Vulpian

Dopo aver studiato all’Opéra di Parigi, nel 1968 Claude de Vulpian viene scritturata dal teatro. Prima ballerina nel 1976, le viene affidato il ruolo di Nana, creato appositamente per lei nell’omonimo balletto di R. Petit ricavato dal romanzo di Zola. Nel 1978 viene nominata étoile, dopo una memorabile interpretazione di La bella addormentata nel ruolo di Aurora. Da allora interpreta tutti i ruoli principali del repertorio classico: Il lago dei cigni , Romeo e Giulietta di Cranko, Giselle , Cenerentola di Nureyev; coreografie di Béjart (Serait-ce la mort?), Balanchine, (Agon e Apollon Musagète), Ailey (Au Nord du précipice). Ha partecipato fino al 1993 alle grandi tournée internazionali dell’Opéra e ha ballato sovente con Nureyev e il suo gruppo. Si è distinta anche nel balletto La belle et la bète di Philippe Tresserra, rappresentato all’Olimpico di Vicenza.

Feydeau

Georges Feydeau si affermò nel 1887 con Sarto per signora (Tailleur pour dames) e fu per una trentina d’anni uno dei più brillanti fornitori di copioni per i teatri commerciali parigini, in una carriera che coincise quasi esattamente con la cosiddetta belle epoque. Ritenuto nel suo tempo non più che un artigiano abile e fortunato, lo si considera oggi, in Francia e altrove, uno dei maggiori autori comici dell’intera storia del teatro. È consuetudine suddividere i suoi vaudeville (si definiscono così le sue commedie, sulla scia di Labiche e di altri autori del Secondo Impero) in due gruppi. Nel primo del quale fanno parte, fra gli altri, Il signore va a caccia (Monsieur chasse, 1892), Champignol suo malgrado (Champignol malgré lui, 1892), L’albergo del libero scambio (L’Hôtel du Libre Echange, 1894), Il tacchino (Le dindon, 1896) e La pulce nell’orecchio (La puce à l’oreille, 1907) – si raccontavano in termini buffoneschi i pericoli che incombevano sulla coppia, presentando una gentile signora che si riteneva a ragione o a torto tradita e decideva di ricambiare il marito della stessa moneta (ma l’adulterio non veniva mai consumato). Il secondo filone – che comprendeva, per esempio, La palla al piede (Un fil à la patte, 1894), La dame de Chez Maxim’s (1899) e Occupati d’Amelia (Occupe-toi d’Amélie, 1908) – aveva invece come protagonista una cocotte coinvolta in vari imbrogli, o perché voleva conservare l’amante prossimo a convolare a nozze o perché, trascinata dalle circostanze o dal suo buon cuore, si trovava a recitare un ruolo che non le competeva. Si partiva in ogni caso da una situazione che racchiudeva in sé uno o più malintesi, e la si sviluppava in tutte le possibili conseguenze, con una virtuosistica scienza dell’intreccio e un dialogo di perfetta funzionalità comica, valendosi di personaggi visti solo nei loro comportamenti, senza pretese d’approfondimento psicologico. Più realistici furono gli atti unici (riuniti col titolo Dal matrimonio al divorzio) con i quali il commediografo chiuse la sua carriera prima di sprofondare nella follia. Vi si presentava (per esempio in Pupo prende la purga , On purge bébé, 1910 e in Ma non andare in giro tutta nuda, Mais n’te promène donc pas toute nue, 1911) una serie d’immagini quasi strindberghiane (ma volte al comico) dell’inferno familiare, con mogli spaventosamente autoritarie e mariti ridotti a vittime.

Bart

Dopo aver frequentato la scuola di ballo dell’Opéra di Parigi, Bart  Patrice nel 1963 è entrato a far parte della compagnia. Nel 1969, anno in cui vince anche il premio R. Blum ed è medaglia d’oro al concorso di Mosca, diventa primo ballerino; nel 1977, dopo l’interpretazione di Il lago dei cigni , è promosso étoile. Dotato di splendida tecnica, eccellente nei ruoli classici, ha brillato anche in lavori di Lifar (Constellation), Petit (Mouvances), MacMillan (Métabolose), dimostrandosi ottimo danzatore di carattere. La sua profonda conoscenza del repertorio classico, da Coppélia a La vivandière , gli ha permesso di diventare maître de ballet all’Opéra prima ancora del suo ritiro dalle scene (1989). Del balletto dell’Opéra diventerà anche direttore associato (1990) e collaborerà con Nureyev a rimontare storici balletti (La bayadère , 1993). Da allora si dedicherà, in vari grandi teatri (Scala compresa), a rimontare i capolavori del passato.

Bernstein

Il suo teatro ha un ritmo incalzante che conduce alla scena ad effetto, vera e propria chiave di volta della rappresentazione. I protagonisti dei lavori di Henry Léon Gustave Bernstein spesso cedono a compromessi, in vista dell’appagamento della passione che li muove (generalmente il desiderio del denaro o l’amore), e che spesso resta inappagato. Fin dall’esordio, nel 1900 con Il mercato (Le marché), lo schema dell’intreccio si ripete in ognuno dei suoi lavori. In Il raggiro (Le détour, 1902) è il desiderio di riscatto di una giovane donna, che, sentendosi destinata come sua madre a lavorare in una casa d’appuntamenti, decide di sposare un medico di provincia; ma l’ostilità e la maldicenza la ricacciano verso quella vita a cui cercava di sfuggire. In La raffica (La rafale, 1905) il gioco d’azzardo soggioga e conduce alla rovina una coppia d’amanti; in La griffe (1906, scritta per Lucien Guitry) un uomo anziano cade vittima dei capricci della giovane di cui è innamorato; in Samson (1907) un finanziere, scopertosi tradito, per vendicarsi provoca la caduta dei titoli di borsa, coinvolgendo nel suo fallimento l’amante della moglie; in Israel (1908) – presa di posizione dell’autore, ebreo, contro l’antisemitismo – un antisemita scopre di essere ebreo; in L’après-moi (1911), un uomo, colpevole di appropriazione indebita, recede dal proposito di suicidarsi quando la moglie decide di tornare da lui; in Il segreto (Le sécret, 1913) una donna nasconde sotto l’apparenza della serenità del suo matrimonio un’indomita gelosia che la spinge a ostacolare la felicità altrui. Nel periodo che precede la Prima guerra mondiale, il successo di B. è incontrastato, dovuto alla sua capacità di accordarsi alla sensibilità del pubblico; il favore della platea si appanna però con la rivelazione di nuovi talenti come Pirandello e Giraudoux. Bernstein cerca di adattarsi al mutamento di gusto, approfondendo l’analisi psicologica dei personaggi: in Félix (1926) racconta il riscatto morale di un uomo senza scrupoli, arricchitosi durante la guerra, e di una prostituta; in Mélo (1929, da cui Resnais ha tratto un film omonimo nel 1986) una donna, innamorata di un amico del marito, cerca di avvelenarlo, ma non riuscendovi, si toglie la vita; in Il messaggero (Le messager, 1933) un uomo descrive con tale passione la moglie a un compagno, che quando quest’ultimo torna a Parigi dall’Africa ne diventa l’amante. Nonostante la superficialità delle storie e qualche cedimento al linguaggio volgare, il pubblico non abbandona completamente Bernstein, che continua a scrivere per il teatro: La sete (La soif) è del 1950, Evangeline del 1953.

Roger-Ferdinand

Roger-Ferdinand debuttò nel 1924 al Théâtre des Mathurins, con La machine à souvenirs . I suoi lavori successivi furono allestiti da Charles Dullin (Irma , 1926) e Lugné-Poe (Un homme en or , 1927); decise allora di abbandonare il mestiere d’insegnante d’inglese per dedicarsi completamente al teatro. Roger-Ferdinand continuò la tradizione del vaudeville, scrivendo pièce in cui lo humour si univa all’attualità: La foire aux sentiments (1928); Président Haudecour (1938); Le Mari ne compte pas (1948). Il suo maggiore successo fu Le J3 ou la nouvelle école (1943) – un’acuta satira del mondo degli adolescenti (J3 era, nel linguaggio amministrativo, la sigla che designava i giovani dai 16 ai 20 anni) -, del quale scrisse anche un seguito, Les croulants se portent bien (1959), che non eguagliò il successo del primo. Ha firmato anche alcune sceneggiature cinematografiche e ha tradotto e adattato per le scene francesi Tess dei d’Ubervilles da Hardy e Tè e simpatia di R. Anderson.

Bouglione

Nel 1924 Sampion Bouglione, mostratore di animali gitano di remote origini italiane, fonda un circo ispirato allo show equestre di Buffalo Bill. I suoi quattro figli danno vita ad uno dei maggiori circhi europei del Novecento, e si specializzano come domatori. Di essi, soprattutto Joseph (morto nel 1987) fa proliferare l’impresa e affianca al tendone viaggiante l’attività stabile al Cirque d’Hiver de Paris (rilevato nel 1934 e gestito ancora oggi dai Bouglione), dotato di una pista trasformabile in piscina, dove per decenni hanno luogo spettacoli memorabili. Il tendone si ferma nei primi anni ’80, ma i Bouglione, oggi alla quinta generazione, sono tuttora valenti artisti in tutto il mondo. Bouglione è ritenuto il cognome circense più popolare in Francia.

Barrault

Una vera e propria leggenda della scena francese vissuta all’insegna della missione, della vocazione al teatro. Costretto a fare più mestieri per sopravvivere, innamorato del teatro, Jean Louis Barrault elegge Charles Dullin a suo maestro e ha la fortuna di essere accettato da lui, dopo un provino, nel 1931, alla scuola dell’Atelier. Lì, mescolando intelligentemente teoria e pratica, si legherà di grande amicizia con un irregolare della scena come Antonin Artaud e con Etienne Decroux, che cerca di raggiungere l’espressività pura mettendo in primo piano il corpo. È proprio mentre recita in piccole parti all’Atelier e mentre frequenta con Artaud il `covo’ surrealista del Granier des Augustins che, partendo da un romanzo di Faulkner (Mentre morivo) mette in scena e interpreta il suo primo spettacolo Autour d’une mère dove creerà quel cavallo-centauro che affascinerà Artaud e che Jean Louis Barrault riprenderà, anche da vecchio, in molte serate d’onore. Dopo l’sperienza all’Atelier e la rivelazione della propria vocazione raccontata con accenti romanzeschi nella sua autobiografia, firma nel 1937 lo spettacolo Numanzia di Cervantes messo in scena con i proventi del primo dei molti film ai quali partecipa (Beaux jours di Marc Allegret dove conosce quella che sarà prima la sua compagna sulla scena e poi nella vita, Madeleine Renaud). Numanzia gli fa toccare con mano quelli che sono i suoi pregi e i suoi difetti. Superare questi ultimi significa, per Jean Louis Barrault, entrare «nel tempio del grande mestiere», la Comédie Française proprio negli anni in cui a dirigerla c’è Jaques Copeau, già maestro di Dullin.

Durante il periodo in cui lavora alla Comédie, dove recita fra l’altro nel Cid di Corneille (1940) e in Amleto (1942), senza dubbio l’incontro più importante per Jean Louis Barrault è quello con la drammaturgia di Paul Claudel di cui mette in scena Le soulier de satin (1943) testo considerato irrapresentabile, perché, come scriverà, «desideravo amare il Soulier come si ama una donna». Ma all’attore irregolare, curioso di tutto, la scena tradizionale della Comédie va stretta. Eccolo allora gestire in prima persona facendo compagnia con Madeleine Renaud, il Marigny, inaugurato nel 1946 con Amleto, dove propone un repertorio eclettico che mescola i classici come Shakespeare, Marivaux riscoperto nella sua ambiguità (Le sorprese dell’amore, 1950) e tolto agli stereotipi di maniera, Molière e Cechov, alla drammaturgia contemporanea di Camus, Anouilh e Giraudoux. Dal Marigny André Malraux ministro della Cultura lo chiama alla direzione dell’Odéon dove Jean Louis Barrault ha modo di dispiegare non solo le sue doti di attore eccezionale e di regista sensibile, ma anche quelle di organizzatore culturale (è sua l’idea di un Festival des Nations che permetterà agli spettatori francesi di vedere i maggiori spettacoli europei), particolarmente abile nel tessere rapporti con i teatri stranieri più qualificati. E dove apre le porte del teatro alle sperimentazioni dell’avanguardia, del teatro dell’assurdo con I paraventi di Genet che gli scatenerà contro la contestazione delle destre. Ma la cosiddetta `presa dell’Odéon’ da parte della contestazione giovanile al tempo del Maggio ’68 lo spinge ad abbandonare anche questo teatro. Eccolo allora senza fissa dimora prima in una palestra di catch fra Montmartre e Pigalle, dove mette in scena, fra l’altro, un monumentale, straordinario Rabelais , destinato a fare il giro di mezzo mondo e poi al Théâtre de Roind Point dove, perseguendo l’idea di un repertorio eclettico, una tragedia di Voltaire può stare accanto all’oscuro mondo notturno di Gerard de Nerval. Infine, pago di raccogliere di nuovo attorno a sé, come un guru o piuttosto come un maestro, i giovani che vogliono capire da lui il segreto di un teatro che vuole essere «contro questa vita di guerre, di violenze per fare prevalere nella vita e sulla scena, il piacere, la gioia, la tenerezza».

Tardieu

Jean Tardieu comincia a lavorare, nel 1944, per la radio francese e questa esperienza, congiunta alla sua attività di poeta, indirizzano la sua predilezione verso un teatro centrato sulla parola, costituito da pièce molto brevi, quasi degli sketch. Nel 1951 Michel de Ré rappresenta due suoi lavori: Oswald et Zénaïde e C e que parler veut dire . Nel 1952, Sylvain Dhomme mette in scena Les Amants du métro . Nel 1956 la compagnia di Jacques Poliéri allestisce Les temps du verbe e Une voix sans personne , in cui si narra di un uomo che, dopo la morte della moglie e del figlio in un incidente, decide di vivere nel passato, parlando esclusivamente all’imperfetto. Il teatro di T. sperimenta nuove forme di espressione, analizzando la struttura della comunicazione verbale e stravolgendola con i suoi giochi di parole. Egli cerca inoltre di modulare la parola in analogia con la musica, creando dei poemi sinfonici: La sonate et les trois messieurs, Rythme à trois temps e L’Abc de notre vie (1959). In quest’ultima pièce un personaggio, che rappresenta l’uomo comune, replica a un coro parlato, che assume il ruolo dell’orchestra. Tra i suoi lavori successivi citiamo: Six pièces en un acte (1968), Obscurité du jour (1977), L’archipel sans nom (1983), Margeries (1986), On vient chercher Monsieur Jean (1990).

Ardant

Il suo debutto sulle scene avviene nel 1974 anche se è il cinema a darle la notorietà – la ricordiamo splendida protagonista di La signora della porta accanto di François Truffaut, nel 1981 – Fanny Ardant non abbandona mai il teatro. Ricordiamo fra gli spettacoli che ha interpretato: Tête d’or di Claudel; Les bons bourgeois di R. de Obaldia (1980; nella parte di Philomène); è stata voce recitante in Perséphone di Gide-Stravinskij (Scala 1982); La Musica deuxième di Marguerite Duras (1995); ha impersonato Maria Callas in un testo di Terence McNally, Master Class (1997); Phèdre di Racine (1998).

Allio

Allio  René comincia a imporsi verso il 1950, nel quadro della giovane produzione francese (Les condamnés di M. Deguy, Parigi, Théâtre des Noctambules 1950; Victimes du devoir di Ionesco, allestito al Quartiere Latino, 1953), affermandosi al Théâtre de la Cité di Villeurbanne come collaboratore di Roger Planchon (Henri IV – Le prince – Falstaff da Shakespeare, 1957; L’anima buona di Sezuan di Brecht, 1958; Bérénice di Racine, 1966). La concezione architettonica dello spazio, il ricorso alle proiezioni a quadri fissi e sequenze filmate, l’impiego di proiettori a vista e girevoli, il gusto del materiale grezzo per attrezzeria e costumi sono gli elementi che definiscono i tratti dominanti del suo stile (descritto in tre saggi, Le travail au Théâtre de la Cité, saisons 1955-1959, Le travail au Théâtre de la Cité, saison 1959-1960 e Le théâtre comme instrument, 1963), che ha una delle maggiori esemplificazioni nel Tartufo di Molière (1962), in cui enormi quadri monocromi in bianco e nero incombono come tetre visioni sugli attori. Proficui anche i rapporti con il coreografo Roland Petit (Notre-Dame de Paris , Parigi, Opéra 1962; L’Arlésienne , Marsiglia 1974 e Firenze 1986; Les intermittences du coeur , Montecarlo 1974; Les quatre saisons , Venezia 1984) e – sebbene si tratti di collaborazioni occasionali – con alcuni registi italiani, come Luigi Squarzina (Don Giovanni di Mozart, Scala 1966) e Raffaele Maiello (Marat/Sade di Weiss, Piccolo Teatro 1967). Personalità artistica poliedrica (ha partecipato alla riforma e alla progettazione di vari teatri: Aubervilliers, Hammamet), si è dedicato anche alla regia (Attila di Verdi, Nancy 1982) e già dagli anni ’60, con Una vecchia signora indegna (La vieille dame indigne , 1965) all’attività cinematografica (il suo ultimo lavoro è la pellicola Transit , 1991).

Bataille

Il suo teatro nasce come reazione al naturalismo imperante sulle scene francesi negli anni che precedono la Prima guerra mondiale, rivendicando la centralità del sentimento. Due dei drammi di Henry Félix Bataille più riusciti, Mamam Colibri (1904) e La marche nuptiale (1905), scelgono come tema la delusione amorosa: nel primo a infrangersi è la speranza di una donna matura di poter ancora abbandonarsi alla passione; nel secondo sono i sogni romantici di alcune giovani fanciulle a rivelarsi amaramente ingannevoli. Le donne sono sempre protagoniste delle sue pièce, tra cui ricordiamo: Poliche (1907), La femme nue (1908), Le scandale (1909), La vierge folle (1910), Le phalèn e (1913), Tendresse (1921). Autore di successo in vita, nel primo dopoguerra non riesce più a accordarsi alla sensibilità del pubblico e i suoi testi sono sempre meno rappresentati.

Aubin

Il rapporto tra danza e musica, tra immagine e suono sta soprattutto al centro della sua attività coreografica. Dal 1985 Stéphanie Aubin dirige la compagnia Larsen; tra i titoli più significativi, Sixtole , Dévoilé , Dedoublé (1986), Les feuilletons (1988), Dédicace (1993), Suites pour l’année 1996 (1996). Di rilievo un suo allestimento di Orfeo ed Euridice di Gluck per l’Opéra du Rhin (1992, poi ripreso). Negli ultimi anni con la sua compagnia ha promosso manifestazioni originali, in cui ha coinvolto altri artisti e coreografi, al servizio dell’arte e alla ricerca del suo nuovo cammino (L’art en scène , Soirées d’Ariane).