collaboratore abituale dell’Opera di Stato). Grazie a un’impostazione stilizzata, ma monumentale e fastosa, diventa un amato interprete di Mozart ( Don Giovanni , Monaco 1936; Così fan tutte , Berlino 1941; Il flauto magico , 1949), di R. Strauss ( Ariadne auf Naxos , Berlino 1929; Elettra , Berlino 1940; Salome , Tolosa 1952), di Gluck ( Orfeo ed Euridice , Londra 1937; Ifigenia in Tauride , Berlino 1941; Don Juan , 1949), e soprattutto di Wagner ( Lohengrin , Berlino 1928; Tristano e Isotta , Parigi, Théâtre des Champs-Elysées, 1937; Sigfrido , Amsterdam 1946; Tannh&aulm;user , Monaco, 1950). Tra il 1933 e il 1944 accanto al regista H. Tetjen riforma il Festival di Bayreuth, producendo ampie ripercussioni su tutta la scenografia wagneriana contemporanea (celebre l’allestimento de L’anello del Nibelungo , ripetuto ogni anno dal 1933 al 1944).