Murgi

Rebecca Murgi studia presso la London Contemporary School e il College of Arts Arnhem, frequentando in seguito numerosi stage e workshop con alcuni dei maggiori esponenti della danza contemporanea come Merce Cunningam, Martha Graham, Steve Paxton, James Saunders, Lisa Kraus. Come danzatrice e coreografa collabora con diversi artisti europei, come il Teatro Valdoca, Adriana Borriello, Iztok Kovac. Tra le sue coreografie, di cui è anche interprete, Magnum Miraculum (1995), vincitore del Concorso Internazionale Teatri in Scatola nel 1997 e Focus on L (1997), uno studio sulla meccanica del corpo in movimento, che prende spunto dai disegni di anatomia di Leonardo da Vinci.

Clarke

Martha Clarke studia con Tamiris, Limón, Ailey, Horst, Sokolov. Dal 1972 al 1978 collabora con il gruppo Pilobolus, per cui crea soli come Pagliaccio, Fallen Angels, Nocturne. Fonda poi con Felix Blaska e Robby Barnett la compagnia Crowsnest (1978). Fra i suoi lavori, con attori, mimi e ballerini: The Garden of Earthly Delights (1984), Vienna Lusthaus (1986), Miracolo d’amore (1988), The Garden of Villandry, che rimonta anche per l’American Ballet Theatre (1988). È autrice di un teatrodanza di gusto pittorico e narrativo, molto originale nel panorama statunitense.

Wallmann

Dopo aver studiato danza all’Opera di Vienna, Margarete Wallmann si è perfezionata a Parigi con la Preobrajenska. Ha fondato una scuola di danza a Berlino negli anni ’30; in quegli stessi anni debuttava come regista (Orfeo ed Euridice di Gluck) e coreografa al festival di Salisburgo, anche in spettacoli di Max Reinhardt. Le due attività saranno poi quasi inscindibili nel suo percorso artistico: particolarmente in Italia, dove debuttò nel 1937 al Maggio musicale fiorentino e alla Scala. Durante la guerra fu direttrice del balletto al Colón di Buenos Aires. Rientrata in Europa fu di nuovo alla Scala, anche come direttrice del corpo di ballo, creando alcune novità come Vita dell’uomo di Savinio (1958). Dal 1952 si è dedicata principalmente alla regia operistica, curando peraltro all’interno degli spettacoli d’opera i divertissements coreografici.

Hoyos

Cristina Hoyos si dedica alla danza spagnola fin da giovanissima, debuttando nell’ambito della Fiera mondiale di New York. Nel 1969 entra a far parte della compagnia di Antonio Gades; con lui nel 1974 interpreta la parte della protagonista in Bodas de sangre , ruolo che riprende anche nella versione cinematografica firmata da Carlos Saura nel 1978. Il sodalizio con Gades si consolida: nel 1978 diventa prima ballerina del Ballet Nacional Español, da lui diretto, e nel 1981 lo segue nella fondazione della nuova compagnia, Ballet Antonio Gades. Partecipa alla realizzazione del film Carmen Story (1983; regia di Carlos Saura, coreografie di Antonio Gades) e ne interpreta il ruolo principale nella versione teatrale (1984); è poi protagonista dell’ultimo film della trilogia spagnola di Carlos Saura, El amor brujo (1985). Lasciata la compagnia di Gades, nel 1988, dopo aver girato alcuni film ( La balena bianca , 1988; Montoyas y Tarantos , 1989) fonda nel 1989 il Ballet Cristina Hoyos, con il quale crea e interpreta numerosi spettacoli presentati nei maggiori teatri europei, da Sueños flamencos (1990) a Yerma ( 1992), Lo Flamenco (1992), Cuadro Flamenco (1995), Arsa y Toma (1996). Danzatrice di notevole intensità interpretativa, dalla personalità teatrale magnetica, arcana e sensuale, è considerata oggi tra le più significative presenze del teatro di danza spagnolo.

Vidach

Dopo le prime esperienze nell’ambito alla sperimentazione teatrale e con il gruppo di `contact improvisation’ di Lucia Latour, dal 1980 al 1989 Ariella Vidach completa la formazione a New York lavorando con T. Brown, S. Paxton, T. Tharp e altri coreografi postmoderni. Tornata in Europa, nel 1988 crea con il videoartista C. Prati e lo scultore M. Mazzella il gruppo di sperimentazione interdisciplinare Avventure in Elicottero Prodotti, con il quale sviluppa una ricerca coreografica basata sull’analisi del movimento e sul rapporto tra corpo e tecnologie, anche virtuali, in spettacoli come: Spotz (1989), Xpray (1991), Elicon Silicon (1994), Il veicolo senziente (1997).

Sacco

Formatasi allo stile moderno, dal 1975 Nicoletta Sacco si dedica alla sperimentazione e alla didattica, elaborando una nuova metodologia di insegnamento della danza moderna basata sull’interazione tra le arti. Quindi, con le compagnie Children’s Dance Company e Chorea, fondate rispettivamente nel 1984 e 1988, realizza una ricerca, basata principalmente sull’incentivo della creatività individuale dei singoli danzatori. Ai numerosi lavori, come Dragholl, 1989, L’attesa 1992, Contemporanea 1995, Revolution 1997, affianca una nuova attività coreografica di integrazione tra giovani disabili e danzatori professionisti.

Lopez

Sorella minore della Argentinita, Pilar Lopez debutta in un suo spettacolo a soli sette anni, entrando in breve tempo nella Gran compagnia di balli spagnoli da quella fondata con Federico García Lorca e partecipando a tutte le produzioni. Alla morte dell’Argentinita, fonda il Ballet Espanol (1946) del quale è prima ballerina accanto a José Greco e Manuela Vargas e con questo produce accanto ai tradizionali spettacoli di baile numerosi balletti tra i quali Il cappello a tre punte (1949), Concerto de Aranjuez , musica di Joaquín Rodrigo 1953), Preludes et images , musica di Claude Debussy. Formatasi alla scuola colta e moderna dell’Argentinita, è stata interprete di grande raffinatezza stilistica e nobiltà gestuale e preziosa innovatrice della danza spagnola che con lei ha assunto una maggiore teatralità e consistenza coreografica. Fondamentale anche la sua opera didattica: ha formato molte personalità della danza spagnola come Antonio Gades, José Greco e Mario Maya.

Holm

Hanya Holm ha studiato all’Istituto Dalcroze di Hellerau e dal 1921 con Mary Wigman, per la quale diventa interprete (Feier, 1921; Totenmal, 1930) e assistente coreografica, oltre che insegnante nel suo Istituto di Dresda. Nel 1931 è invitata a New York per aprire la sezione americana della Scuola Wigman che, sotto il nuovo nome di Hanya Holm Studio (1936), resta attiva fino al 1967, diventando ben presto uno dei maggiori centri newyorchesi per la danza moderna. Ha insegnato inoltre ai corsi estivi del Bennington College (1934-39) e dell’Università del Colorado (1943-83). Fondata la sua compagnia nel 1936, firma numerose coreografie, influenzate dalle tematiche della danza moderna americana di quel periodo e fortemente orientate verso la critica sociale ( Trend , musica di E. Varèse, 1937; Metropolitan Daily, musica di G. Tucker, 1938; Tragic Exodus , musica di V. Fine, 1939), ma grande popolarità le viene dall’allestimento delle danze di musical come Kiss me, Kate (1948), My Fair Lady (1956), Camelot (1960). Personaggio di riferimento per la prima generazione della `modern dance’ americana, ha saputo influenzare la formazione di danzatori e coreografi tra i più importanti degli anni ’50 e ’60, come Valerie Bettis, Glen Tetley, Alwin Nikolais. Il suo metodo didattico scaturiva dalla scuola moderna centroeuropea ed era basato non su una tecnica prefissata, bensì sull’incoraggiamento alla ricerca espressiva personale.

Nijinska

Figlia dei ballerini Eleonora Bereda e Foma Nijinskij, Bronislava Nijinska nacque come il celebre fratello, Vaslav Nijinskij, durante una tournée dei genitori. Allieva della Scuola imperiale a Pietroburgo, dove si diplomò nel 1908, studiò anche con Enrico Cecchetti; interprete versatile ed espressiva, tecnicamente non meno strabiliante e forte del fratello, suscitò l’interesse di Michail Fokine che per lei creò i ruoli principali di Papillon in Carnaval (1910) e della danzatrice di strada in Petruska (1911), durante le prime stagioni parigine dei Ballets Russes. Alla compagnia di Diaghilev si era unita nel 1909, senza tuttavia abbandonare le file del teatro Marijinskij fino al 1911. Tre anni più tardi abbandonò anche i Ballets Russes per seguire l’amatissimo fratello a Londra ma, allo scoppio della prima guerra mondiale, fu costretta a rientrare a Pietroburgo; qui debuttò come coreografa nell’assolo La tabatière e nel 1915 si esibì nel teatro di Kiev, aprendo in quella città un atelier divenuto famoso, dove ebbe tra i suoi allievi anche Serge Lifar. Nel 1921 lasciò la Russia, per unirsi nuovamente ai Ballets Russes in occasione del debutto di La bella addormentata a Londra; per la compagnia di Diaghilev creò i suoi primi capolavori: Renard (1922) e Les noces (1923) su musica di Stravinskij, e nel 1924 il primo esempio di balletto neoclassico, Les biches (musica di Poulenc), Les fâcheux (musica di Auric) e Le train bleu (musica di Milhaud). Lavorò in seguito all’Opéra di Parigi, al teatro Colón di Buenos Aires e per la compagnia di Ida Rubinstein, per la quale allestì Le baiser de la fée (musica di Stravinskij) nel 1928 e, nello stesso anno, Boléro , seguito da La valse (1929), entrambi su musiche di Ravel. In occasione di una soirée del Vicomte de Noailles creò Aubade, ancora su musica di Poulenc.

Nel 1932 fondò una propria compagnia, per la quale riprese alcuni suoi precedenti lavori, creando inoltre Etude, Les variations (1932) e Amleto (1934), in cui lei stessa interpretò il ruolo maschile del protagonista. Direttrice artistica del Ballet Polonais a Parigi (1937), allestì per questo gruppo Chopin Concerto, Le chant de la terre e La legende de Cracovie . Successivamente lavorò a Berlino con il regista Max Reinhardt – per I racconti di Hoffmann e la versione filmata del Sogno di una notte di mezza estate – e con la compagnia Markova-Dolin. Nel 1938 aprì una scuola a Los Angeles, pur continuando a creare coreografie per diverse compagnie, tra cui il Ballet Theatre (La fille mal gardée , 1940; Harvest Time , 1945), i Ballets Russes de Monte-Carlo (La fanciulla di neve, 1942; Antica Russia, 1943) e il Ballet International (Brahms Variations e Quadri di un’esposizione, 1944). Dopo il 1945 lavorò principalmente per il Grand Ballet de Marquis de Cuevas come insegnante. Pioniera della coreografia neoclassica, autrice di un diario non ancora interamente pubblicato, che raccoglie le sue teorie sul movimento e la composizione ma descrive anche, con scrittura sciolta e brillante, l’ambiente ballettistico d’inizio secolo e l’arte del fratello ( Early Memoirs, 1894-1914 , New York 1981), fu un’innovatrice della tecnica e del linguaggio tradizionale del balletto e un’insegnante convinta della necessità di superare le barriere tecniche tra balletto accademico e danza libera. La ripresa, a sua cura, per il Royal Ballet di Les biches (1964) e Les noces (1966), seguita negli anni ’70 dalle riprese effettuate anche in Italia dalla figlia Irina, contribuirono a confermare la convinzione che sia stata una delle coreografe più innovative e influenti della prima metà del Novecento.

Chouinard

Tra le antesignane della danza moderna nel suo Paese, Marie Chouinard è stata definita ‘la femme sauvage’ del Québec, per il suo stile che ha qualcosa di rude e selvaggio, come ha dimostrato anche una sua versione del Sacre du printemps di Stravinskij. Da aggiungere che Marie Chouinard, che nel 1990 ha dato vita a una propria compagnia, a differenza di altri suoi colleghi canadesi (in testa Ginette Laurin, André Fortier e Jean-Pierre Perrault) intende la danza come un’arte elitaria. Ricco il suo percorso artistico; ha firmato non meno di una trentina di titoli, curando spesso anche i costumi: Marie chien noir, Stab, Thérpsichore a cappella e, opera anche vocale e tra le sue più originali, Les trous du ciel  (1991).

Wiesenthal

Formatasi alla Scuola di Ballo dell’Opera di Vienna, dopo aver danzato nel suo corpo di ballo dal 1901 al 1907, insieme alle sorelle Elsa e Berta, Grete Wiesenthal ha avviato la sua carriera di danzatrice e coreografa moderna in recitals presentati in tutto il mondo. Interprete teatrale di autori come il poeta Hugo von Hofmannsthal e Max Reinhardt (con il quale ha creato il ruolo dello sguattero nella prima produzione di Ariadne auf Naxos di Richard Strauss, 1912), ha collaborato come coreografa per oltre trent’anni con il festival di Salisburgo, dedicandosi anche all’insegnamento presso la sua scuola e il Dipartimento di danza dell’Accademia di musica di Vienna, che ha diretto dal 1945 al 1952. Si è imposta sulla scena della danza mitteleuropea per la personale rivisitazione del valzer viennese, nel quale ha saputo trasferire le influenze della danza libera di Isadora Duncan e ha tradotto in movimenti continui quanto di fluente, vibrante e ondeggiante c’è in quella misura musicale, elaborando per questo una tecnica speciale, basata sulla danza classica ma arricchita dall’innovazione del dualismo tra sospensione e equilibrio. Tra le molte coreografie si ricordano gli `schizzi viennesi’ ispirati ai valzer della famiglia Strauss (Die Liebenden, Wein Weib un Gesand, Rosen aus Dem Süden) nonché Der Tod und Das Maulmdchen (musica di Schubert), ripresi con successo dal Balletto della Staatsoper di Vienna in occasione del centenario della sua nascita.

Calizza

Formatasi all’Accademia nazionale di danza di Roma, dopo il debutto come danzatrice Lia Calizza si è dedicata all’insegnamento (dal 1961), all’Opera di Roma e all’Accademia stessa, della quale è diventata direttrice nel 1989. Nei sette anni del suo incarico, scaduto nel 1996, si è impegnata con buoni risultati nell’ampliamento dell’attività didattica e culturale dell’istituzione, nonché nell’ideazione di molti spettacoli (Les patineurs, 1994).

Childs

Dopo aver studiato danza si avvia alla recitazione, per tornare poi alla danza con Hanya Holm e Helen Tamiris, frequentando inoltre il Sarah Lawrence College e i corsi di M. Cunningham. Qui Lucinda Childs incontra Yvonne Rainer, che la invita a far parte del Judson Dance Theatre, dove tra il 1962 e il 1964 inizia a creare i propri assolo, partendo da oggetti o monologhi, come nel caso di Carnation (1964). Dopo un periodo di pausa, torna a esibirsi in Calico Mingling (1973), che inaugura la serie dei suoi pezzi minimalisti, votati a indagare la propria struttura interna. Collabora poi con Bob Wilson per l’opera di Philip Glass Einstein on the Beach (1976) e per I was sitting on my Patio, this Guy appeared I thaught I was hallucinating (1977). Nel 1979 nasce il suo primo lavoro con musica, Dance, in cinque sezioni, su partitura di Glass e con proiezioni di Sol LeWitt, ideate per moltiplicare l’azione dei danzatori in scena. Seguono altri titoli importanti come Relative Calm (1981), con scene di Wilson e musica di John Gibson, Available Light (1983), su musica di John Adams e con scene del famoso architetto Frank Gehry. La sua maestria compositiva, basata sulla sottile e virtuosistica arte della variazione e della ripetizione – a partire dalla semplice camminata con il busto fermo e gli arti in moto, sia con le scarpe da ginnastica postmoderne, sia con le punte accademiche – le procura commissioni prestigiose: Orage (1984) per l’Opéra di Parigi, Octet per il Northwest Ballet (1984) e poi per l’Aterballetto (1988), Lichtknall (1987) per la Deutsche Oper di Berlino. Il suo interesse per i compositori contemporanei la spinge a creare, negli anni Novanta, lavori come Earth , su musica di Gavin Bryars (1990), Rhythm Plus , su musica di György Ligeti e Luc Ferrari (1991), Concerto , su musica di Henryk Górecki (1993). Nel 1996, tornata al teatro, interpreta a fianco di Michel Piccoli La maladie de la mort di M. Duras. Il suo Chamber Symphony , su musica di J. Adams, entra nel repertorio di MaggioDanza a Firenze (1998). Danzatrice affascinante, di astratta perfezione formale, è coreografa altrettanto rigorosa e analitica.

Maxwell

Carla Maxwell entra nella compagnia di Limón (1965), dove danza in ruoli di spicco, interpreta il personaggio centrale, creato per lei, in Carlota (1972), l’ultimo balletto del maestro, e coreografa Sonata (1980). Diventa poi direttrice artistica della compagnia stessa (1978), affiancata per un periodo da Lutz Forster, formato a Essen e membro del Wuppertaler Tanztheater di Pina Bausch. Nota come danzatrice di grandi doti drammatiche, dalla ripresa di Psalm (1977) in poi è responsabile dei riallestimenti dei principali balletti di Limón in tutto il mondo.

Valois

Pedagoga, poetessa, scrittrice e direttrice di compagnia, Dame Ninette de Valois studia con L. Field, E. Espinosa, E. Cecchetti, N. Legat. Dopo esperienze al Covent Garden e con la compagnia Massine-Lopokova, entra nei Ballets Russes di Diaghilev col rango di solista (1922). Osserva con cura i metodi del grande impresario-direttore artistico e si ispira al suo esempio negli anni seguenti. Nel 1926 apre a Londra una piccola scuola che diventa il punto di partenza di ciò che diventerà il Vic-Wells Ballet (in seguito Sadler’s Wells Ballet, quindi Royal Ballet). Nella seconda metà degli anni ’30 condivide con F. Ashton il lavoro coreografico, continuando a danzare e insegnare. Dopo il trasferimento al Covent Garden nel 1946, è direttrice artistica della compagnia fino al 1963, ma non cessa di occuparsi da vicino delle sorti di essa e della scuola. Crea l’ultimo balletto per la compagnia nel 1950 ( Don Chisciotte , musica di R. Gerhard). Tre suoi balletti rimangono nel repertorio: Job (creato per la Camargo Society nel 1931); The Rake’s Progress del 1935 e Checkmate del 1937. The Prospect Before Us (1940) è stato riproposto dal Birmingham Royal Ballet nel 1998. Donna di grande cultura, dal carattere forte – a volte autoritario – è considerata, con M. Rambert, la fondatrice del balletto inglese del ventesimo secolo.

Weikel

Figlia d’arte, Teri Jeanette Weikel si forma inizialmente con la madre Johanna (insegnante di danza moderna al Southwestern college di S. Diego) e nel 1978 si diploma al California Institute of the Arts. Negli Stati Uniti lavora con diverse compagnie: San Diego dance theatre (1973-75), Gus Salomons dance company (1980), Donald Byrd (1979-83), Cal-Arts dance ensemble (1981-83), Karol Armitage dance company (1983). Dal 1983 si stabilisce in Italia dedicandosi principalmente all’attività coreografica e all’insegnamento. Dotata di una tecnica virtuosistica che si esprime nelle linee dello stile Cunningham e Limon nei suoi lavori Weikel afferma una personale ricerca teatrale di movimento ispirata ogni volta a temi poetici diversi. Tra i suoi lavori: La giacca (1984), Brevi amori di tartarughe (1986), Five on red (1989), Avviso di ritorno (1991).

Chladek

Dal 1921 al ’24 Rosaria Chladek ha studiato alla scuola euritmica fondata da E. Jaques-Dalcroze a Hellerau, debuttando con il gruppo di danza libera di Vera Kratina e in recital solistici nel 1924. Negli stessi anni ha avviato l’attività di insegnante a Hellerau, Laxenburg e Basilea, cui hanno fatto seguito gli incarichi viennesi alla direzione del dipartimento di danza del Conservatorio (1942-52) e dell’Accademia di musica e dello spettacolo (1952-70). A partire dagli anni ’30 è interprete di oltre settanta assolo da lei stessa creati, ma ha allestito coreografie anche per il suo gruppo (tra l’altro al festival di Salisburgo e alla Staatsoper di Vienna); spiccano tra queste le molte partecipazioni a spettacoli classici nei teatri di Siracusa e Agrigento. Considerata una delle personalità di maggior spicco della danza moderna centro-europea, ha rielaborato in modo personale l’insegnamento della danza libera, dando vita a una tecnica incentrata sulla fusione tra la forza dinamica e l’armonia muscolare.

Chopinot

A cinque anni Regine Chopinot inizia a studiare danza classica a Lione città che diventeà la base di partenza della sua carriera di coreografa. Acquisita una solida formazione con Marika Besobrasova, scopre la danza contemporanea attraverso Marie Zighera la cui compagnia `Le Blateau basculé’ rappresenta l’avanguardia coreutica a Lione. Nel 1978 dà vita ad un suo gruppo, la Compagnie du Grèbe, e per tre anni esplora nuovi sentieri della danza. Nel 1981, vinto il secondo premio al concorso di Bagnolet con Halley’s Comet, viene invitata a tenere corsi a Parigi. Nel 1982 nasce la Compagnia Chopinot. Lo stile e il cammino ormai fissati, crea una serie di spettacoli importanti e impertinenti che destano la curiosità del pubblico. Nascono Grand écart, Simone Popinot, Swim one e Délices che segna il suo interessante incontro con il fantasioso stilista e costumista Jean-Paul Gaultier. Seguono Via e Les rats.

Nel 1985 stupisce con Rossignol, coreografia in cui i danzatori si esibiscono a un trapezio appeso a una forca. Dello stesso anno è Le défilé, balletto sul mondo della moda cui Gaultier continua a prestare il suo estro creativo e che l’anno successivo verrà anche presentato a Firenze a Palazzo Pitti. Il 1986 è anche l’anno che vede la C. installarsi al Centre chorégraphique de La Rochelle e prendere la successione del Théâtre du Silence di Jacques Garnier e Brigitte Lefèvre. Sempre ricca di idee, con fantasia bizzarra, incessante continua a produrre. Fra i molti titoli: A La Rochelle, il n’y a pas que des pucelles (1986), KOK (1988), Feu (1988), Transport (1989), Eté 90 (1990), Ana (1990), Saint-Georges (1992), Façade (1993), Végétal (1995).

Muller

Jennifer Muller studia presso la Juilliard School, sotto l’influsso di Tudor, e con Graham, Craske, Horst, Sokolow. Danza in seguito con varie compagnie, tra cui quelle di Pearl Lang, Limón e Falco, di cui diventa direttrice associata (1972). Fonda il Lecture Concert Trio e poi il suo gruppo, The Works (1974), per il quale crea numerosi brani. Tra i suoi lavori: Rust-Giacometti Sculture Garden (1971); Tub Lovers (1973); Speeds (1974); Predicaments for Seven (1977); Chant (al festival d’Avignone, 1980); Enigma (1986); The Spotted Owl (1995); A Broken Wing , Fruit (1997). Collabora inoltre con Falco alle coreografie per il musical Fame (1980) di Alan Parker. È invitata a creare balletti per il Nederlands Dans Theater ( An American Beauty Rose , 1974, e Strangers , 1975), l’Alvin Ailey Dance Company ( Crossword ), e l’Aterballetto ( Volo di un uccello predatore , su musica di Jan Garbarek e Nanà Vasconcelos, 1989). Appartenente all’ultima generazione della più autentica danza moderna americana, la sua vena compositiva, che poggia su modalità rigorosamente strutturate, ne ha fatto un’autrice di elezione anche per le compagnie di base classica.

Cortés

Dopo aver studiato flamenco e danza classica, negli anni ’80 Carmen Cortés fonda la propria compagnia di ballo, con cui mette in scena alcune sue coreografie. Dal 1990 al 1995 porta in tournée in Spagna e all’estero alcune creazioni: Cantes de ida y vuelta; El amor brujo e A Federico. Nel 1996 raggiunge il successo con Yerma, spettacolo che crea in collaborazione con l’attrice Nuria Espert e il compositore Gerardo Nuñez, basato sul testo di Federico García Lorca (è stato riproposto nel 1998 in occasione della celebrazione del centenario del poeta andaluso). Nel 1997 elabora la Salome di Oscar Wilde facendone uno spettacolo di flamenco, scelto per l’apertura del Festival di teatro di Merida.

Carlson

Carolyn Carlson studia presso la scuola del San Francisco Ballet e all’università dello Utah. Alta e flessuosa, le sue peculiari capacità di isolare ogni singolo segmento del corpo, evidenziando tutti i dettagli del movimento, ne fanno un’interprete ideale per Alwin Nikolais, nella cui compagnia danza dal 1966 al 1971. Inizia intanto a coreografare i propri assolo e, per le sue caratteristiche di creatrice che ama ispirarsi alla natura, alla spiritualità, all’Oriente, viene etichettata come la `Isadora Duncan di fine secolo’. Nel 1968 è premiata come miglior ballerina al Festival international de la danse di Parigi; lasciato Nikolais, entra nella compagnia francese di Anne Béranger ( Rituel pour un rêve mort , 1972), insegnando alla London School of Contemporary Dance e collaborando con il Ballet du XXème siècle di Béjart, fino a ricevere nel 1974 l’inedita nomina di Chorégraphe étoile all’Opéra di Parigi, dove guida per sei anni il Gruppo di ricerca teatrale. Scoperta in Italia con Trio, danzato insieme a Larrio Ekson e Jorma Uotinen (Scala 1979), viene chiamata da Italo Gomez a Venezia, dove fonda il gruppo Teatro Danza La Fenice e crea Undici onde (1981), Underwood (1982), Chalk Work (1983), lavorando anche al suo Solo (1983), che diventerà poi Blue Lady (1985), una sorta di autobiografia sulle stagioni della vita di una donna. Torna poi in Francia, dove produce numerosi titoli: Still Waters (1986), Dark (1988), Steppe (1990), Commedia (1993). Crea anche Don’t Look Back per Marie-Claude Pietragalla, étoile dell’Opéra di Parigi (1993). Allestisce diversi brani in Finlandia: Maa (1991) per il Balletto nazionale, Elokuu e Syyskuu (1992) per l’Helsinki City Ballet. Dal 1993 al 1995 dirige il Cullberg Ballet svedese, per il quale crea Sub Rosa (1995). Ritorna all’assolo con Vu d’ici (1995) e alla coreografia di gruppo con Dall’interno (Parigi 1998), su canzoni di Bob Dylan. Danzatrice-improvvisatrice carismatica, sa trasmettere le sue emozioni attraverso la poesia del corpo, proponendo immagini affascinanti, legate ai sogni e ai ricordi, in ambienti di nitida luminosità. Come docente, sa valorizzare il talento espressivo spontaneo dei danzatori; la sua attitudine, più che strettamente coreografica, è di stimolo alla fantasia e all’inventiva dei ballerini, di regista dei loro contributi artistici.

Lancelot

Quindicenne Francine Lancelot si trasferisce a Parigi, dove segue corsi di danza, e nel 1954 studia a Berlino con Mary Wigman. Tornata a Parigi lavora con Françoise e Dominique Dupuy. In seguito è al fianco di Pierre Conté al Théâtre de l’Atelier, con Jean Dasté a Saint-Etienne dove viene scritturata come danzatrice, coreografa e attrice. Rientrata nella capitale; appassionatasi alle danze tradizionali e antiche, dal 1964 lavora portando la sua esperienza al Musée des Arts e Traditions Populaires, e viene invitata a insegnare all’Opéra. Dopo dieci anni di intensa ricerca, decide di fondare una sua compagnia (`Ris et Danceries’) in cui riunisce danzatori, coreografi e ricercatori. Tra i suoi collaboratori più preziosi vanno ricordati François Raffinot, Andrea Francalanci, Beatrice Massin e Ana Yepes. Dal 1980 ha creato una ventina di importanti spettacoli basati sulla ricostruzione di danze storiche. Tra i più interessanti, Bal et Ballets à la cour de Louis XIV (1981), Hippolyte et Aricie (1985), Tempora & Mesura (1988), Platée (1989), Les Indes galantes (1990), Zaradanzas (1992). Ha inoltre partecipato alla realizzazione di varie opere antiche e ha firmato alcune creazioni personali, in cui si equilibrano in maniera felice invenzione e rispetto della storia; tra queste l’assolo Bach Suite (1984) e il balletto Quelques pas graves de Baptiste (1985), nati per l’Opéra di Parigi su invito di Nureyev.

Acquarone

Diplomata in pianoforte al Conservatorio di Torino, Sara Acquarone studia danza moderna con Bella Hutter, Anna Sokolow, Mary Wigman e Kurt Jooss, fondando nel dopoguerra un suo centro didattico e la compagnia del Teatro di Movimento. Con questa, negli anni ’50, avvia la propria ricerca investigando il rapporto tra lo spazio e il corpo, spesso spersonalizzato, del danzatore e ideando un teatro che è sintesi di forme astratte, suoni e colori in lavori quali Arcane (1959), Masques, Paludisme (1963). In seguito si è interessata alla danza e alla musica antica (Aenaoi, 1980) e al balletto moderno (Carmina burana, 1983). Nel 1991 ha scritto il libro Invito alla Coreografia.

Zullo

Dopo gli studi di balletto Milena Zullo si accosta alla danza moderna studiando tecnica Limón con P. Goos, oltre a mimo e tecnica Graham. Nel 1989 debutta nella coreografia (Medea) e fonda la compagnia Arte Balletto. In seguito produce con il suo gruppo numerosi lavori segnalati in vari concorsi coreografici nazionali e internazionali fino a conseguire con Capriccio il primo premio al Concorso internazionale di coreografia Prix Volinine nel 1995. Nel 1997 invitata dal Balletto di Toscana crea Virtù, su musica di Beethoven.

Bausch

È difficile immaginare cosa sarebbe il teatro della danza dell’ultimo quarto di secolo senza la paradigmatica esperienza e creatività di Pina Bausch. Questa coreografa dall’inconfondibile silhouette nera e dall’effigie esangue, sofferente, come in preda all’imminente consunzione ma in realtà da anni potente e energica capofila del genere teatrodanza (o Tanztheater), è riuscita a modificare gli orizzonti culturali ed estetici della danza del nostro tempo, guadagnandosi non solo una schiera di imitatori ma anche un pubblico insospettabile: forse il pubblico più largo e nuovo che qualsiasi altro coreografo di oggi abbia attirato a sé. Complice del suo successo, almeno in Italia, è proprio il termine Tanztheater da lei adottato per definire il suo teatro della danza, o ‘della vita’ e ‘dell’esperienza’: in realtà un termine d’uso, strettamente correlato a un preciso progetto artistico comune a un’intera generazione di creatori e coreografi tedeschi come lei ingaggiati, già negli anni Settanta, all’interno di grandi strutture e teatri d’opera della Germania. Per segnalare che la loro produzione artistica non avrebbe più avuto alcuna attinenza con il balletto o la danza moderna, precedentemente accolti in quegli stessi teatri, essi preferirono chiamare le loro compagnie, nonché definire la loro stessa produzione, Tanztheater. Nella lingua tedesca questo vocabolo composto significa semplicemente teatro della danza, ma in molti paesi di lingua non tedesca, come appunto l’Italia, esso ha dato adito alle più diverse e spesso improprie traduzioni/interpretazioni. Tanto è vero che la tentazione di inscrivere la geniale Bausch nell’alveo dei registi teatrali, sminuendo così sia la sua formazione strettamente coreutica che quella dei suoi interpreti-ballerini, ha provocato non pochi equivoci nell’iniziale esegesi del suo teatro, almeno sino a quando la sua evidenza danzante e le recise affermazioni della stessa B., che tante volte ha dato di sé persino la definizione di `compositrice di danza’, per rimarcare l’importanza della musica e dell’ispirazione musicale nelle sue opere, hanno finito per convincere anche i più increduli della natura eminentemente coreografica, anche nell’uso del gesto teatrale e della parola, del suo ‘teatro totale’.

L’immagine dell’adolescente e timidissima Pina che trascorre i suoi giorni sotto i tavoli del ristorante del padre e ne osserva, in desolata solitudine, gli avventori (un flash che servirà poi per ricondurre a memorie personali il suo indiscutibile capolavoro del 1978: Café Müller) è la prima di un’agiografia che contempla pure lo sconforto della ballerina in erba dai piedi troppo lunghi (a dodici anni calzava già il 41) per calzare le scarpette a punta. Ma prima di entrare, quindicenne, alla Folkwang Hochschule di Essen, diretta da Kurt Jooss, allievo e divulgatore delle teorie e dell’estetica dell’Ausdruckstanz (danza espressionista) promulgata da Rudolf von Laban, la B. non aveva mai frequentato veri corsi di balletto o di danza; compariva assiduamente, però, nel teatro della sua città e ben presto ne divenne una comparsa, utilizzata in operette e piccoli ruoli e anche in serate di balletto. A Essen, dove ha la fortuna di studiare proprio con Jooss, si diploma nel 1959 e ottiene una borsa di studio dal Deutscher Akademischer Austauschdienst (l’Organizzazione tedesca per i programmi di scambio accademico) che le consente di perfezionarsi negli Usa. A New York è `special student’ alla Julliard School of Music, dove studia, tra gli altri, con Antony Tudor, José Limón, Louis Horst e Paul Taylor; contemporaneamente entra a far parte della Dance Company Paul Sanasardo e Donya Feuer, creata nel 1957. Viene quindi scritturata dal New American Ballet e dal Metropolitan Opera Ballet diretto da Tudor. Nel 1962 Jooss la invita a tornare in Germania e a diventare ballerina solista nel suo ricostruito Folkwang Ballet. Dopo l’elettrizzante esperienza americana, il nuovo impatto con la realtà tedesca è deludente. Il lavoro dei danzatori non è così approfondito e severo come a New York: la B. cerca partner infaticabili, che le somiglino, e inizia a collaborare con il danzatore e futuro maestro Jean Cébron che sarà suo partner nelle prime esibizioni italiane (al festival dei Due Mondi di Spoleto del 1967 e del ’69). Dal 1968 diviene coreografa del Folkwang Ballet e nell’anno successivo ne assume l’incarico di direttrice. Risale a quel periodo anche la creazione di Im Wind der Zeit (1969) che le vale il primo premio al Concorso di composizione coreografica di Colonia, seguito, tra gli altri lavori dell’epoca, da Aktionen fur Taumnzer (1971) e da Venusberg per il ‘Baccanale’ del Tannhauser di Wagner (1972). Nel 1973, su invito del sovrintendente Arno Wüstenhöfer, accetta la direzione della Compagnia di balletto di Wuppertal, ben presto ribattezzata Wuppertaler Tanztheater: i suoi primi collaboratori sono lo scenografo Rolf Borzik, scomparso nel 1980, e i danzatori Dominique Mercy, Ian Minarik e Malou Airaudo.

Nel 1974 crea la pièce Fritz (su musiche di Mahler e Hufschmidt), l’opera-ballo Iphigenie auf Tauris (riallestito nel 1991 all’Opéra di Parigi), la rivista Zwei Krawatten, il balletto su musiche da ballo e canzoni del passato Ich bring dich um die Ecke e Adagio-Fünf Lieder von Gustav Mahler : una danza sui Lieder mahleriani. Il 1975 è l’anno della realizzazione scenico-coreografica di Orpheus und Eurydike di Gluck, ricomposto nel 1992 e ammirato anche in Italia (Teatro Carlo Felice, 1994), e dell’importante trittico stravinskiano Frühlingsopfer (Wind von West, Der zweite Frühling e Le sacre du printemps ), seguito dalla prima svolta nella carriera dell’artista che coincide con un progressivo allontanamento dalle forme canoniche della coreografia, ben evidente in opere ormai di rilevante importanza storica, come Die sieben Todsünden su musica di Kurt Weill (1976), Blaubart, Beim Anhören einer Tonbandaufnahme von Béla Bartóks Oper”Herzog Blaubarts Burg”, su motivi dell’opera bartókiana Il castello del duca Barbablù , che nel 1998 affronta da regista, su invito di Pierre Boulez. E ancora Komm tanz mit mir (1977), una pièce accompagnata da antiche canzoni popolari, l’operetta Renate wandert aus (1977) e un originale adattamento del Macbeth shakespeariano ( Er nimmt Sie an der Hand und führt Sie in das Schloss, die anderen folgen, 1978). Gli allestimenti successivi al capolavoro Café Müller (quaranta minuti di danza su musica di Henry Purcell, per sei interpreti in tutto, tra cui la stessa coreografa che sino alla fine degli anni Novanta non accetterà più di comparire in scena) tengono conto soprattutto della scoperta del linguaggio, del verbo, della parola e di un’intera gamma di suoni originari, intesi come possibilità di articolazioni animali (ridere, piangere, urlare, sussurrare, tossire, piagnucolare) già sperimentata in Blaulbart : vero spettacolo di riferimento per il passaggio alla sua nuova `drammaturgia totale’. Proprio in questo spettacolo frantumato e elettrizzato dal fruscio delle foglie secche disseminate in scena, la coreografa inizia a mettere a fuoco un nuovo metodo di lavoro. Invece della tradizionale imposizione ai ballerini di movimenti e passi, si propongono dei `questionari’ scritti e orali ai quali la risposta potrà essere verbale o corporea. Istigando la sua troupe, la Pina Bausch finisce per sostituire le partiture e i testi drammatici (Stravinskij per il suo madido e furioso Sacre du printemps , Brecht per Die sieben Todsünden , Shakespeare per il già citato Macbeth del 1978, che ha il titolo di una lunga didascalia) con un variegato collage di risposte a domande quali: «Da piccolo avevi paura del buio?», «Cosa fai quando ti piace qualcuno?», «Qual è il tuo maggiore complesso fisico?». Il risultato eclatante della sovvertita pratica coreografica – come dimostra lo spettacolo 1980, Ein Stück von Pina Bausch – non consiste però solo nell’entrata in scena di urla, gesti sonori, canti, parole e musiche di riporto – tutte novità relative nella storia della danza, in specie per il ceppo espressionista, a cui Pina Bausch, con il tramite del suo maestro Jooss, ma anche nella progressiva demolizione del mito e dell’estetica tradizionale del ballerino. Trasformarlo in `persona’ che si muove in abiti quotidiani (giacca e pantaloni per i danzatori, sottovesti, ma soprattutto lunghi abiti da sera per le danzatrici) crea uno scandalo negli edulcorati ambienti del balletto europeo e costa a Pina Bausch accuse di volgarità e cattivo gusto germanici, specie da parte della critica americana, sbigottita di fronte al realismo del pianto delle sue danzatrici, e persino accuse di sadismo verso il vissuto interiore degli interpreti.

In Italia, spettacoli degli anni Settanta e Ottanta come Kontakthof del 1978 (incredula e ancora impacciata l’accoglienza al Teatro alla Scala nel 1983), Bandoneon, creato nel 1980, subito dopo un lungo soggiorno in Sud America e Auf dem Gebierge hat Man ein Geschrei gehört (1984) ottengono un riconoscimento ufficiale a Venezia, grazie a un’antologia della Biennale Teatro alla Fenice (1985). Prima di questa importante vetrina solo Café Müller e Keuschheitslegende (1979), entrambi presentati al Teatro Due di Parma nel 1981, con Nelken (1983), allestito nell’anno di nascita al Teatro Malibran di Venezia, avevano turbato, rapito e scosso il pubblico italiano. E mentre alcune opere importanti come Arien (1979) e Walzer (1982) attendono non solo una prima italiana ma di essere riallestite, la coreografa viene consacrata negli anni Novanta un po’ ovunque. Nelle sue pièce totali si scopre quanto abbia saputo dolorosamente scavare nella psiche del danzatore, restituendogli una gestualità senza maschere e una padronanza totale della scena. Errate interpretazioni del suo metodo di lavoro, come già si diceva, hanno tentato di accostarla al mondo del teatro di improvvisazione. In realtà, la B. ha sempre utilizzato a sua esclusiva discrezione i materiali espressivi dei ballerini, anche affidando il vissuto di un danzatore a un altro, come se avesse a che fare con semplici passi di danza e non con un frammento di vita: il piglio un poco dittatoriale – in lei sofferto e gentile – è quello tipico di molti coreografi. E coreografa alla potenza si è rivelata nel saper gestire il respiro scenico dell’universo dei suoi interpreti a cui è toccato ricostruire le anomalie del vivere sociale, l’irrisolta battaglia tra i sessi, lo sgretolamento dei valori più saldi della generazione successiva all’Olocausto, in un corollario di vizi e virtù umane del popolo tedesco ma non solo, esposte non senza una potente patina di divertimento e di ironia. Basti pensare alla creazione di quegli assolo, che restano a futura memoria nell’iconografia del suo teatrodanza, in cui l’invenzione gestuale è tanto minima quanto freschissima (in Nelken , Luzt Förster traduce con l’alfabeto dei sordomuti la canzone Someday he’ll come along e Anne-Marie Benati se ne sta sola, senza vestiti ma con un paio di mutande bianche e una fisarmonica al collo, nel campo di garofani che accoglie la pièce), o a quei trionfali `passi à la Bausch’, ritmati e a larghe volute, con i quali ha tanto spesso spedito (come in 1980 , morbido ma agrodolce party dal sapore hollywoodiano) i suoi fedelissimi tra il pubblico, in una manovra di avvicinamento alla non-fiction sempre più insistita e fisica. Nell’arco creativo che corre da 1980 a Palermo, Palermo , lo spettacolo sontuoso e degradato, allestito nel 1991 sul campo degli scempi siciliani (si assiste al crollo di un muro che inevitabilmente evoca quello di Berlino) la B. ha indubbiamente creato il suo teatrodanza maggiore. E si è concessa poche libertà d’autore: il vezzo molto tedesco di definire Stücke , ossia `pezzi’, tutte le sue opere collettive, come schegge romantiche della sua fantasia musicale, e l’altro vezzo del viaggio goethiano, esotico e ricognitore, tuttora inarrestabile. La creazione a getto continuo di scenografie vive e naturali (di Rolf Borzik, prima, e di Peter Pabst, poi) ha contribuito a alimentare la trasognata spettacolarità degli Stücke sempre vestiti della prediletta costumista Marion Cito.

L’acquario con veri pesci fluttuanti e la serra di piante grasse di Two Cigarettes in the Dark (1984), la terra che dall’alto cade nella fossa `romana’ di Viktor , lo spettacolo creato nel 1986 e dedicato alla città caput mundi ; il deserto punteggiato di grandi tronchi spinosi e ingombranti di Ahnen (1987) come l’acqua che ostacolava le disperate corse di Arien e il prato profumato di 1980 , hanno di volta in volta preservato la sua inventiva dal pericolo di reiterare la formula-cliché deflagrata e a frammenti del suo teatrodanza. Nello spettacolo Danzon (1996) la scena proiettata e a `cartoline illustrate’ di Peter Pabst indica un momentaneo allontanamento dagli elementi vivi della natura a lei cara: tra pesci tropicali che scorrono in immagini filmiche torna a danzare, con le sue braccia morbide e tormentate, la stessa B., sublime e decorativa mentre saluta il pubblico alzando una mano. Due episodi cinematografici, come la partecipazione, nei panni di una contessa non vedente nel film E la nave va di Federico Fellini e la confezione del lungometraggio Die Klage der Kaiserin (1989), in cui l’influenza felliniana e l’impianto visionario non giungono però a comporsi in un ritmo narrativo efficace e serrato, non la distolgono dal proseguire il suo viaggio goethiano alla scoperta di paesi e città del mondo. Dopo Roma e Palermo, le nuove tappe sono Madrid ( Tanzabend II , 1991), Vienna, Los Angeles, Hong Kong, Lisbona. Nascono il californiano Nur Du (1996), il cinese Der Fensterputzer (1997), concepito nel momento della cessione di Hong Kong alla Cina e il portoghese Masurca Fogo (1998): tre spettacoli ‘leggeri’, più corti e rapidi di quelli storici degli anni Ottanta (spesso condotti oltre il limite delle tre ore), con ritmi incalzanti e musiche a collage, sempre festose. La nuova risorsa della coreografa di Wuppertal è infatti la riscoperta della danza pura – il tango di Nur Du , il folklore rivisitato di Danzon, le ammalianti passerelle di Masurca Fogo – nell’utilizzo di danzatori sempre nuovi ai quali sembra però assai più difficile poter sottoporre i `questionari’ del suo metodo, così adatto a generazioni di ballerini a lei coetanei ma forse sprecato per le generazioni danzanti telematiche e cibernetiche, alle quali non a caso assegna sempre più spesso ruoli muti e di puro movimento nel confronto ancora strettissimo con i grandi e riconoscibili interpreti del Wuppertaler Tanztheater che non l’hanno abbandonata (oltre a Minarik e a Mercy, l’attrice Mechthild Grossmann).

Nato negli anni Settanta, come il cinema neorealista a cui fu strettamente legato, sullo sfondo di una cultura tedesca disposta a mettersi in crisi, il teatrodanza di Pina Bausch si deve considerare un edificio storico che funge da spartiacque: esiste infatti un teatrodanza precedente alla B. e di origine tedesca, che non ha mai ottenuto il successo e il riconoscimento di quello bausciano, mentre la coreografa ha fatto tesoro sia dell’insegnamento di Jooss che di quello di Tudor (il maestro del balletto psicologico ), andando a influenzare le arti limitrofe, come il teatro a cui ha svelato la portata dell’eredità di danza e balletto, nel segno di un neo-espressionismo che non ha certo esaurito la sua funzione estetico-artistica-sociale, anche se fatica a superare le modalità compositive spledidamente cristallizzate dalla coreografa. Esemplare resta il suo lascito coreutico in opere come Le sacre du printemps e Café Müller , in cui la tecnica coniuga i fondamenti della danza libera nell’utilizzo espressivo soprattutto degli arti superiori. Nel teatrodanza della B. il corpo del danzatore necessita di una formazione accademica – frequente l’uso di figure tipiche del balletto ( arabesque, attitude ) e di pirouettes – anche se nel suo irrinunciabile avvicinamento alla vita la coreografa rompe continuamente la prigionia dei codici o vi fa ritorno per paradosso, in episodi, spesso ironici, di riflessione sulla danza stessa e sulla fatica di danzare, che costituiscono uno dei leitmotive non secondari della sua coreografia ‘totale’.

Allan

Dopo aver studiato musica a San Francisco, Maude Allan si è dedicata a ridare vita alla danza classica greca, esibendosi in tuniche sciolte e a piedi nudi su musiche di Grieg, Mendelssohn, Strauss, Rubinstein, Chopin. Ha debuttato a Vienna nel 1903 con grande successo nella Visione di Salomé su musica di Remy, ruolo che l’ha consegnata alla storia. Si è esibita anche a Londra, Mosca, San Pietroburgo (1909) e alla Carnegie Hall di New York (1910). Ha effettuato tournée in Sud Africa, India, Cina, Australia, Nuova Zelanda, Sud America, Egitto, Gibilterra, Malta. Si è poi stabilita in Inghilterra, aprendo una sua scuola (1928). Autrice dell’autobiografia My Life and Dancing (1908), con Fuller, Duncan e Saint-Denis è stata pionieristica ambasciatrice della danza moderna americana in Europa all’inizio del nostro secolo.

Linke

Accanto a Pina Bausch e a Reinhild Hoffmann Susanne Linke costituisce il nucleo femminile storico del Tanztheater tedesco. Si forma a Berlino (1964-67) nello Studio di Mary Wigman: sua maestra è proprio la grande interprete della danza espressionista degli anni ’20. Ma ha anche l’occasione di incontrare Dore Hoyer, interprete nella compagnia Wigman, e direttrice della Scuola Wigman a Dresda, alla quale dedicherà un accorato omaggio, Affekte (1988), con il danzatore Urs Dietrich. Lasciata la Wigman, studia balletto e danza moderna alla Folkwang Hochschüle fondata da Kurt Jooss, a Essen. Qui si unisce alla compagnia espressione della celebre scuola, il Folkwang-Tanzstudio e vi danza per tre anni (1970-73), sotto la direzione della Bausch. Ma inizia anche a creare proprie coreografie ( Dans funebre, Puppe e Trop tard ) che suscitano interesse in concorsi e premi internazionali. Nel decennio 1975-85 passa alla direzione artistica del Tanzstudio (sino al 1977 con la Hoffmann) ma contemporaneamente compie tournée in tutto il mondo nelle quali mostra le sue danze solistiche, in particolare Wandlung (sviluppo di Dans funebre su musica di Franz Schubert, 1976), Im Bade Wannen (musica di Satie, 1980), – l’assolo con la vasca da bagno, diventato famoso anche in Italia, a partire dal 1982, Flut (musica di Gabriel Fauré, 1981) e Es schawant (musica di Cajkovskij, 1982).

Tutte coreografie in cui già si chiarisce la sua spiccata propensione per il movimento fluido e morbido, in una tensione narrativa che non perde mai di vista la metafora propria al linguaggio danzato. Più realistici, in parte prosaici e certamente legati al momento storico in cui sono stati allestiti, i primi pezzi `femministi’ di gruppo: Frauenballet (1981), Wir können nicht alle nur Schw&aulm;ne sein (1982) e Am Reigenplatz (1983). Il successivo Schritte Verfolgen (1985), un assolo creato in collaborazione con l’artista visivo Va Wölfl, inaugura la sua attività di coreografa free-lance a cui fanno seguito coreografie per gruppi internazionali, come la Limón Dance Company ( Also Egmont Bitte , 1986) e il G.R.C.O.P. dell’Opéra di Parigi ( Jardin Cour, 1988). Con Ruhr-Ort (1993) e M&aulm;rkische Landschaft (1994) torna a allestire danze per un gruppo di danzatori espressione della scuola di Essen ma questa volta sono solo danzatori-uomini. L’obiettivo di misurarsi con un tipo di energia e di presenza scenica forte e virile, alla quale presta l’ampiezza dei suoi movimenti ma anche le svelte annotazioni ironiche di una donna-coreografa che osserva la `società maschile’, si estende al pezzo, creato a quattro mani con Urs Dietrich, Da war plötzlich… Herzkammern (1996), interpretato dal solo Dietrich. Consapevole della precarietà del repertorio contemporaneo, dedica al collega Gerhard Bohner, prematuramente scomparso, l’assolo Dialog mit G.B. (sulle Sonatas and Interludes per pianoforte preparato di John Cage, 1994) di cui è interprete in un programma che comprende un altro suo assolo, Carte Blanche für S.L. (musica Arvo P&aulm;rt) in cui troneggiano le sculture di Robert Schad. Nella stagione 1996-97 accetta la direzione della compagnia di danza del Teatro di Brema per la quale allestisce, oltre a sue coreografie del passato ( Frauenballet, Also Egmont, Bitte ), novità come Heisse/Luft (1997), non rinunciando all’attività interpretativa. Nel 1998 prepara con Reinhild Hoffmann un duetto che è memoria storica del `neoespressionismo’ degli anni ’60 e insieme sua declinazione linguistica attuale.

Tharp

Dopo aver studiato pianoforte e violino, Twyla Tharp si dedica all’acrobazia, e poi, trasferitasi in California, a un’ampia gamma di discipline, tra cui balletto, jazz dance, percussioni, twirling, tip tap, danze gitane. Approdata a New York, continua gli studi di danza presso le scuole dei maggiori maestri per entrare una sola stagione nella compagnia di Paul Taylor. Debutta come coreografa nel 1965 e presenta l’anno dopo Re-Moves , presso il Judson Dance Theatre, con il pubblico costretto ad `ascoltare’ la danza senza vederla. La fama arriva però con The Fugue (1970), un trio postmoderno con le sole percussioni dei piedi sul pavimento amplificato.

Dopo di che la sua formazione eclettica riemerge offrendole gli spunti e i mezzi tecnici per una danza rigorosamente costruita e nel contempo gradevole al grande pubblico. Nascono alcuni brani di ironica leggerezza su musiche jazz, popolarissime, come Eight Jelly Rolls, The Bix Pieces (1971), Sue’s Leg (1976), Baker’s Dozen (1979) e Nine Sinatra Songs (1982), in chiave musical. Nel 1973 crea per la sua compagnia e il Joffrey Ballet insieme Deuce Coupe , un successo di botteghino su musica dei Beach Boys; poco dopo, ancora per il Joffrey Ballet, firma As Time goes by , uno spiritoso esempio di balletto post-neoclassico su musica di Haydn, a cui seguirà In the Upper Room (1987, musica di Philip Glass).

È del 1976 Push comes to Shove , che rivela il talento di ballerino contemporaneo di Barishnikov. Questi, in veste di direttore dell’American Ballet Theatre, le commissiona Bach Partita (1984) e la chiama accanto a sé come condirettrice (1988). Coreografa per il New York City Ballet, in collaborazione con Robbins, Brahms – H&aulm;ndel (1984), allestisce all’Opéra di Parigi Rules of the Game (1989) e per la compagnia di Martha Graham Demeter and Persephone (1994). Tra i suoi lavori degli anni ’90 si ricordano Octet (1991), Jump Start (1995) e il trittico Tharp! cioè Sweet Fields, 66, Heroes (1996), in cui conferma la sua attitudine all’entertainment colto. Curiosa ed eclettica, lavora anche per il video ( The Catherine Wheel , 1983, musica di David Byrne), per il cinema (Hair, 1979; Ragtime, 1980; Amadeus, 1984; White Nights, 1985) e per il musical con il remake di Singin’in the Rain (Broadway, 1985). Scrive l’autobiografia Push comes to Shove (1992).

Hoffmann

Con Pina Bausch e Susanne Linke, Reinhild Hoffmann costituisce il nucleo storico del cosiddetto ‘neoespressionismo’ tedesco degli anni ’70 (o Tanztheater). Formatasi alla Folkwang Hochschule di Kurt Jooss, a Essen (1965-70), danza dal 1971 al ’73 nella compagnia del Teatro di Brema e inizia a creare sue coreografie alla Folkwang Hochschule (1974); ottiene così una residenza coreografica nella compagnia espressione della celebre scuola, il Folkwang Tanzstudio, e ne diviene direttrice artistica assieme alla Linke (1975-77). Dopo un periodo di studi negli Usa con Cunningham, Nikolais e la Monk, assume la direzione artistica del Tanztheater di Brema (1978): incarico che mantiene, accanto a Gerhard Bohner, fino al 1981, per poi estenderlo a direttrice unica. Nel 1986 la compagnia, che ormai porta il nome di Tanztheater Reinhild Hoffmann, cambia residenza e da Brema passa a Bochum (Schauspielhaus), restandovi fino al ’95, l’anno del suo scioglimento. Come free-lance viene eletta membro dell’Akademie der Künste di Berlino, e oltre ad allestire creazioni e a riprendere le sue più celebri coreografie (come Callas, ispirata al celebre soprano, allestita a Brema nel 1983) potenzia l’attività di coreografa nel teatro musicale, iniziata nel 1982 con l’allestimento di Erwartung e Pierrot lunaire di Schönberg, seguito dalle coreografie per il Diario di uno scomparso di Janácek (1994), La traviata (nell’edizione diretta da Muti al festival di Salisburgo, 1995) e Idomeneo (1996).

Solista di particolare forza espressiva, non stupisce che ancora oggi la si ricordi nell’intenso e ipnotico assolo, su musica di Cage, Solo mit Sofa (1979), un brano di raro rigore formale nel quale emersero le lacerazioni di una costrittiva condizione femminile e un drammatico autolesionismo, ma che in realtà già metteva in luce lo stretto rapporto con le arti visive nella simbiosi, di grande tragicità, con taluni elementi scenografici (come il divano, estensione del suo lungo abito e a cui la solista appariva indissolubilmente legata). Nel suo linguaggio scarno ed essenziale assi, croci, pietre e stoffe entrano a far parte di assoli e duetti come Bretter, Steine e Auch (1980), mentre nelle vistose e scenografiche coreografie di gruppo, allestite a Brema (Fünf Tage, Fünf Naulmchte, 1979; Hochzeit, 1980; Unkrautgarten, 1980; Dido und Aeneas , 1984; Föhn, 1985; Verreist, 1986), l’artista sceglie di utilizzare in pieno ogni mezzo che le viene offerto da una solida e ricca istituzione teatrale. Più crude e sanguigne, le opere del periodo di Bochum (Machandel, 1987; Zeche I, 1992; Zeche II, 1993; Denn ein für alle Mal ist’s Orpheus, wenn es singt, 1994; Folias, 1995) inaugurano il rapporto con la tragedia e il mondo antico. Ma la coreografa non rinuncia alla sua vocazione solistica: nel 1996 allestisce l’assolo Vor Ort e nel ’98 prepara in un duetto con l’amica e collega Susanne Linke, dopo una serie di allestimenti internazionali (come Sir Mekan e Spielraum ) in cui torna a farsi sentire la predilezione per gli oggetti in legno, in un linguaggio del corpo che, nella ritrovata essenzialità, esplora un ancor più ampio spettro di possibilità dinamiche ed espressive.

Bartolomei

Prima ballerina dell’Opera di Roma e di altri teatri italiani, Franca Bartolomei nel 1960 fonda insieme al marito, Walter Zappolini, il Balletto di Roma, compagnia di stile classico-moderno per la quale crea alcune coreografie (Lettere di una monaca portoghese 1972, Herodias 1988) e costituisce un repertorio che spazia dall’ Ottocento romantico al Novecento storico a novità di autori come Robert North, Oscar Araiz, Evgheni Polyakov. Associatasi per un breve periodo al coreografo Vittorio Biagi e alla sua compagnia, continua nella gestione del suo gruppo rinominato Nuovo Balletto di Roma.

Fornaroli

Allieva di Cecchetti alla Scala, Cia Fornaroli gli successe alla direzione della scuola di ballo nel 1929, restandovi fino al ’32. Danzatrice di limpida tecnica e di affascinante presenza scenica, fu chiamata come étoile in teatri internazionali (Barcellona, Madrid, Metropolitan di New York); durante la Prima guerra mondiale fu prima ballerina al Teatro Costanzi di Roma. Tornata alla Scala nel 1921, vi iniziò il suo più fecondo periodo come interprete, coreografa e insegnante. Per il teatro milanese ha creato e interpretato Mahit di Pick-Mangiagalli (1923), Il convento veneziano di Casella (1925), Casanova a Venezia ancora di Pick-Mangiagalli (1929). Fu la prima interprete italiana di Petruska di Stravinskij, in due edizioni alla Scala nel 1926 e nel ’27. Nel 1933 fondò la compagnia del Balletto Italiano di Sanremo, per la quale approntò Gli uccelli di Respighi. Lasciata l’Italia nel 1940, si stabilì negli Usa con il marito Walter Toscanini, figlio del celebre direttore d’orchestra; con lui organizzò una ricca collezione di libri, oggetti e costumi di danza, attualmente alla Public Library di New York. Insegnante al Ballet Theatre, ha diretto una scuola con metodo Cecchetti.

Anzillotti

Anzillotti Julie Ann si forma nell’ambito della ricerca teatrale grazie alla collaborazione con i Magazzini Criminali con i quali dal 1979 al 1985 si esibisce in Punto di rottura , Crollo Nervoso , Genet a Tangeri. Nel 1983 fonda con Roberta Gelpi e Virgilio Sieni Parco Butterfly, partecipando a tutte le creazioni del gruppo ( Cocci aguzzi di bottiglia , 1985; Shangai Neri , 1986; Inno al Rapace 1988); crea poi la compagnia Xe (1991) con la quale procede nella definizione di un suo particolare teatrodanza svolto a mettere in luce la femminilità del mito e nella leggenda con lavori come Torrenti infuocati (1992), Erodiade (1993), Jehanne, Johanne, Jeannette (1995), Insurgentas (1996), Giuditta (1997).

Campiglio

Maria Vittoria Campiglio si forma nell’ambito della danza moderna ed espressionista con Elena Vedres e Trudy Kressel, studiando in seguito con Françoise e Dominique Dupuy. Fondato nel 1979 il gruppo `Charà’ firma, da allora, tutti gli spettacoli, spesso collaborando con artisti di altre discipline come Donato Sartori (Performances, 1980), i musicisti Stefano Ricatti (Percorsi, 1983) e Teresa Rampazzi (Breath, 1987).

Yokoyama

Allieva dell’American Ballet School, Ranko Yokoyama entra nella compagnia di Louis Falco, con cui collabora anche per il film Fame (regia di Alan Parker, 1980). In Italia fonda il gruppo Rompicapo e si esibisce spesso in televisione, creando numerose coreografie e svolgendo un’intensa attività didattica. La sua energia e il suo dinamismo ne hanno fatto un’interprete esemplare dello stile vigoroso di Falco, coniugato al femminile.

Lewitzky

Allieva di Horton, con cui collabora (1934-1953) nel Lester Horton Dancers Group e poi nel Lester Horton Dance Theatre, creando ruoli principali in Sacre du Printemps (1937), Salome (1938) e Chronicle , Bella Lewitzky è a sua volta docente presso numerose scuole. Fonda la Dance Associates Fundation e poi la propria compagnia a Los Angeles (1971), ponendosi al centro del panorama della danza moderna sulla West Coast. Artista impegnata, fin dai tempi del lavoro con Horton, non solo sul terreno della ricerca tecnica e coreografica, ma anche politicamente e socialmente, lotta con tenacia contro ogni censura. La sua danza nasce e si sviluppa come espressione di libertà creativa, svincolata da qualsiasi obbligo che non sia intrinseco alle proprie esigenze poetiche. Nel 1996 il festival Oriente Occidente di Rovereto la sceglie come figura centrale del suo annuale programma dedicato ai maestri del ‘900, proponendone alcuni lavori esemplari: Inscape (1976), Impressions 1-Henry Moore (1987), Meta 4 , Episode 4/Turf (1994), Impressions 2- Vincent Van Gogh (1988).

Ikeda

Carlotta Ikeda è tra le prime donne a diventare protagonista di un’arte, quella del butoh, fondata e diffusa da uomini; ma i suoi approcci con la danza hanno radici europee e americane: studia infatti negli anni ’60 all’Università di Tokyo con un’allieva di Mary Wigman e poi si perfeziona nella tecnica Graham. Sotto l’egida di Murobushi crea la compagnia Ariadone nel 1974 e diviene interprete privilegiata delle coreografie di quel maestro. Bellezza imperfetta, dotata di una straordinaria carica drammatica, la I. si trasfigura sul palcoscenico in creatura metamorfica e carismatica. Memorabili i suoi assoli, mentre nel tempo ha maturato anche uno stile coreografico personalissimo: una danza che, senza rinnegare le proprie origini dal butoh, sa evolversi in un percorso emozionale che tende verso la sublimazione delle passioni. Tra i suoi lavori Hime (1985), inquietante rilettura dell’ Alice di Lewis Carroll, e il suggestivo viaggio iniziatico di Le langage du Sphinx (1991). Attualmente sta lavorando a Bordeaux – dove risiede con la sua compagnia Ariadone – a un’originale versione di La s agra della primavera .

Akesson

Allieva di Mary Wigman Birgit Akesson è entrata nel suo gruppo nel 1931, dedicandosi in seguito a recital solistici, presentati in Europa e negli Usa. Come coreografa ha firmato alcuni lavori per il Balletto Reale Svedese (The Minotaur, 1958; Icaros, 1963; Nausikaa, 1966) e si è occupata della didattica della danza fondando nel 1964 l’Istituto coreografico di Stoccolma, da lei diretto fino al 1968.

Buirge

Dopo studi alla Julliard School e al Dipartimento di danza del Connecticut College, per sei anni Susan Buirge danza nella compagnia di Alwin Nicholais. Trasferitasi in Francia nel 1970, la sua influenza è determinante per molti giovani artisti, sia da un punto di vista pedagogico che nella ricerca coreografica. Secondo la sua visione, la danza è soprattutto il risultato di un sentimento interiore, tale da muovere alla ricerca di una verità racchiusa in se stessi. Tra le sue più notevoli coreografie, From West to East (1976) e Empreintes (1977). Nei primi anni ’90 ha vissuto a Kyoto, in Giappone, e dall’incontro con il mondo orientale sono nati una serie di lavori di struttura quasi minimalista. Delicato l’assolo per la danzatrice taiwanese Lin Hsiu-Wei La terrasse à l’ombre de la lune (1995); ugualmente preziosa la serie di coreografie, ultimate nel 1997, dedicate alle stagioni dell’anno quali Ubusuna (danza dell’inverno) e Kin Iro no Kaze no Kanate , ovvero danza consacrata all’autunno e sviluppata intorno all’idea delle ombre ritrovate con il ritorno del sole.

Catalano

Anna Catalano studia danza contemporanea a New York e Parigi e danzaterapia con Maria Fux. Fondato a Roma (1987) il Centro internazionale per l’arte e la psicologia applicata, approfondisce la ricerca espressiva sull’interrelazione tra le due discipline con il gruppo `Danzacompagnia’, per il quale crea molti lavori: America America (1992), L’aviatore Dro (1996), Via col vento (1997). Dal 1995 dirige inoltre il centro interdisciplinare `Petra Lata’.

Geert

Gisa Geert dominò per lunghi anni il balletto di rivista italiano con la fama ben meritata di ‘lady di ferro’. Nell’ultima rivista di Totò Bada che ti mangio! (1948-49, con ripresa 1949-50), che precedette una lunga parentesi cinematografica dell’attore napoletano, su un copione di Michele Galdieri, erano numerosi e assai spettacolari i quadri coreografici: una scacchiera con pedine viventi (il Capitale giocava contro il Lavoro!), il quadro delle volpi (con E. Giusti), il memorabile finale con fontane luminose che sprizzavano getti d’acqua alti cinque metri. Spicca, nel corpo di ballo, Floria Torrigiani, danzatrice proveniente dalla danza classica. Gisa Geert potrà poi contare su un’altra stella, la danzatrice-soubrette Corinne Marchand, interprete del film Moulin Rouge con José Ferrer, nella rivista Oh quante belle figlie madama Doré , stagione 1955-56, di Terzoli e W. Chiari, tornato quest’ultimo alla rivista tradizionale dopo le esperienze di varietà-cabaret; a fargli da `spalla’ C. Campanini e B. Valori. Sue anche le coreografie di Masanello , di Corbucci e Grimaldi, «pasticcio frenetico e composito», con N. Taranto dalla vena dirompente, Macario nel ruolo brechtiano di un soldatino-cronista piemontese capitato a Napoli per sbaglio, l’esordio della cantante Miranda Martino. Nella stagione 1966-67, mentre declina inesorabilmente la rivista, sostituita dalla commedia leggera e dal musical, la G. ha l’impegnativo compito di legare, intervallandoli con quadri coreografici, la sfilata di centootto personaggi imitati da A. Noschese nello spettacolo La voce dei padroni , testi di Castaldo e Faele, spettacolo di Garinei e Giovannini, che sfrutta la notorietà televisiva dell’imitatore. Due testimonianze sul temperamento della coreografa. Aldo Buonocore, musicista: «Nel 1947, alle prove della rivista con Totò C’era una volta il mondo , la G. spaccò una sedia in mille pezzi perché due ballerine avevano sbagliato un’entrata: un temperamento così deciso non s’era mai visto in teatro». La danzatrice Flora Torrigiani: «In Bada che ti mangio! con Totò c’era un quadro sensazionale, oltre alla `scacchiera vivente’ con la partita Capitale-Lavoro. Si rievocava la morte del torero Manolete (interpretato dal ballerino Riccardo Rioli); il toro ero io. Da un trampolino facevo un gran salto in palcoscenico, Rioli-Manolete toreava e facevamo acrobazie mai viste; ogni volta che mi posava per terra scendevo sulle punte, girando come una pazza scatenata, finché mi prendeva per la testa e per una gamba, mi faceva roteare lasciandomi la testa e io giravo per aria per la forza centrifuga, solo con un sostegno sulla gamba. Alla fine morivamo tutti e due, toro e torero. Una cosa forsennata e dietro c’era la G., una coreografa tremenda, cattivissima. Ma l’effetto era sensazionale».

Sagna

Allieva del pittore Felice Casorati, Anna Sagna si avvicina alla danza studiando con Bella Hutter, Etienne Decroux, Harald Kreutzberg e Jean Dubuffet. Nel 1970 in onore della sua maestra crea il gruppo di danza contemporanea Bella Hutter, dagli anni ’80 battezzato Sutki. Con questa formazione capostipite della nuova danza torinese, caratterizzata da un linguaggio che fonde insieme danza, teatro, mimo e arti plastiche, realizza vari spettacoli tra i quali Sutki (1970), Igor (1989), Orme (1994), La tragedia è sfinita (1997).

Forti

Simona Forti inizia tardivamente gli studi di danza con Ann Halprin, Robert Dunn e, per breve tempo, con Martha Graham e Cunningham. Si esibisce in luoghi alternativi insieme al marito Robert Morris, ballerino e pittore, proponendo performance e improvvisazioni strutturate con l’intento di esplorare ogni genere di movimento organico naturale: umano, animale, vegetale. Tra i suoi lavori più significativi: See-Saw (1960), duo su un cavalletto da falegname; Rollers , con i danzatori dentro scatole montate su ruote e con la libera partecipazione del pubblico; Cloth (1968), `opera underground’; Sleepwalkers , ispirato ai fenicotteri; Big room (1975), con l’impiego di tubi di plastica rotanti e sibilanti; Planet , per quaranta persone intente a muoversi come animali allo zoo. Esponente di primo piano del movimento postmoderno, attraverso le sue danze sviluppa la teoria dell’arte come gioco di astrazione, a partire da elementi semplici e quotidiani.

Adret

Françoise Adret ha studiato con Susanne Kiss e Gorvski. Dal 1954 al 1958 ha lavorato con Petit all’Opéra di Parigi. Successivamente ha intrapreso una carriera internazionale esibendosi in vari teatri europei (Nizza, Zagabria). Con il Ballet Théâtre Contemporaine è stata eccellente protagonista di audaci e importanti lavori moderni (Aquathéme, Eonte, La follia d’Orlando). La sua carriera si è poi indirizzata su altri versanti: maître de ballet e direttrice di compagnia. Con energia e intelligenza, dal 1986, ha guidato per alcuni anni il balletto dell’Opéra di Lione. Come coreografa ha firmato varie opere su musiche di compositori contemporanei (Ligeti, Xenakis e altri).

Monnier

Nel corso degli anni ’90 Mathilde Monnier appare fra gli elementi di spicco della `nouvelle danse’ francese. Formatasi principalmente con V. Farber, dopo aver lavorato con F. Verret e A. Rigoult (con il quale crea Cru nel 1985, coreografia premiata a Bagnolet) per alcuni anni vive un intenso rapporto di collaborazione con J.F. Duroure. Staccatasi poi dallo stesso, prosegue in un itinerario personale e interessante rivelando multiformi interessi e con creatività inesauribile. Lavora sulle danze tradizionali collaborando con ballerini africani e si spinge verso la più stretta contemporaneità, sperimenta l’uso di spazi particolari e si ispira a momenti della vita quotidiana, sempre però mantenendo uno stile espressivo di grande energia e originalità. Tra le sue coreografie, Chinoiserie , Face Nord , Pour Antigone , Nuit (festival di Montpellier 1995) e Qui voyz-vous? (1997, in collaborazione con C. Brahem, creatrice di straordinarie `macchine sonore’ che sono anche autentica scenografia). Dal 1994, è alla testa del Centre Choréographique National de Montpellier Languedoc-Roussillon. Di particolare interesse la sua ricerca di danzaterapia con un gruppo di handicappati dell’ospedale di Montpellier.

Charrat

Considerata `enfant prodige’, Janine Charrat ha studiato con L. Egorova e O. Preobrajenska. Nel 1941 ha formato una coppia di successo con R. Petit. Ancora giovanissima, nel 1945 ha firmato la sua prima coreografia, Jeu de cartes (musica di Stravinskij). L’anno successivo, con il Nouveau Ballet de Monte-Carlo, fu ammirevole protagonista di alcuni lavori di Lifar (Passion e Chota Roustaveli). Nel 1948, per i Ballets de Paris di Petit, ha realizzato, su soggetto di P. Claudel, La femme et son ombre e, su libretto di J. Genet, Adam miroir ; l’anno successivo creava all’Opéra di Parigi Abraxas (musica di W. Egk). Nel 1952 ha fondato una sua compagnia, per la quale ha realizzato vari balletti: Le massacre des amazones, Une étrangére à Paris , Héraclès ; e ancora Les Algues , lavoro tra i più riusciti della Charrat, in cui con forza e originalità veniva trattato l’argomento della follia. Nel 1957 ha dato vita a Les Nouveaux Ballets de Janine Charrat, ai quali hanno dato la loro collaborazione famosi ballerini. In seguito a un incidente occorsole in uno studio televisivo la sua attività fu bloccata per circa un anno, così da poter riprendere solo nel 1962, al Grand-Théâtre de Génève, dove presentò Tu aura nom… Tristan . Alla pari di Petit, Charrat, pur non disponendo di un linguaggio veramente nuovo e originale, ha contribuito per lunghi anni a rinnovare con temi e soggetti insoliti il balletto tradizionale.

Saint-Denis

Ruth Saint-Denis ha studiato recitazione, danze sociali e tecnica Delsarte, apprendendo in seguito la danza classica con Maria Bonfanti. Dopo le prime esperienze a Broadway e nei teatri di varietà degli Usa in spettacoli di David Belasco, ispirata da un cartellone pubblicitario della marca di sigarette Egyptian Deities ha inventato la prima delle sue danze orientali, Radha, The Dance of Five Senses (1904, musica da Lakmé di Léo Delibes), proposta nel 1906 nella seire dei New York Sunday Night Smoking Concerts insieme agli assoli The Incense e Cobras. Dal 1907 al 1909 è in Europa, dove viene accolta trionfalmente e dove intreccia una intensa relazione sentimentale e artistica con il poeta Hugo von Hoffmannsthal; rientrata successivamente negli Usa continua la sua attività di autrice creando Egypta e O-Mika, presentato anche in un lungo tour giapponese (1913).

Sposatasi con l’ex allievo Ted Shawn nel 1914, l’anno successivo ha fondato con lui a Los Angeles la Denishawn School, centro didattico di indirizzo eclettico, ben presto impostosi come primo centro americano per la danza moderna. A questo viene affiancata l’omonima compagnia, attiva fino al 1932, per cui ha firmato numerose produzioni, tra le quali si ricordano A Dance Pageant of Egypt, Greece and India (1916) e Orpheus and Eurydice (musica di Gluck 1918). Dopo lo scioglimento della compagnia, si è sempre più concentrata sullo studio e l’esecuzione di danze religiose, fondando la Società delle Arti Spirituali e la New York School of Natya nel 1940 e ha continuato a divulgare la sua filosofia di danza con dimostrazioni, seminari e conferenze fino alla scomparsa. Considerata insieme a Isadora Duncan una delle fondatrici della danza moderna americana, dotata di una non comune bellezza e di un forte carisma scenico ha tratto la principale ispirazione per la sua danza dal mondo orientale, sebbene avesse un’idea superficiale e imprecisa dei vari stili coreografici che andava proponendo. Ciò, tuttavia, non le ha impedito di elaborare danze mistiche fastose ed eleganti, ricche di musicalità e di notevole lirismo, grazie anche all’uso prezioso delle braccia, all’accuratezza delle pose e alla sontuosità dei costumi. Testimonianze del suo lavoro rimangono grazie ai documentari First lady of American dance (1957), Ruth St Denis and Ted Shawn (1958) e il film Radha (1941-1973). (s.p.).

Cerroni

Patrizia Cerroni studia danza classica all’Accademia nazionale di Roma e danza moderna con J. Cébron, P. Lang e M. Cunningham. Dopo un lungo soggiorno in India, nel 1974 fonda `I danzatori scalzi’, cercando di unire la spiritualità orientale all’astrazione della `modern dance’ in lavori quali Ladies and Gentlemen (1986), C’est ici que l’on prend le bateau (1990), Folli d’amore (1994). Dal 1978 tiene corsi all’università di Delhi.

Pietragalla

Entrata a dieci anni alla Scuola dell’Opéra di Parigi, Marie-Claude Pietragalla sedicenne è stata scritturata nel corpo di ballo del medesimo teatro. Qui ha percorso l’intera carriera, diventando prima ballerina nel 1988 e étoile nel 1990. In precedenza (1984) aveva ottenuto il primo Grand Prix al Concorso internazionale di Parigi. Dotata di grande freschezza, in possesso di un corpo longilineo e molto femminile, ha saputo imporsi come una delle migliori danzatrici della sua generazione. Interprete brillante – ma anche di superbe qualità drammatiche – è riuscita a mettersi in rilievo in ruoli estremi e di grande difficoltà, come nella Giselle di M. Ek. Ha lavorato con molti coreografi e in particolare con C. Carlson (Don’t look back ). Anche Béjart ha messo in luce le sue belle qualità, in particolare con l’intenso duo Juan y Teresa (danzato con G. Roman), basato sui rapporti tra Juan de la Cruz e Teresa d’Ávila. In veste di coreografa ha debuttato con Boramabile (1988). Interessante omaggio alla terra d’origine paterna è Corsica (1996, musica di Petru Guelfucci). Dal 1988 è direttrice del Ballet National de Nancy.

Dean

Formata alla High School of Performing Arts, alla School of American Ballet e con Hoving, Sanasardo e Cunningham, Laura Dean danza con Taylor, Sanasardo, Monk e Wilson. I suoi primi lavori sono basati su ripetizioni minimaliste, come Stamping Dance , Square Dance , Jumping Dance , Spinning Dance , tutti del 1971, mentre dalla felice collaborazione con il musicista Steve Reich nasce Drumming (1975). Fonda la Laura Dean Dance Company (New York 1976) per cui crea Song , con i danzatori intenti a vocalizzare in scena, e numerosi brani dal titolo indicativo della sua ispirazione analitica, su partiture scritte da lei stessa: Spiral (1977), Dance (1978), Music (1980). Adattando le punte al suo vocabolario, fatto di giri pulsanti e di intenso lavoro di piedi, coreografa per il Joffrey Ballet Night (1980), Fire (1982), Force Field (1986) ancora su musica di Reich e una delle sezioni di Billboards (1995) su musica di Prince, mentre per il New York City Ballet crea Space (1988), sempre su musica di Reich. Esponente del postmoderno americano, privilegia il lavoro sulla struttura del movimento in uno spazio controllato e definito.

Haydée

Marcia Haydée studia danza classica con V. Veltcek, T. Leskova, S. Egorova e O. Preobrajenska e, dopo una prima apparizione nella compagnia del Teatro Municipal di Rio de Janeiro, nel 1957 entra nel Grand Ballet du Marquis de Cuevas, dove interpreta i primi ruoli solistici in balletti di repertorio (Giselle). Nel 1961 passa allo Stuttgart Ballet, del quale viene nominata prima ballerina (1962); qui stringe un sodalizio artistico di fondamentale importanza con il coreografo John Cranko, che sviluppa il suo straordinario istinto drammatico in balletti divenuti, grazie anche alla sua memorabile interpretazione, classici del nostro tempo: Romeo e Giulietta (1962), Onegin (1965), La bisbetica domata (1969), Carmen (1971), Initialen R.B.M.E. (1972), ai quali si affiancano le prove in creazioni di Kenneth MacMillan (Las Hermanas, 1963; Canto della terra, 1965), Glen Tetley (Voluntaries, 1973), John Neumeier (La dame aux camélias, 1978; Un tram che si chiama desiderio, 1983) e Maurice Béjart (Isadora; Le sedie; Wien, Wien, nur du allein). Dal 1976 al 1996, ancora attiva come ballerina, ha diretto lo Stuttgart Ballet, prodigandosi a mantenere intatto il repertorio di Cranko, ma insieme sviluppando lo stile della compagnia con lavori di H. Van Manen, U. Scholz, W. Forsythe, J. Kylián e con sue creazioni, quali La bella addormentata (1987), la singolare rilettura di Giselle (1989), il discusso The Planets (1991). Dal 1992 al 1994 è stata inoltre responsabile artistico del Balletto di Santiago del Cile. Vera tragédiènne della danza, dotata di una personalità teatrale incisiva e di una emozionante sensibilità interpretativa, è considerata una delle più importanti personalità della scena ballettistica internazionale degli ultimi trent’anni, spesso a fianco di Richard Cragun, con il quale ha formato una partnership memorabile. Ritiratasi ufficialmente dalle scene nel 1996, continua ad apparire come ospite in piccoli ‘camei’ per ruoli di carattere, come la strega Madge in La Sylphide di Peter Schaufuss (Stoccarda 1998).