San Francisco Ballet

Nata con il nome San Francisco Opera Ballet nel 1933, San Francisco Ballet si esibisce inizialmente nei balli d’opera e in lavori di Adolph Bolm. Si succedono poi alla sua guida Serge Oukrainsky (1937), il primo ballerino William Christensen (1938), che allestisce Coppelia, Il lago dei cigni, Schiaccianoci, e suo fratello Lew Christensen (1951), che stabilisce una stretta collaborazione con il New York City Ballet. Lo affianca fino al 1948 Michael Smuin che dalla stagione seguente è direttore unico, seguito poi da Helgi Tomasson (1985). Il repertorio del gruppo comprende, oltre alle coreografie di Christensen e Smuin, titoli di Balanchine e Butler, classici come La Sylphide e Il lago dei cigni, lavori di Tomasson, come Criss-Cross e Pandora’s Dance e brani come El Grito di Lila York, Sergeant Early’s Dream di Christopher Bruce, The Lesson di Flindt, Ciao Marcello di Val Caniparoli, su musica di Nino Rota, Othello di Lubovitch, Glass Pieces di Robbins, Drink to me only di Morris, The Dance House di David Bintley.

Taormina,

Dal 1983, nel periodo estivo, si svolge il festival di Taormina, rassegna articolata nelle quattro sezioni di teatro, musica, balletto e cinema. Accanto a iniziative collaterali quali mostre, convegni, retrospettive, seminari (la più importante è il premio Europa per il Teatro), sono state create alcune nuove sezioni artistiche, che hanno permesso che il f. si proponesse come produttore di spettacoli, realizzando inoltre scambi e collaborazioni con altri organismi nazionali ed esteri. Per alcune manifestazioni la sezione Taormina Teatro è stata dedicata a Shakespeare, celebrato con tavole rotonde e allestimenti: negli anni si sono susseguite messe in scena come Otello interpretato da Enrico Maria Salerno, Il mio regno per un cavallo , da Riccardo II e III , interpretato da Flavio Bucci, Paola Borboni è Lear, nell’interpretazione dell’attrice, Amleto, Macbeth, Riccardo III, diretti e interpretati da G. Lavia, G. Mauri in La dodicesima notte e Sogno di una notte di mezza estate , testo ripreso nel 1990 nello spettacolo di J. Savary.

Nello stesso anno figura una rassegna di italiani contemporanei, da Maria dell’Angelo di Maricla Boggio a Testamento di sangue di Dario Bellezza, da Atlantico di E. Siciliano a Agonia di Luisa di R. Wilcock. Nel 1991 la vetrina del festival offre contemporaneamente Sei personaggi in cerca d’autore , per la regia di Zeffirelli, il debutto degli spettacoli di Giorgio Barberio Corsetti (Il giardino delle delizie) e di Leo de Berardinis (L’impero della ghisa) , infine Pasqua di A. Strindberg. L’anno seguente si presenta con un cartellone virato al femminile, dove, accanto ad allestimenti come Signorina Julie, interpretato da Monica Guerritore, e La bisbetica domata , con M. Melato, si annoverano le prove di V. Moriconi in Don Sand e Don Juan di E. Groppali, e di Marina Malfatti in coppia con Ivana Monti in Corpo d’altri di Manfridi: entrambi gli spettacoli scritture prime per la scena. Unico mattatore Albertazzi con Lear . Il 1997, infine, prevedeva un appuntamento inconsueto: Pavese coi Dialoghi con Leucò, diretti da Chérif, con le scene di A. Pomodoro; seguivano due novità messinesi quali Bar , spettacolo interpretato da Spiro Scimone e Francesco Sframeli e Ventitré e venti di A.R. Ciccone, per la regia di Carlo Quartucci, interpretato da Nino Frassica e Maurizio Marchetti.

Houston Ballet

Houston Ballet nasce dal seno della Ballet Academy di Houston, finanziata dalla Houston Ballet Foundation e diretta da Tatiana Semenova (1955). Nel 1967 Nina Popova allestisce Giselle , riscuotendo tanto successo che la Fondazione appoggia la creazione di una nuova compagnia, sotto la direzione della stessa Popova. Il gruppo debutta nel 1968 con il nome di Houston Ballet, ampliando poi il corpo di ballo e il repertorio con titoli di Balanchine, Dolin, Lichine, Frederic Franklin, John Taras, Ronald Hynd e James Clouser, coreografo stabile dal 1974 e direttore artistico fino al 1976, quando gli è succeduto Ben Stevenson.

Canada National Ballet

La compagnia Canada National Ballet viene fondata nel 1971 da Celia Franca, che la dirige fino al 1974 e ne impianta il repertorio classico di base, con l’apporto di Kay Ambrose. Il gruppo, di riconosciuta qualità artistica, si consolida poi sul modello delle grandi compagnie inglesi, valendosi del contributo dei più importanti coreografi di scuola britannica; ha in repertorio, infatti, titoli di Ashton, Tudor, Ninette de Valois, Cranko, MacMillan, Wright. Propone anche balletti di Balanchine e di coreografi europei di primo piano (Petit, Flindt, Neumeier). Si sono succeduti alla sua guida Alexander Grant (1976-83), Erik Bruhn (1983-86), Glen Tetley come consulente artistico (1987), Reid Anderson (1989), James Kudelka, coreografo residente e innovatore del repertorio, con commissioni rivolte ai giovani coreografi canadesi (1996). La compagnia si è segnalata all’attenzione internazionale quando R. Nureyev vi ha allestito e danzato la sua Bella addormentata (1972), in coppia con l’étoile canadese Karen Kain. Rappresenta istituzionalmente la cultura ballettistica dell’area anglofona del Paese.

Birmingham Royal Ballet

La nascita del gruppo del Birmingham Royal Ballet risale al 1946, quando Ninette de Valois, dopo il trasferimento al Covent Garden del Sadler’s Wells Ballet, ne ha fondato uno più piccolo (Sadler’s Wells Theatre Ballet) sotto la direzione di Peggy Van Praagh: coreografa stabile Andrée Howard. Nata per dare spazio alle creazioni, la compagnia ha presentato, fra gli altri, novità di Cranko, Ashton, Rodrigues e della stessa Howard. Anche la freschezza e l’entusiasmo dei giovani artisti (fra i quali Nadia Nerina, Anne Heaton, Svetlana Beriosova, Marion Lane e David Blair) ha attirato il pubblico del Sadler’s Wells. Tra il 1957 e il 1977, il Birmingham Royal Ballet è diventato Royal Ballet Touring Company ed è stato invitato più volte in Italia, al festival di Spoleto e di Nervi in particolare. Quindi, aumentato di numero, ha dato spettacoli per un paio di volte all’anno a Londra, continuando a fare tournée in Inghilterra e all’estero. Kenneth MacMillan ha creato numerosi balletti per la compagnia e Ashton ha allestito Le Deux Pigeon quando Lynn Seymour e Christopher Gable facevano parte del complesso mentre sotto la direzione di Field e poi di Wright, il Birmingham Royal Ballet ha acquisito un vasto e vario repertorio. Nel 1995, David Bintley, già incoraggiato da Wright come coreografo, è diventato direttore artistico del gruppo, dividendo il repertorio tra classici e creazioni di Bintley, Balanchine, Ashton, MacMillan e altri. Nel 1997 la compagnia si è staccata dal Covent Garden dal punto di vista amministrativo, pur mantenendo con esso un legame artistico.

Caracas

Il Ballet Internacional de Caracas, fondato nel 1975 a Caracas dalla prima ballerina dell’American Ballet Theatre Zhandra Rodriguez e dal coreografo Vincente Nebrada, nominato suo direttore artistico, e composta per lo più da membri del disciolto Harkness Ballet ha inizialmente presentato molti lavori dello stesso Nebrada pronti ad evidenziare il virtuosismo atletico dei suoi ballerini ( Percussions for six , Gemini ). Scioltasi dopo una decina di anni, la formazione ha dato sua volta origine al Ballet Nuevo Mundo diretto dalla Rodriguez, con un repertorio di autori moderni, come Ailey, Balanchine, Hans van Manen ( Five Tangos ), Elisa Monte, Judith Jamison, Ulysses Dove, e per il temperamento latino degli interpreti.

Colón

Creata come compagnia stabile dell’omonimo teatro lirico di Buenos Aires nel 1925, Balletto del teatro Colón ha come suo primo direttore Adolph Bolm e come prime ballerine Ruth Page e Ana Ludmila, affiancate da un buon numero di artisti argentini che fin dagli anni ’30 iniziano a imporsi anche nei ruoli principali (Dora Del Grande, Leticia de la Vega, Lida Martinolli, Beatrice e Victor Ferrari). Fin dai primi anni presenta un ampio repertorio tradizionale, basato sui grandi classici dell’Ottocento e sui maggiori autori del balletto moderno (Balanchine, B. Nijinskij, Fokine, Massine, Nureyev, Tudor, MacMillan, Cranko), cui affianca opere di autori argentini, da Costantino Gaito (La flor de Irupe , 1929) a Oscar Araiz. Composta attualmente da ottantanove ballerini, per lo più provenienti dalla sezione danza dell’Istituto superiore delle arti di Buenos Aires (che dal 1959 forma la maggior parte degli artisti argentini), è diretta dal 1998 dal ballerino Ricardo Bustamante.

Ballet Caravan

Ballet Caravan fu fondata nel 1936 da L. Kirstein per offrire un terreno d’esperimento a giovani coreografi americani, tra i quali i promettenti Dollar, Christensen, Hawkins e Loring. Proprio quest’ultimo seppe creare un balletto di stile totalmente nuovo e di grande successo, Billy the Kid (1938, musica di A. Copland). Assunto nel 1938 il nome di American Ballet Caravan, nel 1941 si associò all’American Ballet per una tournée in Sudamerica. Fu questo il suo ultimo ciclo di rappresentazioni; ritornata negli Usa, la troupe infatti si smembrò.

Tokyo Ballet

La compagnia Tokyo Ballet (già Cajkovskij Memorial Ballet) nasce dalla prima scuola di danza accademica, il Tokyo Ballet Gakko, fondata nel 1960 da Koichi Hayashi. Nel 1964 scuola e compagnia vengono riorganizzate da Tadatsugu Sasaki, che insiste su insegnanti e metodi didattici russi ma apre anche al contemporaneo, imprimendo alla formazione un taglio internazionale. All’inizio del nuovo corso troviamo ancora Il lago dei cigni e la Giselle allestita nel 1966 da Ol’ga Tarasova, del Bol’šoj di Mosca. Due anni più tardi Maja Plissetskaja e Nikolaj Fadeecev appaiono come guest , inaugurando la stagione, mai chiusa, dell’ospitalità ai grandi ballerini occidentali: da Natalia Bessmertnova a Michail Lavrovskij, e da Alicia Alonso a Margot Fonteyn a Ghislaine Thesmar. Lo scambio oriente-occidente favorisce la maturazione artistica della compagnia. Nel 1969 il coreografo Michel Descombey crea Mandala (musica di Toshiro Mayuzumi) e Saracenia (musica di Bartók).

Nel 1972 il cubano Alberto Alonso riprende la sua Carmen , che fa serata in abbinamento con Salomè di Béjart. Subito dopo a Tokyo e Osaka viene varato un Festival internazionale del balletto. E la preistoria diventa storia. Nel repertorio del Tokyo Ballet entrano creazioni di Attilio Labis, Harald Lander, Félix Blaska, George Balanchine. Nel 1978, anno del quindicesimo compleanno della compagnia, Aleksej Varlamov trasforma in balletto (Princess Kaguya) un’antica leggenda nipponica. Le celebrazioni del ventennale corteggiano Maurice Béjart, che rimane abbagliato e definisce ‘insuperabili’ i ragazzi di Sasaki: nascono The Kabuki (1986), Bugaku (1988), M-Mishima (1993), mentre John Neumeier dedica ai giapponesi Seven Haiku of the Moon , i `sette haiku della luna’ che esaltano l’aforisma poetico dell’haiku. Crollati molti miti e sbiadita la fama dei paludati complessi statunitensi, il Tokyo Ballet si propone oggi come una delle più stimolanti realtà del panorama coreutico mondiale. Imbattibili e infaticabili emulatori, i danzatori giapponesi sono riusciti ad appropriarsi di una tecnica che la cultura europea e segnatamente franco-italiana aveva codificato a proprio uso e consumo; cioè per altre gambe, altre braccia, altra capacità introspettiva. Sono riusciti a vincere ogni ostacolo, anche fisiologico, per farsi depositari di una perfetta `danse d’école’ declinata in senso virtuosistico. Il fatto ha meritato ai singoli premi e riconoscimenti ambiti, come il Prix de Lausanne.

Tuttavia, quando ci siamo trovati davanti a quei ballerini alle prese con tutù di mussola e coroncine fiorite ci siamo domandati perché. Perché essere costretti a nascondere lo splendore degli occhi a mandorla e l’impatto delle linee concentrate e aguzze. Se infatti quelli del Tokyo Ballet hanno saputo sfidare ogni logica per impadronirsi della tecnica accademica, essi non hanno potuto, e non potranno mai, coglierne anche la poetica che la motiva e l’estetica che la regge. Così, ancora una volta, c’è voluto Béjart. Che ha abbracciato Tokyo, il Tokyo, le fedi, le filosofie, le culture. Ha colto i dualismi che lacerano le coscienze: l’anima poetica e l’anima guerriera, l’anima nostalgica e quella americanizzata; il sogno e la ferocia, la spiritualità estatica e la fisicità dirompente. Ai nuovi compagni di viaggio Maurice ha consegnato la violenza della ‘Russia pagana’ del Sacre, le principesse di Kurosawa e le cortigiane di Utamaro. La riconosciuta connotazione lessicale del Tokyo Ballet è oggi il classico-moderno.

Chicago Opera Ballet

La Chicago Opera Ballet nel dicembre 1955 ha preso il nome di Ruth Page Ballet, cambiando poi più volte denominazione nel corso degli anni, ma sempre sotto la direzione della Page, che vi ha allestito adattamenti di opere e operette come Camille, Il pipistrello e Carmen. Ha ospitato l’esordio americano di Rudolf Nureyev (1962) nel pas de deux di Don Chisciotte, con Sonia Arova. La compagnia si è sciolta nel 1970. La Page ha continuato, però, a occuparsi dei balli d’opera fino al 1979, quando è nato il Chicago City Ballet che, sotto la guida di Maria Tallchief, oltre a interpretare balletti del coreografo residente, Paul Mejia (Cenerentola, Romeo e Giulietta), ha continuato a danzare nelle opere. Anche questo gruppo si è sciolto nel 1987, per riorganizzarsi come Ballet Chicago l’anno dopo, sotto la guida di Daniel Duell, con un repertorio di brani di Balanchine, Martins e dello stesso Duell (Octet à tête, 1990).

Bol’šoj

Inaugurato nel 1870 come Teatro Petrovskij, poiché si affacciava sulla via Petrovka, il teatro Bol’šoj ospita spettacoli di opera, prosa e balletto. I primi danzatori sono soprattutto servi della gleba appartenenti a grandi famiglie moscovite. I primi maîtres de ballet sono italiani e francesi. Nel 1853 un nuovo incendio distrugge le parti interne del teatro che riapre nel 1856 risistemato dall’architetto di origine italiana C. Cavos. Alla fine del secolo scorso la compagnia di danza attraversa un periodo di decadenza. Ma con l’arrivo da Pietroburgo di Aleksandr A. Gorskij si avvia la rinascita artistica del balletto nel teatro moscovita. Il coreografo allestisce con grande successo nel 1900 una nuova versione del Don Chisciotte . Dal 1902, per ventidue anni, Gorskij realizza a Mosca la sua riforma ballettistica influenzata dal realismo di Stanislavskij e del Teatro d’Arte. Crea o riallestisce La figlia di Gudula, Salambo, Il lago dei cigni, Giselle, Il corsaro, La bayadèr. Le stelle del Bol’šoj di quel periodo sono M.M. Mordkin, V. Caralli, V.D. Tichomirov, E.V. Gel’cer. Gli anni immediatamente successivi alla rivoluzione di Ottobre sono un periodo di ricerca e di innovazione anche nella danza: Giuseppe il bello, di K. Golejzovskij ne è la massima espressione. Lo sperimentalismo tuttavia non coinvolge il principale teatro della città che dà il segnale del ritorno alla tradizione nel 1927, per il decennale della rivoluzione con Il papavero rosso, primo balletto sovietico di impianto classico (l’azione vede marinai russi correre in aiuto del proletariato di Shangai, ma il sonno della protagonista dà luogo all’immancabile `atto bianco’), coreografato da Tichomirov e con la Gel’cer protagonista.

Fra gli anni ’30 e ’50 la Russia vede svilupparsi il nuovo balletto sovietico contemporaneamente alla conservazione dei classici. Puškin e Shakespeare spesso forniscono validi soggetti: La fontana di Bachcisaraj, Romeo e Giulietta, che dopo le prime leningradesi vengono allestiti anche a Mosca che anche nella danza rivendica il ruolo di capitale e richiama le migliori forze. Così Galina Ulanova e Marina Semënova lasciano Leningrado e approdano a Mosca, dove saranno le stelle più applaudite sino agli anni ’60 che vedono sorgere gli astri di Maja Plissetskaja e di Jurij Fadeecev prima, e successivamente di una splendente `pleiade’ di cui fanno parte Ekaterina Maksimova, Vladimir Vasil’ev, Natalia Bessmertnova, Maris Liepa, Nina Timofeeva. Nel 1964 incomincia il lungo regno di Jurij Grigorovic come coreografo principale e direttore del balletto. Grigorovic porta da Leningrado Il fiore di pietra, La leggenda dell’amore, coreografa per Mosca Schiaccianoci (1966), Spartaco (1968), Ivan il Terribile (1975), Il secolo d’oro (1982), La bajadère (1991), Il corsaro (1994). Verso la fine degli anni ’80, diventa evidente il dissidio fra Grigorovic da una parte, Maja Plissetskajan e Vladimir Vasil’ev dall’altra. Accanto a quelli di Grigorovic vanno in scena spettacoli di scarso rilievo artistico se si escludono il Cyrano de Bergerac di Roland Petit (1988) e Il figliol prodigo di George Balanchine (1991), che mettono drammaticamente in evidenza l’incapacità dei danzatori ad affrontare stili classici diversi da quelli del coreografo principale. Nel 1995 Grigorovic viene dimesso dal teatro. Direttore di opera e balletto diventa Vladimir Vasil’ev, che nel 1996 mette in scena due contestate versioni di Il lago dei cigni e Giselle . Ulteriori polemiche nascono intorno alla figura di Vjaceslav Gordeev come direttore e coreografo che nel 1997 viene allontanato. Lo sostituisce per meno di un anno Aleksandr Bogatirev, al quale, con l’apertura della stagione 1998-99 succede Aleksej Fadeecev che per questo incarico abbandona l’attività di ballerino.

Scapino Ballet

Fondata nel 1945 ad Amsterdam con intenti didattici e divulgativi da Hans Snoeck, sotto la sua direzione (1945-70) e quella successiva di Armando Navarro (1970-86) la Scapino Ballet ha sviluppato un repertorio molto vario basato sulla tecnica classica (Coppelia, Lo schiaccianoci) e rivolto prevalentemente a un pubblico infantile e di età scolare. Con la direzione del coreografo Nils Christe (1986-93) ha gradualmente modificato il suo indirizzo artistico, mantenendo una linea popolare ma maggiormente concentrata sulla qualità della proposta coreografica, con balletti ‘narrativi’ di autori come lo stesso Christe (Pulcinella, 1988; Cenerentola, 1989); ma anche Jirí Kylián (Piccolo mondo) e Hans Van Manen (Septet extra, the sound of music ) e con un ampio spazio a giovani autori olandesi (Ed Wubbe, Jan Linkens, John Wisman). Diventata nel 1991 la compagnia ufficiale di Rotterdam, dal 1993 è diretta da Ed Wubbe, che ha arricchito il suo repertorio di lavori a serata come Kathleen (1994), Romeo & Julia (1995), Nico (1998), e programmi tematici come Serata Stravinskij (1996).

Stuttgart Ballet

Una delle più prestigiose compagnie di balletto del mondo, lo Stuttgart Ballet nella sua organizzazione attuale nasce dal nucleo di ballerini del Ballet del Württemberg State Theatre diretto da Nicholas Beriozoff dal 1958 al 1960 e ampliato dal coreografo John Cranko, che nel 1961 ne ha assunto la direzione. Sotto la guida di quest’ultimo subisce una radicale trasformazione sia nella qualità artistica dei ballerini – tra i quali brillano le nuove personalità di Marçia Haydèe, Richard Cragun, Egon Madsen, Birgit Keil, Heinz Clauss – che nel repertorio, completamente rinnovato grazie a nuovi allestimenti dei maggiori classici dell’Ottocento (Il lago dei cigni, Giselle), alla creazione di nuovi lavori a serata diventati ben presto dei `classici’ del balletto d’azione novecentesco, come Romeo e Giulietta, Onegin, La Bisbetica Domata, e a opere di altri autori neoclassici, quali Kenneth MacMillan (Las Hermanas; Song of the Earth) e George Balanchine (Allegro Brillante, La Valse, Apollo, Agon).

A questi dal 1970 si affiancano i laboratori coreografici della Noverre Society e la Scuola di Ballo. Alla morte di Cranko (1973), dopo una breve direzione di Glen Tetley (1974-76), è nominata direttrice artistica della compagnia la Haydèe. Nei venti anni della sua direzione la ballerina garantisce una continuità all’indirizzo artistico impresso da Cranko, del quale mantiene intatto il repertorio, insieme proseguendo nella individuazione di nuovi talenti coreografici, tra i quali William Forsythe, Uwe Scholz e Renato Zanella; propone inoltre nuovi balletti di John Neumeier (La dama delle camelie, Un tram chiamato desiderio, Medea), Maurice Béjart (Leda e il Cigno, Le sedie, Il flauto magico), Hans Van Manen (5 Tangos), cui si affiancano le sue discusse riletture di La bella addormentata e Giselle . Al suo ritiro, le è subentrato nel 1996 Reid Anderson, che prosegue sulle linee artistiche originarie della compagnia, consolidandone da un lato la base accademica con la reintroduzione delle versioni originali di alcuni titoli dell’Ottocento e Novecento storico, dall’altro proponendo nuovi autori di linguaggio neoclassico (Mauro Bigonzetti, Gerard Grand maître, David Bintley), pur mantendo centrale l’opera di Cranko, al quale ha dedicato anche un vero e proprio festival monografico (1997).

Sosta Palmizi

Nata nel 1984 dagli ex danzatori del Teatro e Danza La Fenice di Carolyn Carlson – Michele Abbondanza, Francesca Bertolli, Roberto Castello, Roberto Cocconi, Raffaella Giordano e Giorgio Rossi – si impone all’attenzione della critica con il suo primo lavoro collettivo Il Cortile su musica di Arturo Annecchino (Premio UBU 1985), cui fa seguito Tufo (1987). Contemporaneamente propone lavori individuali: nel 1986 i soli Porto franco di Francesca Bertolli e Puer cum puellula di Michele Abbondanza, seguiti nel 1987 da Ssst… di Raffaella Giordano e Dai colli di Giorgio Rossi e nel 1988 da Morgana di Roberto Cocconi e La danza della rabbia di Roberto Castello. Ultima opera collettiva, Perduti una notte di Castello-Giordano-Rossi (1989) segna la conclusione della prima fase creativa della compagnia. Scioltasi la formazione originaria, Sosta Palmizi diventa, nel 1990, Centro di produzione coreografica e nel 1994 Associazione culturale sotto la cui sigla agiscono Raffaella Giordano e Giorgio Rossi.

Spoleto,

Nel 1958 Giancarlo Menotti diede vita a ciò che per molto tempo gli stava a cuore ed era stato un suo sogno: l’istituzione di un festival che prese subito il titolo Festival dei Due Mondi di Spoleto. Lo scopo principale del festival, delineato subito nelle sue grandi linee, è stato di far conoscere ed eventualmente di lanciare i talenti teatrali giovani nelle arti dello spettacolo. Ad aprire il festival quell’anno (giugno 1958) fu chiamato Luchino Visconti, che provvide alla regia del Macbeth di Verdi. In seguito Visconti avrebbe provveduto alla regia di altri capolavori della scena lirica, come La Traviata, Salomé e una memorabile Manon Lescaut (1973). Molti registi, all’inizio della loro carriera, diedero prova convincente del loro talento allestendo messinscene abbastanza rivoluzionarie, che destarono enorme scalpore soprattutto per la novità dell’ambientazione, delle scene e dei costumi, come fu quella dell’Italiana in Algeri di Rossini con la regia di Patrice Chéreau. Nello stesso tempo Menotti volle dare un impulso a opere liriche di rara esecuzione. Particolarità e attrattiva di uno spettacolo del festival derivavano principalmente dal modo con il quale esso veniva realizzato: non grandi nomi di direttori d’orchestra, ma destinati a diventarli (Thomas Schippers `in primis’, Christian Badea, Spiros Argiris). Così anche per i cantanti. A Spoleto hanno cantato i più grandi artisti della lirica degli ultimi decenni, senza essere portati sull’onda del divismo o della celebrità.

Un grande spazio Giancarlo Menotti volle subito dedicare al balletto, ben conscio del posto che quest’arte è andata occupando nel teatro. Sin dal 1958 Menotti ha voluto fare appello a un grande coreografo, Jerome Robbins; e fu subito con i Ballets Usa, una sorpresa per il pubblico, un qualcosa che non si era ancora visto: il balletto jazz elevato a espressione d’arte, le realtà del nostro tempo trasfigurate dal tocco di un maestro. Robbins per tanti anni è stato la guida di serate memorabili nel segno del buon gusto, dell’invenzione liberata a se stessa; dapprima, dopo i balletti al Teatro Nuovo (Afternoon of a faun, The Concert, New York Export: Opus jazz, Moves, Events) Robbins si limitava (nel Teatrino delle Sette) ai `petits riens’, piccoli saggi di coreografie scherzose, intelligenti. Al pubblico internazionale di Spoleto piacque molto l’idioma di Robbins, che sapientemente mescolava tutti i generi di danza: accademico, modern, jazz, danza di sala.

Addirittura una grande parata era allestita nel 1973: Celebration: l’arte del pas de deux, gala di celebri ballerini internazionali. Tornava Robbins in più d’una occasione ed erano ospiti del festival le più grandi star, le compagnie più prestigiose. Due formule particolarmente legate a Spoleto ribadivano l’importanza e l’interesse assunti dalla danza al festival: i Concerti di Danza con giovani solisti al Teatrino delle Sette, poi delle Sei; e le Maratone di Danza, nazionali per le due prime edizioni del 1977 e ’78, con le partecipazioni straordinarie di Carla Fracci e Paolo Bortoluzzi per la prima e di Elisabetta Terabust con Patrice Bart per la seconda. Dal 1980 ogni due anni la Maratona diventava internazionale, e la direzione passava dall’ideatore Alberto Testa allo stesso e a Vittoria Ottolenghi, spettacoli di grande richiamo popolare. Nella prosa Guido Davico Bonino riusciva a riunire gruppi di teatro drammatico con molte novità e regie particolarmente innovatrici, non esclusa di volta in volta la partecipazione di alcuni attori illustri.

Il settore lirica era il più curato, con opere di repertorio ma anche con altre di rara esecuzione, come il teatro di Richard Strauss, Janácek, Alban Berg, Stravinskij e anche novità di Berio, Nono, Rota, Petrassi, Menotti. Autentiche perle della manifestazione i Concerti di Mezzogiorno: ogni giorno alle 12 una specie di `Concerto aperitivo’ al Teatro Caio Melisso, occasione di conoscere eccellenti solisti e alcuni complessi, molti dei quali rivelati proprio da S. e lanciati nel mondo. Basterebbe ricordare la violoncellista Jacqueline Du Pré, troppo presto strappata alla vita e già diventata un mito. Del resto, s’è detto, scopo del Festival dei Due Mondi è sempre stato quello di mettere in luce gli artisti che hanno cercato e cercano una collocazione nel mondo dell’arte.

Quella libertà da tendenze estetiche e ideologiche, politiche o religiose, che ha favorito l’accostamento di autori e artisti diversi nella musica, la ritroviamo anche nella prosa, da Ronconi e Grotowski a Wilson. Abbiamo assistito così ai Fogli d’album con testi di Flaiano, Gaipa, Wilcock fra gli altri, diretti da S. Sequi; ai Carabinieri di B. Joppolo messi in scena da R. Rossellini, con le scene e i costumi di R. Guttuso; all’O’Neill postumo di Una luna per i bastardi ; a D’amore si muore di Patroni Griffi, regia di G. De Lullo, che ha curato anche uno splendido Malato immaginario di Molière (con R. Valli); alla coppia Morelli-Stoppa in Caro bugiardo di Kilty, dal carteggio tra G.B. Shaw e la Campbell; alle Diavolerie di Fersen, che ha portato anche l’angoscioso Leviathan ; al giovanissimo Chéreau con La finta serva di Marivaux e al vibrante e rivoluzionario Orlando furioso di Ronconi.

Trokadero de Monte-Carlo,

Les Ballets Trokadero de Monte-Carlo, nota originariamente come Trockadero Gloxinia Ballet Company, composta di soli uomini che danzano con punte e tutù, ottiene grande successo interpretando con autoironia e virtuosismo un repertorio che spazia dagli estratti dei classici ottocenteschi ( Grand pas classique , Cigno nero , Paquita ) ai brani neoclassici nello stile di Balanchine, fino alle danze ispirate a Martha Graham. La compagnia debutta in Europa nel 1975 e al festival di Spoleto nel 1980.

Scala,

Dopo gli splendori ottocenteschi, il Balletto del Teatro alla Scala entrò nel nuovo secolo in una situazione di crisi creativa. Si rimasticano stancamente i moduli del vecchio ballo manzottiano e, quando si tentano novità, sorgono grotteschi titoli come Bacco e Gambrinus dell’epigono Giovanni Pratesi, rappresentato nel 1904 e nel ’12, in quest’ultima ripresa addirittura con la pseudo-danzatrice e autentica avventuriera Mata Hari. La rinuncia alla primogenitura ballettistica è particolarmente dolorosa alla Scala: l’ha evidenziato la gelida accoglienza riservata ai Ballets Russes di Diaghilev nel 1927, così come era avvenuto anni prima con la compagnia di Ida Rubinstein, che presentava il medesimo repertorio coreografato da Fokine. L’illusione di tornare ai vecchi fasti fu alimentata dal ballo Vecchia Milano, ancora su coreografia di Giovanni Pratesi e musica di Franco Vittadini, andato in scena nel 1928 con notevole successo, con altre riprese negli anni successivi.

Ancora nell’ambito del kolossal, nel 1932, Belkis, regina di Saba su musica di Respighi, con coreografia di Massine e scene di Nicola Benois: un’occasione di lancio per una delle maggiori ballerine della Scala dell’epoca, l’allora giovanissima allieva di Cecchetti Attilia Radice. Quest’ultima, unitamente a Cia Fornaroli, è stata la stella più fulgida tra le due guerre nel teatro milanese. La scuola di ballo della Scala fu riaperta nel 1921 dopo un periodo di crisi e fu illustrata, dal 1925 alla morte nel ’28, dal grande Enrico Cecchetti, chiamato da Toscanini a reggere la gloriosa Accademia che era stata di un altro sommo didatta, Carlo Blasis. Alla morte del maestro Cia Fornaroli ne assunse la direzione, mentre si prodigava anche come interprete in alcune importanti creazioni (Petruska di Stravinskij, diretto dallo stesso autore, con Enrico Cecchetti nel ruolo del Ciarlatano).

Una breve stagione di successi a cavallo tra gli anni ’30 e ’40 è quella della giovane ballerina e coreografa Nives Poli, con la sua formula dei `Balletti sinfonici della Scala’, una sorta di anticipazione di altre creazioni di Balanchine e di Massine. Ma è con l’avvento di Aurelio Milloss nel 1942 che si verifica un’autentica svolta e una sostanziale rinascita del ballo scaligero. Nel corso di una serata dedicata a opere contemporanee il coreografo italo-ungherese allestisce la prima esecuzione del Mandarino meraviglioso di Bartók (1942), di cui è protagonista accanto ad Attilia Radice. La guida del ballo scaligero da parte di Milloss porta al rinnovamento completo degli organici, con una salutare immissione di elementi maschili come Ugo Dell’Ara, Giulio Perugini e Mario Pistoni, importati da Roma. Tra le memorabili creazioni di Milloss alla S., La follia d’Orlando su musica di Petrassi (1947).

La riapertura della Scala dopo i tremendi danni bellici coincide anche con un’apertura artistica e culturale verso i grandi complessi stranieri. Giungono il New York City Ballet di Balanchine, il Sadler’s Wells Ballet (poi Royal Ballet) di Londra, l’Opéra di Parigi. Alcune importanti stelle di questi complessi partecipano alle successive stagioni, come Margot Fonteyn e Serge Lifar, ai quali si aggiunge la presenza del grande danzatore spagnolo Antonio. Tra i coreografi ospiti più assidui Roland Petit, Massine, Balanchine e, più recentemente, Rudolf Nureyev. Quest’ultimo ha debuttato come interprete alla Scala accanto alla Fonteyn nel 1965; sarà poi assiduo nel duplice ruolo di esecutore e creatore, soprattutto con riproduzioni di classici come Schiaccianoci e Don Chisciotte .

Fra gli esecutori, soprattutto sul versante femminile, la Scala esprime notevoli personalità. Dopo Olga Amati, Luciana Novaro, Vera Colombo, nel 1955 si rivela la giovanissima Carla Fracci, che per quaranta e più anni sarà la stella assoluta del teatro in innumerevoli produzioni: dapprima nella tipologia romantica, soprattutto con Romeo e Giulietta di Prokof’ev e in numerose edizioni di Giselle, e quindi con molte creazioni spesso espressamente pensate sulla sua misura di interprete, come il recente Chéri di Roland Petit (da Colette). Seguono la tecnicamente forte Liliana Cosi, Anna Razzi, Oriella Dorella; si segnala la singolare personalità di Luciana Savignano, che Maurice Béjart predilige, ma non riesce a strappare alla Scala ove interpreta balletti di Pistoni, di Petit e dello stesso Béjart. Nel settore maschile da segnalare la breve stagione di Paolo Bortoluzzi come coreografo e anche direttore del ballo, con creazioni come Omaggio a Picasso e Cenerentola. Gli si affiancano ottimi danzatori di estrazione scaligera come Roberto Fascilla e Amedeo Amodio, quest’ultimo anche in qualità di coreografo.

La penuria di danzatori maschi, che ha lungamente caratterizzato la Scala, sembra vinta con l’avvento di Maurizio Bellezza, Davide Bombana e Marco Pierin ai quali seguiranno, più recentemente, Massimo Murru e Roberto Bolle. Quasi tutte queste personalità provengono dalla stessa scuola di ballo della S. retta, dal 1974, da Anna Maria Prina. Proveniente dalla scuola, anche se perfezionata a Londra, è la nuova stella ospite della Scala. Alessandra Ferri, che interpreta i maggiori classici a partire dal discusso Lago dei cigni di Zeffirelli nel 1985. Per lei Forsythe ha creato una novità, nell’ambito del suo primo ingresso nel teatro milanese nel 1998.

Australian Ballet

L’Australian Ballet viene fondata a Melbourne nel 1962 da Peggy van Praagh, che vi allestisce Giselle (1965) e invita Robert Helpman a creare The Display (1964), su tema indigeno, e ad affiancarla come condirettore. Diventato direttore unico, Helpman guida il complesso dal 1974 al 1977, quando la direzione passa a Anne Wooliams, che crea la sua versione del Il lago dei cigni e rimonta Romeo e Giulietta e Onegin di Cranko. Van Praagh torna alla testa della compagnia nel 1978, seguita poi da Marilyn Jones che incoraggia la formazione di The Dancers Company, gruppo pre-professionale degli allievi della scuola. Dopo di lei, ritiratasi nel 1981, sono chiamati a capo del gruppo Marilyn Rowe (1982) e Maina Gielgued (1983) che dà vita a importanti produzioni come La bella addormentata nel bosco (1984) e amplia il repertorio con lavori di Ashton, Bruhn, Darrell, de Valois, MacMillan, Robbins, Tetley, Tudor, Forsythe e con creazioni di autori australiani, tra cui Meryl Tankard e Stanton Welch ( Cinderella , 1997). Dal 1997 il direttore è l’australiano Ross Stretton, che intende tenere alta la fama internazionale della compagnia, invitata anche al festival di Nervi nel 1992.

Joffrey Ballet

Il Joffrey Ballet debutta a New York nel 1954 con il nome di Robert Joffrey Ballet Concert, che muta poi in Robert Joffrey Theatre Dancers (1956) e in Robert Joffrey Ballet (1960). Tra il 1962 e il ’64, con l’apporto di Rebekah Harkness, si esibisce in coreografie di Joffrey, Arpino, Ailey, Lew Christensen, Brian MacDonald e realizza un tour in Russia. La compagnia viene rifondata, con il supporto della Ford Foundation, e debutta nel 1965 allo Jacob’s Pillow Festival; Arpino ne diventa condirettore e coreografo principale, con un nuovo repertorio che, negli anni ’70, comprende titoli di Bournonville, Fokine, Massine, Ashton, Jooss, Tudor, Robbins, a cui si sono aggiunti in seguito Olympics, Sea Shadow, Viva Vivaldi!, Fanfarita, Cello Concerto, Trinity, Sacred Grove on Mount Tamalpis, The Relativity of Icarus di Arpino, Astrate, Gamelan, Remembrances di Joffrey e la serata rock Billboards (1993) su canzoni di Prince con coreografie di Laura Dean, Charles Moulton, Margo Sappington, Peter Pucci. Nel 1976 il gruppo, tutto di solisti, prende il nome di Joffrey Ballet, per trovare una nuova sede a Chicago nel 1995.

Miami City Ballet

La Miami City Ballet viene fondata nel 1986 da Edward Villella, grande ballerino balanchiniano, con un repertorio che comprende titoli di Balanchine come Allegro brillante , Concerto barocco , Apollon , Cajkovskij Pas de deux , Bugaku , Square Dance , The four temperaments ; di Taylor come Company B , e brani originali come El amor brujo di Richard Tanner; Surfacing di Lynne Taylor-Corbett; Transtangos , Purple Band I , Three movements , Nous sommes di Jimmy Gamonet de los Heros, coreografo residente. È la più giovane e dinamica compagnia nordamericana, apprezzata per la brillantezza tecnica e la purezza accedemica.

Gulbenkian Ballet

Fondata a Lisbona nel 1965 dall’unione del Gruppo di balletto sperimentale e dal Centro di danza portoghese e sostenuta economicamente dalla Fondazione Calouste Gulbenkian, fino al 1969 Gulbenkian Ballet è diretta dal coreografo Walter Gore, cui seguono Milko Sparemblek (1969-75), un comitato artistico guidato da Jorge Garcia (1975-77), Jorge Salavisa (1978-1996) e dal 1996 Iracity Cardoso. Caratterizzata fin dalla sua creazione da un repertorio eclettico, basato sulla tecnica classica ma aperto alle varie tendenze della danza moderna, dalla iniziale programmazione di titoli dell’Ottocento ( Giselle , Coppélia ) e Novecento storico ( Le Carnaval di Fokine, Le Beau Danube di Massine) è passata alla proposta dei massimi autori del balletto contemporaneo quali H. Van Manen, J. Kylián, W. Forsythe, N. Christe, M. Ek, Ohad Naharin, favorendo anche la crescita artistica di coreografi portoghesi (Wasco Wellenkamp e Olga Roriz) e imponendosi come una delle più interessanti e versatili compagnie della scena europea.