Ubaldi, Marzia

Dopo aver mosso i primi passi al Piccolo Teatro di Milano, Marzia Ubaldi ha avuto una brillante carriera da doppiatrice e attrice.

Marzia Ubaldi è un’attrice, cantante e doppiatrice italiana. Dopo aver mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo al Piccolo Teatro di Milano, ha avuto una brillante carriera da doppiatrice, attrice teatrale e televisiva. Numerosissime le sue interpretazioni teatrali, fra le quali vanno ricordate Il gabbiano, Le tre sorelle, La donna serpente.

Marzia Ubaldi al Piccolo Teatro di Milano

Dopo essersi diplomata dalla Scuola del Piccolo di Milano, Marzia Ubaldi debutta nella compagnia dello Stabile nel 1960 con La congiura di Giorgio Prosperi diretta da Luigi Squarzina, che poi la scrittura allo Stabile di Genova. Inizia così una brillante carriera di attrice teatrale, televisiva, cinematografica e di doppiatrice.

A Spoleto recita in I carabinieri di Joppolo nell’unica regia teatrale di Roberto Rossellini. Dopo una pausa decennale, torna al palcoscenico con Lupi e pecore di Ostrovskij, regia di Sciaccaluga e con L’orologio americano di Arthur Miller. Con Alberto Lionello interpreta la seconda edizione del musical Ciao Rudy. Si dedica quindi a una intensa attività di doppiatrice, mentre a teatro fa compagnia con il marito Gastone Moschin (Delitto all’isola delle capre di Ugo Betti). Fra gli ultimi spettacoli L’impresario delle Smirne di Goldoni con la regia di Missiroli.

La carriera da doppiatrice e in televisione

Negli anni Sessanta ha avuto anche una breve carriera come cantante, incidendo tra l’altro per la Karim; la Ubaldi incise la prima versione di La ballata dell’amore cieco, scritta per lei da Fabrizio De André.

Oltre ad aver dato voce come doppiatrice a molte famose attrici straniere, come Judi Dench, Maggie Smith, Anne Bancroft, Gena Rowlands, Vanessa Redgrave, Jeanne Moreau, ha anche interpretato diverse pellicole cinematografiche, come Il medico delle donne (1962), o Controsesso (1964), di Marco Ferreri.

In televisione ha partecipato a numerosi sceneggiati televisivi e fiction come Giallo sera, Nero Wolfe, La coscienza di Zeno, Incantesimo, Elisa di Rivombrosa, o le sitcom Professione fantasma e 7 vite.

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Milva

Milva è una delle poche cantanti italiane ad aver lavorato sia nel mondo della musica leggera che nell’impegnato teatro di Brecht e Strehler.

Milva, pseudonimo di Ilvia Maria Biolcati, è stata una cantante e attrice teatrale, protagonista della musica italiana negli anni Sessanta e Settanta. I suoi 50 anni di carriera l’hanno portata su alcuni dei palchi più prestigiosi del mondo, dalla Scala al Piccolo Teatro di Milano dallo Châtelet all’Opéra di Parigi, fino alla Carnegie Hall a New York. Ad oggi detiene il record di artista italiana con il maggior numero di album realizzati in assoluto, ben 173, ed è una delle poche cantanti italiane ad aver lavorato sia nel mondo della musica leggera che nell’impegnato teatro di Brecht e Strehler.

Milva canzoni: da Sanremo al Piccolo teatro

Milva, inizia giovanissima a cantare nelle balere del basso ferrarese con il nome d’arte Sabrina, e lì viene notata per la sua grinta e la sua straordinaria voce. Dopo aver trionfato in un concorso di voci nuove della Rai nel 1959, arrivando prima su ben 7600 partecipanti con le canzoni Acque amare di Carla Boni e Dicembre m’ha portato una canzone di Nilla Pizzi, comincia ad incidere per la Cetra, la casa discografica di Stato, partecipando al Festival di Sanremo 1961, nel quale arriva terza con Il mare nel cassetto. Alla competizione sanremese parteciperà poi, nel corso della sua lunga carriera, undici volte.

Nel 1962 interpreta il suo primo filmLa bellezza d’Ippolita con Gina Lollobrigida. Ma è la carriera di cantante che procede a gonfie vele, incidendo prima in Germania nel ’62 il disco Liebelei e poi in Italia nel ’63 Canzoni da cortile, seguito l’anno dopo da Canzoni da tabarin. Grazie anche alla vicinanza di Maurizio Corgnati, che sposa nel ’61, alterna all’attività nel mondo della canzone commerciale, anche l’impegno in un repertorio di canzoni della tradizione popolare italiana, che nel ’64 culmina nello spettacolo Canti della libertà, che l’anno dopo presenta sempre con Arnoldo Foà al Lirico di Milano, invitata da Paolo Grassi. È lì che la nota Giorgio Strehler.

Il sodalizio Milva – Strehler

Il regista dirigerà Milva in due recital, Poesie e canzoni di Bertolt Brecht e Ma cos’è questa crisi. Ancora Strehler nel ’68 le cucirà addosso il recital Io, Bertolt Brecht, che le darà un successo europeo. Nello stesso anno ha il suo vero e proprio debutto teatrale come attrice, nel Ruzante diretto da Gianfranco De Bosio.

L’anno successivo segue Strehler transfuga dal Piccolo Teatro di Milano, e nel Teatro Azione da lui diretto è tra le interpreti di La cantata del mostro lusitano di Peter Weiss; ma ancora nel ’69 partecipa al festival di Sanremo e alla commedia musicale Angeli in bandiera di Garinei e Giovannini, a dimostrazione della versatilità del suo talento e della sua voce. Nel ’70 si esibisce per la prima volta alla Carnegie Hall di New York.

L’addio alla musica leggera

Il ’73 può essere considerato un anno di svolta: ancora Strehler la sceglie per il ruolo di Jenny delle Spelonche in L’opera da tre soldi. Da questo anno abbandonerà sempre di più il mondo della musica leggera per specializzarsi in un repertorio di grandi autori: nel ’75 canta Io, Bertolt Brecht n.2, nel ’78 è alla Piccola Scala in Diario dell’assassinata di Gino Negri e al Regio di Torino in Orfeo all’inferno di Offenbach, nel ’79 interpreta Io, B.B., n.3 e nell’82 è alla Scala per La vera storia di Luciano Berio. Nell’84 alla Bouffes du Nord, il teatro di Peter Brook, è insieme ad Astor Piazzolla in El tango.

In teatro torna nell’86 a Parigi con Giorgio Strehler per l’edizione francese dell’Opera da tre soldi con uno straordinario successo personale, cui seguirà un’esperienza non così felice con la Lulu di Wedekind diretta da Giancarlo Sepe. Tra le sue interpretazioni più recenti, La storia di Zazà nel ’93 diretta ancora da Sepe, e nel ’95 Tosca, ovvero prima dell’alba di T. Rattigan, spettacolo interrotto tragicamente per la morte del deuteragonista Luigi Pistilli.

Nel ’95 è anche la volta di un nuovo recital di canzoni brechtianeNon sempre splende la luna, che porta in giro per il mondo, per tre anni. Tra le altre attività recenti, la partecipazione al film Celluloide di Lizzani (1995) e al documentario di Werner Herzog sulla vita di Carlo Gesualdo da Venosa. Nel ’97 con la regia di Filippo Crivelli mette in scena una nuova versione del recital El tango de Piazzolla.

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Kessler, Alice ed Ellen

Gli esordi e la carriera di Alice ed Ellen Kessler.

Alice ed Ellen Kessler, note anche come le Gemelle Kessler, sono un duo artistico tedesco, che ha avuto grande notorietà in Italia a partire dagli anni Sessanta. Native di Nerchau, cittadina della Sassonia, con il loro “Da-da-umpa”, “Pollo e champagne” e “La notte è piccola”, hanno conquistato una popolarità straordinaria nei più noti programmi televisivi della RAI.

Gemelle Kessler, gli esordi in RAI e il successo

Da sempre il varietà televisivo ha pescato i suoi protagonisti sui palcoscenici del varietà, dell’avanspettacolo, della commedia musicale. Rari, recenti e non sempre fortunati i tragitti inversi. Diversa la sorte toccata alle gemelle Kessler. Nel gennaio 1961 il decennio televisivo si apre sulle loro gambe leggendarie. Le Kessler sostengono i funzionari RAI addetti al buoncostume, propongono un erotismo “freddo”, che non emoziona e non turba, teutonico e perciò nordico quanto basta. Protagoniste di Giardino d’inverno e poi di Studio Uno, fastoso e prestigioso varietà del sabato sera di Antonello Falqui, le Kessler, con il loro “Da-da-umpa”, “Pollo e champagne” e “La notte è piccola”, conquistano una popolarità straordinaria.

Prendono parte a numerose trasmissioni di prestigio dell’epoca, come La prova del nove e Canzonissima, dando vita a una nutrita discografia costituita da 45 giri. Negli anni Settanta diradano le loro apparizioni televisive, recitando in teatro in commedie musicali di Garinei e Giovannini.

Le gemelle Kessler dal varietà televisivo al teatro

Nella stagione 1967-68 Garinei e Giovannini scritturarono le gemelle Kessler per la loro commedia musicale più astratta e pirandelliana, Viola, violino e viola d’amore. Dove il violino era il marito, la viola era la moglie e la viola d’amore era l’amante. Non si trattava però del solito triangolo: il protagonista, Enrico Maria Salerno (sottratto dalla prosa, come Mastroianni per Ciao, Rudy era stato rubato al cinema) era il marito d’una bella-bionda-tedesca, programmata e freddina, prevedibile e noiosetta. Sogna un’amante dalle stesse fattezze della moglie, ma più calda e passionale. E quando la moglie freddina si adegua, l’insoddisfatto marito torna a sognare la noiosetta-programmata. Nel cast, anche Pippo Franco, segnalato dal coautore del copione, Luigi Magni, che l’aveva visto in un cabaret.

Tutti i quadri dello spettacolo seguivano un’ideale traccia musicale: ouverture, suite, rondò capriccioso, concerto da camera, toccata e fuga. Ma c’era anche un fantasioso rumoresque. Il copione finì in tribunale, accusato di plagio dal commediografo francese Félicien Marceau, autore di una pièce da poco in scena a Parigi. Ma Garinei e Giovannini dimostrarono facilmente che l’idea della donna `sdoppiata’ era antica quanto il teatro.

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Piaf

Figlia di artisti (la madre è una canzonettista e il padre un acrobata), Édith Piaf è solo una ragazzina quando comincia a esibirsi con il padre per le strade di Parigi. Nel 1932, a quindici anni, è scoperta dall’impresario L. Leplée che rimane colpito dalla sua straordinaria potenza vocale e la scrittura per il suo cabaret Gerny’s. Qui la Piaf, presentata come môme (passerotto) in ragione della sua corporatura esile, si esibisce in qualità di cantante con crescente successo. In seguito cambia il suo nome d’arte con quello di Édith in memoria di Édith Cavell, uccisa dai tedeschi. Nel 1936 ottiene con la canzone “L’Étranger” scritta da M. Mannot il più importante ricoscimento discografico francese (Grand prix du disque). Morto Leplée, la Piaf crea insieme al musicista R. Asso alcuni dei suoi pezzi più celebri che costituiscono stabilmente il suo repertorio e la confermano fra le grandi del panorama musicale internazionale: “Le Grand Voyage du pauvre nègre”, “Elle frequentait la rue Pigalle” e “Mon Légionnaire”, fino alle leggendarie “La vie en rose”, “Milord”, “Je ne regrette rien”. Canta – come se «si strappasse l’anima dal petto»(Cocteau) – il mondo dei bistrot , degli artisti di piazza, gli amori appassionati, la solitudine, la poesia, la disperazione.

Artista eccessiva, carismatica, ribelle, intensa, dai mille amori e dalle altrettante leggende: la sua voce aspra e potente diventa la voix-boulevard , emblema di una Francia affascinante e sofferente. Grande scopritrice di talenti, Piaf contribuisce a lanciare, fra gli altri, Aznavour, Montand, Constantine. Il pubblico gremisce i teatri dove si esibisce la `nana nera’, stregato dal suo talento ineguagliabile e dalle sue strepitose canzoni-storie, e negli ultimi anni, quando la P. è ormai intossicata dai barbiturici e fisicamente malandata («se non canto muoio prima» rispondeva sempre a quanti la pregavano di risparmiarsi), quasi si aspetta di vederla crollare in scena e lì morire, come Molière. Da ricordare ancora le sue interpretazioni teatrali e cinematografiche. Nel 1940, Cocteau scrive per lei la pièce Le bel indifférent , e nel 1951 calca nuovamente le scene nella P’tite Lili di Achard. Al cinema, recita in La garçonne (1936), in Montmartre sur Seine (1941) e in altre pellicole dove canta e appare nella parte di se stessa. Nel 1958, P. pubblica le sue memorie dal titolo Au bal de la change . Permane il mistero sul luogo della sua morte. Pare sia avvenuta a Cannes il 10 ottobre del 1963, ma il suo decesso è registrato il giorno successivo nella capitale francese. La leggenda narra che l’ultimo marito di Edith, Théo Sarapo, abbia nottetempo trasportato illegalmente il cadavere perché soltanto lì poteva morire la voce di Parigi.

Garland

Judy Garland è stata non solo una delle grandi glorie del cinema americano, non solo un’eccellente attrice, non solo una grandissima interprete di musical, ma anche, probabilmente, la più grande cantante bianca degli Usa. Una vita infelice quanto leggendaria: disastri sentimentali alternati a successi straordinari (e sempre meritati); alti e bassi finanziari per cui, alla sua morte, era indebitata per quattro milioni di dollari; una dipendenza, che le avevano creato, da pillole di calmanti e di rimontanti che finì per distruggerla; e una fantastica carriera in spettacolo che cominciò quando aveva pochissimi anni sulle tavole di un palcoscenico, parte di un numero (The Gumm Family) che poi diventò The Gumm Sisters, limitandosi alle tre figlie: Frances era la minore ma la più promettente. Nel 1934 le tre ragazze, ora The Garland Sisters , sono al Grauman’s Chinese Theatre a Hollywood con gran successo e la piccola Frances fa un’audizione per Louis B. Mayer, che la mette sotto contratto e le cambia il nome in Judy. Comincia una carriera cinematografica che verrà interrotta dalla Mgm con licenziamento il 17 giugno 1950. Judy Garland riemergerà dalla depressione qualche anno dopo; nel 1954 torna al pubblico osannante con un film, il suo migliore in campo musical, È nata una stella (A Star is Born) e un concerto al Palace Theatre di New York che si replica, battendo tutti i record, per diciannove settimane. Ancora una volta la sua infelice vita privata prende il sopravvento e per un lungo periodo la cantante alterna crolli nervosi, tentativi di esibirsi nei night club, tentativi di suicidio e progetti che non si realizzano. Nel 1961, due note positive: viene presentato il film Vincitori e vinti (Judgement at Nuremberg) dove G. ha un lacerante, magnifico ‘cameo’ per il quale viene candidata all’Oscar e poi, il 23 aprile, alla Carnegie Hall di New York tiene quello che i critici unanimi ritengono il suo migliore concerto (taluni si spingono a definirlo il miglior concerto in assoluto di una cantante pop): il disco che ne testimonia è a sua volta un successo ed è premiato con Grammy Awards. Televisione: Judy Garland ha interpretato alcuni ‘special’ di gran successo lungo gli anni (1955, ’57, ’62 e ’63), sicché il 29 settembre del 1963 la Cbs manda in onda il primo numero di un The Judy Garland Show . Nonostante una Judy Garland al suo meglio, lo show non decolla e va avanti sempre più stancamente fino al 29 marzo 1964; però i dischi che contengono qualche segmento di questo show ci fanno ascoltare una G. al massimo della sua forma. Dopo ci sono viaggi, tournée sempre più difficili, mariti sposati e divorziati a gran velocità, persino un grave insuccesso in un club londinese. È la fine. La cantante, sempre più dipendente dalle sue pillole, una notte supera la dose e l’indomani viene trovata morta nel bagno dal marito del momento, certo Mickey Deans.

Durano

Così lunare e saettante, con sopracciglia che solo lui riesce ad accomodare in forma d’accento circonflesso, la mimica svolazzante, la dizione che picchietta le sillabe senza mai cedere al birignao. Giustino Durano rappresenta una presenza costante e significativa, quasi mai protagonista assoluto, ma sempre in ruoli di `carattere’ disegnati con acuta intelligenza e sensibile partecipazione. Esordisce nel 1944 in uno spettacolo d’arte varia per le Forze Armate a Bari; accanto all’artigliere D., Cesare Polacco, Gino Latilla, Nino Lembo (sarebbe diventato una gloria dell’avanspettacolo; ritiratosi dalle scene, fu e fornitore di gioielli falsi per film e commedie…). Regista, il maggiore Anton Giulio Majano. Primo spettacolo, Follie di Broadway con Lucio Ardenzi (cantante, non ancora impresario), Rosalia Maggio e un cantante che interpretava “Ciriciribin” e voleva essere annunciato prima con il cognome e poi con il nome, chiamandosi Littorio Sciarpa. Seguono spettacoli `d’arte varia’ (1947) a Bari, accanto a Peppino De Filippo e Nico Pepe, in avanspettacolo al Puccini di Milano (nel 1951) con Febo Conti e i cantanti Luciano Bonfiglioli e Corrado Lojacono. L’anno successivo, sarà in Cocoricò di Falconi-Frattini-Spiller, accanto a Dario Fo (nel cast anche Alberto Rabagliati, Franco Sportelli, la soubrette Vickie Henderson). Il sodalizio con Fo, e poi con Franco Parenti, avrebbe dato nelle due stagioni successive (1953-55) risultati `storici’, con Il dito nell’occhio e Sani da legare , due riviste da camera rappresentate al Piccolo Teatro di Milano e poi, in tournée, che (con il coevo Carnet de notes dei Gobbi, Caprioli-Bonucci-Salce e poi al posto di Salce, Franca Valeri) rivoluzionarono il teatro `leggero’ e comico, affidandosi a un copione ricco di geniale inventiva.

Nel 1956 Durano gioca la carta del solista, con due spettacoli: Il carattere cubitale e, alle Maschere di Milano, regista Carlo Silva, Cartastraccia ; in compagnia, Franca Gandolfi. Archiviato il cabaret teatrale (con un’appendice nel 1958 al Nuovo Romano di Torino, con Sssssssst!: canzoni demenziali come “Aveva un taxi nero – che andava col metano – e con la riga verde allo chassis”, avventure surreali di Pedro Cadrega, e altre trovate in anticipo sui tempi), D. passa nella rivista tradizionale, accanto a Wanda Osiris, in trio con Bramieri e Vianello in Okay fortuna di Puntoni-Terzoli; nella stessa formazione la stagione successiva in I fuoriserie . Nel 1958 è con Macario e Marisa Del Frate in Chiamate Arturo 777 , poi torna al capocomicato con Le parabole a spirale , Senza sipario , un recital alla Ribalta di Bologna, nelle stagioni 1958-59. E con Incondizionatamente condizionato (1973-74). Dal 1960 (con una pausa di riflessione che va dal 1974 al 1987) passa al teatro di prosa, con registi importanti. Segue Giorgio Strehler nella formazione del gruppo Teatro e Azione a Prato (dove tuttora D. risiede) partecipando a Il mostro lusitano di Weiss e Nel fondo di Gor’kij. Affronta ruoli importanti in Shakespeare, Pirandello (un memorabile Sampognetta in Questa sera si recita a soggetto accanto ad Alida Valli, 1995), Goldoni, Molière, Copi. Canta e recita al Piccolo Teatro di Milano in Ma cos’è questa crisi? con Milva e Franco Sportelli (1965). Affronta ruoli di rilievo in molte operette: La vedova allegra di Lehár con Edda Vincenzi a Palermo (1970); Il paese dei campanelli di Lombardo e Ranzato con Paola Borboni (Palermo 1972); Madama di Tebe di Lombardo con Ave Ninchi e Carlo Campanini, (Palermo 1973).

Nel tempo libero da impegni teatrali, radiofonici e televisivi (fu pioniere con Dario Fo nel 1953, negli studi di Torino, di trasmissioni per ragazzi), in particolare dal 1946 al ’66, si è esibito come cantante-fantasista «al night, in locali notturni, al dancing, in pasticceria, al caffè-concerto, in birreria, in Casinò, in grand hotel», come ricorda egli stesso. All’hotel Continental di Milano, 1949, con Maria Caniglia e Carlo Tagliabue; all’Odeon giardino d’inverno, Milano 1950, canta con il Duo Capinere e presenta il quartetto jazz di Duke Ellington; al Lirico di Milano in La sei giorni della canzone con Rabagliati, Lojacono, Narciso Parigi, Jenny Luna, Oscar Carboni; alla Bussola di Viareggio, con l’orchestra di Bruno Martino, affianca Mina, Alighiero Noschese e le spogliarelliste Rita Renoir e Dodo d’Hamburg. Nel suo curriculum, anche una stagione sotto il chapiteau, con il Circo Togni (1953), nella pantomima Pierrot lunaire . Nel 1951, a Modena, il baritono D. si esibisce in arie verdiane e, da solo, interpreta il duetto tra Rigoletto e Sparafucile. Nell’estate 1998 è stato il vecchio Anselmo nel Barbiere di Siviglia di Rossini all’Opera di Roma. Per la sua interpretazione nel film La vita è bella di Benigni gli è stato assegnato il Nastro d’argento 1998. Il 19 febbraio 1985 viene pubblicata la notizia della improvvisa dipartita del noto attore; il giornale radio ne traccia un affettuoso ritratto, interrotto dalla viva voce dell’interessato che precisa trattarsi della scomparsa di un cugino omonimo e cita la battuta di un altro vivo dato per morto, Mark Twain: «La notizia della mia morte è certamente prematura».

Nogara

Anna Nogara si è formata presso la scuola del Piccolo Teatro di Milano e lavora, sia in Italia che in Francia, tra gli altri, con L. Ronconi nell’ Orlando furioso (1970), in XX di R. Wilcok (1971), in Caterina di Heilbronn di Kleist (1972), nell’ Orestea (1972) e in Opera – di Luciano Berio (1979). Partecipa poi a Il Processo di Giovanna d’Arco a Rouen 1431 di A. Seghers (1972) a Off limits di Adamov (1972) e Faust- Salpetrière di Goethe (1982) per la regia di K. M. Grüber. Lavora, quindi, con A. Engel in Lulu au Bataclan di Wedekind (1983); con A. Arias ne Il ventaglio – di Goldoni (1988) e con C. Cecchi ne l’ Amleto (1989). Nel 1997 è interprete de La deposizione , monologo di Emilio Tadini, per la regia di A. R. Shammah.

Horne

Lena Horne era figlia di un’attrice, e quindi fatalmente avviata a quella carriera. Ha debuttato come chorus girl al glorioso Cotton Club di Harlem, partecipando a spettacoli in cui si esibivano Duke Ellington, Cab Calloway, Billie Holiday e Harold Arlen nel 1933. Nel ’34 è a Broadway in Dance With Your God , un piccolo ruolo. Dal 1935 al ’36 è vocalist in un’orchestra tutta nera, la Noble Sissle Society Orchestra; poi passerà alla Charlie Barnet Band, con la quale ha dei numeri di canto tutti suoi. Durante le tournée in certi stati del Sud, Barnet giudica più prudente non far scendere la sua cantante dal bus dell’orchestra. 1938: prima apparizione in un film, The Duke Is Tops . Di nuovo a Broadway nel 1939 per una sfortunata edizione della rivista Blackbirds (of 1939) : solo nove repliche. Nel 1940 comincia la sua fortunata carriera nel circuito dei night-club e l’anno seguente, a Hollywood (Little Troc Club), viene notata dal supervisore musicale della Metro-Goldwyn-Mayer e presentata a Arthur Freed, specialista della casa per il genere musical: debutto nel 1942 in Panama Hattie (canta “Just One of Those Things” di Cole Porter).

Da quell’anno fino al 1950 Lena Horne sarà spesso presente nei musical della Mgm, ma le sue partecipazioni e i suoi numeri – in genere di gran qualità e molto curati – venivano inseriti nel montaggio in modo da poter essere tagliati in quegli stati del Sud che continuavano a essere insopportabilmente razzisti. Nel 1943, invece, Lena Horne è tra i protagonisti di due musical all negro , uno più straordinario dell’altro: Cabin in the Sky e Stormy Weather. Durante la seconda guerra mondiale ha tenuto molti recital per i soldati al fronte, ma rifiutava di cantare se gli ufficiali non permettevano alle truppe di colore di assistere allo spettacolo. Negli anni ’50 H. finisce nelle liste nere e non trova lavoro né a Hollywood né a Broadway, sicché torna con continuato successo ai suoi concerti nei night-club. Nel 1957 ottiene il suo primo e unico ruolo di star a Broadway in Jamaica , musica di Harold Arlen: 558 repliche. Ancora un paio di film, ultimo quel The Wiz (1978) che è il rifacimento all negro di Il mago di Oz. Nel maggio del 1981 è a Broadway, sola in scena, con un grande show autobiografico intitolato Lena Horne: The Lady and Her Music : diciotto mesi di repliche a teatro esaurito; sarà un gran successo anche a Londra nel 1984. Nel 1993, dopo molti anni di silenzio, Lena Horne ha di nuovo cantato in pubblico all’Us Jvc Jazz Festival. La sua discografia contiene infiniti successi, con le canzoni di tutti i grandi compositori che ha interpretato, nonché un introvabile Porgy and Bess con Harry Belafonte.

Nikitina

Alice Nikitina studia alla Scuola imperiale di ballo, seguendo gli insegnamenti di Preobrajenska. Profuga in Jugoslavia per la Rivoluzione d’ottobre, entra a far parte dell’Opera di stato. Si trasferisce quindi a Berlino, dove danza nel Balletto Romantico di Romanov, per poi passare nei Ballets Russes di Diaghilev. Qui ha modo di perfezionarsi con Cecchetti e di prendere parte alle realizzazioni di Zéphire et Flore di Massine (1925), Ode (1928) e Le bal (1929) di Balanchine. In seguito alla scomparsa di Diaghilev si reca a Londra, dove balla nella 1930 Revue di Cochran ( La nuit di Lifar, Luna park di Balanchine) e nei Ballets 1933 di Balanchine ( Le spectre de la rose di Fokine, Prometheus di Lifar); quindi è nel Ballet Russe di de Basil al Covent Garden. Intanto coltiva la passione per il canto, studiando in Italia ed esibendosi in diversi teatri come soprano leggero; di questa sua attività ricordiamo le apparizioni in Rigoletto (1938), Lucia di Lammermoor e Il barbiere di Siviglia (1939). Dopo aver abbandonato le scene si dedica all’insegnamento della danza aprendo una scuola a Parigi.

Rooney

Ragazzino prodigio Mickey Rooney si mette in luce in una serie di cortometraggi (1927-1934) ispirati a Mickey McGuire, amato personaggio dei fumetti popolari, e nel ruolo di Puck nel Sogno di una notte di mezza estate (1935). Alla Metro Goldwin Mayer, dove è la più giovane star maschile, viene messo in coppia con Judy Garland. Insieme realizzano una serie di `barnyard musicals’, di cui fa parte la trilogia diretta da Busby Berkeley comprendente Ragazzi attori (1939), Musica indiavolata (1940) e I ragazzi di Broadway (1941), pellicole che portano al successo canzoni come “Good Morning” di Rodgers e Hart e “Our Love Affaire” di Gershwin. Nel 1937 inaugura da protagonista la serie di Andy Hardy che trova conclusione, dopo altre tredici pellicole, nel 1947. In alcune di queste, come L’amore trova Andy Hardy (1938) e Andy Hardy incontra la debuttante (1939), ha modo di prodursi ancora in pregevoli numeri musicali.

Dotato di contagiosa simpatia comunicativa e di prorompente energia fisica, riesce a risolvere a proprio vantaggio l’handicap cinematografico della bassa statura usandola in chiave di caratterizzazione espressiva, sia nelle situazioni drammatiche di La città dei ragazzi (1937) e Faccia d’angelo (1957) sia in quelle avventurose di Capitani coraggiosi (1935) e Gran premio (1944). Negli anni ’40 è chiamato a interpretare sullo schermo le biografie dell’inventore Edison in Tom Edison giovane (1940) e dell’autore di testi per canzoni Larry Hart in Parole e musica (1948). Tra i tanti lavori per la televisione rimane memorabile la sua versione musicale di Pinocchio (1957). Quando il musical cinematografico imbocca la parabola discendente accetta di lavorare anche in produzioni minori come Voli, amore e paracadutismo (1965), pressato dai debiti per gli alimenti alle ex mogli. Colleziona infatti ben otto matrimoni, sempre con donne bellissime (la prima moglie è Ava Gardner, la terza Martha Vickers). Il debutto davanti a un vero pubblico arriva solo nel 1979, a Broadway, al fianco di Ann Miller nello spettacolo Sugar Babies , con esito trionfale. Nel corso della sua lunga carriera incide centinaia di canzoni, non solo tratte da colonne sonore. Nel 1965 viene edito il volume I.E. , la sua autobiografia scritta con l’apporto di Roger Kahn.

Cavalieri

Natalina Cavalieri viene da una famiglia poverissima e il suo primo mestiere è di fioraia. La sua prima apparizione come cantante è in un modesto caffè di Roma dove, alla fine del suo numero, gira con il piattino. Ma nel 1887 (a tredici anni!) debutta al Caffè Concerto Esedra e piuttosto velocemente diventa celebre nella Roma di quegli anni. Viene scritturata in altri caffè concerto, prima in Italia poi anche all’estero, fino ai trionfi di Parigi dove viene contrapposta addirittura alla Bella Otero. La Cavalieri, le foto sono lì a documentarlo, è di straordinaria bellezza (la leggenda vuole che fosse la donna più bella del mondo) e canta con grazia le sue canzoni, ma, verso la fine del secolo decide di impegnarsi nella lirica e, nel 1900 debutta al San Carlo di Napoli nella Bohème di Giacomo Puccini. A scorrere l’elenco delle eroine liriche da lei interpretate viene da pensare che venissero scelte sopra tutto perché trattavasi di grandi appassionate, per così dire: Manon, Thais, Fedora, Tosca, Adriana Lecouvreur, addirittura Violetta de La Traviata. Suscitò scandali di ogni genere, ma in qualche modo sempre a suo vantaggio, come quando baciò Caruso in scena (Fedora, Metropolitan, 1906). Si ritirò a Fiesole negli anni ’30 e scrisse un’autobiografia (Le mie verità, 1936). Ha interpretato alcuni film tra il ’14 e il ’21, ma, pare, senza grande successo e ha inciso brani del suo repertorio operistico in dischi.

Luttazzi

Mentre studia giurisprudenza all’università della città natale, Lelio Luttazzi comincia a comporre canzoni, partecipa a spettacoli studenteschi e suona il pianoforte per Radio Trieste. Dopo la fine della guerra 1940-45 si trasferisce a Milano, dove collabora col cantante Teddy Reno per la sua produzione discografica. Appassionato di jazz, assimila la lezione americana infondendovi lo spirito italiano nella composizione di canzoni. Le principali sono: “Muleta mia” (per Teddy Reno), “Il giovanotto matto” (per Ernesto Bonino), “Quando una ragazza a New Orleans” (per Jula De Palma), “Una zebra a pois” (per Mina), e poi “Calypso Goal”, “Cogoleta”, “Michèlle”, “Sabrina”, “Lullaby”, “Promesse di marinaio”, “Troppo tardi”, “Il male oscuro”, “Legata ad uno scoglio”, “Il favoloso Gershwin” e altre. Cura intanto per la radio alcuni programmi musicali come “Hit Parade” e “Motivo in maschera”; partecipa, in diversi ruoli, a trasmissioni televisive di musica e varietà come “Ieri e oggi”, “Studio Uno”, “Questo nostro cinema”, “Sentimentale”, “Il paroliere”, “Musica insieme”, “Teatro Dieci”, “Il signore di mezza età”. È presente anche in diversi Caroselli. Per il teatro musicale fornisce alcuni motivi, insieme ad altri, a Ciao fantasma (1952), rivista di Scarnicci e Tarabusi, con Ugo Tognazzi e Elena Giusti; poi è autore in proprio, negli anni ’50, delle musiche delle seguenti riviste (tutte di Scarnicci e Tarabusi, salvo indicazioni contrarie): Barbanera… bel tempo si spera (con Ugo Tognazzi e Elena Giusti, 1953); Tutte donne meno io (con Macario e Carla Del Poggio: comprende una canzone di grande successo, “Souvenir d’Italie”, 1953); Passo doppio (con Ugo Tognazzi e Dorian Gray, 1954); Campione senza valore (con Ugo Tognazzi e Hélène Rémy, 1955); Gli italiani sono fatti così (di Marchesi, Metz e Verde, con Billi e Riva, 1956); Uno scandalo per Lili (con Ugo Tognazzi e Lauretta Masiero, 1957); Il diplomatico (con Carlo Dapporto e Elena Giusti, 1958); Io e la margherita (di e con Walter Chiari, 1959).

Una canzone composta da Luttazzi per il Quartetto Cetra, “Vecchia America”, è compresa nella rivista Gran baldoria (1951) di Garinei & Giovannini. Intanto si occupa della composizione di colonne sonore per il cinema, quasi sempre per commedie. Senza contare le trasposizioni sullo schermo di programmi radiofonici (come “Motivo in maschera”, 1955, di Stefano Canzio: L. vi partecipa anche come collaboratore al soggetto e interprete) e le pellicole che prendono spunto da sue canzoni (come Souvenir d’Italie , 1956, di Antonio Pietrangeli, e Promesse di marinaio , 1958, di Turi Vasile), tra i film per i quali L. cura le musiche occorre citare: Totò lascia o raddoppia? di Camillo Mastrocinque (1956), Totò, Peppino e la malafemmina ancora di Mastrocinque (1956), Agguato a Tangeri di Riccardo Freda (1957), Classe di ferro di Turi Vasile (1957), Ragazza in blue-jeans di Domenico Paolella (1957), Adorabili e bugiarde di Nunzio Malasomma (1958), Venezia, la luna e tu di Dino Risi (1958), Le bellissime gambe di Sabrina di Mastrocinque (1958), Guardia, ladro e cameriera di Steno (1958), Il nemico di mia moglie di Gianni Puccini (1959), Psicanalista per signora di Jean Boyer (1959), Risate di gioia di M. Monicelli (1960), Peccati d’estate di Giorgio Bianchi (1962), La presidentessa di Luciano Salce (1977). In alcuni altri film L. figura come interprete, tra i quali la commedia di costume L’ombrellone di Dino Risi (1965) e il film drammatico L’avventura di M. Antonioni (è lo snob cavalier servente della proprietaria dello yacht che porta i personaggi della vicenda alle isole Eolie, 1959). Inquieto e insoddisfatto, incappato – agli inizi degli anni ’70 – in disavventure giudiziarie, Luttazzi è autore anche di alcuni libri, di racconti e di soggetti. Lo si può definire musicista autodidatta, elegante e di buona vena, attento ai risultati dello swing americano (i suoi modelli appaiono Gershwin come autore e Sinatra come esecutore) ma perfettamente inserito nel melodismo all’italiana.

Arbore

Eccellente clarinettista nella Napoli del dixieland del dopoguerra, Renzo Arbore ha esordito come presentatore di programmi televisivi e radiofonici di notevole successo. Due le direttrici: la musica e l’umorismo che, partite in direzioni separate, si sono poi ricongiunte sua carriera nel corso della carira. Bandiera gialla e Speciale per voi furono la dimostrazione di come si potessero disegnare format a carattere musicale realmente al passo coi tempi e di quanto fosse necessaria la competenza specifica del conduttore. Ma il grande successo arrivò nel 1970 con Alto gradimento , programma radiofonico rivoluzionario in cui, insieme a G. Boncompagni, M. Marenco e G. Bracardi, A. inventò un teatrino demenziale che lo rese beniamino di milioni di ascoltatori. Eccelso talent scout, Renzo Arbore è stato – grazie soprattutto a tre fortunatissime trasmissioni tv: la goliardica Altra domenica , che si opponeva al conformismo parrocchiale di Domenica in , e i fenomeni di costume Quelli della notte e Indietro tutta – il responsabile del successo di almeno due generazioni di comici-fantasisti, tra i quali R. Benigni, a cui furono fatti vestire gli improbabilissimi (ma, con il senno di poi, forse non troppo) panni di critico cinematografico, A. Luotto, N. Frassica, M. Laurito. Non teatrante in senso stretto, ma sicuramente capocomico di razza e maestro improvvisatore, A. è stato in grado – in particolare nella trasmissione Quelli della notte , uno dei simboli degli anni ’80 italiani – di costruire personaggi e situazioni ex nihilo e imporre tormentoni a presa rapida di gran peso sulla fraseologia dell’italiano medio, il tutto all’insegna di una goliardia mai volgare. Sui palcoscenici di mezzo mondo con la sua Orchestra italiana, è dal 1996 direttore artistico di Rai International.

Rascel

Uno dei monumenti del teatro leggero italiano, all’interno del quale ha occupato spazi (straordinari) nell’avanspettacolo e nella rivista, poi nella commedia musicale, nella commedia tout court, e poi nel cinema, in radio e in televisione. Figlio d’arte (i genitori erano cantanti d’operetta), Renato Rascel debuttò bambino in compagnie filodrammatiche, e poi fece parte del coro di voci bianche di don Lorenzo Perosi. A diciassette anni si esibisce come suonatore di batteria e ballerino di tip-tap; l’anno seguente fa parte di un trio, con le sorelle Di Fiorenza, come cantante e ballerino. Nel 1934 viene notato dagli Schwartz e debutta, come Sigismondo, in Al Cavallino bianco . Poi torna con le Di Fiorenza, e poi con Elena Gray va in tournée in Africa. A partire dal 1941 ha compagnia propria, insieme a Tina De Mola, allora sua moglie, con testi di Nelli e Mangini, di Galdieri, infine di Garinei e Giovannini. Intanto R. ha elaborato il suo personaggio più o meno fisso: un piccoletto (il che corrisponde alla sua statura) stralunato, distratto, e troppo mite per essere vero.

Alcuni suoi sketch e canzoni ne sono capolavori assoluti, vedi `Il corazziere’ che resterà nella memoria del pubblico e mirabili scenette demenziali come quella con Marisa Merlini, `Adelina la Faciolara’, dalla rivista Perepé, perepé, perepé, questo è il mondo che piace a me (stagione 1950-51). Ancora una stagione di rivista, la seguente, con E invece pure e si inaugura la grande stagione del musical: i suoi autori-complici sono Garinei e Giovannini. Debutto nel 1952 con Attanasio cavallo vanesio ; il pubblico reagisce con entusiasmo. Nel 1953 Alvaro piuttosto corsaro ripete il successo di Attanasio , ma forse con maggior qualità di testo e musiche. Segue, nel ’54, Tobia la candida spia (i testi continuano a essere di Garinei e Giovannini) e poi nel ’57 Un paio d’ali , che fu un vero e proprio trionfo. Nel 1961, celebrandosi il centenario dell’unità d’Italia, Garinei e Giovannini confezionano per R. Enrico ’61 , in cui si ripercorrono cent’anni di storia patria.

Nel ’62, per coprire un buco di programmazione, Rascelinaria , spettacolo antologico di Rascel che ha il solo difetto di avere una programmazione troppo breve. Il 25 ottobre 1964 R. incontra in scena Delia Scala: Il giorno della tartaruga è una commedia con musiche che ha tutti i pregi e i difetti della ‘premiata ditta’ (ormai si definisce così la Garinei & Giovannini). I rapporti di Rascel con i due autori non sono mai stati idilliaci (del resto non lo sono mai stati con nessuno), ma ciò non impedisce il grande successo di Venti zecchini d’oro di P. Festa Campanile e L. Magni, regista Zeffirelli con il ‘piccoletto’, un asino, la Borboni feroce nei versi dell’Aretino, la bellezza incantevole di Maria Grazia Buccella e il progetto di Alleluja, brava gente, che andrà in scena alla fine del 1970 senza il coautore Domenico Modugno ma consacrerà un attore straordinario: Gigi Proietti. L’attività cinematografica di Rascel è piuttosto lunga, con un debutto nel 1942 (Pazzo d’amore, regia di Giacomo Gentilomo) e un’intensa attività negli anni ’50, ma spesso in film scadenti che ripetevano motivi e macchiette dei suoi spettacoli teatrali. Fanno eccezione Il cappotto , da Gogol’, con la regia di Alberto Lattuada (1952); La passeggiata, pure da un racconto di Gogol’, regia dello stesso Rascel (la sua unica in cinema; 1953); infine, nel 1959, Policarpo ufficiale di scrittura diretto da Mario Soldati.

Rascel ha scritto molte canzoni di successo, fra cui la canzone italiana più eseguita nel mondo, “Arrivederci Roma”; e poi “Romantica” (premiata a Sanremo), “Te voglio bene tanto tanto” e ancora altre. Infiniti programmi alla radio e due celebri trasmissioni di varietà in tv: Rascel la nuit (1956) e Stasera a Rascel-City (1964). Nel teatro di prosa ha debuttato al ridotto dell’Eliseo nel 1955 con Bobosse di André Roussin e Gli agnellini mangiano l’edera di Noel Langley. Nel 1967, per la televisione, ha interpretato I Boulingrin di Courteline e Delirio a due di Ionesco e nel ’70, sempre in tv, I racconti di padre Brown da Chesterton. Inoltre ha scritto le musiche per l’operetta Naples au baiser de feu , protagonista Tino Rossi, al Mogador di Parigi (1957).

Sarti

Dino Sarti inizia a farsi conoscere alla fine degli anni ’60, cantando il blues in dialetto bolognese nei night-club; debutta quindi nel cabaret al Derby di Milano. La sua scelta del dialetto è drastica: «o si è bolognesi o si sa l’inglese». Restano famose le sue canzoni “Tango imbezell”, “Viale Ceccarini” e “Bologna campione”, e le caricature di personaggi quali «Spomèti», il viveur impomatato di brillantina, e `i biassanüt’ (i nottambuli). Traduce in dialetto J. Brel (“I vié”), G. Bécaud e C. Aznavour, e crea canzoni su alcune poesie di Tonino Guerra (“I limon”, “I madon”, “Dmanda”). Nel 1970 incide il suo primo album, Bologna invece!. Il 14 agosto 1974, in piazza Maggiore a Bologna, circa trentamila persone si radunano per il suo spettacolo in dialetto; da allora fino al 1985 l’evento si ripete tutti gli anni, tanto che S. viene ricordato da molti come `quello di piazza Maggiore’. Ha al suo attivo, tra gli altri, gli album Spomèti (1982) e Sentimental Bertoldo (1994), un film con Pupi Avati e alcuni libri.

Modugno

Autore di canzoni celeberrime, una sopra tutto, “Nel blù dipinto di blù”, detta “Volare”, da cui un suo soprannome internazionale `Mister Volare’. Negli anni ’50, prima di diplomarsi al Centro sperimentale di cinematografia, Domenico Modugno esordisce con piccoli ruoli in cinema. Nel ’52 è in teatro, Il borghese gentiluomo di Molière, e nel ’53 debutta in radio, nella trasmissione Il trampolino dove presenta le sue canzoni “Lu pisce spada” e “Ninna-Nanna”. Nella stagione 1953-54 in teatro partecipa con le sue canzoni a Controcorrente , con Walter Chiari. Nel 1956 è in tv (“L’Alfiere”, regia di Anton Giulio Majano) e nel ’58 vince per la prima volta il Festival di San Remo (che viene trasmetto in tv) con “Nel blù dipinto di blù” e fa il bis nel ’59 con “Piove”; da quel momento le sue canzoni acquistano la giusta notorietà e diventano in parecchi casi successi internazionali. Il cinema non ha mai offerto a M. occasioni degne di lui, il che non gli ha impedito di interpretare più di trenta film e anche di dirigerne uno ( Tutto è musica , 1963). Mentre in tv oltre a una partecipazione a “Canzonissima” (1970) è protagonista di uno sceneggiato, “Il marchese di Roccaverdina” (1972) di “Don Giovanni in Sicilia” (1977) e di “Western di cose nostre” da Sciascia. Molto teatro di prosa, interpretando Brecht e Pirandello, con un memorabile Liolà . M. è stato una delle figure di punta del musical italiano: ha scritto le musiche per tre di questi ed è stato il protagonista di due. Rinaldo in campo , di Garinei e Giovannini, con Delia Scala, Franchi e Ingrassia, 1962: un enorme meritato successo; Tommaso d’Amalfi , di Eduardo De Filippo, con Liana Orfei e, ancora, Franchi e Ingrassia, un enorme, non del tutto meritato, insuccesso; infine, a causa della malattia, rinunziò a esserne co-protagonista di Alleluja, brava gente di Garinei e Giovannini, con Renato Rascel, Luigi Proietti (che sostituì M.) e Mariangela Melato: in scena per due stagioni dal 1970 al ’72 e recentemente ripresa al Sistina in una nuova edizione. Nel 1972, M. ristabilitosi è protagonista, con la regia di Strehler e accanto a Milva de L’opera da tre soldi di Brecht con musica di Kurt Weill.

Neri

Dopo aver conseguito il diploma magistrale Rosalina Neri inizia a prendere lezioni di canto (ha come insegnante la soprano Toti Dal Monte) e debutta in televisione con Marcello Marchesi in “Invito al sorriso”. Grazie alla straordinaria somiglianza con Marilyn Monroe arriva subito il grande successo popolare ma in Rai è giudicata troppo provocante e viene estromessa dai palinsesti. Così debutta in teatro con Rascel in Tobia, candida spia di Garinei e Giovannini. Poi parte per l’Inghilterra, dove rimane anche per ragioni sentimentali, lavorando in televisione, protagonista per tre anni del Rosalina Neri Show. Torna in Italia e riprende la sua carriera sul palcoscenico con un recital di canzoni al Teatro Gerolamo di Milano, al quale segue Milanin Milanon di Crivelli e Adalgisa di Gadda, con la regia di Umberto Simonetta. Nella stagione 1984-85 Strehler la chiama per interpretare La grande magia (1985), dopo il quale farà anche Grande e piccolo (1987-88), La sposa Francesca (1991-92), L’anima buona di Sezuan (1995-96), Il Campiello (1992-93), Lux in tenebris (1995-96). Nel 1994 ha la parte di Agnese ne I Promessi Sposi alla prova di Testori al Teatro Franco Parenti di Milano.

LuPone

Pare che all’eta di quattro anni Patty LuPone si esibisce in certi numeri di tip-tap; peraltro è accertato che abbia studiato danza con Martha Graham e canto e recitazione alla celebre Julliard School. Dal 1968 al ’74 è nella John Houseman Actor’s Company; debutterà nel suo primo musical The Robber Bridegroomn a Broadway, nel ’75, ma non è un successo. Anche The Eaker’s Wife (1976) e Working , del ’78, non funzionano. Ma nel 1979 la LuPone è Evita , nel ruolo del titolo, a New York: senza dubbio la migliore fra tutte le cantanti attrici che avevano interpretato il personaggio o lo interpreteranno, LuPone, quel 25 settembre, diventa una star. Dopo molte delle 1.567 repliche di Evita a Broadway, l’attrice torna al teatro di prosa e fa un paio di tentativi con il cinema, che però non portano, da nessuna parte. In compenso nel 1985 è protagonista di The Cradle Will Rock a Londra, con la compagnia di John Houseman, e poi, prima attrice americana ad ottenere questa possibilità in Gran Bretagna, partecipa a Les Miserables , premiata per entrambe le interpretazioni con Olivier Award. Nel 1987 è protagonista a Broadway di un revival di Anything Goes di Cole Porter, e viene premiata con Tony Award e Drama Desk Award.

Apparentemente, quando la LuPone viene scelta da Andrew Lloyd Webber come protagonista per il suo Sunset Boulevard , ha ottenuto il ruolo della sua vita (se lo contendevano Meryl Streep, Angela Lansbury, Liza Minnelli, Julie Andrews e anche altre): la prima assoluta, al Festival di Sydmonton, nel ’92 è un trionfo per la LuPone, e così quando lo show vede la luce a Londra, nel luglio del ’93, la LuPone è osannata e, in effetti, è magnifica per voce, impeto drammatico, emozione, ma purtroppo lo spettacolo non funziona come l’autore-Mida vorrebbe, e LuPone viene sostituita. Lei si prende un breve riposo, registra un disco di canzoni di Irving Berlin, e torna a Broadway con una sontuosa edizione di Pal Joey in concerto (1995). Qualche mese dopo il 12 ottobre 1995 presenta un concerto al Walter Kerr Theatre (Patty LuPone on Broadway) che ottiene eccellenti critiche, gran successo e la conferma una delle poche grandi figure del musical in questi anni.

Monti

Dopo aver esordito nel 1953 come cantante di blues e spirituals, Maria Monti debuttò nel 1955 come attrice con la compagnia di Elsa Grado allo Smeraldo di Milano, nell’avanspettacolo Quando spunta la luna all’Idroscalo , che la segnalò all’attenzione dei comici di rivista. La stagione seguente passò con la compagnia Tognazzi-Masiero, interpretando Uno scandalo per Lilli , parodia di una ragazza tifosa del jazz di New Orleans. Dopo la partecipazione allo spettacolo del Teatro stabile di Napoli La dolce guerra (regia di G. Di Martino), dove confermò la sua originalità di cantante-interprete dalla voce sensuale e dalla dizione incisiva, prende parte con G. Cobelli, al Teatro Arlecchino di Roma, a Can can degli italiani (1963), un’aspra parodia sull’attualità che le offrì l’occasione di esibire quella parte di sé fino allora celata al pubblico. Nelle stagioni del 1964-66 si presenta con P. Poli in Il candelaio e Il diavolo . Intensa anche l’attività nel cabaret con Giorgio Gaber e Nanni Svampa. Nel 1973 recita in Ambleto di Testori accanto a Franco Parenti e nel 1980 interpreta la principessa Himalaj in Operetta di W. Gombrowicz (regia di Antonio Calenda). Perfettamente a suo agio nel teatro leggero, nel 1984 affianca Gino Bramieri in Pardon monsieur Molière e nel 1987 è interprete de L’angelo azzurro di Aldo Trionfo e Alessandro Giupponi, dal romanzo omonimo di Heinrich Mann. E nel 1991 interpreta Maria d’amore, scritto personalmente con Patrick Rossi Gastaldi. Nel 1993 partecipa a Milanon Milanin con Paolo Rossi. Tra i film a cui ha preso parte vanno citati almeno Giù la testa di Sergio Leone (1971), Novecento di Bernardo Bertolucci (1976) e Oh Serafina! di Alberto Lattuada (1977).

Jeanmaire

Una carriera costellata di cambiamenti, un senso dell’avventura artistica che l’ha spinta a provare molti generi e molti Paesi, una scoperta, tardiva ma non per questo meno affascinante, della canzone, francese questa, a metà strada tra le grandi diseuses alla Yvette Guilbert e le melodiche popolari: ancora in attività negli anni ’90, apparendo per qualche emozionante numero o canzone in uno spettacolo del marito-mentore Roland Petit, una figura con cui i destini di Renée Jeanmaire si sono profondamente intrecciati. Renée, non ancora Zizi, entra a nove anni alla scuola di danza dell’Opéra di Parigi, a quindici fa già parte del corpo di ballo e in pochissimo tempo ne diventa un’apprezzata solista. È però costretta a lasciare l’Opéra se vuole cominciare a esibirsi in altri teatri, ed è così che fra il 1944 e il ’45 incontrerà Roland Petit, che coreografa e organizza delle serate di danza al teatro Sarah Bernhardt. Nel 1946 è solista del Nouveau Ballet de Monte-Carlo e danza le coreografie che Serge Lifar crea per lei. Nel ’47 è danseuse étoile e ottiene gran successo al Covent Garden di Londra in una serie di balletti classici e moderni. Finalmente, nel ’48 è nel Ballet de Paris diretto da Roland Petit, per il quale, in tournée a Londra, il 21 febbraio del ’49 crea il personaggio di Carmen nel balletto omonimo: Renée Jeanmaire diventa una celebrità internazionale.

L’anno seguente un altro grande successo con La croqueuse des diamants , sempre per la coreografia di Roland Petit. Nel 1951, durante la seconda tournée americana dei Ballets de Paris, J. e Petit vengono scritturati a Hollywood per un film da Carmen. Il progetto non si realizza, ma in compenso Jeanmaire (negli Usa le hanno eliminato il nome di battesimo), appare, al fianco di Danny Kaye in Hans Christian Andersen (1952): gran successo, ma la sua carriera cinematografica si limiterà a sei film molto spaziati negli anni. In compenso Broadway la chiama: The Girl in Pink Tights , 5 marzo 1954, coreografia di Agnes De Mille, centoquindici repliche. Nel 1956 canta per la prima volta in palcoscenico e incanta per sempre il pubblico francese (come incanterà poi quello internazionale) in una Revue des Ballets de Paris. Nel 1957, all’Alhambra di Parigi, presentata da Maurice Chevalier, debutta ufficialmente nel music-hall, che le riserverà negli anni seguenti una serie ininterrotta di successi e soddisfazioni. Il suo numero, e canzone, Mon truc en plumes, è celebre come pochi altri numeri di music-hall e ancora eseguito. Nonostante i gravissimi problemi di artrite professionale, Jeanmaire, ormai diventata Zizi, continua con il suo humour, la sua tecnica perfetta una carriera nella rivista, e di anno in anno aumenta il suo successo come cantante: interpreta mirabilmente le canzoni di Mistinguette e diventa la star di due celebri spettacoli degli anni ’70 al Casino de Paris, La revue de Roland Petit e Zizi je t’aime.

Lawrence

Ragazzina ricca di versatilità e virtuosismo, Gertrude Lawrence si esibisce nei teatri del West End londinese, dove entra in amicizia con un Noël Coward non ancora adolescente, amicizia destinata a durare per tutta la vita. Trasferitasi a New York, il suo stile stravagante e sofisticato, le sue bizzarrie e la vitalità trascinante anche fuori dalla scena la rendono ben presto la musa dei ‘roaring Twenties’, al fianco di personaggi come Zelda e Scott Fitzgerald. In teatro conquista il pubblico in London Calling (1923), scritto per lei da Coward, mentre sullo schermo partecipa a sei film, dei quali solo Battle of Paris (1929) è un musical. Nel 1926 Gershwin compone per la sua voce la partitura musicale di Oh, Kay! , spettacolo in cui a lei per prima vengono affidati brani destinati alla fama come “Dear Little Girl” e “Someone To Watch Over Me”. Due anni dopo conosce i trionfi londinesi con la stessa commedia musicale. Fa di nuovo coppia con Coward in Vite private (1931) e in To-Night at 8:30 (1936) in cui esegue anche alcune canzoni di mano dello stesso Coward. Nello spettacolo Lady in the Dark (1941) con musiche di Kurt Weill presta la propria fama come trampolino di lancio per lo sconosciuto Danny Kaye. Nella prima versione cinematografica di Zoo di vetro (1950) interpreta la difficile parte della madre. Il suo capolavoro teatrale è considerato il musical Il Re ed io (1951), dove è la battagliera istitutrice inglese alla corte del Siam, ruolo pensato espressamente per lei da Rodgers e Hammerstein. Lascia incise moltissime delle canzoni composte a misura delle sue potenzialità dai più importanti autori (Berlin, Porter, Weill e Gershwin tra gli altri) e si racconta senza falsi pudori, non tacendo il lungo periodo da alcolista, nel libro autobiografico A Star Danced pubblicato nel 1945. Nel 1968 il suo personaggio caparbio e determinato è stato portato sullo schermo da Julie Andrews nel film biografico Un giorno… di prima mattina .

Gaber

Giorgio Gaber (Gaberscik) inizia a esercitarsi con la chitarra a quindici anni per curare il braccio sinistro colpito da una paralisi. Studia economia e commercio alla Università Bocconi, pagandosi gli studi con le esibizioni al Santa Tecla di Milano, locale in cui nascono le sue prime canzoni e dove incontra amici e complici come Jannacci. In questo locale viene notato da Mogol che gli procura un’audizione per la Ricordi, a cui farà seguito un primo disco. Nello stesso periodo (fine anni ’50) intraprende la carriera nel gruppo rock’n roll dei Rocky Mountains; in seguito si esibisce in coppia con Maria Monti al Teatro Gerolamo di Milano con lo spettacolo Il Giorgio e la Maria . Dopo queste prime esperienze, negli anni ’60 si afferma con una vena più delicata e nostalgica, recuperando brani del repertorio popolare milanese. Passa poi a una dimensione decisamente più umoristica impegnandosi (dalla fine degli anni ’60) in un repertorio maggiormente attento all’attualità sociale e politica del Paese (forte è l’influenza di J. Brel). Appare in tv come conduttore in Canzoniere minimo (1963), Milano cantata (1964) e Le nostre serate (1965) oltre a numerosi altri spettacoli di varietà.

Nel 1965 sposa O. Colli. A Canzonissima (1969) presenta “Come è bella la città”, una tra le prime canzoni in cui traspare la sua sensibilità sociale. Nel 1970 il Piccolo Teatro di Milano gli offre la possibilità di allestire uno spettacolo: nasce così Il Signor G. (che resterà il suo soprannome), in cui le canzoni sfumano in monologhi dal gusto amaro e ironico, che trasportano lo spettatore in un’atmosfera vagamente surreale, in cui si mescolano sociale e politica, amore e speranza. A partire dagli anni ’70 l’unico riferimento artistico di G. è il teatro; egli si avvale della collaborazione di S. Luporini, pittore di Viareggio e suo grande amico, con il quale firma tutti i suoi spettacoli. G. diventa così cantante-attore-autore, o `cantattore’, con gli spettacoli Dialogo fra un impiegato e un non so (1972), Far finta di essere sani (1973), Anche per oggi non si vola (1974), Libertà obbligatoria (1976), Polli d’allevamento (1978), tutti prodotti con il Piccolo Teatro di Milano. Le sue storie sono quelle di un uomo qualunque, di un uomo del nostro tempo, con le speranze, le delusioni, i drammi e i problemi tipici dell’esistenza quotidiana. Tutti i suoi recital vengono ripresi in incisioni dal vivo. Nel 1980 scrive Io, se fossi Dio , atto d’accusa ispirato ai tragici avvenimenti del rapimento Moro. L’anno seguente, sulla scorta del successo degli americani Blues Brothers, forma con E. Jannacci il duo Ja-Ga Brothers rinnovando l’antica collaborazione degli esordi.

Nel 1981 ripropone in tv i suoi spettacoli teatrali più importanti nella trasmissione Retrospettiva ed è in teatro con lo spettacolo Anni affollati . Negli anni ’80 Gaber si sposta in direzione della prosa con gli spettacoli Il caso di Alessandro e Maria (1982) con M. Melato, sul rapporto uomo-donna, Parlami d’amore Mariù (1986), in cui G. descrive quella strana invenzione che è l’amore e Il grigio (1988), metafora di una spietata analisi introspettiva. Con gli anni ’90 Gaber riprende la forma di teatro musicale che gli è congeniale con Il Teatro Canzone (1991), spettacolo retrospettivo; Il Dio bambino , sull’incapacità dell’uomo di uscire dall’infanzia e di evolversi; E pensare che c’era il pensiero (1994), sull’assenza di senso collettivo e sull’isolamento umano; Gaber 96/97 , in cui sostanzialmente riprende il precedente spettacolo; Un’idiozia conquistata a fatica (1997-98), spettacolo di intervento sul contingente, legato all’isteria dei fanatismi politici e del mercato.

 

Coward

Noël Pierce Coward ha esordito con Ti lascerò questo (I’ll Leave It To You, 1919) e La giovane idea (The Young Idea, 1922). Il successo del suo teatro, cui Coward ha contribuito anche come perfetto interprete, è iniziato con Vortice (The Vortex, 1924, rappresentato al Teatro Valli di Reggio Emilia nel 1990, regia di M. Bellei), cui sono seguiti Angeli caduti (Fallen Angels, 1925) e La febbre del fieno (Hay Fever, 1925), dove i Buss, una famiglia di artisti, invitano per il week-end un gruppo di amici e li ossessionano con le loro manie (andato in scena a Roma, Teatro Ghione 1992, regia di S. Blasi). In Vite private (Private Lives, 1930) due divorziati s’incontrano durante la luna di miele con i rispettivi nuovi coniugi e decidono di rimettersi insieme: una soluzione che si ripeterà in L’allegra verità (Present Laughter, 1942). Pur legato alla formula della commedia brillante e sofisticata, come Partita a quattro (Design for Living, 1932), Coward ha saputo rendere bene anche l’atmosfera crepuscolare in Vita tranquilla (Still Life, 1936), entrambi tradotti in film, il primo da Ernst Lubitsch (1933), il secondo da David Lean con Breve incontro (Brief Encounter, 1945). Anche Spirito allegro (Blithe Spirit, 1941) ha avuto una versione cinematografica (1945, regia di Lean). Coward resta sostanzialmente fedele alla commedia da salotto, di cui ha attualizzato i contenuti con una carica di superiore spregiudicatezza. Ne esce un quadro disincantato della borghesia inglese tra le due guerre. Ma il dialogo, dove la comicità scaturisce dal contrasto tra la banalità delle battute e il contesto in cui vengono pronunciate, e l’uso sapiente delle pause ne fanno per certi versi un precursore di Pinter.

Minnelli

Figlia della grande cantante Judy Garland e del regista Vincente Minnelli. A due anni e mezzo Liza Minnelli fa la sua prima apparizione cinematografica: In The Good Old Summertime (è la bambina figlia di Garland e di Van Johnson nel finale). Quando ha cinque anni i suoi genitori si separano e lei vive un po’ con l’uno e un po’ con l’altra. A sette anni partecipa a un concerto della madre al Palace di New York. Nel 1962, a sedici anni, manifesta i primi veri interessi per lo spettacolo e lavora in due revival: Take Me Along e The Flower Drum Song . Nel 1963, per un altro revival, Best Foot Forward , vince un premio. È nelle compagnie di giro di Carnival , The Pajama Game e The Fantasticks . Nel 1964 appare accanto alla madre al London Palladium, il concerto è registrato su disco ed è un grande successo, il primo disco di canzoni cantate da M. che vende, in quell’anno 500.000 copie. 1965: Flora and The Red Menace , di Kander and Ebb; Liza è premiata con Tony Award ma lo show resta in scena per sole 87 repliche. 1966: debutto nel night-club del Plaza Hotel con successo a dir poco entusiastico. Tre film tra il 1967 e il ’70, per The Sterile Cuckoo ottiene una nomination all’Oscar. Nel 1972, con la sua interpretazione del film Cabaret , Liza M. diventa una superstar, ottiene l’Oscar e le copertine contemporaneamente di Time e Newsweek. Quello stesso anno ottiene un Emmy Award per il suo special televisivo, a cura di Bob Fosse, Liza With A Z e nel ’73 uno Special Tony Award per lo spettacolo Liza at the Winter Garden . Continua a incidere dischi e ad apparire nei night-club ma privilegia la carriera cinematografica con una serie di delusioni finché, nel 1977, New York, New York è un meritato trionfo. Gli autori di questa celeberrima canzone, Kander e Ebb, sono anche gli autori di The Act (1977) che dopo molti tormentati spostamenti tra Chicago, San Francisco e Los Angeles, debutta a New York il 29 ottobre 1977: Tony Award per Liza, critica discorde, pubblico indispettito dalle continue assenze della protagonista, poco più di 250 repliche. Pochi film e molti problemi (alcool e droghe) seguono, fino a una nuova apparizione a Broadway, febbraio 1984, in The Rink , ancora di Kander e Ebb, accanto alla grande Chita Rivera, ma la M. non regge e lascia lo show per una seria cura disintossicante. Torna in concerto al London Palladium nel 1986 con immenso successo. Gira un paio di film nell’88, ma, soprattutto, intraprende una specie di giro del mondo di concerti con Frank Sinatra e Sammy Davis. Nel 1991 debutta a New York e prosegue poi in una lunga tournée con un suo `one woman show’ Liza Minnelli: Stepping Out at Radio City e gira un film musicale, tratto da uno spettacolo londinese intitolato Stepping Out .

Merola

Mario Merola è l’indiscusso e indiscutibile re della sceneggiata. Dopo aver lavorato nel porto di Napoli, comincia a esibirsi nelle feste di piazza e ai matrimoni, ben presto imponendosi come l’ultimo dei cantanti `di giacca’: ossia dei cantanti specializzati in brani a tinte forti, d’impianto drammatico, per la cui esecuzione è d’uopo adottare un abbigliamento adeguato. A partire, appunto, dalla giacca. Più tardi, nell’agosto dell’84, Merola festeggerà i venticinque anni di carriera nel segno del più grande fra gli autori di quel genere di canzoni, Libero Bovio. Gli dedicherà un intero spettacolo, adottando come titolo il primo verso, Felicissima sera , della famosa “Zappatore”, su cui si basa l’omonima sceneggiata che costituisce, da sempre, l’autentico cavallo di battaglia e una sorta di `marchio di fabbrica’ di Merola. E della sceneggiata, appunto, Merola fa addirittura un atto di fede e una missione, tentando di accreditarla anche presso pubblici acculturati. Così, per il Natale del ’78, porta al cinema-teatro Delle Palme, nell’elegantissima ed esclusiva via dei Mille, una versione aggiornata di Lacreme napulitane , ancora di Bovio, dandole il titolo in lingua L’emigrante . Del resto, non era stato lui ad aprire, nel ’76, il primo e unico Festival della sceneggiata, avendo al fianco – in uno spettacolo intitolato inequivocabilmente Mammà – colleghi del calibro di Mirna Doris e, specialmente, Nunzia Fumo, erede di quella Cafiero-Fumo che fu, appunto, la più celebre compagnia di sceneggiate?

Aspinall

Laureatosi in lingua e letteratura italiana all’università di Manchester, Aspinall Michael George studia in seguito canto, tra il 1960 e il 1969, con Anthony Benskin, Vincenzo d’Alessandro e Adolfo Baruti. Si specializza nella parodia dei soprano di un tempo, cantando nei suoi spettacoli in falsetto. Debutta con una versione comica della Norma di Bellini a Roma (1969); nel 1970-71 gira l’Italia con lo spettacolo di Paolo Poli La vispa Teresa . Famosa è la sua versione della Traviata di Verdi, eseguita a Roma nel 1971. Ha cantato inoltre nel ruolo di Mamma Agata nelle Convenienze musicali di Donizetti al festival di Camden (1972), nel ruolo di Mother Goose in The Rake’s Progress di Stravinskij al Maggio Musicale Fiorentino (1982), nel ruolo della Pubblica Opinione in Orfeo all’inferno di Offenbach alla Fenice di Venezia (1985) e nel ruolo della Vera Venere nel Divertimento de’ numi di Paisiello (Napoli, 1996). Insegna al Belcanto Festival di Dordrecht (Olanda), dove ha curato la regia de L’impresario in angustie di Cimarosa (1997) e de Il borgomastro di Saardam di Donizetti (1998). Ha inoltre curato la regia il duello comico di Paisiello al conservatorio di Trapani (1997), presso il quale insegna canto dal 1998. Ha collaborato con Montserrat Caballé per cui ha scritto le cadenze La donna del lago di Rossini e molte arie del suo repertorio. Tiene numerose conferenze sugli aspetti del Belcanto e scrive su “la Repubblica” e sulle riviste “Musica”, “L’opera” e “The Record Collector”. Ha inoltre tradotto in inglese i libretti di opere di Paisiello e opere del Seicento.

Ranieri

Ex posteggiatore e strillone, Massimo Ranieri viene scoperto e lanciato fra i big della canzone italiana a soli quindici anni. Dal 1966 ha inciso oltre venti lp e ha partecipato alle più importanti manifestazioni canore e televisive, da Canzonissima a Scala Reale, dal festival della canzone italiana di Sanremo al Cantagiro. Nel 1975, debutta come attore teatrale a Spoleto in Napoli, chi resta e chi parte , due atti unici di Raffaele Viviani, con la regia di Giuseppe Patroni Griffi. Entra nella Nuova Compagnia dei Giovani diretta da Giorgio De Lullo e Romolo Valli. Nel 1978 interpreta Il malato immaginario di Molière e, nel 1979, La dodicesima notte di Shakespeare con la regia De Lullo; nel 1980, L’anima buona di Sezuan di Brecht, regia di Giorgio Strehler, al Piccolo Teatro; dal 1983, con Maurizio Scaparro: Barnum, Varietà, Pulcinella, Liolà, Teatro Excelsior; nel 1987, Rinaldo in campo, revival di Garinei e Giovannini, nel ruolo che nel 1961 fu di Domenico Modugno; nel 1994, di nuovo al Piccolo Teatro con L’isola degli schiavi di Marivaux, regia di Strehler (interpretazione interrotta a causa di una frattura procuratosi all prima a Torino); nel 1998, Hollywood, ritratto di un divo, musical `drammatico’ sulla vita del divo cinematografico John Gilbert, con la regia di Giuseppe Patroni Griffi

In un repertorio così vasto e articolato, si è sempre ritagliato dei ruoli allegramente scanzonati, da adulto `scugnizzo’ di spericolata generosità interpretativa, non disdegnando, oggi, prove più impegnative e di maggiore consistenza drammaturgica, come in Hollywood, ritratto di un divo , dove si addentra con credibilità fra le pieghe della nostalgia. Parallelamente alla sua prestigiosa carriera musicale e teatrale, ha affrontato anche non molte ma significative prove cinematografiche e televisive, distinguendosi fin dal debutto, nel 1969, con Metello di Mauro Bolognini, al fianco di Ottavia Piccolo, che gli meritò un David di Donatello come migliore attore giovane; e poi, nel 1970, con il film tv La sciantosa, intensa storia d’amore materno sul fronte di Caporetto, uno dei più bei film dedicati alla prima guerra mondiale, con Anna Magnani; nel ’72, Bubù, ancora con Ottavia Piccolo, regia di Bolognini; nel ’74, La cugina di Aldo Lado, con Stefania Casini; e film televisivi, come la serie Nell’ombra del Vesuvio con Carlo Giuffrè; Lo scialo con Eleonora Giorgi, fino alla recente fiction tv Il ricatto nei panni del comissario Fedeli.

Rivera

All’età di undici anni Chita Rivera incomincia a studiare danza presso l’American School of Ballet. Quando debutta sui palcoscenici di Broadway è un anonimo elemento della chorus line di Call Me Madam (1952) e dei numeri di danza di Bulli e pupe (1953) e di Can-Can (1954). Il primo successo personale arriva con The Shoestring Revue (1955), confermato dalla notevole prova di Seventh Heaven (1955) e dalla sostituzione di Eartha Kitt in Shinbone Alley (1957). Assurge al ruolo di star come interprete di Anita in West Side Story (1957), sia nella produzione originale americana sia in quella londinese (1958).

Nel 1960 conosce il trionfo di Bye Bye Birdie a Broadway, replicato l’anno seguente nell’allestimento inglese; curiosamente questo musical ha un sequel nel 1981, Bring Back Birdie, in cui Rivera ha per compagno di scena Donald O’Connor. Continua a essere attiva in televisione in programmi di varietà dal 1956 e in teatro in musical di successo come Bajour (1964) e Chicago (1975), dove Bob Fosse la affianca da coprotagonista a Gwen Verdon, o come The Rink (1984) nel quale è la partner di Liza Minnelli. In anni più recenti è la star femminile di Kiss of the Spider Woman (1994), versione musicale ispirata più al film omonimo di Babenco che all’originale letterario di Puig.

Baker

Sembra che dalla sua più tenera infanzia Joséphine Baker intrattenesse cantando, ballando e facendo il pagliaccio i suoi fratellini e gli amichetti, possibilmente facendo loro pagare un simulacro di biglietto. Fatto sta che questo gioco si rivelò per la giovane mulatta una seria ispirazione e a quindici anni Joséphine si presentò per un provino a Noble Sissle e Eubie Blake autori di quella rivista `all negro’ Shuffle Along (1921) che doveva restare nelle memorie di Broadway come il più grande spettacolo di varietà messo in scena da gente di colore. La prima audizione fu negativa: Sissle e Blake e i due produttori rifiutarono la ragazzina che però, – quando Shuffle Along all’inizio di un gigantesco successo partorì una seconda troupe che percorreva la provincia meno importante – riuscì a entrare come aiuto sarta in questa seconda troupe e, consigliata da un’amica, imparò tutti i numeri e tutte le canzoni in vista di una sostituzione. Così avvenne.

Abbastanza in fretta Joséphine si fece notare fino al punto che Sissle si dedicò seriamente a insegnarle il mestiere. Nel 1924 il gruppo di Shuffle Along si divise in due: i produttori crearono un nuovo spettacolo, Running Wild , che lanciò il charleston; Sissle e Blake crearono The Chocolate Dandies e B. era una delle vedettes. Lo spettacolo risultò troppo sofisticato per il palato dei critici bianchi e non ebbe lo stesso successo del precedente Shuffle Along . Ed è così che nel 1925 troviamo la B. nel corpo di ballo del Plantation Club (un succedaneo, sempre nero, del Cotton Club) con la possibilità di un piccolo assolo all’ombra delle grandi Florence Mills e Ethel Waters ed è qui che viene scritturata per fare parte di un gruppo di colore che si esibirà a Parigi nell’autunno di quell’anno, al Théâtre des Champs-Élysées, in quello spettacolo che diventerà fondamentale per la cultura francese negli anni Venti: La Revie Nègre .

Joséphine conquista il pubblico con le sue orrende smorfie, il suo corpo di miele scuro che esibisce generosamente e la sua straordinaria vitalità di interprete. Negli anni seguenti, sempre a Parigi, inventa quel suo famoso costume composto di orecchini collana e braccialetti in pietre barbare e un gonnellino di più che allusive banane: resterà la sua immagine più famosa. Diventa la `vedette negra’ (lei che è una mezzo sangue) delle Folies Bergère, impara a cantare davvero, arriva al Casino de Paris come attrazione principale e finalmente, nel 1930, crea quella canzone “J’ai deux amours” che resterà per sempre collegata alla sua immagine. Compie infinite tournée e, nel ’35, è addirittura a New York partecipando alle Ziegfeld Follies di quell’anno. Durante la Seconda guerra mondiale si arruola (è ormai da tempo cittadina francese) nelle truppe ausiliarie e verrà più volte decorata per meriti di guerra. Tenta una comunità interrazziale modello, adottando dodici orfani di nazioni e continenti diversi; per mantenerla tornerà in spettacolo per qualche memorabile rivista all’Olympia e a Bobigny, sempre circondata dalla stima e dall’amore del pubblico che la onorerà per un’ultima volta il 15 aprile del 1975 in occasione del suo clamoroso funerale di stato.

Verdon

Figlia di un elettricista e di una direttrice scolastica, Gwen Verdon dopo gli studi di danza con E. Belcher e alcuni ruoli del tutto marginali sul palcoscenico, ottiene la prima scrittura dagli studi di Hollywood per doppiare il sonoro del tip-tap dei film musicali e per fare la controfigura della protagonista durante le prove dei numeri danzati. Compare come anonima ballerina nei film Divertiamoci stanotte (1951), Aspettami stasera (1951) e La vedova allegra (1952) e come attrice in Davide e Betsabea (1951) e L’avventuriero della Louisiana (1953). L’occasione di mettere in mostra appieno le sue doti le viene offerta a Broadway con il musical Can-Can dove riveste un ruolo di secondo piano (1953). Le è sufficiente un numero (la `danza degli Apaches’) per offuscare la star dello spettacolo ed entrare di prepotenza nella leggenda della 42ª Strada. Nel frattempo, sul set di Baciami, Kate! (1953), conosce B. Fosse che è alle sue prime prove come coreografo e ne diventa la terza moglie. Il marito la dirige in teatro in Damn Yenkees (1955), in New Girl in Town (1957) e in Redhead (1959), ma sono i successi creati dalla coppia con Sweet Charity (1966) e Chicago (1975) ad assegnarle un posto perenne nell’olimpo del musical. È protagonista anche della versione cinematografica di Damn Yenkees nel 1958 e splendida caratterista in Cocoon-Il ritorno (1988). Il matrimonio dura una decina d’anni, ma anche dopo il divorzio il sodalizio artistico tra i due continua. B. Fosse le rende esplicito omaggio nel film autobiografico All That Jazz (1979).

Jolson

Figlio di un rabbino, Al Jolson ha sette anni quando segue la famiglia emigrata negli Usa. Inizia a cantare nelle sinagoghe di Washington ancora ragazzino: è questa la prima palestra per la sua voce acuta e avvolgente. A Washington debutta anche su una vera ribalta, quella di un vaudeville di terz’ordine, e ottiene una scrittura a New York in Children of the Ghetto (1899) di Zangwill. Dopo l’esperienza del trio formato nel 1901 con il fratello Harry e con il comedian Joe Palmer, viene scritturato da Lew Dockstader per i suoi Minstrel shows (1909), incominciando così ad apparire in pubblico con quel volto truccato da nero dalle grosse labbra destinato a renderlo leggendario. Diventa ben presto star di prima grandezza del vaudeville e della commedia musicale con successi come La Belle Paree (1911), Vera Violetta (1911), Whirl of Society (1912), The Honeymoon Express (1913), Robinson Crusoe jr. (1916), Bombo (1921) e Big Boy (1925), ottenuti spesso lavorando per Lee Schubert al New York Winter Garden.

Quando la Warner lo scrittura per la prima pellicola della storia del cinema parzialmente sonorizzata con dialoghi e canzoni, Il cantante di jazz (1927), è uno dei più acclamati nomi di Broadway, con un teatro a lui intitolato. In seguito al trionfo del film incide su disco alcune canzoni tratte dalla colonna sonora come “Toot, Toot, Tootsie! (Goo’ Bye)”, “My Mammy” e “Blue Skies”, di cui vengono vendute milioni di copie in tutto il mondo. Il successo cinematografico viene replicato pochi mesi dopo con Il cantante pazzo (1928), film che lancia il brano evergreen “Sonny Boy”. Prosegue la carriera cinematografica fino al 1945 interpretando altri undici film musicali – due dei quali, Big Boy (1930) e Wonder Bar (1934), tratti da suoi precedenti lavori teatrali – fino a interpretare se stesso in Rhapsody in Blue (1945). Mentre è ancora in attività, Hollywood gli rende omaggio con due pellicole biografiche, Al Jolson (1946) e Non c’è passione più grande (1949), in cui la sua voce viene usata per doppiare nei numeri musicali l’attore Larry Parks che interpreta il suo personaggio.

Negli ultimi anni ’40 è ospite fisso della Nbc nel programma Kraft Music Hall. Durante il suo show radiofonico settimanale si esibisce con molte star della canzone e dello spettacolo che a loro volta lo invitano alle rispettive trasmissioni. Di tali reciproche ospitalità rimangono memorabili registrazioni, tra cui gli straordinari duetti con Bing Crosby. Nella sua vita colleziona quattro matrimoni: nel 1906 con Henrietta Keller, nel 1922 con Alma Osborne, nel 1928 con Ruby Keeler e nel 1947 con Erle Cheannault Galbraith. Alla sua morte le strade di Broadway in segno di lutto spengono metà delle luci e bloccano il traffico. Passa alla storia dello spettacolo con l’appellativo di ‘The World’s Greatest Entertainer’.

Otero

Figlia di madre gitana andalusa e di padre greco – un commerciante morto in un duello con l’amante della moglie – Carolina Otero vive un’infanzia dura, che la porta a fuggire di casa prima di essere segregata in un collegio. Quattordicenne, durante una nuova fuga, si esibisce in uno squallido café chantant di Lisbona iniziando una carriera che entrerà nella leggenda. Interpreta danze spagnole e canzoni popolari che mandano in delirio gli spettatori di sesso maschile nei teatri di varietà d’Europa e d’America. Dotata di discrete doti vocali e di un conturbante sex-appeal è dapprima chanteuse leggera, quindi anche cantante lirica in Carmen , Cavalleria rusticana e Tosca. Le sue scandalose vicende biografiche e artistiche riempiono le cronache della Belle Epoque come un romanzo: è nel mito il suo duello a petto scoperto con l’attrice inglese Valton, che finisce ferita al seno. Ammiratissima e ricercatissima, porta ininterrottamente in giro per il mondo i suoi spettacoli, incantando col suo fascino plebei e nobili. Le vengono attribuiti per amanti Guglielmo II di Prussia, Edoardo De Filippo VII d’Inghilterra, Nicola II di Russia, Nicola I di Montenegro, D’Annunzio e il finanziere Vanderbilt. Accumula immense fortune che sperpera ai tavoli da gioco, e solo grazie a un vitalizio ereditato da uno spasimante può vivere gli anni della vecchiaia in condizioni decorose. Poco è storicamente decifrabile tra i veri eventi della sua vita e l’alone di leggenda che aleggia intorno alla sua figura, ma il suo fulgore nel café chantant è assoluto. È la regina incontrastata dei più importanti teatri a cavallo del secolo a Parigi, Vienna, Berlino, Mosca, Pietroburgo, New York; in Italia è per due volte, nel 1896 e nel 1901, al Salone Margherita di Roma e all’Eden di Milano. Seguendo la sua lezione, sciantose e soubrette del nostro palcoscenico imparano ad attribuirsi nomi esotici, lignaggi misteriosi e stragi di amanti di sangue blu.

Martin

Virginia Mary Martin è stata tra le più grandi interpreti presenti a Broadway negli ultimi decenni e, insieme a Ethel Merman, la star più amata dagli spettatori newyorkesi. Pur essendo conosciutta soprattutto perché cantante, nasce come ballerina e maestra di danza: l’avere una piccola scuola a Hollywood le permetteva di presentarsi a tutti i possibili provini cinematografici. Finalmente, nel 1938, riesce a debuttare a Broadway nel musical di Cole Porter Leave It To Me e ferma lo show con la sua interpretazione di My Heart Belongs to Daddy (in quello stesso numero è presente anche Gene Kelly agli inizi); viene così scritturata dalla Paramount per quattro anni durante i quali gira dieci film, per rendersi conto che, nonostante il suo talento, il cinema non fa per lei. Nel 1943 è di nuovo a Broadway con One Touch of Venus di Weill e Nash, scritto per la Dietrich, ed ha un bel successo e 567 repliche. Lo spettacolo seguente, Lute Song (4 marzo 1946) ha solo 142 repliche a Broadway. Anche un intervento a Londra, per Pacific 1860 di Noel Coward si rivela un’esperienza insoddisfacente, mentre ha invece un esito fantastico la compagnia di giro di Annie Get Your Gun , di cui la Martin è la star: più di un anno e mezzo di repliche, dal 1947 al ’48. Nel 1949, la Martin trionfa a Broadway in South Pacific di Rodgers e Nammerstein: 1.952 repliche, più altre 802 a Londra (a partire dal 1951). Non è un successo invece (152 repliche) Peter Pan nonostante la regia e le invenzioni coreografiche di Jerome Robbins. Un altro trionfo, invece, è, il 16 novembre 1959, The Sound of Music , ancora Rodgers e Hermmerstein, che totalizza 1.443 repliche nonché le critiche più negative e quelle più entusiaste di quegli anni. Nel 1963 ha il suo unico vero insuccesso: Hello Dolly! nel 1965, i cinque mesi che lo show trascorre a Londra sono un personale trionfo dell’attrice. La Martin appare per l’ultima volta in un musical nel 1966: I Do! Do! con Robert Preston ottiene un bel successo e 560 repliche; è il primo musical a due soli personaggi. Durante gli anni ’70, la Martin partecipa a spettacoli di prosa, fa televisione, appare in un memoriale spettacolo di beneficenza a Broadway con Ethel Merman (1977) e infine compie una lunga tournée nel 1986 insieme a Carol Channing.

Maldacea

Il nome di Nicola Maldacea è legato al genere fortunato della ‘macchietta’, di cui fu inventore e massimo interprete dall’ultimo decennio del secolo scorso fino a tutti gli anni ’20. La macchietta è una canzone comica scritta in ottonari o endecasillabi, dove la rima gioca un ruolo fondamentale nel suggerire e smentire doppi sensi a volte volgari, a volte satirici, a volte comici. Ogni macchietta ha un suo sviluppo drammaturgico articolato, pur essendo centrata su un unico personaggio o carattere, oggetto di satira o semplice sfottò. Da notare che nell’immenso repertorio di macchiette sorto a partire dal successo di M. se ne conta una sola di carattere drammatico (Totonno `e quagliarella di Capurro e Bongiovanni per Viviani, storia di un ubriaco filosofo sconfitto dalla vita), per altro poco frequentata. Maldacea, a partire dal 1890, quando sperimentò il suo nuovo genere al Salone Margherita di Napoli, ebbe un successo a dir poco clamoroso per l’epoca: fu il vero trascinatore (a Napoli, a Roma ma anche più a Nord) del fulmineo sviluppo della moda del café-chantant. Ricevere uno sberleffo in versi da Maldacea era considerato il massimo onore ottenibile in società: in platea, durante i suoi spettacoli, era norma scommettere sul bersaglio reale di questa o quella macchietta.

All’apice del successo, Maldacea, che recitasse in abiti maschili o femminili, riuscì a sbeffeggiare anche i rappresentanti del clero e dell’esercito: una sua macchietta dedicata a un ufficiale della Cavalleria che non aveva saputo approfittare della disponibilità della moglie del proprio capitano (Il tenentino di Carlo Veneziani) fu in un primo momento censurata, ma subito dopo riammessa sulle scene per intervento diretto del conte di Torino che si recò di persona al Salone Margherita per verificare la situazione. Scrissero per M. alcuni tra i massimi poeti dell’epoca, da Rocco Galdieri a Ferdinando Russo, da Salvatore Di Giacomo a Trilussa, non tutti firmando i testi con il proprio nome ma tutti ottenendo lauti guadagni dalla collaborazione. Anche Maldacea si arricchì molto negli anni del successo, ma a partire dagli anni ’30 la sua fama scemò fino a scomparire del tutto: morì poverissimo, dopo aver cercato, senza fortuna, di ottenere qualche scrittura teatrale. Il cinema, invece, gli diede solo l’opportunità di qualche comparsata o ruolo minore, il più importante dei quali fu nel Feroce Saladino, film di enorme successo popolare girato nel 1937 da Mario Bonnard con Angelo Musco. Maldacea, infine, ha lasciato una lunga autobiografia godibilmente avventurosa ma sostanzialmente falsa, come tutte le autobiografie dei grandi attori.

Chevalier

Appassionato del varietà francese di fine secolo, Maurice Chevalier comincia a dodici anni ad esibirsi in un piccolo caffè concerto di Menilmontant, il Concert du Commerce, e lì canta le canzoni di Carlos o del grande Dranem; con questo repertorio gira i piccoli caffè concerto di Parigi e poi ottiene i primi contratti in provincia. Nel 1904 accede al Parisiane, un vero music hall, a Parigi; subito dopo una lunga tournée a Marsiglia e nel sud della Francia dalla quale torna con la sua immagine ormai stabilita: cravattino a farfalla, impeccabile dinner jacket e quel canotier impensabile su un abito da sera. Ha scoperto anche come supplire alle manchevolezze della sua voce `recitando’ il più possibile le canzoni e interpretandole, come dice lui stesso nella sua sterminata biografia (Ma route et mes chansons , 6 volumi tra il 1946 e il ’54, dieci volumi nella riedizione del ’72) «in un miscuglio di sport, di danza e di commedia». Negli anni che vanno fino al 1909 il suo successo cresce mentre si impone all’Eldorado, al Moulin Rouge, alle Folies Bergère finché incontra Mistinguett (1909) e forma con lei una celebre coppia nella vita come in scena, che dura diversi anni. Sembra che Mistinguett abbia avuto sul più giovane Maurice Chevalier una grande utilissima influenza. Il servizio militare nella guerra 1914-18, lo vede decorato, ferito e brevemente prigioniero in Germania dove si dice, avrebbe imparato l’inglese da un altro prigioniero di guerra. Fatto sta che nel 1916 torna in teatro a Parigi e poi debutta a Londra, al Palace.

Riviste e operette si alternano nella carriera di Maurice Chevalier insieme alle prime, non significative, esperienze cinematografiche. Le sue canzoni, “Valentine”, “Ma pomme”, “Prosper”, “Paris je t’aime” sono popolari ovunque e sono un successo tutte le sere al Casino de Paris, dove, nella primavera del ’28, capitano Irving Thalberg con la moglie Norma Shearer e propongono a Maurice Chevalier un provino. Questo provino sarà visto da Jesse Lasky (Paramount) che offre al cantante un sontuoso contratto cinematografico. Così comincia, alla fine del ’28, la straordinaria carriera cinematografica di Maurice Chevalier: accanto a Claudette Colbert o a Jeannette MacDonald, diretto da Rouben Mamoulian e da Ernst Lubitsch, è interprete di capolavori del genere musicale come Love Me Tonight (1932) e The Merry Widow (1934). Nel ’35 rompe il contratto con Hollywood e rientra a Parigi riprendendo la sua brillantissima carriera teatrale. Durante l’occupazione nazista ha dei grossi problemi per via di un’amica ebrea e subito dopo la liberazione viene accusato di collaborazionismo, ma poi riconosciuto innocente. Nel 1945 realizza il suo sogno: un grande `one man show’ fatto di canzoni e aneddoti che porterà in giro per il mondo (anche in Usa) e tre volte a Parigi in anni diversi, con grande successo. Nel 1947 trionfa nel film di Réné Clair Le silence est d’or.

Dieci anni dopo torna a Hollywood per Love in the Afternoon/Arianna, con Audrey Hepburn e Gary Cooper per la regia di Billy Wilder (1957); l’anno seguente ha un altro personale trionfo in Gigi , con Leslie Caron e Louis Jourdan, diretto da Vincente Minnelli; nel 1960, insieme a Frank Sinatra, Shirley MacLaine, Louis Jourdan è interprete di Can-Can , per la regia di Walter Lang; quello stesso anno sarà la voce narrante e in qualche modo il presentatore di un film che riunisce quattro balletti di e con Roland Petit: Croqueuse de diamants e Carmen con Zizi Jeanmaire, Cyrano de Bergerac , con Moira Shearer e infine Deuil en 24 heures , protagonista Cyd Charisse. Altri nove film, tra produzioni americane ed europee lo separano dal suo ultimo impegno cinematografico: la canzone dei titoli di testa per Gli aristogatti (1970). Ha registrato miriadi di dischi, anche se oggi è più facile trovare le colonne sonore dei suoi musical americani che una raccolta completa delle sue canzoni.

Scarano

Figlia d’arte, all’età di nove anni Tecla Scarano debutta sulle scene a Palermo, nella parodia di una stravagante francese. L’anno successivo inizia la carriera professionale con uno spettacolo di varietà, allo Jovinelli di Roma. Le sue doti canore le consentono di proporsi nel numero di una canzonettista prodigio. Comincia a lavorare in proprio come sciantosa nei caffè-concerto e nei teatri di Napoli. La sua presenza, la sua fragrante bellezza e il suo charme la impongono ben presto all’attenzione del pubblico. La Scarano rivela il suo temperamento drammatico in Pupatella di Bovio e il successo ottenuto la porta a investire il suo talento artistico nella prosa. Entrata a far parte della compagnia dialettale di Raffaele Viviani, conquista rapidamente il ruolo di primadonna. La prima interpretazione drammatica con Viviani è del 1917 con Donna Nunziata `a cagnacavalle, a cui seguirono Tuledo `e notte e Bammenella `e coppa `e quartiere. Nel primo dopoguerra apparve in qualche film (La cantante napoletana; La regina della canzone) e tornò al canto, incidendo dischi di grande successo. Dopo una nuova, trionfale tournée nel 1930, con la compagnia che l’aveva lanciata, conobbe il maestro Langella che diventerà più tardi suo marito. Per lo Stabile del teatro Nuovo di Napoli, interpreta riviste di Galdieri, Guido di Napoli, Nelli- Mangini. Nel secondo dopoguerra lavora saltuariamente in spettacoli leggeri di varietà.

Vanoni

Diplomatasi nel 1956 alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, Ornella Vanoni debutta lo stesso anno interpretando Nené in Questa sera si recita a soggetto diretta da Strehler (protagonisti T. Carraro, M. Moretti, V. Fortunato). Nella stessa stagione partecipa alla messa in scena dei Giacobini di F. Zardi in cui canta nei due intermezzi le ballate “Les rois s’en vont” e La Seine est rouge” dell’epoca della rivoluzione francese (le musiche sono arrangiate da G. Negri). È il preludio al recital Canzoni della malavita che debutta al Teatro del Popolo della Società Umanitaria nel 1959, sempre con la regia di Strehler (in estate approderà al festival di Spoleto). Seguono L’Idiota di Achard con P. Ferrari (1961) e il musical La fidanzata del bersagliere (1962). Nel 1961 entra nel giro dei cantautori genovesi, incontra G. Paoli, con cui avrà una lunga relazione, e incide il suo primo album omonimo.

Diventa popolarissima nel 1962 con la canzone “Senza fine” scritta per lei da G. Paoli (per tre mesi prima nella hit-parade) e viene chiamata da Garinei e Giovannini per Rugantino (in cui interpreta il ruolo di Rosetta accanto a N. Manfredi, B. Valori e A. Fabrizi) che viene replicato dal 1962 al 1965 e le permette di essere la prima attrice italiana a calcare le scene di Broadway. Da questo momento in poi la sua carriera sarà quasi esclusivamente musicale, ma manterrà un profondo legame con il primo amore, tanto che sarà la prima interprete a fare le tournée nelle sale teatrali. Nel 1975 è nella commedia musicale Amori miei di I. Fiastri, mentre nel 1985, dopo una lunga parentesi, affianca G. Albertazzi nella Commedia d’amore ; l’attore toscano la dirigerà nel monologo Lettera a una figlia di A. Wesker, nel 1993.