Baty

Gaston Baty cresce in una benestante famiglia lionese. Si accosta al teatro grazie a un soggiorno di studio a Monaco, dove ha occasione di conoscere il lavoro scenografico di F. Erler, da Baty considerato un geniale innovatore della scena, lontano com’era dalle convenzionalità della tradizione. Baty approda tardi alla regia: dal 1908 al 1914, infatti, il suo impegno è principalmente critico e teorico. È Gémier nel 1919, visti alcuni suoi progetti di regie, a volerlo come assistente. I pochi mesi di lavoro alla Comédie Montaigne accanto a Gémier costituiscono un fondamentale apprendistato per B., il quale firma sei regie, tra cui un Avaro interpretato da C. Dullin.

Nel 1921, Baty fonda la Compagnie de la Chimère per la quale firma lo strepitoso successo Intimité di J.-V. Pellerin, spettacolo apprezzato anche dal grande Antoine. Nel 1923 apre, nel quartiere di Saint-Germain-des-Près a Parigi, `La Baraque de la Chimère’, teatro che, per ragioni economiche, ha purtroppo vita breve. Chiusa la Baraque, Baty passa attraverso esperienze teatrali diverse: torna a lavorare con Gemiér all’Odéon; poi dal 1924 al 1928 è allo Studio des Champs-Elysées dove realizza alcune delle sue regie più celebri (Maya di S. Gantillon); dopo una parentesi all’Avenue e al Pigalle, Baty ottiene nel 1930 la direzione del Montparnasse, inaugurato lo stesso anno con la brechtiana Opera da tre soldi , testo prima mai rappresentato in Francia. Qui, Baty mette in scena anche sue rielaborazioni drammaturgiche di opere letterarie: Madame Bovary (1930), Delitto e castigo (1933) e Dulcinée (1938) dal Don Chisciotte.

A metà degli anni ’30, Baty lavora anche alla Comédie-Française, accanto a Copeau, Dullin e Jouvet (registi con i quali aveva firmato nel 1926 il celebre Cartel, patto artistico contro l’accademismo e il teatro commerciale), mettendo in scena opere di De Musset, Labiche, Racine, Salacrou. Fermamente cattolico, B. ha espresso nella sua pratica registica – così come nella teoresi sul teatro del saggio Le masque et l’encensoir – la convinzione che il teatro non debba limitarsi a descrivere i conflitti umani, ma che debba al contrario trasmettere un’idea di armonia universale dominata dalla presenza divina. Mezzi privilegiati in tale processo di ricerca, anche spirituale, saranno quelli specificatamente teatrali: luci, costumi, scenografia e musica sono infatti per lui strumenti determinanti nella riuscita dello spettacolo scenico.

Non alieno ad interventi sul testo – un esempio per tutti, la sua versione del Lorenzaccio di De Musset – Baty ha privilegiato per la sua compagnia un repertorio di classici, senza però trascurare opere contemporanee come L’annuncio a Maria di Paul Claudel, uno dei suoi maggiori successi, con Il malato immaginario e L’avaro di Molière, I capricci di Marianna di De Musset, Fedra e Berenice di Racine. Solo regista del Cartel a non subire la diretta filiazione di Coupeau, Baty si allinea tuttavia alla direttrice estetica di questo periodo storico che prevede un atteggiamento di allontanamento dai moduli di messa in scena del repertorio monopolio della Comédie Française, ma non la sua contestazione. Con la sua attività artistica Baty dichiara di voler «spostare il proiettore» e illuminare, attraverso l’intervento registico, la natura spettacolare e non esclusivamente letteraria del teatro.

Nel 1949, Baty abbandona l’attività registica e si dedica ai Guignols, marionette popolari lionesi, sulle quali scrive testi storici e teorici, considerandole autentica e radicale forma di espressione teatrale. Spesso le teorie sceniche di B. sono state contestate e sbrigativamente giudicate, in ragione del gusto del paradosso e del carattere intransigente del loro autore. L’espressione Sire le mot , per esempio, titolo di uno dei suoi saggi più celebri, gli costa l’accusa di ostilità al testo drammaturgico. In realtà, Baty intende affermare che il testo è uno degli elementi, ma non l’unico, che concorre alla creazione dell’illusione scenica. Diversamente, infatti, si giungerebbe a un teatro letterario cui Baty è ostile, prediligendo un teatro quale luogo del sogno e dell’evasione dalla quotidianità. Lontano dal teatro politico e engagé , Baty ravvisa proprio nei burattini il senso ultimo dell’arte teatrale, la sola verità del sogno.