Kresnik

Giunto alla danza dopo i vent’anni Johann Kresnik debutta con Jean Deroc a Graz, danzando in seguito come solista a Brema; nel frattempo continua a perfezionarsi e studia balletto classico con Victor Gsovskij, Nadine Legat e George Balanchine e jazz con Walter Nicks. Dopo aver debuttato nella coreografia a Colonia ( O Sela Pei , 1967), l’anno successivo assume la direzione del Bremer Tanzensemble e approfondisce la sua ricerca teatrale; in collaborazione con importanti artisti contemporanei (Joseph Beuys, Erich Wonder come scenografi, Heiner Müller come coautore) realizza lavori volutamente provocatori nel linguaggio coreografico e nella scelta musicale, ispirati ai conflitti sociali e politici dell’epoca, tra i quali citiamo Pegasus (1970) sull’America di Nixon e Schwanensee (1973), dove Rothbart ha l’aspetto di un nazista. Assunta nel 1979 la direzione del teatro di Heidelberg, definisce ulteriormente la sua forma di teatro coreografico, di forte tradizione espressionista, e passa a mettere in scena l’indagine di una dimensione più privata dei conflitti umani, realizzando visionarie e allucinate teatralizzazioni delle biografie di Ulrike Meinhof (1982), Sylvia Plath (1985), Pasolini (1986). In seguito, nuovamente a Brema (1989-93) e alla Volksbühne di Berlino (dal 1993), in qualità di regista e coreografo, produce Francis Bacon (1994) e Othello (1995), entrambi in collaborazione con il danzatore Ismael Ivo, Frida Kahlo (1996), Hotel Lux (1998).

Ohno

Assieme a Tatsumi Hijikata, Kazuo Ohno è anima ispiratrice del Butoh e, almeno qui in Occidente dove ha continuato a esibirsi ultraottuagenario l’indiscusso profeta di questo singolare genere di danza. Dopo un iniziale avvio sportivo nella scuola nazionale di atletica, viene folgorato nel 1929 da una performance della grande danzatrice spagnola La Argentina – che ispirerà cinquant’anni dopo il suo lavoro più famoso Admiring La Argentina (1977). Inizia a studiare danza moderna con Baku Ishii e, dal 1936 al 1946, con Takaya Eguchi, ex allievo di Mary Wigman, i cui stilemi espressionisti avevano già colpito il giovane Kazuo in uno spettacolo di Harald Kreutzberg. Ma è solo nel 1949 che decide di debuttare pubblicamente all’età di 43 anni con una serie di assoli brevi e intensi. La maturazione decisiva nel suo stile avviene però nel 1954, quando avvia una profonda collaborazione con Tatsumi Hijikata. Insieme danno vita a un movimento artistico provocatorio e denso di fermenti, un genere di danza, il Butoh, come poetica tenebrosa di corpi contorti e numinosi gesti. Una danza `arrabbiata’, contro gli accademismi polverosi e contro gli standard imposti dall’Occidente, dentro la quale freme e si contorce il fantasma dei sopravvissuti di Hiroshima. È scandalo nel 1959 con Colore proibito (Kinjiki) di Hijikata, dove si esibisce per la prima volta il figlio di O., Yoshito, mentre Kazuo sceglie e rivela un’ispirazione più estetico-letteraria con Il vecchio e il mare tratto da Hemingway segue l’assolo genettiano Divine e assieme a Hijikata firma Le canzoni di Maldoror (1960), La cerimonia segreta per Afrodite e Torte dolci (1961), Danza rossa (1965), Sesso: istruzioni per l’uso e Tomato nel 1966. Alla fine degli anni Sessanta, mentre Hijikata prosegue la sua linea furente e scandalosa, O. ha una pausa di riflessione durante la quale si dedica al cinema. Gira Ritratti di Mr. O (1969), Il Mandala di Mr. O (1971) e Il libro di un uomo morto: Mr.O (1973). Torna di prepotenza sul palcoscenico con Admiring La Argentina (1977), icona perfetta del suo stile cesellato e introverso, spesso incarnato sotto sembianze femminili. Da allora, non ha mai smesso di esibirsi in scena, accompagnato più volte dal figlio Yoshito. Fra le sue più recenti apparizioni in Italia: alla fine degli anni Ottanta con Water Lilies firmato dal figlio e ispirato a Monet e nel 1997 a Ferrara, sempre in compagnia di Yoshito, con The road in Heaven, the road in Earth (Tendo Chido).

Bohner

Formatosi al balletto, dal 1961 al 1971 Gerhard Bohner danza con il Deutsche Oper di Berlino, dove crea ruoli di carattere in balletti di Tatiana Gsovsky e Kenneth Mac Millan; dirige poi la compagnia di Darmstadt (1972-75) e con Reinhild Hoffmann la compagnia di Brema (1978-81). Coreografo fin dal 1964, ha creato molti balletti su musiche contemporanee (I tormenti di Beatrice Cenci, musica di Gerard Humel, 1971), spesso ispirandosi alla tradizione del Bauhaus, culminata con la sua ricostruzione del Triadische Ballet di Oskar Schlemmer (1977); in seguito ha intensificato la sua attività di coreografo-performer, creando assoli esclusivamente su se stesso come Schwarz weiss zeigen (1983) Abstracte Tanze Im (Goldenen) Schnitt I (1989).

Ivo

Ismael Ivo studia danza moderna e recitazione a San Paolo, debuttando come danzatore solista in recital coreografici; nel 1983-84 fa parte dell’Alvin Ailey Dance Company di New York, l’anno successivo si trasferisce a Berlino. Qui inizia una stretta collaborazione artistica con Johann Kresnik e Ushio Amagatsu, che gli consentono di approfondire la conoscenza del Tanztheater e della danza butoh: insieme alle sue origini culturali afro-brasiliane, elementi stilistici fondamentali della sua ricerca espressiva. Dopo la creazione di Ritual of a Body in the Moon (1986) e Phoenix (1987), con Under Skin (1988) e Delirium of a Childhood (1989) I. si impone definitivamente sulla scena internazionale come interprete di poderoso vigore drammatico. Trasferitosi a Stoccarda nel 1994, si rivolge alla composizione per più ballerini ( Labyrinthos ) e collabora con Kresnik alla realizzazione di Francis Bacon (1994) e Othello (1995), per i quali elabora una gestualità minimalista, concentrata sul dettaglio, di intensa forza espressiva e affidata esclusivamente alla fisicità dell’interprete. Nel 1997 si insedia a Weimar, dove allarga la sua compagnia e si dedica a un progetto coreografico sull’opera di Gabriel García Márquez. È direttore artistico del festival Tanzwochen Wien.

Zane

Dopo gli esordi come fotografo, Arnie Zane si associa (1971) al nero Bill T. Jones, con cui crea Pas de deux for Two (1973) e la trilogia Monkey Run Road; Blauvelt Mountain (1979) e Valley Cottage (1980). Per la compagnia Jones-Zane (1982) nascono poi Freedom of Information e Secret Pastures (1985), sottilmente narrativo, in collaborazione con il musicista P. Gordon e con l’artista K. Haring, cui seguono Animal Trilogy (1986), Where the Queen stands Guard (1987), The History of Collage (1988). Esponente della New Wave, la nuova danza nordamericana, ha messo in scena le tematiche gay con schiettezza e ironia.

Ezralow

Dopo studi di tecnica Graham al Berkeley College, Daniel Ezralow danza con Lubovitch e Taylor. Entra poi nel gruppo dei Momix di Pendleton e nel 1987 dà vita agli Iso (‘I am so optimist’), con un repertorio di titoli come Psycho Killer, Foreign Tailes, DNA, Captain Tenacity, Rubber Dubber, Soon, Night Toughts. Crea con l’amico Parsons il duo Brothers (1982) e coreografa per il Laboratorio lirico di Alessandria un’opera contemporanea, Time out, su musica di Ludovico Einaudi (1988). Per il MaggioDanza fiorentino allestisce White Man Sleeps con Alessandra Ferri (1991); per l’Arena di Verona il trittico Read my Hips, Super Straight, Tour dell’Olanda, su musica di Philip Glass (1994) e Salgari (musica di Einaudi, 1995). Contribuisce alle danze nei clip di David Bowie, Sting, U2, Gianna Nannini. Prende parte a film di Lina Wertmüller e Marco Bellocchio e, in teatro, a Moby Dick di Vittorio Gassman (1992). Danzatore già noto per lo spiccato vitalismo scenico, ha scelto dal 1994 una linea di lavoro meditativo-multimediale, con Mandala, ispirato al buddismo tantrico. Il suo linguaggio, come coreografo, appare efficace più sul versante plastico-illusionistico che non su quello squisitamente tecnico, di invenzione di passi e di sviluppo articolato di strutture.

Robbins

Dopo gli studi normali, Jerome Robbins si iscrisse alla facoltà di chimica dell’Università di New York. Attratto dal teatro, scelse subito la danza, dapprincipio il balletto e con i suoi derivati (Antony Tudor, Eugene Loring), danza spagnola e orientale, danza moderna infine, con la sorella Sonia, anche recitazione con Elia Kazan, violino e pianoforte, attore nello Yiddish Art Theatre, conforme alle sue origini israelite (1937); in seguito ottenne le prime scritture come danzatore sino al 1941 quando creò le sue prime coreografie. Un retroterra culturale ed artistico così denso gli servì per dare vita al suo eclettico programma teatrale. Questa preparazione gli permise molto presto le entrature nei più importanti complessi coreutici americani. Nel 1940 divenne membro del Ballet Theatre ove rimase sino al 1944 interprete delle coreografie di L. Massine, M. Fokine, D. Lichine, A. Tudor; nel 1949 entrava nella compagnia del New York City Ballet, fondato l’anno prima da Balanchine del quale divenne direttore artistico associato. L’anno 1944 vide la sua prima coreografia importante: quel Fancy Free che doveva fare un lungo cammino e che s’impose subito per l’aria scapiglita e divertente (musica di Bernstein).

Robbins impose subito la sua estetica. Ogni ballerino doveva essere parimenti dotato nella tecnica classico-accademica come in quella moderna nelle più disparate tendenze «per dimostrare agli europei la varietà delle tecniche, degli stili e dagli accostamenti teatrali che costituiscono il particolare sviluppo della danza in America». Esito addirittura folgorante a queste premesse è stata la costituzione di una particolarissima, straordinaria compagnia di balletto detta Ballets: Usa, organizzata a New York ma presentata in Italia (nel 1958) dietro precisa richiesta di G.C. Menotti che l’invitò al Festival di Spoleto di quell’anno. Le stagioni, quasi miracolose, furono soltanto due: 1958-59 e 1961 ma quali emozioni, stupori, meraviglie sorpresero il pubblico convenuto alla manifestazione spoletina. La critica notò subito la forza, l’originalità del coreografo, la bontà delle scelte nei danzatori, l’efficacia delle tematiche contemporanee.

Robbins presentò nel 1958 un balletto creato nel 1945, Interplay , gioco di ragazzi e di figure lanciate nello spazio, freschissimo e delizioso; poi New York Export: Opus Jazz, studio di rapporti ritimici e umani (come sempre in Robbins), una ripresa dell’ Afternoon of a Faun rivissuto con spirito nuovo, moderno, sulla traccia del poema di Nijinskij-Mallarmé-Debussy e ancora The Concert (musica di Chopin, il musicista cui Robbins ricorse a più riprese nel suo splendido cammino fatto di tensioni, umori, fermenti; siparietto di Saul Steinberg e l’aggiunta di un tocco umoristico piacevolissimo). Nel 1959 Robbins presentò, sempre a Spoleto, Moves , danzato nel silenzio assoluto, forme classiche e balletto jazz fusi insieme con grande fantasia. Nel 1961 la novità Events poneva l’accento, amaro e dolente, sulle nostre realtà contingenti ed era anche, oltre che affresco potente di una società dilaniata, una mirabile prova di espressione coreografica.

Tutte queste qualità ed altre tese alla creazione di uno spettacolo totale (ciò soprattutto nella commedia musicale) anche riscontrabili in altri lavori dei quali sono da ricordare The Age of Anxiety (musica di Bernstein, 1950), The Cage (Stravinskij, 1951), The Pied Piper (Copland, 1951), Fanfare (Britten, 1953), Les Noces (Stravinskij, 1965), Dances at a Gathering (Chopin, 1969), In the Night (Chopin, 1971), The Golberg Variations (Bach, 1971), Watermill (Teiji Ito, 1972), le coreografie su musiche di Stravinskij (1972) e di Ravel (1975), lo spettacolo per Spoleto 1973: Celebration: The Art of the Pas de deux ; senza trascurare alcuni dei suoi musical di maggior successo: The King am I (1951), Peter Pan (1954), il capolavoro assoluto West Side Story (musica di Bernstein, versione teatrale 1957; cinematografica 1962), Funny Girl (1964), Fiddler on the Roof (1964). Fra i premi, i riconoscimenti, è da considerare l’invito rivolto a R. dal presidente Kennedy l’11 aprile 1962 quando i Ballets: Usa si esibirono alla Casa Bianca, eccezionale avvenimento, riverente omaggio ad un genio della scena coreutica mondiale.

Booth

Dopo gli studi presso il Darlington College of Art, Laurie Booth presenta il primo lavoro come solista (Beyond Zero, 1980), che ottiene consensi in tutta Europa. Nei primi anni Ottanta trascorre un periodo a San Francisco dove si avvicina all’esperienza della Capoeira, un’arte marziale brasiliana. Nel 1984 lavora in Sudan ad un progetto di ricerca sul tema del possibile rapporto fra teatro ed emigrazione, entrando in contatto con la cultura e la realtà locali. Dal 1985, insieme a Miranda Tufnell, avvia l’Indipendent Dance Programm, un programma di ricerca e formazione nell’ambito della nuova coreografia. Fra i suoi lavori, di cui è coreografo e interprete, oltre a Beyond Zero ricordiamo Yip Yip Mix and the Twentieth Century (1985).

Feld

Eliot Feld studia alla School of American Ballet e, dopo aver danzato in West Side Story, entra all’American Ballet Theatre (1963), dove si afferma come interprete esuberante e vivace. Qui affronta anche la coreografia nel 1967 con Harbinger e Midnight, meritando apprezzamento per musicalità e inventiva. Nel 1969 fonda l’American Ballet Company, con cui debutta a Spoleto nel trittico Cortège Burlesque, Intermezzo e Meadow Lark. Seguono: Pagan Spring (1969), Early Songs, A Poem Forgotten e Cortège Parisien (1970), Theatre e The Gods amused (1971), A Soldier’s Tale (1972). Sciolta la compagnia per motivi finanziari, torna all’American Ballet Theatre (1971-1972). Lavora anche con il Royal Winnipeg Ballet, il London Festival Ballet, il Balletto reale svedese, il City Center Joffrey Ballet. Fonda poi una nuova compagnia, l’Eliot Feld Ballet, di base classica, impegnata però su una linea di lavoro decisamente moderna e multistilistica (Grand Canon, musica di Reich, 1984; Medium: Rare, 1985), e trasforma l’Elgin Theatre nel Joyce Theatre, che ospita a New York le più affermate compagnie di danza moderna e contemporanea.

Bouy

Luc Bouy ha studiato con Béjart ed è stato nelle file del Ballet du XXème siècle. Primo ballerino del Cullberg Ballet a Stoccolma, ha creato il ruolo di Albrecht nella Giselle moderna di Mats Ek (1982). Come coreografo privilegia il gesto espressionista e le marcate caratterizzazioni; ha destinato i suoi primi lavori al Cullberg Ballet, allo Scapino Ballet e in varie occasioni a compagnie italiane. Nel 1982, alla Scala, ha creato Mi Vida su musica di de Falla. Negli ultimi anni è stata però soprattutto Carla Fracci a invitarlo a creare nuove coreografie per mettere in risalto le sue qualità artistiche; tra queste, le più riuscite sono Filumena Marturano (Cagliari, 1995), dall’omonima commedia di Eduardo De Filippo e Il lutto si addice ad Elettra (Jesi, 1995) dal dramma di O’Neill.

Saez

Vicente Saez studia tecnica Graham e danza moderna a Barcellona, entrando nel primo corso di tecnica contemporanea dell’Istituto del Teatro catalano, dove firma la sua prima coreografia (El Dueto, 1983). In seguito frequenta i corsi di Lydia Azzopardi e Cesc Gelabert, del quale danza La Naude (1985) e Desfigurat (1987); contemporaneamente collabora anche con Anna Teresa de Keersmaeker e il gruppo Rosas. Formato nel 1987 il gruppo Saéz/Taba inizia una importante ricerca nella quale la struttura del movimento è analizzata in costruzioni formali rigorose ma ricche di una potente carica di energia, in lavori come Ens (1988), Uadi (1992), Wirbel (Berlino, Komische Oper 1996), Regina Mater (1996) dove appare evidente, anche se reso in maniera del tutto astratta, un riferimento costante alla cultura e alle liturgie spagnole.

Jooss

Kurt Jooss studiò presso l’Accademia di musica di Stoccarda. Qui aveva l’opportunità di incontrarsi con Rudolf von Laban, il grande teorico, pensatore, filosofo della danza centroeuropea. Collaborava con questo maestro a Mannheim e ad Amburgo tra il 1922 e il ’23. Maestro di ballo a Münster, fondava, con la danzatrice estone Aino Simola (diventata sua sposa nel 1929) il Neue Tanzbühne, insieme con Sigurd Leeder e Heinz Heckroth. Con questa compagnia J. creava le sue prime coreografie. Si dedicava poi allo studio della danza classica fra Vienna e Parigi; molto dopo si potrà capire l’influenza esercitata dalla danza accademica sul tessuto libero di molte sue coreografie. Troviamo infatti nel suo repertorio balletti su musiche di Mozart e Ravel, il Petruška di Stravinskij (come esistette il Don Juan di Gluck nella produzione di Laban).

Nel frattempo cambiava il nome della compagnia in Folkwang Tanzbühne: un solo titolo nuovo, il Gaukelei (musica di Fritz Cohen, 1930) e poi tanto repertorio riveduto e corretto, non si capisce bene perché: Le Bal di Rieti (1930), già affrontato da Balanchine un anno prima di Diaghilev, le famose Danze polovesiane di Borodin, Coppélia di Delibés (1931), Le fils prodigue di Prokof’ev, Pulcinella di Stravinskij (1932), sino a quando arrivò il gran momento. Era il polemico, sarcastico Der Grüne Tisch a vincere un concorso a Parigi nel 1932 e ad attirare l’attenzione di quelli che attendevano da lui qualcosa di nuovo: e difatti già nel titolo, `il tavolo verde’, si potevano leggere allusione e simbologia del tavolo da gioco sul quale si decide con toni grotteschi, attinti dal cabaret, la guerra e la vita di tanti esseri umani. Con la collaborazione della figlia Anna Markard-J., il singolare capolavoro fu rappresentato nel mondo intero dopo l’ultimo conflitto. J. è da considerare il primo coreografo che sia riuscito a instaurare una sintesi organica tra la danza classico-accademica e quella moderna. Ciò si poté constatare anche in altri lavori ( The Big City , 1932) non esenti, naturalmente, da grandi pennellate di quell’espressionismo in voga ai tempi di J. che, addolcitolo, diede anche una realizzazione coreografica della Perséphone di Gide-Stravinskij e i Catulli Carmina di Orff.

Cosimi

Dopo i primi studi di danza classica e moderna a Roma, Enzo Cosimi si perfeziona al centro Mudra di Bruxelles e a New York con M. Cunningham. Nel 1982 fonda la sua compagnia, per la quale crea numerose coreografie: Calore (1982); La fabbrica tenebrosa del corpo (1985); Sciame (1987), in collaborazione con F. Plessi; Tecnicamente dolce (1988), in collaborazione con il videoartista Giorgio Cattani; Quintetto blu (1990); Una frenetica ispezione del mondo (1991); Il pericolo della felicità (1992); La stanza di Aldo (1995); Sacrificio ritmico (1996); Super deluxe (1997). Collabora inoltre con MaggioDanza ( La giara, 1991; Il fruscio del rapace, 1993), con il balletto della Scala (Seminario sulla gioventù, 1994) e la Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’ ( Studio , 1995). Strutturata e formale, ma ricca di una gestualità drammatica e passionale, la sua coreografia tratteggia con originalità racconti astratti carichi di idiosincrasia esistenziale e tensioni ancestrali.

Abbondanza

Studia danza contemporanea a New York nei centri di A. Nikolais e M. Cunningham. Rientrato in Italia, nei primi anni ’80 entra a far parte della compagnia Teatro e Danza La Fenice di Venezia diretta da Carolyn Carlson. Nel 1984 è tra i fondatori del gruppo Sosta Palmizi, con cui realizza Il cortile (1985, Premio Ubu) e Tufo (1986); torna in seguito a collaborare con la Carlson a Parigi e inizia (1987) il suo sodalizio con la danzatrice e coreografa Antonella Bertoni (Roma 1964) con la quale sigla Terramara (1991), Pabbaja (1994), Spartacus (1995), Mozart Hotel (1997). È autore di un teatrodanza dai tocchi minimalisti, ispirato ai temi della quotidianità ed efficacemente sviluppato attraverso una gestualità intensa ed espressiva.

Paxton

Steve Paxton è una delle figure più interessanti e originali della danza americana: se non l’inventore, è certamente uno dei maggiori fautori della Contact Improvvisation. Uno sperimentatore irriducibile, refrattario ai circuiti del mercato e impegnato in un tipo di ricerca artistica di reali dimensioni sociali: critica nei confronti della danza e della società, basata sulla percezione dei corpi e sulla loro libertà contro i modelli canonizzati nei valori estetici della danza corrente. Tutta la sua produzione si interroga sullo statuto del coreografo e del danzatore e sulla loro funzione nella società. Dopo aver terminato gli studi ginnici in Arizona, entra nel 1958, all’età di diciannove anni, al Connecticut College dove insegnano Martha Graham, José Limón, Doris Humphrey e Merce Cunningham. Danza nella compagnia di quest’ultimo dal 1961 al 1964 e quindi, influenzato dalla contro-cultura newyorkese degli anni Sessanta (Living Theatre, Paper Bag Company, Diane Diprima), dalle sue stesse posizioni politiche radicali e dagli artisti della Pop Art e del Minimalismo, è cofondatore, nel 1962, del Judson Dance Theatre: il centro artistico sperimentale di New York in cui ebbe origine il movimento della Postmodern Dance. Interpreta lavori di alcuni colleghi del Judson, come Yvonne Reiner ( Trio A , 1966) e Trisha Brown, avviando anche una personale ricerca sul movimento che parte da Isadora Duncan, da lui considerata la pioniera della libertà e dall’egualitarismo coreutici, ma si estende all’analisi del movimento suggerita da Rudolf von Laban. Inizialmente crea performances nutrite di gesti quotidiani e con l’apporto di oggetti, rivelando qui una propensione per il `ready made’ influenzata da Marcel Duchamp.

Nella pièce Satisfaying Lover (1967) si avvale di decine di interpreti non professionisti della danza per una performance in cui attribuisce significato estetico all’azione comune del camminare. Egli ricerca un metodo di trasmissione del movimento che prescinda dal volontarismo e dalla soggettività; si orienta verso la scoperta della realtà organica (respirazione, coscienza dello scheletro e del flusso muscolare) propria a ciascuno dei danzatori e non-danzatori con i quali lavora e conseguentemente privilegia le forme dinamiche più semplici come, appunto camminare, correre, saltare. Esplora, inoltre, le possibilità di sviluppo del movimento a partire da una riflessione sulle forze dinamiche che lo condizionano (forza di gravità, di inerzia, ecc.) e sull’interpretazione energetica tra i corpi. Nel 1970 fonda il gruppo di ricerca Grand Union con, tra gli altri, Trisha Brown, David Gordon, Douglas Dunn e Yvonne Rainer e sviluppa, in un laboratorio con otto uomini, la tecnica conosciuta come Contact Improvvisation (o Contact Dance): uno strumento di libero scambio dinamico, incentrato sullo scambio di peso e appunto di energia tra i corpi dei performers. Un dare e avere di spinte e resistenze reciproche, che, in una gamma infinita di combinazioni improvvisate, impongono uno stato di continua tensione percettiva. La Contact Improvvisation è infatti una commistione di ginnastica, arti marziali, Tai Chi Chuan e metodo Alexander che non impone alcuna concezione estetica, ma, come ricerca di base, supera le frontiere tra le diverse discipline del movimento e diviene terreno d’incontro dinamico per danzatori, atleti ma anche per dilettanti.

Con i suoi primi laboratori maschili di Contact Improvvisation, Paxton sovverte, tra l’altro, il ruolo abitualmente conferito agli uomini nella danza: dimostra che la loro forza può tramutarsi in tenerezza. L’esito, che fa scalpore, è una sorta di risposta simpatetica al movimento femminista tanto in auge in quegli anni. Nella seconda metà degli anni Settanta insegna in Europa e spesso in Italia dove compare anche nel 1980, accanto alla partner Lysa Nelson nell’intenso e ironico duetto Part (su musica e interventi vocali di Robert Ashley) che rivela la forza e il fascino della sua figura di performer-ballerino. Assente dalle scene nel decennio successivo, continua la sua ricerca in forma appartata e solitaria senza rinunciare all’insegnamento. A metà degli anni Novanta torna sporadicamente a compare in veste di danzatore-performer e coreografo: in duetto con Trisha Brown a Vienna, nel 1996, e, nello stesso anno, ancora in coppia con la Nelson in Excavations continued.

Leeder

Sigurd Leeder studia sotto la guida di Laban ad Amburgo e debutta come danzatore e attore nel 1920. Quattro anni dopo entra nella Münster Neue Tanzbühne, e diviene uno dei collaboratori più stretti di Kurt Jooss. Primo ballerino a Essen dal 1927 al 1934 e artista ospite di Jooss nel 1932, gira con lui in tournée e con uno spettacolo di assoli dal titolo Two Male Dancers . Insegnante alla scuola di Ida Rubinstein nel 1933, insegna anche alla Folkwang Schule di Essen. Quando la compagnia di Jooss, in seguito alle intimidazioni dei nazisti, emigra in Inghilterra nel 1934, Leeder la raggiunge e diviene condirettore del Jooss-Leeder Dance Studio a Dartington e Cambridge dal 1934 al 1941. Fu danzatore e maître de ballet per i Balletti Jooss (così era stata ribattezzata la compagnia) dal 1942 al 1947. Nel 1943 creò la coreografia Sailor’s Fancy . Dopo la guerra e dopo lo scioglimento della compagnia, insegna a Londra dal 1947 al 1958 per poi trasferirsi a Santiago del Cile, dove continua a insegnare fino al 1965. Si trasferisce quindi definitivamente a Herisau, in Svizzera.

Ailey

Dopo gli studi di danza moderna con Horton, Graham, Holm, Weidman, i corsi di balletto con Karel Shook e di recitazione con Stella Adler, Alvin Ailey ha debuttato come ballerino nell’Horton Dance Theatre (1950), di cui è diventato responsabile alla morte del maestro (1953). Si è esibito anche nel musical, nel cinema (Carmen Jones , 1954) e in teatro fino al 1965, quando si è ritirato dalle scene. Ha fondato l’Alvin Ailey American Dance Theatre (1958), che è entrato poi a far parte del City Center for Music and Drama di New York. Ha svolto una intensa attività nel campo dell’insegnamento e dello spettacolo, con frequenti tournée in tutto il mondo. Con le sue coreografie ha saputo creare un nuovo genere, altamente spettacolare, misto di danza moderna, classica, jazz e afro, conquistando una grandissima popolarità, come testimoniano i suoi titoli più famosi, ispirati dalla cultura nera urbana e dalla ricchezza della religiosità insita nel blues e nel gospel. Tra questi spiccano Revelations (1960), Cry (1971) e The River (1970) su musica di Ellington, ideato per l’American Ballet Theatre, e in repertorio anche all’Aterballetto. Numerose importanti compagnie hanno acquisito i suoi lavori: Joffrey Ballet, Opéra di Parigi, Royal Danish Ballet, London festival Ballet, mentre per la Scala ha creato La dea delle acque , interprete Luciana Savignano (1988). La sua compagnia, la prima multirazziale negli Usa, ha in repertorio anche brani di Sokolow, Limón, Horton, Pearl Primus, Ulysses Dove, qualificandosi così come custode dell’eredità dei maestri del balletto moderno, oltre che come fedele erede del patrimonio ballettistico di Ailey.

Weidman

Charles Weidman ha studiato con Eleanor Frampton e alla Denishawn School, entrando poi nella compagnia, dove ha danzato per otto anni. Ha formato in seguito un gruppo con Doris Humphrey (1928), attivo in varie forme fino al 1945, creando numerose coreografie, spesso di vena umoristico-satirica (And Daddy Was a Fireman, 1943). Ha lavorato a Broadway e ha dato vita a una sua scuola, da cui è poi nata la Charles Weidman Dance Company, per la quale ha creato A House Divided (1945), Fables for Our Time (1947), The War between Men and Women (1954), Lysistrata (1954), Is Sex Necessary? (1959). Ha lavorato come coreografo per la New York City Opera e in varie produzioni teatrali e, come docente. All’inizio degli anni ’60 ha fondato con lo scultore Mikhail Santaro l’Expression of Two Arts Theatre a New York, continuando a calcare la scena fino alla morte. Tra i suoi allievi più noti José Limón, Jack Cole, Bob Fosse.

Balanchine

Creatore rigoroso, raffinato formalista e principale fautore del balletto neoclassico, passato indenne attraverso tutte le rivoluzioni della danza del Novecento, George Balanchine è stato, secondo Rudolf Nureyev, che alla sua morte fornì una delle più lucide definizioni della sua arte, un artista «indispensabile» per lo sviluppo del balletto nel nostro secolo. Le sue principali coreografie hanno determinato lo stile, il tempo, la linea, la musicalità, l’agilità e l’arte del fraseggio danzato. Oltre al genio personale, qualità imponderabile, hanno forse contribuito a renderlo un creatore `indispensabile’ le frequentazioni di ambienti culturali diversi, le scelte drastiche e decisive, come quella di abbandonare la Russia già nel 1924, dopo aver compreso che le sue idee coreografiche poco interessavano al Teatro Marijinskij di Pietroburgo in cui era entrato a far parte nel 1921, dopo aver terminato gli studi di balletto all’annessa Scuola imperiale (i suoi maestri furono Andrejanov e Pavel Gerdt), ma anche quelli di pianoforte e di teoria al Conservatorio della stessa città.

Aveva firmato la sua prima coreografia (La Nuit , ribattezzata in seguito Romance) nel 1920, all’età di sedici anni, ma tra le sue prime opere spicca anche una Sagra della primavera su musica di Stravinskij di cui purtroppo non esistono documenti, né tracce. Più importanti di quanto non si sia sino ad oggi creduto, furono, per i suoi esordi creativi, i contatti con l’avanguardia teatrale russa: l’incontro con Vladimir Majakovskij, la visione delle coreografie innovative di Kazian Goleizovskij e Nikolas Foregger, l’attività al teatro sperimentale FEKS e nel cabaret, indirettamente influenzata dalla biomeccanica di Vsevolod Mejerch’old. Ottimo danzatore e musicista, oltre che precoce talento coreografico, non gli fu difficile ottenere dal governo rivoluzionario sovietico il permesso di espatriare in Germania, appunto nel 1924, con una piccola compagnia di cui facevano parte Alexandra Danilova e Tamara Geva che, tra l’altro, divennero, una dopo l’altra, le sue due prime mogli. Nel 1925 (l’anno in cui mutò il suo nome in George Balanchine, più semplice all’orecchio occidentale), Sergej Diaghilev lo chiamò a Parigi ed egli rimase nella compagnia dei Ballets Russes sino al suo scioglimento (1929), respirandone il clima innovativo e condividendo l’idea di svecchiare il balletto, liberandolo dalle convenzioni del passato. Non era simpatico a Diaghilev, forse per la sua spiccata predilezione per il sesso femminile (ebbe in tutto cinque mogli), ma questo piccolo ostacolo non gli impedì di diventare il coreografo di riferimento nell’ultima fase della celebre compagnia diagleviana. Tutte le coreografie che firmò per i Ballets Russes si tramutarono in successi immediati come lo stravinskijano Le chant du rossignol (1925), La chatte (1927) su musica di Henri Sauguet, Il figliol prodigo (1929) su musica di Sergej Prokof’ev, persino Le Bal (1929) su musica di Vittorio Rieti ma soprattutto Apollon Musagète (1928): il balletto che, oltre a inaugurare la sua collaborazione a quattro mani con Stravinskij (dopo Apollon, Orpheus del 1948 e Agon del ’57), si impose come primo e compiuto, esempio della sua nuova estetica neoclassica. Un credo analogo al neoclassicismo musicale di Stravinskij, imperniato sull’utilizzo più ampio e completo del vocabolario tradizionale della `danse d’école’: ma rinnovato, reso veloce, epurato dai manierismi stilistici accumulati nei secoli e alimentato da nuovi stimoli dinamici (come la gestualità sportiva o quella quotidiana).

In Stravinskij, con il quale formò la seconda coppia russa più famosa e fertile del balletto (dopo la collaborazione tardottocentesca del coreografo Marius Petipa con Cajkovskij), trovò una sorta di alter ego musicale, a lui affine non solo nella Weltanschauung artistica ma anche nei tratti della personalità distaccata e ironica. Basti pensare che nel 1942 i due, uniti per soddisfare una commissione dei Ringling Brothers, crearono addirittura una danza per elefanti: l’effervescente Circus Polka , rappresentata dal grande circo americano per un’intera stagione e con grande successo. Ma ormai Balanchine non era più un artista europeo. Si era trasferito oltre oceano e aveva preso la cittadinanza americana: nel 1934 l’impresario Lincoln Kirstein, che poi si sarebbe rivelato anche un acuto storico del balletto, lo aveva invitato a dirigere la School of American Ballet. Ed egli, che alla morte di Diaghilev era diventato un freelance, attivo a Copenhagen, Londra, Parigi (nel 1933 vi aveva creato, per la compagnia Les Ballets, Mozartiana e soprattutto I sette peccati capitali di Brecht-Weill) accettò. Divenne insegnante e animatore di varie compagnie statunitensi come l’American Ballet, l’American Ballet Caravan, il Ballet Society, prima di trasformare quest’ultimo gruppo nel New York City Ballet (1948) di cui restò direttore artistico sino alla morte. Nel 1964 la città di New York destinò proprio alla sua compagnia l’uso dell’ambitissimo New York State Theatre, presso il Lincoln Center. Negli Usa B. confermò e approfondì la sua ricerca linguistica, creando balletti per lo più astratti, sempre improntati a un attento esame delle partiture musicali. L’influenza del nuovo paese e la sua cultura veloce e di massa contribuirono a rendere persino più `democratico’ il suo stile. Certo principi e regine non entrarono mai nei suoi balletti di pure linee come l’algido Balletto imperiale (1941) su musica di Cajkovskij, o il non meno sfavillante Symphony in C (o Palais de Cristal , 1947), su musica di Bizet, che pure trasudano una vibrante nostalgia per i grandi spettacoli della corte zarista e per il coreografo Marius Petipa, da lui considerato tra i suoi ideali precursori e maestri. Ma Stars and Stripes (1958), Square Dance (1957, poi ripreso e variato nel ’76) soprattutto Who Cares? (1970), su musica di Gershwin (per non parlare delle coreografie per i musical, come On Your Toes , firmate a Broadway alla fine degli anni ’30) rivelano che la sua danza tendeva a rispecchiare gli ideali della nuova classe media americana, pur senza giungere a ibridarsi con altre tecniche moderne, opposte al balletto, come talune opere di Jerome Robbins (il coreografo di West Side Story ) che fu a lungo suo collega al NYCB. Sin dall’inizio Balanchine desiderò che la sua compagnia newyorkese fosse soprattutto espressione della fisicità americana; scelse perciò ballerine atletiche come Tanaquil Le Clercq o Suzanne Farrell, la sua ultima musa, dalle gambe e braccia lunghe e con la testa piccola (come tutte le sue `baby-ballerine’) e danzatori atletici ed eleganti come Peter Martins (che egli stesso designò come suo successore alla testa del NYCB), il nero Arthur Mitchell o l’aitante Edward Vilella.

‘Mister B’, come fu affettuosamente soprannominanto (nonostante godesse la fama di coreografo-tiranno), muoveva questa suoi corpi ‘ideali’ come uno stratega poco interessato alle loro psicologie e personalità, nella convinzione che i ballerini non dovessero «pensare ma solo agire» e che fossero fiori destinati, purtroppo, a morire troppo in fretta e perciò ad essere utilizzati solo all’apice della loro giovanile bellezza e forza fisica. Per nulla affascinato dalla danza narrativa, si può capire perchè avesse allestito nella sua lunga carriera solo alcuni classici del repertorio ottocentesco; tra questi uno scintillante Schiaccianoci (1954), tuttora cavallo di battaglia natalizio del NYCB. Ma del resto nel suo ampio repertorio spiccano autentici e insostituibili capolavori antinarrativi o solo sottilmente evocativi come Serenade (musica di Cajkovskij, 1935), Concerto Barocco (musica di Bach, 1941), La Valse (musica di Ravel, 1951), Liebeslieder Walzer (musica di Brahms, 1960), Jewels (musica di Fauré, Stravinskij e Cajkovskij) e soprattutto Theme and Variations (musica di Cajkovskij, 1947) e The Four Temperaments (musica di Hindemith, 1946): tutti balletti per lo più ‘nudi’, immersi in uno spazio virtuale e nel décor che preferiva: la luce. Dentro la luce fece rinascere anche il suo Apollon Musagète in forma di balletto concertante (1979), depurando la coreografia di ogni scoria teatrale (scene e costumi grecizzanti) a riprova che questo caposaldo neoclassico non si sarebbe mai davvero fermato nel tempo. A Balanchine si richiamano artisti del teatro come Robert Wilson e coreografi contemporanei come William Forsythe, mentre il termine `balanchiniano’ che sta a ricordare l’influenza da lui esercitata su tutto il balletto del secolo, indica una pratica coreografica neoclassica basata sull’esplorazione delle potenzialità espressive del movimento, nella sola esaltazione delle sue linee più adamantine e pure, in costante dialogo con le strutture musicali.

Certini

Alessandro Certini studia danza moderna a Firenze con Traut Faggioni e Katie Duck, tecniche postmoderne e `contact improvisation’ a Londra e Amsterdam. Dal 1979 al 1986 danza con il Group/o di Katie Duck; nel 1989 è con Virgilio Sieni in Duetto. Nello stesso anno fonda `Company Blu’ con Charlotte Zerbey, con la quale crea tra l’altro Don Chisciotte (1992), Le curve dei pensieri (1994), il progetto triennale Alveare (1995-97) e Silenzi (1998). Per questi lavori collabora con musicisti come Tristan Honsinger e Antonello Salis, sulla cui musica dal vivo elabora una coreografia astratta che lascia grande spazio all’improvvisazione degli interpreti.

Zullig

Dopo aver studiato un solo anno alla Folkwang Schule di Essen, dal 1932 al 1947 Hans Zullig ha danzato come solista nella compagnia di K. Jooss, segnalandosi per l’ intensità interpretativa in numerosi balletti dello stesso Jooss (Ballade, 1935; A Spring Tale, 1939; Big City, 1940; Pandora, 1944); sempre di quegli anni sono le sue prime coreografie (La Bosquet, 1945). Dopo un anno al Sadler’s Wells Theatre Ballet, è entrato nella nuova compagnia di Jooss, il Folkwang Tanztheater (1949-52); in seguito diventa assistente di Jooss a Düsseldorf e eccezionale didatta al dipartimento di danza dell’Università del Cile (1956-1961) e della Folkwang Schule, della quale è stato direttore dal 1969 alla morte.

Platel

A quarant’anni Alain Platel è già uno dei nuovi maestri della scena europea ed è tra i pochissimi a aver assorbito la lezione di Pina Bausch ma per reinventarla in un teatrodanza che lui stesso definisce `postrealista’. Vi si rintracciano e elaborano sentimenti e presenze nella ricca Europa di fine secolo, con un interesse particolare e talvolta impertinente, per quanto, e quanti, ne stanno ai margini. La sua formazione è assai curiosa: prima di ottenere la laurea in pedagogia, segue corsi di mimo e arte circense e lavora con adolescenti difficili e abbandonati. Quindi incontra la coreografa Barbara Pearce che, a Parigi, lo ingaggia come danzatore non professionista in una compagnia di danza moderna di cui diviene la mascotte. Sembra dunque destinato a abbandonare la missione pedagogica, invece, tornato in Belgio, dà corso a un’attività di teatro amatoriale con un gruppo di amici in cui comincia a applicare metodi pedagogici. Nasce una sorta di `teatro d’appartamento’ che, tuttavia, già nel 1984 (con la pièce Stabat Mater ) viene giudicato sufficientemente professionale per entrare in un piccolo circuito di festival locali.

Ma il 1984 è anche l’anno ufficiale di nascita dei Ballets C. de la B. (Balletti contemporanei del Belgio: un nome ironico che richiama le compagnie storiche del Novecento, come i Ballets Russes). È il gruppo di artisti- dilettanti (ma anche registi come Hans Van de Broeck o Christine De Smedt) che per molti anni si identifica in Platel, anche se egli non ama esserne considerato il coreografo e tanto meno il direttore artistico. Fedele al principio che sulla scena non vi debba essere alcun tipo di interpretazione, ma piuttosto la vita di persone che vogliono raccontare liberamente, senza sottomettersi ai dettati di un regista o di un coreografo, la loro storia, P. si afferma comunque, come metteur en scène della sua compagnia, con lo spettacolo Emma (1988). Ma sono Bonjour Madame (1993) e La tristeza complice (1995) a sbalzarlo, con Les Ballets C. de la B., sulla scena internazionale. Interessato a lavorare anche in strutture diverse, allestisce, assieme al drammaturgo Arne Sierens, Moeder en Kind (1995) e Bernadetje (1996): quest’ultima originale e visionaria rievocazione della Santa di Lourdes che si materializza in una vera pista di autoscontro ben si addice ai giovani attori, danzatori e non professionisti del gruppo belga `Victoria’. Con Hildegard De Vuyst, sua abituale drammaturga-regista, firma, ancora per Les Ballets C.de la B, Iets op Bach (1998) in cui stigmatizza, nel confronto con la musica perfetta di Bach, un mondo in cui la miseria spirituale e culturale è ancor più devastante che la povertà materiale. Il suo teatrodanza non nasce da progetti predeterminati a tavolino, ma dalla scelta delle persone selezionate per dar corpo ai suoi spettacoli: si tratta in genere di personalità molto forti, diverse per esperienza e preparazione nell’ambito della danza, per cultura ed età (spesso sono bambini anche di pochi anni). L’obiettivo è creare un mondo di differenze dal quale lievitino desideri, pensieri, frustazioni, nostalgie: il pedagodo-coreografo-regista ne è il suscitatore e in fine diviene organizzatore `bruitista’ del caos.

Montet

Bernardo Montet ha trascorso in Africa parte dei suoi giovanissimi anni cosa che lo influenzerà molto. Nel 1979 è al Mudra di Bruxelles. Qui lega con Catherina Diverrés con la quale nel 1982 si reca in Giappone alla Scuola di Kazuo Ohno. Di ritorno in Francia nel 1983 creano lo studio DM realizzando vari lavori nei quali mettono a frutto le loro varie esperienze e una concezione alquanto personale della danza. Tra i suoi titoli Le rêve d’Hélène Keller (1984), una serie di `a solo’ tra i quali Indigo (1986), La chute de la maison de carton (1986), Pene de singe (1987), Au crépuscule (1993). Ancora Issé Timossé (titolo in lingua Ibo nigeriana), lavoro vagamente ispirato alla figura di Sant’Antonio nel deserto. Del 1995 è Marguerite (de l’oubli) e del 1996 Cirque . Dirige, dal 1995 il Centre Choréographique National de Rennes et Bretagne insieme a C. Diverrés.

Clark

Michael Clark studia alla Royal Ballet School, dove si distingue per l’elegante stile classico. Entra nel Ballet Rambert, quindi fonda un suo gruppo per il quale crea le coreografie, spesso con accompagnamento di musica rock: movenze e costumi risultano spesso provocatori, al limite dello scandalo. Nonostante ciò, la sua versione di Apollon Musagète fa trasparire ancora il talento classico. Negli anni ’80 e nei primi anni ’90 ha ottenuto successo anche in Francia e in Italia.

Rossi

Dopo gli studi di teatro e mimo a Milano e arti circensi a Parigi, dal 1980 al 1983 Giorgio Rossi è con il Teatro e Danza La Fenice di Carolyn Carlson; nel 1984 fonda la compagnia Sosta Palmizi, per cui crea e interpreta Il cortile (1985), Tufo (1986), Perduti una notte (1987). Nello stesso anno è unico autore di Dai colli , in seguito collabora con Lindsay Kemp per Alice (1988) e firma per Sosta Palmizi Rapsodia per una stalla (1990), l’assolo Balocco (1992), Sul coraggio… (1995), Come le nuvole (1996) e Piume (1997), dove mette in luce una teatralità ironica e sognante, in cui movimento e parola si fondono per tratteggiare ritratti umani di sapore volutamente naïf.

Taylor

Paul Taylor studia pittura e pratica l’atletica e il nuoto, formandosi intanto alla danza con Graham, Humphrey, Limón, Tudor e Craske. Si esibisce nelle compagnie di Merce Cunningham (1953-1954) e Martha Graham (1958-1962), creando nel 1957 il suo primo recital di `anti-danza’, improntato a quella vena lieve che caratterizzerà spesso i suoi lavori ginnici e pieni di energia, facendone in questo senso un caposcuola. Duet (1957, musica di Cage), Three Epitaphs (1959) e Aureole (1962), ripreso poi da varie compagnie, anche di base classica, evidenziano il suo gusto per corpi robusti, forti, estremamente dinamici, e insieme il lirismo nell’ispirazione. In Big Bertha (1971) affronta con l’arma del sarcasmo i rapporti incandescenti di un tipico nucleo familiare americano. Esplanade, uno dei suoi balletti più noti (1975), composto di semplici camminate e salti in crescendo, sviluppa la struttura della coreografia, ponendola a stretto confronto con la musica di Bach.

Kloven Kingdom (1976) si rifà alla parte animale e nascosta dell’uomo con spirito tagliente, mentre la sua versione del Sacre du PrintempsThe Rehearsal (1980), con gangster, poliziotti e ballerini in sala prove, è stata danzata anche dal MaggioDanza fiorentino (1994). Tra i suoi titoli più famosi: Arden Court (1981), Rosas (1985), A Musical Offering (1986), Field of Grass (1993). È autore di un’autobiografia, Private Domain (1987), che porta lo stesso titolo di un suo balletto (1969), nato come seguito di un primo lavoro, Public Domain (1967). Tra i suoi danzatori, Daniel Ezralow e David Parsons ne seguono l’esempio, creando una danza basata sul gioco muscolare e plastico, di tono ironico e leggero.

Alston

Dopo gli studi alla London Contemporary Dance School Richard Alston entra nella compagnia, per la quale crea numerosi lavori. Forma anche il gruppo Strider. Nel 1975 studia con Merce Cunningham e altri maestri a New York. Nel 1980 diventa coreografo `in residenza’ della Rambert Dance Company. Dopo la chiusura del London Contemporary Dance Theatre, forma la Richard Alston Dance Company, con sede a The Place. Coreografo eclettico, il suo Rainbow Bandit è entrato, seppure per un breve periodo, nel repertorio dell’Aterballetto.

Cortés

Dopo gli studi di danza classica e flamenco, Joaquin Cortés nel 1984 entra nel Ballet Nacional de España, diventando solista nel 1986. Dal 1990 si dedica completamente al flamenco, collaborando con il coreografo Marco Berriel ( Romance Amargo , 1990) ed esibendosi in recital solistici (Apologia flamenca , 1991) e con partner come Merche Esmeralda e Lola Greco. Creato il suo gruppo `Joaquin Cortés Ballet Flamenco’ (1992), si impone sulla scena internazionale con spettacoli come Pasión gitana (1996) per brillantezza tecnica e personalità, sia pure in una discutibile e commerciale opera di fusione tra il linguaggio della danza classica e quello del baile spagnolo.

Kelly

Uno dei grandissimi della danza americana, continuamente contrapposto a Fred Astaire, diceva di sé: «Astaire rappresenta l’aristocrazia, quando balla. Io sono un proletario». In realtà, a parte l’aspetto atletico, muscolare delle sue danze, Gene Kelly aveva affrontato la danza dalla parte della coreografia, nel senso che aveva progettato di essere un coreografo prima di diventare un ballerino: un aspetto che condizionerà sempre la sua danza. Inoltre aveva talento di attore, e molti produttori di Hollywood si interessarono a lui in questo senso. A diciannove anni, nel 1931, scoprì di avere un’attitudine all’insegnamento e aprì la sua prima scuola di danza (Gene Kelly Studios of the Dance). Intanto, insieme al fratello, si esibiva nei night-club, in stabilimenti anche di infimo ordine, in un numero classico come quelli che abbiamo visto, anche da lui, in tanti film hollywoodiani. Nel 1937 si trasferisce a New York e, finalmente, nel 1938 riesce a ottenere un piccolo ruolo in un musical a Broadway; si tratta di Leave it to Me! di Cole Porter, spettacolo in cui debutta un’altra futura star di Broadway, Mary Martin: lo show ha un esito brillante e 291 repliche. Intanto è riuscito a debuttare come coreografo, sempre nel 1938, con una piccola produzione al Pittsburgh Playhouse che tiene il cartellone per un mese soltanto, Hold Your Hats : nello spettacolo Gene Kelly interpreta ben sei numeri.

Nel 1939 Robert Alton, coreografo di Leave it to Me!, monta una rivista intitolata One for the Money e scrittura Gene Kelly come cantante, ballerino, attore, affidandogli ben otto numeri. Nel novembre 1939 Gene Kelly debutta in prosa, sostituendo un altro attore nella commedia premio Pulitzer di quell’anno, I giorni della vita (The Time of Your Life) di William Saroyan. Sempre nel ’39 Gene Kelly ha coreografato alcuni numeri di danza di una commedia, Green Grow the Lilacs , da cui Rodgers e Hammerstein, tre anni dopo, trarranno Oklahoma! ; nell’estate di quell’anno ottiene anche le coreografie di Billy Rose’s Diamond Horseshoe . Ed è proprio mentre lavora allo spettacolo che, dopo un’audizione, ottiene il ruolo di protagonista in Pal Joey di Rodgers e Hart, che va in scena il 25 dicembre del 1940 e fa di Gene Kelly una grande star; lo spettacolo avrà 374 repliche. Immediato è l’interesse di Hollywood, e Gene Kelly riceve molte offerte; infine decide di accettare quella di David O. Selznick, che lo metterà al lavoro dopo la fine delle repliche di Pal Joey e dopo che avrà compiuto il suo lavoro di coreografo per un altro musical di Broadway, Best Foot Forward (ottobre 1941).

A Hollywood, dopo un debutto onorevole accanto a Judy Garland in For Me and My Gal (1942), Gene Kelly avrà una carriera senza eguali, che comprende alcuni dei massimi film musicali come An American in Paris (1951) e Singin’ in the Rain (1952) e, molto più tardi, solo come regista, Hello, Dolly! (1969). In realtà Pal Joey sarà la sua ultima apparizione su un palcoscenico, se si eccettua una coreografia per il balletto dell’Opéra di Parigi nel 1960, Pas des Dieux , su musica di Gershwin. Ancora molto vivace, nel 1993 ha collaborato con Madonna per metterle in scena un omaggio al film, ormai di culto, Singin’ in the Rain.

Hoecke

Artista poliedrico, che da anni sperimenta con il suo Ensemble una forma di teatro totale, dove danza, recitazione, canto, musica e altre espressioni si fondono in un insieme armonico. Come danzatore Micha van Hoecke ha fatto parte del Ballet du XXème siècle diretto da Maurice Béjart, dove matura alcuni passaggi artistici fondamentali. Solista in numerose creazioni di Béjart, H. inizia a dedicarsi alla coreografia nel 1971; nel 1979 diviene direttore artistico della scuola Mudra fondata da Béjart, di cui diventa stretto collaboratore. Nel 1981 fonda il Ballet Théâtre Ensemble, gruppo di danzatori scelti, con personalità variegate, unite da una tecnica forte e limpida. Per loro crea la maggior parte dei suoi molti lavori, caratterizzati da una sensibilità spesso malinconica e struggente e da una notevole capacità di orchestrare i singoli talenti. Tra le sue coreografie: Monsieur Monsieur (con cui l’Ensemble ha esordito ufficialmente nel 1982), Doucha, La dernière danse. Nel 1986 l’Ensemble è ospite residente del festival di Castiglioncello, per il quale vengono prodotti, tra gli altri, Prospettiva Nevskij, Guitare, Il violino di Rotschild, mentre dal 1995 l’Ensemble ha sede presso il Teatro Verdi di Pisa. Intensa è anche la collaborazione (dal 1990) con Ravenna Festival, dove Micha van Hoecke debutta nella regia lirica con La muette de Portici di Auber (1991), vince il Premio della critica italiana nel 1992 per Adieu à l’Italie , e crea inoltre Orpheus e Pulcinella (1996) con Luciana Savignano e Pèlerinage (1997). È del 1998 il Pierrot lunaire per Alessandra Ferri e Maximiliano Guerra e il suo Ensemble. Dal 1997 è coordinatore artistico per il ballo al Teatro Massimo di Palermo, dove è in preparazione un nuovo allestimento (I sette peccati capitali) per il 2000. Nell’ottobre 1998 è interprete a Torino (accanto a Carla Fracci) di Oh, les beaux jours di Béjart.

Limón

Interprete dalla spiccata personalità e creatore di uno stile dai movimenti fluidi, eleganti e respirati più che di una tecnica, José Limón è stato uno degli esponenti più illustri della modern dance e il discepolo più famoso di Doris Humphrey. Da giovane studiò pittura a Los Angeles, ma una volta arrivato a New York venne folgorato da uno spettacolo di H. Kreutzberg e Y. Georgi e decise di dedicarsi alla danza. Nel 1930 iniziò a studiare presso lo studio di Humphrey-Weidman, di cui divenne presto membro della compagnia. Fisico scultoreo, volto dai tratti nobili e austeri e un talento magnetico, L. fu l’interprete preferito dalla Humphrey che per lui disegnò coreografie su misura come Day on Earth (1947), Lament for Ignacio Sanchez Mejiás (1947) – il suo cavallo di battaglia -, Night Spell (1951) o Ritmo Jondo (1953). Fin dagli anni ’30 manifestò un istinto coreografico, influenzato nelle strutture da quello di Humphrey ma dai contenuti inclini più al misticismo e alle passioni umane, ma solo a partire dal 1946 vi si dedicò interamente. Nel 1945 – dopo aver prestato servizio militare per due anni – fondò la sua compagnia, della quale facevano parte Betty Jones, Pauline Koner, Lucas Hoving, e chiese a Humphrey, ritiratasi dall’attività di danzatrice, di esserne la direttrice artistica. Una decisione che si rivelerà felice per entrambi, dando la possibilità a Humphrey di continuare a esprimersi e a L. di assorbirne l’eredità coreografica. Lontano dagli astrattismi concettuali che fermentavano nei lavori dei suoi contemporanei, L. preferì aderire a una danza emozionale e rappresentativa. Grande umanista della modern dance creò il suo capolavoro con The Moor’s Pavane , del 1949, efficace sintesi del dramma della gelosia di Otello in quattro personaggi, entrato in repertorio anche presso l’American Ballet. Orchestrato armonicamente, sovrapponendo alla struttura della pavana e di altri balli di corte i modelli formali della modern dance, The Moor’s Pavane è un ingranaggio perfetto che esplora la dinamica delle passioni, dall’amore all’odio, dalla gelosia alla vendetta. Tra gli altri suoi lavori: La Malinche (1949), drammatico trio basato sulla vera storia di un’india al tempo di Cortez, The Unsung (1970), danzato da soli uomini in silenzio in omaggio ai guerrieri indiani. Dalla tensione mistica di L. viene il mosaico circolare di There is a Time (1956), ispirato a un passo dell’ Ecclesiaste , la corale maestosità della Missa Brevis (1958), il duetto biblico di The Exiles . L’intensità dell’operato di L. è stata tale che anche dopo la sua morte la compagnia è rimasta unita sotto la direzione di Carla Maxwell, una delle sue interpreti predilette, prodigandosi per il mantenimento e la diffusione delle sue coreografie.

Shawn

Già studente di teologia, Ted Shawn si è formato con Hazel Wallack, debuttando a Denver (1891). Ha aperto poi una scuola a Los Angeles e ha dato vita a una compagnia itinerante (1914). Con Ruth Saint Denis, incontrata a New York, ha fondato la scuola e la compagnia Denishawn (1915-1932), dove hanno studiato Graham e Humphrey. Qui sono nate anche coreografie per il cinema ( Dance of the Ages , Intolerance ). Dopo il divorzio dalla Saint Denis, ha formato un suo gruppo, All-Male Dancers (1933) e ha acquistato una fattoria nel Massachusetts, il Jacob’s Pillow, per farne la sede di corsi e spettacoli, che saranno fondamentali nella vicenda della danza moderna americana. Ha continuato a esibirsi fino agli anni ’60, diffondendo un’immagine virile della danza maschile. Ha pubblicato Ruth Saint Denis , Pioneer and Prophet (1920), The American Ballet (1926), Gods Who Dance (1929), Fundamentals of a Dance Education (1935), Dance We Must (1940), Every Little Movement (risultato degli studi su F. Delsarte, 1954), 33 Years of American Dance (1959), One Thousand and One Night Stands (con Gray Poole, 1960). La sua danza, inventiva ed eclettica, spesso ispirata a temi religiosi o etnici, ne ha fatto un pioniere dell’arte del corpo negli Usa.

Bocca

Formato alla scuola del Teatro Colón di Buenos Aires, Julio Bocca debutta con la Caracas Ballet Company, danza poi al Teatro Municipal de Rio de Janeiro (1983) e, dopo la medaglia d’oro al Concorso di Mosca (1985), entra all’American Ballet Theatre, dove diviene primo ballerino (1986). Si esibisce in Bayadère, Giselle, Histoire de Manon, Romeo e Giulietta, La bella addormentata, La Sylphide, Don Chisciotte. Alla Scala interpreta Le Baiser de la Fée di Stravinskij (coreografia di Micha van Hoecke, 1993). Virtuoso dalla tecnica brillante, in Argentina dirige un suo gruppo di giovani, con un repertorio che comprende classici e creazioni come Sinfonia Entrelazada di Bigonzetti (1998), Consagracion del Tango di Ana Maria Stekelman e Desde Lejos di Mauricio Wainrot.

Barišnikov

Michail Nikolaievich Barišnikov studia all’Istituto coreografico di Riga dal 1958 al ’64 per poi passare all’Istituto coreografico di Leningrado (studia con Aleksandr Puskin), dove si diploma nel 1967 per entrare nella compagnia del Kirov. Primo premio a Varna nel 1966, nel passo a due del Don Chisciotte dimostra straordinarie doti di danzatore classico dal movimento naturale ed espressivo, che riesce ad annullare nella danza le difficoltà tecniche delle pirouettes e dei salti. Solista al Kirov sino al 1974, dove affronta i principali titoli del repertorio classico e sovietico ( Giselle , Il lago dei cigni , La bella addormentata , Corsaro , Le fiamme di Parigi ) e molti balletti creati per le sue doti speciali di danzatore superdodato ma, secondo gli standard russi, di difficile impiego nei titoli classici: Amleto di Konstantin Sergeev (1970), La creazione del mondo di Kasatkina e Vasilev (1971). Nel 1969 con Vestris , miniatura coreografica di Leonid Jakobson, vince il primo premio al concorso internazionale di Mosca, dimostrando anche grandi doti di interprete. Il 30 aprile del 1974 danza per l’ultima volta al Kirov in Giselle . Subito dopo, durante una tournée del Kirov in Canada, sceglie di fuggire e restare in Occidente, sulla scia della clamorosa fuga di Nureyev, con il quale il paragone resta costante: tanto è dionisiaca, teatrale, irruente, a costo anche di imperfezioni vistose, la danza di Nureyev, quanto è apollinea, perfetta, pura, a costo di rinunciare a certe parti quando la tecnica non lo permette più, quella di B. Negli Usa la sua compagnia elettiva è l’American Ballet Theatre, dove danza dal 1974 al ’78, interpretando i principali ruoli del repertorio classico. Negli stesi anni affronta nuovi ruoli o creazioni realizzate per lui da Roland Petit ( Carmen e Le jeune homme et la mort , La dama di picche ), John Butler ( Medea ), John Tetley ( Sagra della primavera ), Antony Tudor ( Shadow Play ), Twyla Tharp ( Nine Sinatra songs , Push comes to shove ).

Dal 1978 al ’79 è danzatore del New York City Ballet ma, nonostante la formazione classica russa, lo stile rapido e sincopato di Balanchine è lontano dalle sue corde artistiche: eccelle nei ruoli più classici come Apollo , Figliol prodigo , Sonnambula e nei balletti di Jerome Robbins ( Dances at a gathering , Other dances , L’après-midi d’un faune ). In questi anni tuttavia non manca di mettersi alla prova con altri stili e con le compagnie di altri grandi coreografi americani: Alvin Ayley, Paul Taylor, Martha Graham. Assurge al ruolo di pop-star per i suoi amori con Isabella Rossellini e Jessica Lange. Intraprende una carriera di attore in Due vite, una svolta (1977), Le notti bianche (1985), dove interpreta sostanzialmente se stesso, Il gabinetto del dottor Ramires di Peter Sellars (1991). Gira numerosi film e documentari in cui appare nelle sue migliori interpretazioni di danzatore. Dal 1980 al ’89 è chiamato alla direzione dell’American Ballet Theatre. Per questa compagnia, anche prima della direzione, allestisce classici russi: Schiaccianoci (1976), Don Chisciotte (1978), Cenerentola (1983), Il lago dei cigni (1989). Lasciata la direzione dell’American Ballet Theatre, abbandona poco per volta il repertorio classico per passare alla danza contemporanea, le cui difficoltà tecniche sono all’altezza di un ballerino ormai maturo come è B. Con Mark Morris fonda il White Oak Dance Project, una formazione piccola e agile che affronta i classici della coreografia americana (Merce Cunningham, Doris Humphrey) e lavori di giovani coreografi (Morris prima di tutti). In questo modo Michail Nikolaievich Barišnikov riesce a prolungare una grande carriera di danzatore senza rinunciare a quelle caratteristiche di perfezione e purezza esecutiva che hanno sempre marcato il suo stile.

Sieni

Architetto, Virgilio Sieni studia danza moderna con Traut Faggioni e contemporanea ad Amsterdam e New York, debuttando come danzatore e coreografo con la compagnia teatrale Magazzini. Dal 1983 al 1991 con Julie Ann Anzillotti e Roberta Gelpi guida Parco Butterfly, per cui realizza Cocci aguzzi di bottiglia (1985), Shangai Neri (1986), Inno al rapace (1988), Il severo calcolo numerico dei babilonesi (1990); nel 1992 fonda la Virgilio Sieni Danza e elabora progetti coreografici contrassegnati da lavori come L’eclisse (1992), Cantico (1993), Rosso Cantato (1995), Orestea/Trilogia del Presente (1996), Canti marini (1997); collabora inoltre con il Balletto di Toscana (Apollo musagète, 1989; Pulcinella 1991), MaggioDanza (Jeux, 1990), Teatro alla Scala (Feroce Silenzio 1994), San Carlo di Napoli (Time, 1996). Autore di spettacoli di raffinata eleganza formale, spesso in collaborazione con musicisti contemporanei come Alexander Balanescu o Giorgio Battistelli, pone al centro della sua ricerca il valore semantico della danza e la forza metaforica del movimento affidando a complesse coreografie astratte la trascrizione simbolica di temi tratti da grandi opere letterarie.

Castello

Formatosi a Torino con A. Sagna e a New York, Roberto Castello fa parte del Teatro e Danza La Fenice dal 1980 al 1984, anno in cui partecipa alla fondazione di Sosta Palmizi e all’ideazione di Il cortile (1985), Tufo (1986), Perduti una notte (1988). Inizia poi una ricerca sulle origini della danza moderna con recital solisti (Enciclopedia) e balletti per varie compagnie: Les mariés de la Tour Eiffel (1991) e La creazione del bue bleu (1994) al Regio di Torino, Impressioni dal paese che cambia per il Balletto di Toscana (1994). Con la sua compagnia ‘Udu’ crea inoltre spettacoli concepiti per spazi non teatrali e caratterizzati da una sarcastica vena polemica: Siamo qui solo per i soldi (1995), Satyricon (1996), Ohm (1997) .