Pirandello, Luigi

Drammaturgo, romanziere e poeta, Luigi Pirandello è uno dei massimi esponenti della letteratura italiana del Novecento.

Drammaturgo, romanziere e poeta, Luigi Pirandello è uno dei massimi esponenti della letteratura italiana del Novecento. Con Henrik Ibsen e August Strindberg ha rivoluzionato il dramma moderno in tutti i suoi aspetti, divenendo uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi.

Il teatro di Luigi Pirandello

Sin dai primi scritti, Luigi Pirandello affianca alla propria produzione narrativa l’attività per le scene, che contribuisce a consacrare la sua fama fino al premio Nobel del 1934. La vocazione per la scrittura teatrale è assai precoce in lui: l’atto unico L’epilogo è del 1892 (poi in scena come La morsa) e Il nibbio del 1895, ripresa poi nel 1916 dalla compagnia milanese di Marco Praga, con il nuovo titolo Se non così. Ed è proprio in questi anni che Pirandello si orienta in maniera decisa verso l’attività di drammaturgo.

La fase del teatro siciliano: Liolà, Il berretto a sonagli e La giara

Nel 1916 l’incontro con Nino Martoglio e Angelo Musco sarà determinante per la sua carriera di drammaturgo. All’invito del catanese Nino Martoglio corrisponde, infatti, la riduzione teatrale della novella Lumìe di Sicilia. Cui fanno seguito Pensaci, Giacomino!, Liolà, Il berretto a sonagli e La giara. Queste opere, appartenenti alla fase del “teatro siciliano”, vedono Pirandello lavorare a stretto contatto con l’attore Angelo Musco, e in costante interscambio con novelle e capitoli di romanzo, che spesso costituiscono la base per l’invenzione drammaturgica vera e propria.

La collaborazione con Musco fu molto sofferta, ma fondamentale per far capire a Pirandello cosa volesse dire scrivere per un attore. La lezione gli serve quando comincia a scrivere per capocomici come Virgilio Talli o per attori come Ruggero Ruggeri. A loro si deve la messinscena e l’interpretazione di Così è (se vi pare), al Teatro Olympia di Milano, e di Il piacere dell’onestà, al Teatro Carignano di Torino.

La fase umoristica: La patente, Ma non è una cosa seria e Il giuoco delle parti

Nel 1917 Pirandello inaugura con Così è (se vi pare) e Il piacere dell’onestà la fase “umoristica” della propria produzione. Attraverso una scrittura che si richiama al teatro da salotto di Ibsen, Pirandello innesta il suo tema centrale, quello del conflitto vita e forma. All’interno delle trame consuete inserisce delle riflessioni che finiscono per corrodere dall’interno la vicenda drammatica e per far prevalere il ragionamento e la visione paradossale di alcuni personaggi.

All’interno di questi drammi assume un’importanza fondamentale la figura del raisonneur, il personaggio che guarda dall’esterno la vicenda. Si fa portavoce della voce dell’autore, osservando la realtà che lo circonda spesso con una sottigliezza eccessiva, fino a diventare esasperante e a suscitare inquietudini negli altri personaggi.

Tra il 1918 e il 1919, troveranno la via del palcoscenico: La patente, Ma non è una cosa seria, Il giuoco delle parti. Sono opere in cui troviamo una prospettiva fortemente critica nei confronti delle convenzioni borghesi, che poggia su alcuni elementi ricorrenti che l’autore porta al massimo livello espressivo nell’unica opera da lui stesso definita “tragedia”, ovvero l’Enrico IV del 1922.

Una svolta nel teatro di Luigi Pirandello: Sei personaggi in cerca d’autore e il metateatro

L’anno dopo è quello dei Sei personaggi in cerca d’autore, al Teatro Valle di Roma (clamorosa caduta) e al Teatro Manzoni di Milano (clamoroso successo).

Assistiamo alla terza svolta significativa nel teatro pirandelliano, quella del metateatro. Come si vede nella trilogia che ai Sei personaggi in cerca d’autore fa seguire Ciascuno a suo modo nel 1924 e Questa sera si recita a soggetto nel 1930, il conflitto tra forma e vita viene trasposto oltre la “quarta parete” scenica, analizzando la possibilità stessa di una finzione separata dalla vita, nella distanza incolmabile tra ciò che i personaggi sono e ciò che sono chiamati ad essere in scena.

Nel 1922, Ruggeri interpreta Enrico IV, mentre a Londra, in versione inglese, qualche mese prima erano stati recitati i Sei personaggi. È l’inizio della rapida diffusione all’estero del teatro pirandelliano. Nel 1923, Crémieux traduce i Sei personaggi per la celebre messinscena di Pitoëff. Nel medesimo anno, la direzione del Fulton Theater di New York invita Pirandello per una serie di rappresentazioni del suo repertorio e intitola la stagione: Pirandello’s Theater. 

Il teatro dei miti: La nuova colonia, Lazzaro e I giganti della montagna

Dopo la trilogia del teatro nel teatro la radicale innovazione che Luigi Pirandello ha apportato a tutto il linguaggio teatrale del tempo, si chiude nella quarta fase, quella dei “miti”. Qui Pirandello, scegliendo esplicitamente ambientazioni mitico-favolistiche, pare proiettare la propria riflessione in una dimensione “altra”, utopica ed immaginifica. Il motivo profondo dei tre miti pirandelliani è l’evasione: evasione nell’utopia politica (La nuova colonia), nella fede religiosa (Lazzaro), nell’arte (I giganti della montagna). In nessuno dei tre lavori l’evasione ha successo, ma ciò che conta, per il drammaturgo, è il tendersi a una dimensione alternativa, verso quell’oltre a cui guardano tante sue pagine.

Leggi anche:

August Strindberg

Gabriele D’annunzio

Frank Wedekind

 

Rodari, Gianni

Attraverso racconti, filastrocche e poesie, divenute in molti casi classici per bambini, Gianni Rodari ha contribuito a rinnovare profondamente la letteratura per ragazzi.

Gianni Rodari è stato uno scrittore, insegnante e giornalista. Attraverso racconti, filastrocche e poesie, divenute in molti casi classici per bambini, ha contribuito a rinnovare profondamente la letteratura per ragazzi. Fu uno fra i maggiori interpreti del tema “fantastico” nonché, grazie alla Grammatica della fantasia, uno fra i principali teorici dell’arte di inventare storie. Tra le sue opere maggiori si ricordano Filastrocche in cielo e in terra, Il libro degli errori, Favole al telefono, Il gioco dei quattro cantoni, C’era due volte il barone Lamberto.

Gianni Rodari, il maestro della fantasia

Gianni Rodari è nato a Omegna nel 1920. Dopo la guerra inizia la sua carriera da giornalista e collabora per numerose pubblicazioni, tra cui “L’Unità”, il “Pioniere”, “Paese Sera”. Negli anni Cinquanta comincia a dedicarsi alla scrittura per l’infanzia: scrive racconti, favole, cura rubriche e libri per ragazzi, lavora come autore televisivo di programmi per l’infanzia.

Nel 1950 lasciò Milano per Roma, dove fondò e diresse, con Dina Rinaldi, il giornale per ragazzi “Pioniere”, con cui collaborò per una decina d’anni, fino alla cessazione della pubblicazione. In tale periodo fondò il campeggio estivo dei Pionieri, con sede prima a Sestola e poi a Castelluccio di Porretta Terme.

Gianni Rodari poesie e filastrocche

Stringe una intensa collaborazione con Giulio Einaudi Editori che con Editori Riuniti pubblicava i suoi libri, apprezzati anche all’estero e tradotti in molte lingue. Tra le sue opere più significative: Le avventure di Cipollino, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Filastrocche in cielo e in terra, Favole al telefono, Il libro degli errori, C’era due volte il barone Lamberto.

Alcuni suoi testi per l’infanzia, tra i quali la celeberrima Ci vuole un fiore, vengono musicati da Sergio Endrigo e da altri cantautori.

Negli anni Sessanta e Settanta Rodari ha partecipato a conferenze e incontri nelle scuole con insegnanti, bibliotecari, genitori, alunni. E proprio dagli appunti raccolti in una serie di questi incontri ha visto la luce, nel 1973, Grammatica della fantasia, che è diventata fin da subito un punto di riferimento per quanti si occupano di educazione alla lettura e di letteratura per l’infanzia.

Favole in teatro

Le storie di Gianni Rodari dedicate all’infanzia hanno spesso conosciuto una riduzione per il teatro (è stata questa la sorte, tra le altre, di C’era due volte il barone LambertoFavole al telefonoLa freccia azzurraIl sole neroLa grammatica della fantasia).

Tra i lavori specificatamente pensati per il teatro si trovano Le storie di re Mida (Torino, teatro Carignano 1967), Le avventure di Cipollino (Milano, circolo Brecht 1973), Il paese dei 99 cani (Roma, Teatro del Pavone 1975), Avventura con il televisore (Enna, scuola elementare 1975), Caccia a Nerone(Terranova Bracciolini 1976), Marionette in libertà (Palermo, scuola elementare `Arcoleo’ 1976), La storia di tutte le storie (La Spezia, centro Allende 1976), Le farsefavole (Bologna, parco della Montagnola 1976), Gip nel televisore (Venezia Lido, La Perla del Casinò 1977), La gondola fantasma (Agerola, Napoli, 1981), Quando la terra girava (in collaborazione con V. Franceschi, 1981), Gli esami di Arlecchino (1996). La gran parte della produzione teatrale di Rodari è contenuta in due libri: Le storie di re Mida (1983) e Gli esami di Arlecchino (1987).

Leggi anche:

Leonardo Sciascia

Luigi Pirandello

Mario Luzi

Neruda, Pablo

Poeta dell’amore per eccellenza, ma anche uomo politico e militante, Pablo Neruda è stato tra le più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento.

Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, è stato un poeta, tra le più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento. Poeta dell’amore per eccellenza, ma anche uomo politico e militante, nel 1971 vince il Premio Nobel per la Letteratura. Tra le sue opere più importanti vi sono Residenza sulla terra, I versi del Capitano, Cento sonetti d’amore, Canto generale, Odi elementari, Stravagario, Le uve e il vento, il dramma Splendore e morte di Joaquin Murieta e il libro di memorie Confesso che ho vissuto.

Pablo Neruda poesie: i primi anni e gli esordi letterari

Nato nella cittadina di Parral nel 1904, Pablo Neruda già da adolescente scoprì il suo amore per la scrittura senza però essere incoraggiato a continuare.

Il suo primo poema La canzone della festa viene pubblicato quando aveva 17 anni. Nel 1920 il giovane non decise di adottare lo pseudonimo di Pablo Neruda in onore del poeta ceco Jan Neruda. Un anno dopo si trasferì a Santiago, dove sperava di cambiare vita diventando un insegnante.

La sua passione per la poesia, però, lo spinse a desistere e a pubblicare le sue prime raccolte in versiCrepuscolario, seguito a distanza di un anno da Venti poesie d’amore e una canzone disperata. Una raccolta di poesie d’amore di stile modernista ed erotico, motivo che spinse alcuni editori a rifiutarlo. Successivamente si dedicò alla carriera diplomatica. Come console del Cile vive per alcuni anni in Oriente, esperienza che lo ispira a scrivere Residenza nella terra.

La guerra di Spagna e la poesia politica

Allo scoppio della Guerra civile spagnola, anziché mantenersi neutrale, come diplomatico, si schierò con la Repubblica contro i franchisti e per questo venne destituito. La partecipazione alla Guerra civile spagnola segnò il passaggio alla poesia sociale e politica con la raccolta La Spagna nel cuore.

Nel 1945 viene eletto senatore in Cile nella lista del Partito comunista, ma tutto cambia quando il candidato ufficiale del Partito Radicale per le elezioni presidenziali, Gabriel González Videla intraprende una dura repressione contro i minatori in sciopero nella regione di Bío-Bío, a Lota, nell’ottobre 1947. La disapprovazione di Neruda culmina in un discorso davanti al Senato cileno, chiamato in seguito Yo acuso, dove legge l’elenco dei minatori tenuti prigionieri.

Videla emana un ordine d’arresto contro Neruda, costringendo il poeta ad una fuga di 13 mesi. Dovette lasciare il Paese e, durante il lungo esilio, fu anche in Italia, dove scrisse I versi del capitano e Le uve e il vento.

Nel 1971 ricevette il Premio Nobel per la Letteratura; poi già sofferente per una grave malattia, ritornò a Santiago, dove morì il 23 settembre 1973. Dopo la sua morte uscirono le sue memorie, Confesso che ho vissuto.

Pablo Neruda drammaturgo: Splendore e morte di Joaquin Murieta

Il teatro non è stato sicuramente al centro delle attenzioni di Pablo Neruda. Di fatto il suo contributo si riduce ad una sola opera, Splendore e morte di Joaquím Murieta bandito cileno giustiziato in California il 23 luglio 1953. Scritta da Neruda nel 1966, fu allestita a Santiago, presso l’Istituto del Teatro dell’Università del Cile, nel corso dell’anno successivo, con la regia di Pedro Orthous e le musiche di Sergio Ortega. La pièce è incentrata sulla figura del diseredato contadino sudamericano, che ottiene la gloria con il suo martirio, diventando il simbolo di tutti i popoli che lottano per la libertà. Il primo allestimento italiano si è tenuto al Piccolo Teatro di Milano, a cura di Patrice Chéreau, nel corso della stagione 1969-70.

Nel 1972, con adattamento e regia di Adriano Musci, è stato rappresentato Pelleas e Melisande, recital di ballate, canzoni e poesie di Pablo Neruda.  Nel 1964 Neruda ha effettuato la traduzione di Romeo e Giulietta che, nel corso dello stesso anno, è stata messa in scena a Santiago.

Leggi anche:

Fernando Pessoa

Jacques Prévert

Federico García Lorca

Joyce, James

Maestro del flusso di coscienza, James Joyce esordisce come poeta e drammaturgo, ma passerà al secolo come romanziere.

James Joyce esordisce come poeta e drammaturgo, ma passerà al secolo come romanziere, autore di Ritratto dell’artista da giovane, Gente di Dublino, Ulisse e La veglia di Finnegan. È considerato il maestro del romanzo del flusso di coscienza, lo stream of consciousness novel, narrazione in forma di monologo interiore che trasmette le sensazioni più profonde dell’io basandosi sui procedimenti “illogici” propri dell’inconscio, della fantasia e del sogno.

James Joyce biografia: la formazione e le prime opere

James Joyce nacque il 2 febbraio 1882 a Dublino. Fin dall’adolescenza Joyce si appassiona alla letteratura e in particolare a due scrittori contemporanei: Ibsen, i cui drammi mettevano a nudo falsità e ipocrisie della vita borghese, e Yeats, rappresentante della letteratura nazionalista irlandese. Nella sua formazione letteraria rientrano anche lo studio dell’Odissea e della Divina Commedia dantesca.

Il 1904 rappresenta un anno di svolta per Joyce, sia sul piano personale che professionale: il 16 giugno 1904 (giorno in cui si svolgerà l’epopea di Leopold Bloom nell’Ulisse) Joyce conosce Nora Barnacle che diventa la sua compagna di vita e da cui avrà due figli. In quello stesso anno tentò di pubblicare Ritratto dell’artista da giovane, ma senza successo. Continuerà a lavorarci per parecchi anni, cambiando il titolo in Stephen Hero, ma senza essere convinto del risultato. Fino all’effettiva pubblicazione dell’opera nel 1916 con il titolo originale The Portrait of the Artist as a Young Man.

L’esilio volontario e l’amicizia con Italo Svevo

Insieme a Nora nel 1904 James Joyce partì per una sorta di esilio volontario, andando a lavorare a Pola (allora territorio austriaco) come insegnante di inglese agli ufficiali austro-ungarici. Nel 1909 tornò a Dublino per cercare di pubblicare la sua raccolta di racconti Dubliners: era solo l’inizio di una lunga diatriba editoriale che lo ricondurrà a Dublino nel 1912 per l’ultima volta.

Nel frattempo, da Pola si era trasferito a Trieste dove aveva stretto grande amicizia con un suo studente, Ettore Schmitz (Italo Svevo), che gli fu amico, critico e gli servì anche da modello per il protagonista dello Ulysses, Leopold Bloom.

Gli ultimi anni tra Zurigo e Parigi

Nel 1915 si spostò a Zurigo dove entrò in contatto con grandi intellettuali, uno fra tutti Ezra Pound. Lo scrittore lo introdurrà a Harriet Shaw Weaver, un’editrice femminista che diventerà sua mecenate permettendogli di smettere di lavorare per dedicarsi solo alla scrittura. Riuscirà così a scrivere la pièce intitolata Exiles, a concludere il Portrait of the Artist as a Young Man e a iniziare Ulysses. Alla fine della guerra Joyce decise comunque di tornare a Trieste, non più come insegnante ma come artista a tempo pieno.

L’Ulisse di James Joyce
L’Ulisse di James Joyce

Nel 1920 accettò poi un invito da parte di Ezra Pound a recarsi a Parigi, dove resterà per il resto della sua vita pubblicando lo Ulysses e dedicandosi poi alla scrittura di Finnegans Wake, che richiederà ben 17 anni.

James Joyce drammaturgo

Il suo interesse per il teatro appartiene soprattutto alla fase giovanile, quando recita in gruppi filodrammatici. 

Il suo acceso interesse per Ibsen, da lui considerato genio supremo, lo spinge a imparare il norvegese per leggere le sue opere, ma soprattutto per entrare in corrispondenza con lui. Nel 1918 viene pubblicato quello che rimarrà il suo unico testo teatraleEsuli, dramma influenzato dalla passione ibseniana, scritto tra il 1914 e il 1915 e messo in scena per la prima volta a Monaco nel 1919, in cui i personaggi tentano di sfuggire alle convenzioni morali della tradizione e a un asfissiante passato.

Leggi anche:

Italo Svevo

Luigi Pirandello

Stefan Zweig

Ibsen, Henrik

Henrik Ibsen fu l’inventore del teatro del salotto borghese e padre della drammaturgia moderna.

Henrik Ibsen è stato un drammaturgo, poeta e regista teatrale norvegese, considerato il padre della drammaturgia moderna. L’opera di Ibsen segnò la fine del teatro romantico e l’affermazione del dramma borghese, esercitando una profondissima influenza sulla produzione dei più importanti autori del Novecento. Tra i suoi testi più noti Brand, Peer Gynt, Un nemico del popolo, Cesare e Galileo, Casa di bambola, Hedda Gabler, Spettri, L’anitra selvatica e La casa dei Rosmer.

Henrik Ibsen biografia: le prime fasi della carriera

Henrik Ibsen fu l’inventore del teatro del salotto borghese. L’approdo al dramma borghese, però avviene solo dopo una prima fase in cui Ibsen ha modo di esercitare la funzione di drammaturgo per i teatri di Cristiana. Questo periodo gli consente di approfondire la drammaturgia contemporanea francese, impadronendosi dei meccanismi di scrittura e svelandone i limiti.

Alcuni viaggi nell’Europa del sud concorrono a sviluppare in lui una grandissima conoscenza delle tematiche e delle tecniche di scrittura teatrale dell’epoca. Così, nella sua prima serie di testi, che vanno da drammi storici a poemi drammatici, coniuga la novità della sua ispirazione con le conoscenze pregresse.

Gli anni di Bergen

L’attività di drammaturgo inizia nel 1848 con il dramma, Catilina, che traeva ispirazione da Schiller. Nel 1851 è scritturato dal teatro di Bergen, con la qualifica di direttore artistico. Qui avverrà la sua vera maturazione di autore drammatico. Vengono rappresentati La notte di San Giovanni, Il tumulo del guerriero, Donna Inger di Olstraat, Olaf Liljekrans, Il festino a Solhaug, tutti ispirati alle tradizioni popolari norvegesi. Tra il 1858 e il 1864 scrive I guerrieri a Helgoland, La commedia dell’amore, I pretendenti al trono.

Questa prima fase della sua produzione, tuttavia, lo delude al momento della rappresentazione in scena. Numerosi gli insuccessi che fanno maturare in lui la convinzione che occorre cambiare approccio.

L’inizio della drammaturgia moderna

Dopo l’insuccesso dei poemi drammatici, lo stesso Henrik Ibsen dichiara in una lettera che si dedicherà al “teatro fotografia”.  Si tratta di un teatro che restituisca sulla scena una rappresentazione veritiera della realtà, fino alla crudezza delle relazioni interpersonali dei suoi contemporanei, con particolare riguardo ai rapporti familiari. È l’inizio del dramma borghese. Quello che gli interessa è una drammaturgia di ambientazione contemporanea in cui l’attenzione sia rivolta al personaggio, allo scandaglio della sua psicologia e al suo rapporto con le convenzioni sociali.

La prima conseguenza è che nei suoi drammi l’azione diventa secondaria. Quello che importa è la reazione all’azione. La resa dei conti di personaggi che hanno sbagliato, magari nel passato, sacrificando le loro aspirazioni in nome delle buone convenienze, di scelte economicamente o personalmente vantaggiose. Di qui una rappresentazione della società borghese critica, amara e spesso polemica.

Casa di bambola e il teatro del salotto borghese

Il primo testo che rivela Henrik Ibsen ai contemporanei come un drammaturgo controcorrente e scomodo è Casa di bambola. Al centro del dramma la storia di una giovane moglie, Nora, sposata all’avvocato Torvald Helmer, che la coccola come una bambola. Custodisce però un segreto: per poter curare il marito malato ha falsificato la firma del padre e si è così garantita un prestito, ma non è riuscita a ripagarlo. La scoperta del suo errore dà avvio a un dramma familiare. Finalmente consapevole della farsa che è stato il suo matrimonio, Nora prende una decisione scandalosa e irrevocabile.

Testo celeberrimo e molto rappresentato, Casa di bambola fece scalpore e fu giudicato un manifesto del femminismo. In realtà, al di là di ogni polemica contingente, ciò che Nora con la sua scelta rappresenta è il distacco dalle convenzioni borghesi, indifferenti alle giustificazioni individuali e alle aspirazioni più sincere dell’animo umano.

Henrik Ibsen opere: i capolavori degli anni Ottanta

Dal 1879 Ibsen fornirà al teatro i suoi capolavori. Dopo Casa di bambola, che rese Ibsen una figura centrale del teatro europeo, scrive Spettri, il dramma che lo consacra a livello internazionale; e ancora Un nemico del popolo, L’anitra selvatica, Rosmersholm, La donna del mare, Hedda Gabler. Anche queste opere vanno nella direzione dello scandaglio dell’interiorità del personaggio a scapito dell’azione.

Il passato diventa l’elemento scatenante su cui i personaggi sono chiamati a confrontarsi e l’azione diventa sempre più inconsistente. Gli scambi dialogici servono a mettere in luce i drammi nascosti all’interno della psiche. Questo ci spiega perché accanto alla fama di autore naturalista e che si basa sulla ricostruzione perfetta dell’ambiente, matura anche la fama di autore capace di un’analisi psicologica che si apre anche al simbolismo.

Anche l’ultimo Ibsen va nella direzione di un superamento dell’azione e una concentrazione assoluta sulla figura del personaggio, che negli anni Novanta incarna la figura del capitalista, del self-made man. Proprio su questo modello si concentra la sua attenzione negli ultimi drammi: Il costruttore SolnessIl piccolo EyolfJohn Gabriel Borkmann e Quando noi morti ci destiamo.

Leggi anche:

August Strindberg

Gabriele D’annunzio

Frank Wedekind

Ernest Hemingway

Ernest Hemingway è stato tra i romanziere più celebri del Novecento, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1954.

Ernest Hemingway è stato uno scrittore e giornalista statunitense. Romanziere tra i più celebri del Novecento, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1954, Hemingway inaugurò quella narrativa sconcertante (hard-boiled) che ha avuto tanti seguaci e imitatori. Fece parte della comunità di espatriati americani a Parigi durante gli anni 1920, conosciuta come la “Generazione perduta” e da lui stesso così chiamata nel suo libro di memorie Festa mobile. Autore del più importante romanzo sulla Prima guerra mondiale, Addio alle armi, tra le sue opere principali occorre citare anche Per chi suona la campana e Il vecchio e il mare.

Ernest Hemingway biografia: gli anni della Prima guerra mondiale

Fu una vita straordinariamente piena e avventurosa quella di Ernest Hemingway. Nato il 21 luglio 1899 a Oak Park, vicino a Chicago, ebbe un’infanzia serena, circondato dalla natura nella regione dei Grandi Laghi. Condivideva con suo padre la passione per la caccia, la pesca e la vita all’aria aperta,  esperienze che ispirarono profondamente i suoi romanzi. Fu già alle scuole elementari che, notata la sua attitudine alla scrittura, Hemingway venne spronato da alcuni insegnanti a scrivere molto, il che forgiò indelebilmente la sua nascente indole di scrittore.

Arrivò il 1917 e con quell’anno la Prima Guerra Mondiale per gli Stati Uniti d’America. Il giovane Hemingway decise di arruolarsi volontario per andare a combattere in Europa. Un difetto della vista lo tenne lontano dalla prima linea: fu invece impiegato come autista di ambulanze per la Croce Rossa Americana e inviato al fronte italiano nella città di Schio.

Agnes von Kurowsky, il primo amore di Hemingway che ispirò Addio alle armi

Il giovane Hemingway desiderava, però, assistere alla guerra da vicino. Fece domanda per essere trasferito sulla riva del Basso Piave come assistente di trincea, dove si recava quotidianamente tra le prime linee per distribuire generi di conforto ai soldati. Durante le sue mansioni fu colpito dalle schegge dell’esplosione di una bomba austriaca e venne trasferito a Milano per essere operato. Lì rimase tre mesi, durante i quali s’innamorò, ricambiato, di un’infermiera statunitense di origine tedesca, Agnes von Kurowsky, che però lo abbandonò alla fine del conflitto. Il suo rifiuto ispirerà, nel 1929, il racconto Addio alle armi.

Festa mobile: Ernest Hemingway e la Lost Generation a Parigi

Ritornato in America, Hemingway si trasferì a Toronto, città che lo introdusse al mondo del giornalismo. Rimase però molto deluso dalla società americana, che gli appariva troppo superficiale e incapace di comprendere la tragedia che aveva appena devastato l’Europa. Nel dicembre 1921 ottenne l’incarico di corrispondente e inviato speciale in Europa dal Toronto Star e decise di trasferirsi a Parigi, la capitale culturale dell’epoca. Con lui andò Hadley Richardson, pianista del Missouri con cui si era appena sposato.

In Francia la coppia frequentò la comunità di espatriati statunitensi che girava attorno a Gertrude Stein e che comprendeva i più grandi artisti del periodo: James Joyce, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald, Pablo Picasso, Joan Miró. Nel suo libro di memorie Festa mobile, uscito postumo, fu Hemingway stesso a riunirli tutti sotto il nome di “Generazione perduta“.

L’inizio della carriera letteraria e il successo di Addio alle armi

A Parigi iniziò ufficialmente la carriera letteraria di Ernest Hemingway, dietro al grande sostegno di Gertrude Stein e agli insegnamenti del poeta Ezra Pound. Il suo primo romanzo, Il sole sorge ancora, gli valse un’immediata celebrità. L’opera ebbe un percorso editoriale tortuoso, durante il quale Hemingway fu aiutato da Pauline Pfeiffer, redattrice di moda di Vogue, che divenne presto la sua amante, provocando una frattura nel suo matrimonio. Nel giro di un anno, Hemingway divorziò da Richardson e sposò Pfeiffer, con cui andò a vivere a Key West, in Florida. Fu lì che iniziò a scrivere Addio alle armi, il suo romanzo più celebre.

Ernest Hemingway libri: la vita e le opere dello scrittore statunitense
Ernest Hemingway libri: la vita e le opere dello scrittore statunitense

Nel 1928, dopo la nascita del suo secondo figlio, l’autore restò profondamente segnato da un evento che lo tormenterà per il resto della sua vita: il suicidio del padre.

Secondo molti biografi fu allora che Hemingway cominciò a bere e a condurre un’esistenza ancor più spericolata. Il tema della sfida alla morte divenne una costante tanto nella sua vita, costellata di safari, corride, battute di caccia e di pesca, tanto nei romanzi parzialmente autobiografici Morte nel pomeriggio e Verdi colline dell’Africa.

La guerra di Spagna in Per chi suona la campana

Gli anni Trenta segnarono una svolta nella sua vita. Nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, lo scrittore partì per Madrid, dove lavorò come corrispondente di guerra. Questa esperienza gli fornì l’ispirazione e il materiale per il suo prossimo romanzo Per Chi Suona la Campana, ambientato durante la guerra civile spagnola e il cui protagonista, un partigiano americano combatte dalla parte dei repubblicani contro i fascisti. 

L’ultimo romanzo di Ernest Hemingway: Il vecchio e il mare

Nel 1941, quando gli Stati Uniti entrarono nella Seconda guerra mondiale, Ernest Hemingway lavorò di nuovo come corrispondente di guerra. Prese parte anche al D-Day, lo sbarco in Normandia il 6 giugno 1944, con le forze alleate e li seguì fino a Parigi, partecipando alla liberazione della città.

Dopo la guerra visse soprattutto a Cuba. Nel 1953 pubblicò Il Vecchio e il Mare che gli valse il premio Pulitzere nel 1954 ottenne il Premio Nobel per la Letteratura.

Negli ultimi anni della sua vita soffrì vari problemi di salute e depressione, temendo il declino fisico e mentale si uccide con un colpo di pistola nella sua casa in Idaho nel 1961.

Leggi anche:

John Steinbeck

Truman Capote

James Joyce

Eco, Umberto

Autore de Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault, Umberto Eco è tra gli intellettuali più importanti della storia culturale italiana.

Umberto Eco, è stato uno degli intellettuali più importanti della storia culturale italiana. Semiologo, filosofo, medievalista, massmediologo, scrittore, traduttore e docente universitario, durante la sua lunga carriera ha co-diretto la casa editrice Bompiani, contribuito alla formazione del Gruppo 63 e fondato nuovi pionieristici corsi di laurea (il DAMS e Scienze della Comunicazione all’Università di Bologna). Tra i suoi romanzi più famosi figura Il nome della rosa, vincitore del Premio Strega e bestseller internazionale tradotto in più di 40 lingue.

Umberto Eco biografia: l’esperienza in RAI e il Gruppo 63

La passione per la storia e la cultura medievale nasce in Umberto Eco negli anni dell’università e lo accompagna per tutta la sua vasta produzione letteraria, saggistica e narrativa. La sua primissima pubblicazione, infatti, è un ampliamento della sua tesi di laurea dedicata alla figura di Tommaso d’Aquino.

Dopo gli studi, Umberto Eco approda in RAI. L’esperienza televisiva sarà uno dei cardini su cui Eco fonderà l’impianto teorico di buona parte della sua saggistica. Nel 1961 pubblica, infatti, Fenomenologia di Mike Bongiorno, poi seguito da Diario minimo.

L’esperienza vissuta in RAI non influisce però soltanto sull’elaborazione del pensiero di Eco, ma è per lui essenziale anche da un punto di vista più strettamente personale. È in questa circostanza, infatti, che conosce altri intellettuali, con i quali darà vita al Gruppo 63, storica neoavanguardia letteraria interessata a sperimentare nuove forme di espressione, rompendo con gli schemi tradizionali.

Dal 1959 al 1975, Eco è co-direttore della casa editrice Bompiani. Nel frattempo, negli anni Sessanta ha inizio la lunga carriera universitaria. Insegna in vari atenei italiani, da Torino a Milano, da Firenze a Bologna, prima di approdare nelle più prestigiose università del mondo. Finirà infatti per tenere lezioni anche alla Columbia, a Yale, Harvard e Oxford.

Umberto Eco libri: Il nome della rosa, Il pendolo di Foucault e Il cimitero di Praga

Affermatosi negli anni ’60 come uno dei più brillanti studiosi di estetica e di semiotica (Opera aperta, Apocalittici e integrati, La struttura assente), saggista di effervescente intelligenza e umorismo (Diario minimo, Sette anni di desiderio), Umberto Eco esordisce in narrativa solo nel 1980, con quello che sarà per sempre considerato il suo capolavoro, Il nome della rosa. Seguono Il pendolo di Foucault, L’isola del giorno prima, Baudolino, La misteriosa fiamma della regina Loana, Il cimitero di Praga e Numero zero.

Umberto Eco libri: Il nome della rosa, Il pendolo di Foucault e Il cimitero di Praga
I libri di Umberto Eco

Tra le sue numerose opere di saggistica (accademica e non) si ricordano: Lector in fabula, Sulla letteratura e Dire quasi la stessa cosa.

I testi per il teatro

Nel teatro è presente con l’atto unico Le forbici elettroniche, messo in scena nel 1960. Il protagonista della pièce è una intelligenza artificiale, il Censore elettronico che, scambiando la realtà con gli intrecci dei copioni cinematografici riversati nella sua memoria, arriva a credere nella propria esistenza in vita. Il teatro diventa così, nell’intenzione di Umberto Eco, il luogo di indagine sul rapporto fra il mondo ormai dominato dalla tecnica e la realtà intesa come fenomeno di linguaggio.

Frequentatore dei cabaret milanesi dei primi anni ’60 si è anche divertito a fornire qualche testo. Tra questi,  Tanto di cappello, messo in scena da Filippo Crivelli con Sandro Massimini e una giovanissima Mariangela Melato.

Leggi anche:

Edoardo Sanguineti

Alberto Arbasino

Cesare Zavattini


D’annunzio, Gabriele

Esteta e superuomo, autore de Il piacere e La pioggia nel pineto, Gabriele D’Annunzio è tra i poeti che più hanno segnato la letteratura italiana di fine 800 e inizio 900.

Gabriele D’Annunzio è, insieme a Giovanni Pascoli, il principale esponente del Decadentismo italiano. Originario di Pescara, ha un ruolo fondamentale nella sua vita e nella sua poetica la città di Roma, dove l’autore scopre e nutre il suo amore per il lusso e la vita mondana, e dove scrive il suo romanzo più noto Il piacere. Soprannominato il Vate, cioè “poeta sacro, profeta”, occupò una posizione preminente nella letteratura e nella vita politica italiana di fine 800 e inizio 900.

Gabriele D’annunzio biografia: gli esordi letterari e Il piacere

Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia più che benestante. Già dai primi studi mostra subito un grande interesse per la letteratura ed è proprio negli anni del collegio che pubblica la sua prima raccolta di poesie, Primo Vere. Si trasferisce a Roma per frequentare l’università, ma il periodo romano sarà soprattutto un periodo di lavoro giornalistico e di vita mondana nei salotti letterari e aristocratici. 

Il grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere. Incentrato sulla figura dell’esteta decadente, rompe con i canoni estetici del naturalismo e del positivismo allora imperanti.

La vita che conduce a Roma lo sommerge di debiti e per scappare ai creditori comincia un periodo di viaggi per la Penisola. Giunto a Venezia conoscerà colei che diventerà il grande amore della sua vita, la bellissima attrice Eleonora Duse.

L’incontro con Eleonora Duse

Fino al 1894, l’attività di Gabriele D’Annunzio alternò opere di poesia con opere di narrativa. L’incontro con Eleonora Duse fu determinante per l’attività di autore teatrale, e soprattutto per il teatro italiano che stentava a rinnovare un repertorio ormai logoro e ripetitivo. Insieme a Eleonora Duse, cominciò ad approfondire la lettura dei classici. Orestea, Edipo, Antigone e Fedra rappresentano le tappe più significative di un percorso di ricerca destinato a sviluppare l’idea di una tragedia moderna, modellata su suggestioni contemporanee.

Eleonora Duse, la musa di Gabriele D’annunzio
Eleonora Duse, la musa di Gabriele D’annunzio

Con Sogno di un mattino di primavera (1897) e Sogno d’un tramonto d’autunno (1901), veri e propri capolavori di sperimentazione scenico-linguistica, D’Annunzio contribuisce in maniera determinante a inserire il teatro italiano nel clima europeo dominato dalle figure di Claudel, Strindberg, Ibsen, Hofmannsthal, Wedekind e Schnitzler. Con i due Sogni, scelse la via del teatro patologico: costruito su una struttura onirica, carico di colori, con personaggi che si muovono ai limiti di una follia che, a volte, si tinge di panismo, a volte di soluzioni metamorfiche, altre di passione. La figura della Demente e della Dogaressa anticipano, oltre che altre creature dannunziane, anche quelle del teatro espressionista, in quanto vivono situazioni d’incubo, di sogno, di magia. Si muovono sul palcoscenico come fiere prese nella rete: hanno gli occhi smarriti, il volto esangue, i capelli scarmigliati, la carne che vibra.

Un avanguardismo particolare, dunque, che ritroviamo ne La città morta (1898), andata in scena al Teatro Lirico (1901, con la Duse e Zacconi), certamente il tentativo più esplicito di coniugare la tragedia ellenistica con quella moderna.

I testi teatrali di Gabriele D’Annunzio

La Duse, intanto, gli aveva fatto conoscere il teatro di Ibsen, sulla cui fascinazione modellò La Gioconda (1899). Seguono due tragedie che alla prima rappresentazione fecero molto scalpore: La Gloria (1899) e Francesca da Rimini (1902). Due insuccessi ai quali seguirono due grandi vittorie: La figlia di Jorio (1904) e La fiaccola sotto il moggio (1905). Il successo della compagnia Talli, a Milano, fu straordinario. La Duse si trovava all’Eden Palace di Genova, per gli amici ammalata; in verità recitava la tragedia che era stata scritta per lei all’amica Matilde Serao, con tanta rabbia per essere stata esclusa.

Un anno dopo il successo de La figlia di Jorio, sempre al Teatro Lirico, andò in scena La fiaccola sotto il moggio. Tra fiaschi, incertezze e trionfi seguirono Più che l’amore (1906) e La nave (1908). Il ritorno al mito classico e al mito cristiano avviene con Fedra (1909) e Le martyre de Saint Sébastien(1911). Tra le ultime composizioni: Parisina (1921), La pisanella (1913). Il ferro (1914) può essere senza dubbio considerata una delle sue più belle tragedie, non solo per come tratta l’argomento dell’incesto, ma anche per uno stile e un linguaggio più trattenuti.

Leggi anche:

Luigi Pirandello

Filippo Tommaso Marinetti

Edoardo Sanguineti

Albert Camus

Albert Camus è un romanziere, saggista e drammaturgo francese.

Albert Camus è un romanziere, saggista e drammaturgo francese. Con Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir rappresenta una figura di spicco dell’esistenzialismo francese. È conosciuto per romanzi come Lo straniero (1942) e La Peste (1947) e per il suo lavoro nelle cause di sinistra.  Nel 1957 il Premio Nobel per la letteratura ne consacra la fama.

Albert Camus, biografia dello scrittore francese

Albert Camus nasce il 7 novembre 1913 in Algeria a Mondovi, oggi Dréan. Rimasto prestissimo orfano di padre, morto nella battaglia della Marna, conobbe un’infanzia e una giovinezza di stenti. Si distinse, tuttavia, negli studi universitari, che non riuscì a completare per il cattivo stato di salute e per il continuo lavoro cui era costretto. Fu commerciante, commesso, impiegato e attore nella compagnia di Radio Algeri. La tubercolosi colpisce Albert Camus giovanissimo: la malattia purtroppo gli impedisce di frequentare i corsi e di continuare a giocare a calcio come portiere, attività sportiva nella quale eccelleva. Finirà gli studi da privatista laureandosi in Filosofia nel 1936.

L’impegno politico e l’antifascismo

Nei primi anni ’30 aderisce al movimento antifascista e successivamente al Partito Comunista Francese da cui si allontanerà, accusato di trotskismo. Durante questi anni intraprende una storia con Simone Hie dalla quale si separa dopo due anni per una sua dipendenza dagli psicofarmaci. Si fidanza diversi anni dopo con Francine Fauré con la quale rimane fino alla fine della vita.

La sua militanza continua a manifestarsi all’interno delle redazioni di giornali dove si specializza nei resoconti dei processi e dei reportage. Passione politica e impegno giornalistico, sono due caratteristiche del suo modo di concepire la vita e le battaglie a favore dell’uomo. Le sue denunce contro lo sfruttamento degli arabi in Francia e la denuncia delle loro condizioni miserabili vissute sotto il colonialismo francese, gli portarono censure e fastidi.

Nel 1940 si sposta in Francia dopo aver ottenuto un posto al Paris-Soir, dove manifesta la sua intolleranza verso il regime nazista. Nell’ambiente intellettuale della resistenza coinvolge anche Jean-Paul Sarte, con cui instaura una forte amicizia.

Ad agosto 1945, a guerra conclusa, Albert Camus è l’unico intellettuale occidentale (a eccezione del fisico tedesco Albert Einstein) a condannare apertamente la scelta da parte degli Stati Uniti di bombardare Hiroshima e Nagasaki.

Albert Camus libri: Lo straniero, La peste e il premio Nobel

Intorno al 1937 esordisce nel mondo letterario con la raccolta di prose liriche e di saggi intitolata Il rovescio e il diritto. Affermatosi nel 1942 con il romanzo Lo straniero e con il saggio Il mito di Sisifo, raggiunse un vasto riconoscimento di pubblico con La peste (1947). Nel 1957 ricevette il premio Nobel per la letteratura per aver saputo esprimere come scrittore “i problemi che oggi si impongono alla coscienza umana”.

Dalla filosofia ai testi teatrali

Albert Camus dedica parte della sua opera anche alla creazione di testi teatraliIl malinteso (1944) e Caligola (1945), cui seguirono Stato d’assedio (1948) e I giusti (1950).

La sistematicità, caratteristica generale dell’opera camusiana, fa sì che i due momenti dedicati al teatro si inseriscano in un preciso disegno metodologico ed ermeneutico. Secondo l’analisi dello stesso Camus, Caligola e Il malinteso apparterrebbero dunque al ciclo dell’assurdo, Stato d’assedio I giusti farebbero invece parte della fase detta della ‘rivolta’. I temi trattati dalle prime due pièce rispecchiano la prima fase della ricerca di Albert Camus. Una fase distruttiva, di presa di coscienza del vuoto di senso in cui l’essere umano è immerso. In Caligola, soprattutto, Albert Camus affronta il problema della morte, della realtà banale e terribile per cui “gli uomini muoiono e non sono felici”. Il protagonista dell’opera cerca di opporsi a questa legge ineluttabile incarnando l’arbitrarietà e la cecità delle leggi che muovono l’esistenza. Il tipo di libertà sperimentata da Caligola, tuttavia, è senza via di uscita e non può che esprimersi nel crimine. Voler plasmare l’uomo sulle forze che ne precedono la creazione implica infatti la distruzione dell’umanità e la condanna alla solitudine.

In Stato d’assedio e I giusti Albert Camus dà prova dell’evoluzione del suo pensiero: dalla presa di coscienza dell’assurdo al suo superamento attraverso la solidarietà tra gli uomini, vero e proprio sentimento di simpatia, di condivisione del dolore. In particolare, I giusti – opera che analizza i legami ideologici e sentimentali degli appartenenti a una cellula rivoluzionaria nella Russia del 1905 – riesce a tradurre questa fase ulteriore della ricerca camusiana, di un nuovo umanesimo in un’epoca disperata.

Leggi anche:

esistenzialista

Jean Anouilh

Sbragia

Figlio dell’attore Giancarlo e della principessa Ruspoli, nel 1972 Mattia Sbragia esordisce recitando Majakowskij. In seguito interpreta diversi ruoli in televisione: ne La figlia di Iorio di D’Annunzio, in Vita di Gramsci e in Delitto e castigo . Successivamente farà al cinema Ritratto di borghesia in nero di T. Cervi (1978) e Il caso Moro di Ferrara (1986). Fra i testi per il teatro di cui è autore si ricordano Ore rubate e Ultimi calori . Nel 1988 inizia a collaborare con Piccolo Teatro di Milano per il quale recita in Libero di R. Sarti e in Siamo momentaneamente assenti di L. Squarzina (1992) e, più di recente, in L’anima buona di Sezuan di Brecht (1995-96) e ne L’isola degli schiavi di Marivaux (1995-96).

Giuranna

Diplomato all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’ nel 1958, Paolo Giuranna ha debuttato al Teatro stabile di Genova dirigendo Le colonne della società di Ibsen. Ha inaugurato il Teatro stabile dell’Aquila nel 1965. Dal 1959 al 1973 ha messo in scena trenta spettacoli per i Teatri stabili di Roma, Genova, Bologna, L’Aquila e per compagnie come Carraro-Porelli, Tieri-Lojodice, Buazzelli, Attori Associati; in prima rappresentazione nazionale ha proposto testi di Alfieri ( Il divorzio ), A. Miller, A. Adamov, E. Schwarz (Il drago), Buero Vallejo, Vico Faggi (Il processo di Savona ), A. Tolstoj (La potenza delle tenebre), G.B. Shaw (Il dilemma del dottore). Dal 1983 al 1986 ha diretto a Genova per il Teatro stabile la prima recitazione integrale in teatro della Divina Commedia con i più importanti attori italiani. Ha ottenuto il premio Verga per la regia nel 1967. Dal 1973 è stato attore e regista nella compagnia Attori Associati e dal 1980 ha recitato in spettacoli diretti da Costa, Krejca, De Lullo, Sbragia, Albertazzi, Squarzina. Ha svolto un’intensa attività didattica, iniziata per una precoce vocazione nel 1959 e proseguita ininterrottamente presso l’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’. L’incontro con V. Gassman lo porterà a insegnare alla Bottega teatrale di Firenze sino al 1992. Ha insegnato, inoltre, nelle scuole del Teatro stabile di Genova, del Teatro Bellini di Napoli, del Centro sperimentale di cinematografia e dell’Istituto nazionale del dramma antico di Siracusa. Ha diretto per la Raidue testi teatrali: Rumore d’incendio e Il segreto dell’erbe . Il dramma La vocazione del capitano Lang , tradotto in tedesco, è stato rappresentato in Svizzera, Austria e Germania. Con La ferita nascosta ha vinto nel 1986 il premio nazionale per la drammaturgia Luigi Pirandello.

Buenaventura

Teorico della creazione collettiva, Enrique Buenaventura ha fondato nel 1955 il Teatro Sperimentale di Cali, uno dei gruppi di teatro indipendente più interessanti dell’America Latina negli anni Sessanta e Settanta. I suoi allestimenti si basano sul lavoro dell’attore e la creazione collettiva nella linea di un teatro popolare e politico e nella ricerca di un’identità latinoamericana. I testi di partenza sono a volte i propri come Alla destra di Dio Padre (En la diestra de Dios Padre), 1960 o I fogli dell’inferno (Los papeles del infierno) 1968, o quelli di altri autori. Tra le opere più rappresentate di B. si possono ricordare Réquiem por el padre Las Casas, 1963; La denuncia, 1977, sull’United Fruit Company e Il crocevia (La encrucijada), 1982.

Wilder

Thornton Wilder cominciò ad accostarsi al teatro con due raccolte di atti unici, pubblicate rispettivamente nel 1928 e nel 1931. Della seconda faceva parte – e le dava il titolo – Il lungo pranzo di Natale (The Long Christmas Dinner) che, condensando in un’ora novant’anni di banchetti natalizi, raccontava la storia di una famiglia, preannunciando modi e temi delle opere maggiori. In una scena che consisteva soltanto di un lungo tavolo con relative sedie e due porte, l’una inghirlandata di fiori e l’altra parata a lutto, si sviluppava la piccola saga dell’uomo comune con le sue gioie e le sue tristezze.

Il discorso rimase sostanzialmente lo stesso nella sua commedia più famosa, Piccola città (Our Town, 1938), che descriveva le piccole vite di una cittadina di provincia, e soprattutto le nozze e la morte di una ragazza; ma le vicende erano epicizzate dalla presenza in scena di un regista che le presentava e commentava, e passavano fluidamente dal mondo dei vivi a quello dei morti, con risultati di notevole suggestione che rendevano meno ovvio lo scoperto elogio degli ideali piccolo borghesi.

A una teatralità dichiarata si richiamava pure La famiglia Antropus (The Skin of Our Teeth, 1942), che ricostruiva il tribolato cammino dell’umanità dall’età della pietra in poi, evitando i pericoli della retorica predicatoria, grazie all’uso di tecniche mutuate dal teatro di varietà e al continuo intreccio fra passato e presente. Il suo terzo successo, La sensale di matrimoni (The Matchmaker), si ispirava a una commedia di Nestroy: fu un fiasco nella prima versione del 1938 (dal titolo The Merchant of Yonkers), piacque nell’edizione definitiva del 1954 – che non era molto più di una farsa ben scritta e ben costruita – e trionfò dieci anni dopo, tradotto in musical col titolo Hello, Dolly! . Irrilevanti furono invece i drammi successivi, fra i quali Una vita nel sole (A Life in the Sun, 1955) che rielaborava il mito di Alcesti.

Illica

Giovane intemperante, Luigi Illica visse un forte contrasto con il padre; per quattro anni condusse vita di mare, combattendo anche nel 1876 contro i Turchi. Fu un suo cugino a indirizzare il suo estro artistico, avviandolo alle lettere. Nel 1881 fondò a Bologna il quotidiano “Don Chisciotte”, di umori radicali e repubblicani, apprezzato da Carducci. Nel 1882 pubblicò una raccolta di bozzetti e prose dal titolo Intermezzi drammatici : scritti satirici nei confronti di autori, attori e critici legati a schemi considerati superati. Debuttò come autore di teatro con I Narbonnerie La Tour (1883), un successo immediato; in questo ambito l’opera che gli riservò maggior fama fu L’ereditaa del Felis (1891), un lavoro in dialetto milanese che risente di alcuni temi ibseniani. Il suo nome è legato soprattutto all’attività di librettista lirico. Scrisse infatti i testi per Wally di Catalani (1892), Andrea Chénier di Giordano (1896), Iris di Mascagni (1898); per Puccini, oltre alla traccia per Manon Lescaut (1893), i libretti di Bohème (1896), Tosca (1900) e Madama Butterfly (1904), in collaborazione con Giacosa.

Terron

Drammaturgo di straordinaria prolificità (ha firmato oltre sessanta opere), critico teatrale (ha collaborato con “L’Arena”, il “Corriere della Sera”, il “Corriere Lombardo” e “La Notte”), operatore culturale (dal 1952 al 1962 è stato direttore del settore spettacolo alla Rai). Il teatro di Carlo Terron ha saputo esprimere con notevole anche se talvolta sottovalutata forza espressiva e morale soprattutto le inquietudini delle generazioni del dopoguerra, di cui ha colto, in sintonia con il teatro dei `processi morali’ di Betti, Eduardo, Fabbri, le contraddizioni e le debolezze più nascoste. Sostenuto da una scrittura virtuosistica e funambolica e da una forza satirica talvolta corrosiva, Terron ha goduto di un buon successo proprio negli anni ’50 e specialmente grazie alle tragedie. Su tutte spiccano – per l’altezza morale e la trama drammaturgica – Giuditta (Teatro Nuovo Milano, 1950), Processo agli innocenti (Teatro Odeon, Milano, 1950), Ippolito e la vendetta (Teatro Quirino, Roma, 1958), Lavinia tra i dannati (Teatro Bonci, Cesena, 1959).

Un riscontro meno entusiastico ebbero invece le pur valide commedie, tra cui si ricordano Non c’è pace per l’antico fauno (Teatro Manzoni, Milano, 1952), Notti a Milano (Teatro Odeon, Milano, 1963), I Narcisi (Teatro Sant’Erasmo, Milano, 1963). Non sparate sulla mamma (Teatro Sant’Erasmo, Milano, 1963); ma un grande successo hanno avuto i monologhi scritti per P. Borboni e da lei interpretati dal 1958 al ’72 ( Colloquio col tango – anche con il titolo La formica -, Eva e il verbo , La vedova nera e Si chiamava Giorgio ). Felice eccezione è stato anche il remake del vaudeville di Feydeau, Baciami, Alfredo (Teatro della Pergola, Firenze, 1969). Di fatto dimenticato nel corso degli anni ’70 ed ’80, quando Terron è diventato un autore più letto che rappresentato ( Le vocazioni sbagliate , Il complesso dell’obelisco e Stasera arsenico sono tra le scritture sceniche più significative), le sue pièce solo in tempi recenti hanno conosciuto nuovi allestimenti: in tal senso si collocano le riproposte effettuate presso il Salone Pier Lombardo , Chi ha paura della bomba all’idrogeno regia di Gianni Mantesi (1990) e il Sipario Spazio Studio a Milano nel 1995 di Una coppia di singles ovvero rissa col diario , regia di Gianni Mantesi, La sposa cristiana o anche camera 337, regia di Mattia Sebastiano e Stasera arsenico, regia di Mario Mattia Giorgetti.

Lerici

Roberto Lerici esordisce come autore negli anni ’60, all’interno della nuova avanguardia teatrale italiana, legandosi in particolare al nome di Carmelo Bene (La storia di Sawney Bean, 1964) e di Carlo Quartucci con Il lavoro teatrale (Venezia, Biennale 1969), Il gioco dei quattro cantoni (1966) e Majakovskij e compagni alla rivoluzione d’Ottobre (1967). Il decennio successivo è segnato dall’intenso lavoro con Antonio Salines e da opere come L’educazione parlamentare (1972) e Pranzo di famiglia (1973); mentre nel 1976 torna, con Romeo e Giulietta, alla collaborazione con Carmelo Bene. Quindi l’incontro con Aldo Trionfo, regista a lui congeniale per attitudini stilistiche e scelte culturali, che allestisce con la compagnia Teatro di Roma la sua commedia L’usuraio e la sposa bambina (1981). Negli anni Ottanta Lerici, che cura anche diversi adattamenti di opere di autori stranieri come Calderón, F. Wedekind, E. Labiche e N. Simon, approda al teatro brillante, realizzando un felice sodalizio artistico con l’attore G. Proietti, per il quale scrive A me gli occhi please, Come mi piace (1983) e Leggero leggero , pur non abbandonando, nel contempo, attraverso la rinnovata collaborazione con Quartucci, la via della ricerca: sono di questo periodo infatti i testi Didone (1982), Uscite (1982) e Funerale (Kassel 1982). L’ultimo anno, infine, è caratterizzato dal suo lavoro per Lucia Poli Vuoto di scena, da Cyrano de Bergerac per Salines, dall’adattamento di Appartamento al Plaza di N. Simon per G. Tedeschi e dalla stesura, a quattro mani con G. Nanni, di Alberto Moravia : a ulteriore conferma di una scrittura che, dallo sperimentalismo degli inizi al repertorio brillante e poi ancora alla ricerca, si qualifica a tutti gli effetti per la notevole versatilità.

Cenzato

Giovanni Cenzato fu direttore dell'”Arena” di Verona e, dal 1922, redattore al “Corriere della sera”. Cominciò a scrivere per il teatro nel 1910 e il suo repertorio comprende, oltre a lavori in italiano, molte commedie in dialetto veneto e milanese. Per la loro facilità di comprensione e per gli accenti sentimentali che le caratterizzavano, le sue opere ebbero notevole successo tra il grande pubblico. Fra i testi di Cenzato si ricordano Ho perduto mio marito (1934), Il ladro sono io! (1937), Il marito non è necessario (1947).

Tondelli

Oltre ad essere stato uno dei più interessanti e amati narratori degli anni Ottanta (Altri libertini, 1980; Rimini, 1985; Camere separate, 1989) Pier Vittorio Tondelli è stato un ottimo osservatore del nuovo teatro. Fu tra i primi ad occuparsi di gruppi come Raffaello Sanzio, Crypton, Magazzini, Falso Movimento e a capire il gioco di contaminazioni tra il teatro e la musica, il fumetto e il video e di come tutto questo movimento fosse rielaborato e restituito sulla scena, basta leggere la raccolta dei suoi articoli Un week-end postmoderno. Per il teatro ha scritto un solo testo, Dinner party, messo in scena da Piero Maccarinelli nel 1994.

Galdieri

Figlio del poeta Rocco, Michele Galdieri ne ereditò la delicata vena crepuscolare; i suoi copioni furono sempre abilmente intessuti di satira e sentimentalismo. Esordì con successo a Napoli nel 1925 (aveva appena 23 anni) con L’Italia senza sole . Due anni dopo, scrisse La rivista che non piacerà (titolo audace) esaltando la qualità dei fratelli Eduardo, Titina e Peppino De Filippo. A lui si sono affidati i più grandi interpreti: Totò e Anna Magnani, Odoardo Spadaro e Lucy D’Albert, Wanda Osiris e Carlo Dapporto, Renato Rascel e Nino Taranto, Aldo Fabrizi e Paola Borboni. Alcuni titoli: Strade (1932), E se ti dice va… tranquillo vai (1937); Mani in tasca, naso al vento (1940); L’Orlando curioso (1942); Volumineide (1943); Che ti se messo in testa? (1944); Imputati, alziamoci! (1945); Bada che ti mangio (1949); Chi è di scena (1954); La gioia (1963) segna il ritorno alla rivista `pura’, con Dapporto maliardo e gran raccontatore di barzellette in passerella nel sottofinale, che conta su Gianni Agus `spalla’ ideale e sulla soubrette Silvana Blasi reduce dalle Folies Bergère: nello spettacolo, a quadri staccati, (in controtendenza alle coeve commedie musicali ormai di gran successo, firmate Garinei & Giovannini), c’è `Agostino’ che rifà il Peppone di Guareschi, c’è Monsieur Verdoux, c’è l’anticlericale Gioachino Belli che scende dal piedistallo per dire bene, in versi, del Papa buono appena scomparso. La carriera di G. si conclude con I trionfi (1964-65), l’ultima grande rivista tradizionale, ancora con Dapporto insuperabile nel suo `Agostino’ (qui investigatore privato) e con Miranda Martino cantante-soubrette. Rivista curiosamente coetanea di un altro tentativo di restaurazione, Febbre azzurra 1965 di Amendola per Macario, con carico, `spalla’, soubrette e stuolo di girls e boys, quando su altre ribalte s’era già affermato il cabaret di Parenti-Fo-Durano o dei Gobbi, oppure commedie ormai poco musicali come Il giorno della tartaruga , di Magni-Franciosa-Garinei-Giovannini con Rascel e Delia Scala unici interpreti, tre ore di dispute coniugali con un impianto esplicitamente boulevardier.

Successo costante, dunque, quello di G., ma assai rilevante si considera l’apporto di Michele Galdieri alla storia della rivista del tempo di guerra. Gli si riconosce il ruolo di «vero creatore della grande tradizione della rivista italiana, a struttura totalmente `aperta’, a quadri staccati, quindi estranea all’influenza dell’operetta e del musical». Michele Galdieri seppe creare, come lo stesso Michele Galdieri ebbe a teorizzare, «con notevole estro e fantasia uno stile poi imitatissimo», che si reggeva su tre elementi costitutivi fondamentali: la coreografia, il sentimento, la satira. Dei tre elementi, quello della satira fu certamente predominante in tempi di censura assai attenta. «Cave canem Galdieri. Non grida, non si avventa. Ti accarezza, ti illude con parole di miele poi quando meno te lo saresti aspettato, ti ha morso con denti aguzzi. Ha spruzzato profumo e vi ha mescolato vetriolo…». Così scrisse Leopoldo Zurlo, il funzionario responsabile della censura teatrale dal 1931 al 1943. Onore al merito di un autore che seppe far ridere con allusioni satiriche sul regime fascista. In Disse una volta un biglietto da mille (1939-41), la formidabile accoppiata Totò-Anna Magnani (la struggente scenetta della “Fioraia del Pincio”) seppe argutamente sfottere il regime. “In pieno 1942 – come ricorda il figlio di Michele Galdieri, Eugenio – egli poté far risuonare in scena per centinaia di sere, a Roma, da un oscuro vestito da `pazzarello’, il grido: `Popolo, po’, è asciuto pazzo `o patrone!”‘. Altro aspetto importante della personalità artistica di Michele Galdieri, quello del talent-scout. Wanda Osiris ricordava: «Era un umorista finissimo, era regista, scriveva i testi, si occupava di tutto. Lavorare nella sua compagnia sarebbe stato un buon lancio per me. Mi misi subito a studiare come lui mi consigliava: impostai la voce con un maestro di canto, e andai a lezione di ballo da Gisa Geert». Nella rivista E se ti dice va, tanquillo vai (1937), la Osiris era la vedette, o come si diceva in gergo, `la primadonna di spolvero’, ossia non attrice né comica, ma personaggio che fa scena. E per l’occasione, la Osiris si dipinse tutta di marrone, in tempi in cui la tintarella integrale era desueta e i raggi Uva ignoti. Tra tutte le scene ideate, Michele Galdieri preferiva, a ragione, quella interpretata da Anna Magnani in “Chi è di scena?” (1954). Un’entrata a effetto: durante un quadro raffinato, tutto vezzi e moine da Commedia dell’Arte risciacquata nell’Arcadia, c’era l’ulro lancinante di una sirena e Nannarella che irrompeva di corsa scapigliata e urlante, una pirandelliana Figliastra dei Sei personaggi che «stanca dell’immobilità impostale dall’autore scese nella vita diventando donna da marciapiede». In 75 copioni, Galdieri seppe tracciare i lineamenti di un genere teatrale, la rivista, che ha divertito le platee più composite in quaranta stagioni irripetibili.

Proietti

Dotato di grande estro e versatilità, di rara comunicativa e accattivante simpatia, Luigi Proietti inizia la sua attività nello spettacolo con Giancarlo Cobelli, conosciuto negli anni dell’università. Dopo qualche attività di cabaret (Can can degli italiani, La casa delle fate) lavora con il Teatro dei Centouno di Antonio Calenda e esordisce, nel 1966, con Direzione Memorie, di C. Augias. Negli ultimi anni ’60 lavora allo Stabile dell’Aquila (Coriolano, di Shakespeare; Dio Kurt di Moravia; Operetta di Gombrowicz), e nel 1974 è nella Cena delle beffe di S. Benelli, diretto da Carmelo Bene e in Le tigri di Mompracem di Ugo Gregoretti. Dal 1974 al 1976 riscuote notevole successo con lo spettacolo A me gli occhi (successivamente ripreso), e nel 1980 con La commedia di Gaetanaccio, scritta per lui da L. Magni, cui fanno seguito lavori come Caro Petrolini, Cirano (1980, con gli allievi della sua scuola di recitazione), Per amore e per diletto , I sette re di Roma, Kean. Nel 1966 esordisce come attore televisivo in “I grandi camaleonti” diretto da F. Zardi: particolarmente amato dal grande pubblico, gli impegni televisivi nella fiction, nella prosa e nel varietà sono stati, infatti, innumerevoli ( Missione Wiesenthal , La presidentessa , Figaro , Fatti e fattacci , Fregoli , Io a modo mio , Villa arzilla , Un figlio a metà , Il maresciallo Rocca ). Nel cinema ha lavorato, tra gli altri, con Lumet, Damiani, Monicelli, Lattuada.

Horovitz

Dopo la laurea a Harvard Israel Arthur Horowitz si trasferisce in Gran Bretagna, dove studia alla Royal Academy of Dramatic Arts (1961-63) e collabora con la Royal Shakespeare Company (1965); tornato negli Usa, diviene presto un fecondo autore di copioni per i teatri di Off-Off Broadway (tra gli altri, The Line al Café La Mama, 1967). Si rivela nel 1968 con l’atto unico Gli indiani vogliono il Bronx (The Indian Wants the Bronx), un thriller psicologico nel quale due giovani teppisti torturano un adulto emigrato dall’India, interpretato al debutto newyorkese da Al Pacino. I temi della violenza urbana e di ciò che di torbido si nasconde sotto la rispettabilità della classe media informano anche le sue opere successive (fra le quali il ciclo delle Wakefield Plays, 1974-79), quasi sempre di carattere realistico, ma con occasionali puntate verso l’assurdo. La prolifica attività di drammaturgo continua per tutti gli anni ’80 con testi aggressivi e di grande impatto (The Good Parts, 1982; Firebird at Dogtown, 1987): emerge per forza espressiva The Widow’s Blind Date , in cui si compie la vendetta di una donna stuprata.

Mazzali

Bruno Mazzali fonda la compagnia teatrale ‘Patagruppo’ (in cui lavora l’attrice Rosa Di Lucia, immancabile interprete dei suoi allestimenti), attiva nell’ambito dell’avanguardia. L’esordio è del 1972 con Ubu re di Jarry, a cui seguono: La conquista del Messico di Artaud (1973); Solitaire Solidaire dello stesso Mazzali (1976, ripresa nel 1979); La locandiera di Goldoni (1980). Numerosi i monologhi affidati alle doti interpretative della Di Lucia: Insulti al pubblico di P. Handke (1973, ripresa nel 1979); Senza patente, dall’intervista giornalistica a una prostituta (1976); Sinfonietta , raccolta di oltre 150 poesie di Ripellino (1979). Tra le altre regie segnaliamo: Sole e acciaio di M. (1982); Berenice di Racine, adattamento di E. Siciliano (di cui cura anche le scene e i costumi, 1984); Gige e il suo anello di Hebbel (anche le scene, 1986); Rumore di fondo di G. Manacorda (1988).

Manfridi

Giuseppe Manfridi dopo gli studi classici, svolge attività giornalistica per “La città futura” e “Il Dramma”, rivista di Diego Fabbri. Esordisce come autore, attore e regista nel 1976, allestendo Andromaca, la condizione estrema dell’urlo , ai teatri La Comunità e SpazioUno di Roma. Sin dai primi testi ( La leggenda della madre benedetta , 1979; Una stanza al buio , 1981), M. si segnala per l’originalità e l’intensità poetica della sua scrittura, sempre attenta al reale, al quotidiano, alle evoluzioni e le tendenze linguistiche non solo del contemporaneo. Autore particolarmente prolifico (oltre cinquanta i testi teatrali andati in scena), M. raggiunge notorietà grazie a Teppisti del 1985 (più volte ripreso); Una serata irresistibile (1986, premio Idi under 35); Liverani (1986, premio Riccione Ater); Anima bianca (1986, premio Idi); Giacomo il prepotente (1989, premio Taormina Arte e medaglia d’oro Idi), Ti amo, Maria (1989, premio Riccione Ater); Arsa (1989, 1993, 1995); La leggenda di San Giuliano (1991, presentato al festival d’Avignone); Zozòs (1994, ’96, ’97); La partitella (1995). Traduce in italiano le opere di Steven Berkoff e Jasmina Reza, firma le sceneggiature dei film Ultrà , regia di Ricky Tognazzi (1991, Orso d’argento al festival di Berlino), Vite strozzate (1996, regia R. Tognazzi); I maniaci sentimentali e Camere da letto (1996 e 1997, regia di Simona Izzo). I testi di M. sono tradotti e allestiti in Francia, Svezia, Grecia, Stati Uniti e Argentina.

Giraudoux

La carriera teatrale di Jean Giraudoux costituisce un tipico esempio della possibilità – o necessità – di suddividere la propria esistenza in due professioni appartenenti a due ambiti totalmente separati. Alto funzionario del ministero degli Esteri, Jean Giraudoux dedica infatti gran parte delle sue energie alla scrittura e, specificamente, al teatro: dalle sue opere pare trasparire una linea direttrice, una tendenza generale riconducibile all’interesse dell’autore per il mito e per il confronto tra quest’ultimo e il vivere contemporaneo. Dal punto di vista stilistico, Jean Giraudoux pare corrispondere perfettamente al precetto di Louis Jouvet, direttore della Comédie des Champs-Elysées per cui «il grande teatro è soprattutto bel linguaggio». L’incontro tra i due (1928) non può dunque che dar vita a una fruttuosa collaborazione: Jean Giraudoux confeziona per Jouvet testi scritti in modo elegante e strutturati secondo le regole della tradizione. Saranno dunque Siegfried (1928), adattamento da un romanzo dello stesso Giraudoux, Amphytrion 38 (1929) e, soprattutto, Intermezzo (1933), opera che Jouvet riteneva rappresentasse perfettamente lo spirito e lo stile dell’autore. Uno stile spesso tacciato di eccessiva `mondanità’ nei temi – come si è detto di ispirazione mitica – e nei toni, ironici e distaccati; in realtà, è sufficiente osservare la produzione del periodo immediatamente a ridosso lo scoppio del secondo conflitto mondiale, le opere di epoca bellica e quelle postume per cogliere non solo l’accresciuta consapevolezza e la maggior capacità di indagine psicologica, ma anche il netto incupirsi del teatro di G. Le opere teatrali realizzate tra il 1935 e il ’39, infatti, sono intrise da un senso di catastrofe imminente, dove l’umanità appare incapace di scongiurare ed esorcizzare il tragico. È il caso di La guerra di Troia non si deve fare (La guerre de Troie n’aura pas lieu , 1935), Electre (1937), Ondine (1939) opere la cui programmaticità di intenti rasenta la struttura `a tesi’. Molto nota, infine, un’opera messa in scena dopo la morte dell’autore, La pazza di Chaillot (La folle de Chaillot, 1945). Messa in scena per la prima volta a Parigi nel 1945 da Jouvet, La pazza di Chaillot conferma, dietro l’apparente leggerezza, la profondità della dolorosa meditazione di G. sulla decadenza del mondo morale, politico e metafisico suo contemporaneo.

Andreev

Dopo un brillante esordio come narratore, Andreev Leonid Nikolaevic si impone subito come uno dei più originali drammaturghi di area simbolista con Verso le stelle (1905) e Savva (1906), Ma il vero trionfo lo ottiene con Vita dell’uomo (1907), suggestivo, inquietante itinerario di un’esistenza, denso di simboli e di visioni, messo in scena contemporaneamente da Mejerchol’d al Teatro della Komissarzevskaja a Pietroburgo e da Stanislavskij al Teatro d’Arte di Mosca. Sempre al Teatro d’Arte vengono messi in scena alcuni dei successivi lavori: Anatema (1909), Ekaterina Ivanovna (1912), Il pensiero (1914). In altri teatri vengono accolti con favore I giorni della nostra vita (1908), Anfissa (1910), Il professor Storicyn (1912), L’uomo che prende gli schiaffi (1915). Pur allontanandosi, dopo il 1910, dalle inflessioni fortemente simboliste dei primi lavori, rimane nella drammaturgia (così come nella prosa) andreeviana una connotazione grottesca ed esasperata che ben risponde all’atmosfera tesa del primo ventennio del Novecento. Grande successo e popolarità il teatro di Andreev Leonid Nikolaevic ha avuto in Italia nel periodo tra le due guerre: molti suoi lavori, soprattutto quelli in cui si indulge agli effetti scenici, divennero cavalli di battaglia dei nostri mattatori, da Zacconi alla Pavlova, dalle sorelle Gramatica a Ruggeri.

Durano

Così lunare e saettante, con sopracciglia che solo lui riesce ad accomodare in forma d’accento circonflesso, la mimica svolazzante, la dizione che picchietta le sillabe senza mai cedere al birignao. Giustino Durano rappresenta una presenza costante e significativa, quasi mai protagonista assoluto, ma sempre in ruoli di `carattere’ disegnati con acuta intelligenza e sensibile partecipazione. Esordisce nel 1944 in uno spettacolo d’arte varia per le Forze Armate a Bari; accanto all’artigliere D., Cesare Polacco, Gino Latilla, Nino Lembo (sarebbe diventato una gloria dell’avanspettacolo; ritiratosi dalle scene, fu e fornitore di gioielli falsi per film e commedie…). Regista, il maggiore Anton Giulio Majano. Primo spettacolo, Follie di Broadway con Lucio Ardenzi (cantante, non ancora impresario), Rosalia Maggio e un cantante che interpretava “Ciriciribin” e voleva essere annunciato prima con il cognome e poi con il nome, chiamandosi Littorio Sciarpa. Seguono spettacoli `d’arte varia’ (1947) a Bari, accanto a Peppino De Filippo e Nico Pepe, in avanspettacolo al Puccini di Milano (nel 1951) con Febo Conti e i cantanti Luciano Bonfiglioli e Corrado Lojacono. L’anno successivo, sarà in Cocoricò di Falconi-Frattini-Spiller, accanto a Dario Fo (nel cast anche Alberto Rabagliati, Franco Sportelli, la soubrette Vickie Henderson). Il sodalizio con Fo, e poi con Franco Parenti, avrebbe dato nelle due stagioni successive (1953-55) risultati `storici’, con Il dito nell’occhio e Sani da legare , due riviste da camera rappresentate al Piccolo Teatro di Milano e poi, in tournée, che (con il coevo Carnet de notes dei Gobbi, Caprioli-Bonucci-Salce e poi al posto di Salce, Franca Valeri) rivoluzionarono il teatro `leggero’ e comico, affidandosi a un copione ricco di geniale inventiva.

Nel 1956 Durano gioca la carta del solista, con due spettacoli: Il carattere cubitale e, alle Maschere di Milano, regista Carlo Silva, Cartastraccia ; in compagnia, Franca Gandolfi. Archiviato il cabaret teatrale (con un’appendice nel 1958 al Nuovo Romano di Torino, con Sssssssst!: canzoni demenziali come “Aveva un taxi nero – che andava col metano – e con la riga verde allo chassis”, avventure surreali di Pedro Cadrega, e altre trovate in anticipo sui tempi), D. passa nella rivista tradizionale, accanto a Wanda Osiris, in trio con Bramieri e Vianello in Okay fortuna di Puntoni-Terzoli; nella stessa formazione la stagione successiva in I fuoriserie . Nel 1958 è con Macario e Marisa Del Frate in Chiamate Arturo 777 , poi torna al capocomicato con Le parabole a spirale , Senza sipario , un recital alla Ribalta di Bologna, nelle stagioni 1958-59. E con Incondizionatamente condizionato (1973-74). Dal 1960 (con una pausa di riflessione che va dal 1974 al 1987) passa al teatro di prosa, con registi importanti. Segue Giorgio Strehler nella formazione del gruppo Teatro e Azione a Prato (dove tuttora D. risiede) partecipando a Il mostro lusitano di Weiss e Nel fondo di Gor’kij. Affronta ruoli importanti in Shakespeare, Pirandello (un memorabile Sampognetta in Questa sera si recita a soggetto accanto ad Alida Valli, 1995), Goldoni, Molière, Copi. Canta e recita al Piccolo Teatro di Milano in Ma cos’è questa crisi? con Milva e Franco Sportelli (1965). Affronta ruoli di rilievo in molte operette: La vedova allegra di Lehár con Edda Vincenzi a Palermo (1970); Il paese dei campanelli di Lombardo e Ranzato con Paola Borboni (Palermo 1972); Madama di Tebe di Lombardo con Ave Ninchi e Carlo Campanini, (Palermo 1973).

Nel tempo libero da impegni teatrali, radiofonici e televisivi (fu pioniere con Dario Fo nel 1953, negli studi di Torino, di trasmissioni per ragazzi), in particolare dal 1946 al ’66, si è esibito come cantante-fantasista «al night, in locali notturni, al dancing, in pasticceria, al caffè-concerto, in birreria, in Casinò, in grand hotel», come ricorda egli stesso. All’hotel Continental di Milano, 1949, con Maria Caniglia e Carlo Tagliabue; all’Odeon giardino d’inverno, Milano 1950, canta con il Duo Capinere e presenta il quartetto jazz di Duke Ellington; al Lirico di Milano in La sei giorni della canzone con Rabagliati, Lojacono, Narciso Parigi, Jenny Luna, Oscar Carboni; alla Bussola di Viareggio, con l’orchestra di Bruno Martino, affianca Mina, Alighiero Noschese e le spogliarelliste Rita Renoir e Dodo d’Hamburg. Nel suo curriculum, anche una stagione sotto il chapiteau, con il Circo Togni (1953), nella pantomima Pierrot lunaire . Nel 1951, a Modena, il baritono D. si esibisce in arie verdiane e, da solo, interpreta il duetto tra Rigoletto e Sparafucile. Nell’estate 1998 è stato il vecchio Anselmo nel Barbiere di Siviglia di Rossini all’Opera di Roma. Per la sua interpretazione nel film La vita è bella di Benigni gli è stato assegnato il Nastro d’argento 1998. Il 19 febbraio 1985 viene pubblicata la notizia della improvvisa dipartita del noto attore; il giornale radio ne traccia un affettuoso ritratto, interrotto dalla viva voce dell’interessato che precisa trattarsi della scomparsa di un cugino omonimo e cita la battuta di un altro vivo dato per morto, Mark Twain: «La notizia della mia morte è certamente prematura».

Roli

Attento osservatore dei costumi contemporanei, Mino Roli denuncia nelle sue opere, con stile neoverista, i rappresentanti di una società ingiusta e senza scrupoli. Tra i titoli della sua produzione vanno ricordati Sacco e Vanzetti (1961), realizzato in collaborazione con L. Vincenzoni e rappresentato dalla compagnia Sbragia-Garrani-Salerno, e Le confessioni della signora Elvira (1965), messo in scena dalla Padovani-Garrani-Sbragia.

Vasilicò

Appartenente a quella che Franco Quadri ha definito la ‘seconda generazione’ della neoavanguardia, Giuliano Vasilicò compie la sua formazione culturale e artistica in Svezia, dove ha i primi contatti con il nuovo teatro americano e dove partecipa ai primi happening . L’esperienza svedese ha fine nel 1968, anno in cui decide di stabilirsi a Roma, qui conosce Giancarlo Nanni con il quale lavora per un breve periodo al Teatro La Fede e insieme al quale sperimenta una capacità gestuale che nel tempo andrà formalizzandosi in una espressione teatrale esteticamente rigorosa. Da una realtà-laboratorio fonda la compagnia Beat ’72 , in una delle `cantine’ romane.

Nel 1969 dà alle scene il suo testo Missione psicopolitica, seguito da L’occupazione (1970). Gli scarsi riscontri della critica lo spingono ad accostarsi ai classici: dapprima la sua scelta cade su Amleto (1971), così dal regista giustificata: “se sono costretto a mettere in scena un testo non mio, voglio almeno il più bello scritto dagli altri”, in seguito, sul romanzo filosofico del marchese De Sade da cui trae Le 120 giornate di Sodoma (1972). Il primo spettacolo celebra il concetto genetiano di identità tra delitto e teatro, una situazione in cui si genera un’intensificazione emotiva continua, che scopre nella ripetizione del gesto una puntuale esplicitazione stilistica. Quando la ripetizione si fa ossessiva e diventa momento portante dell’azione trova emblematici punti di contatto con il mondo e il pensiero di Sade: ecco dunque nascere il secondo spettacolo.

Nei due allestimenti successivi, L’uomo di Babilonia (1974), da Musil, e Proust (1976), spettacolo che evoca i rapporti tra lo scrittore e la sua opera, prende forma il suo gusto per le sfide impossibili e la sua consacrazione al romanzo gli permette di varare l’ambizioso progetto di realizzare traduzioni ideali dalla pagina alla scena, in una scrittura scenica definita da composizioni di immagini e di luci, su una struttura drammaturgica che si avvale di poche citazioni tratte dall’opera letteraria originale. La sua predilezione per Musil si manifesta attraverso il tentativo di dare all’autore austriaco un’identità scenica. Si susseguono, quindi, spettacoli come L’uomo senza qualità a teatro (1984), Il compimento dell’amore (1990, ripreso poi nel 1992 e nel 1997), Delitto a teatro (1992), work in progress inserito nel “Progetto Musil”. Tra di questi si annoverano gli allestimenti, Oscar Wilde. Ritratto di Dorian Gray (1986) e Il mago di Oz di Lyman Frank Baum (1987), con i quali V. affronta nuove esperienze. Negli ultimi anni si dedica alla ripresa delle sue opere più riuscite.

Pugliese

Laureato in giurisprudenza, Sergio Pugliese ricoprì un importante ruolo dirigenziale alla Rai, promuovendo i primi programmi sperimentali. Giovanissimo scrisse, in collaborazione con S. Gotta, una commedia dal titolo Ombra, la moglie bella (1932). Dopo il divertente lavoro Trampoli (1935, interpretato da D. Falconi), si dedicò a un teatro più pensoso e intimista, caratteristiche che lo accompagneranno nella successiva produzione. Tali elementi si ritrovano infatti anche nel Cugino Filippo (1937), Conchiglia (1937) e Vent’anni (1938). Il riferimento naturale di questo stile può essere individuato nel Giacosa di Come le foglie. La sua opera più nota è L’ippocampo (1942), nella quale si racconta con arguzia una vicenda coniugale: la commedia, che riscosse un grande successo, venne rappresentata in molte piazze europee e restò in cartellone un anno a Buenos Aires. Nel 1945 la stessa commedia ebbe una versione cinematografica. Sempre per il grande schermo, firmò la sceneggiatura, tra l’altro, di Gioco pericoloso (1942), L’angelo bianco (1943), Nebbie sul mare (1944-1945), Barriera a settentrione (1951).

Bond

Regista di molti dei suoi lavori, Edward Bond è un brillante autodidatta – alla stregua di Pinter e Stoppard – che considera l’educazione scolastica la prima forma di violenza sociale a cui è necessario ribellarsi. All’inizio della sua carriera, nei primi anni ’60, entra a far parte del Writer’s Group, riunito presso il Royal Court Theatre sotto la direzione del regista William Gaskill, che propone un’esperienza teatrale concreta iniziando i giovani alle tecniche brechtiane e all’improvvisazione. Edward Bond debutta con Il matrimonio del Papa (The Pope’s Wedding, 1962) e si afferma con Salvo (Saved, 1965), impressionando il pubblico con un ritratto impietoso della vita squallida e violenta di un gruppo di operai londinesi che arriva a compiere l’atto mostruoso della lapidazione di un bambino nella sua culla. Assimilata la lezione brechtiana, Edward Bond predilige la divisione del testo in scene e non in atti, si orienta verso un’estrema essenzialità scenografica, e ricorre in modo sistematico alle note introduttive al testo, che costruisce come analisi e non come drammatizzazione della vicenda. Sviluppando una poetica teatrale non naturalistica, Edward Bond parte dal teatro epico per spingersi oltre, usando la storia come ambientazione privilegiata da cui osservare con un certo distacco gli eventi e le problematiche contemporanee.

La necessità di rinnovamento e sperimentazione lo spinge all’impiego di stili diversi: dal realismo scarnificato dei primi lavori alla fantasia surreale, dai toni farseschi, in Quando si fa giorno (Early Morning, 1968, testo censurato), alla parabola brechtiana in La stretta via al profondo Nord (Narrow road to the deep North), e ancora alla rivisitazione shakespeariana in Lear (1971), come pure al mitico della tragedia greca in La donna (The Woman, 1978): testo presentato dall’autore nello spazio dell’Olivier al National Theatre che prendendo spunto dai testi di Sofocle e Euripide offre una rilettura della guerra di Troia da un punto di vista prettamente femminile. Al centro del suo teatro si colloca l’umana specie e la mutevolezza dei suoi valori: dapprima l’interesse è puntato su fenomeni di alienazione e violenza, poi si rivolge alla causa di tali atteggiamenti analizzando il potere nelle sue sfaccettature ( Il mare , The sea, 1973; Il fagotto , The Bundle, 1978; Restaurazione , Restoration, 1981) per approdare alla controversa questione della figura e del ruolo del poeta nella società e i suoi rapporti con la classe egemone ( La stretta via al profondo Nord , 1968; Bingo , 1973 e Il giullare , The fool, 1975). Attento curatore della parte riservata alla regia, B. si concentra sul testo quanto sugli attori, che devono essere, nelle sue parole, «the illustrations of the story as well as the speakers of the text […] and not be swept by emotion» (gli illustratori della storia e i portavoce del testo […] e non lasciarsi trascinare dalle emozioni). La violenza, la crudeltà e in genere le immagini aspre e brutali del suo teatro gli hanno procurato scarsa notorietà e poco favore tra il pubblico, ciònonostante rimane uno dei più celebrati scrittori di sinistra ad essere emerso dal teatro ‘fringe’ con vera originalità e grande forza per farsi spazio nei teatri istituzionali: presso la Royal Shakespeare Company (RSC) nell’85 con la trilogia The war plays sulla guerra e l’olocausto nucleare e al Leicester Haymarket con Jackett II nel ’90.

Landolfi

Solitario, colto, dandy, Tommaso Landolfi è uno degli autori più raffinati del secondo Novecento italiano. La sua narrativa, in cui il gioco e la mistificazione convivono con una tragica visione esistenziale, svaria dal simbolismo al realismo magico, dal romanticismo artefatto allo psicologismo gratuito, lasciando trasparire dietro la raggelante intelligenza una coinvolgente passionalità: Dialogo dei massimi sistemi (1937), Il mare delle blatte e altre storie (1939), Cancroregina (1950), Racconto impossibile (1966) e altri. La sua produzione teatrale non è paragonabile a quella narrativa. Suo primo testo drammatico – scritto nel 1956 – è il fortemente biografico Landolfo VI di Benevento. Nel 1961 viene trasmesso l’originale televisivo Cagliostro , mentre nel 1969, al Teatro Arlecchino di Roma, viene rappresentato Faust ’67 (opera vincitrice del premio Pirandello nel 1968), per la regia di S. Sequi. L. è anche stato autore di alcuni atti unici radiofonici, tra cui ricordiamo La farfalla strappata, La tempesta , Il dente di cera, trasmessi nel 1970, e Teatrino , andato in onda l’anno successivo.

Shaffer

Nel 1956 di Peter Shaffer esce Esercizio a cinque dita (Five Finger Exercise), che viene esportato e filmato a Broadway. Seguono nel 1962 due atti unici: L’orecchio privato (The Private Ear) e L’occhio pubblico (The Public Eye). Ma il grande successo S. lo ha ottenuto con La caccia reale del sole (The Royal Hunt of the Sun, 1964), allestito da John Dexter al National Theatre, sul tema della conquista spagnola del Perù. Nel 1965 ha scritto, sempre per il National, Commedia nera (Black Comedy), a cui è stato aggiunto successivamente Bugie innocenti (White Lies, riscritto come White Liars). Commedia nera (allestita da Zeffirelli nel 1965 con la Guarnieri e Giannini), nell’adattamento di G. Patroni Griffi e con la regia di Terlizzi è stata ripresa al Teatro Giulio Cesare di Roma (1990). L’insuccesso di La battaglia delle confessioni e assoluzioni (The Battle of Shrivings, riscritto come Shrivings nel 1975) è stato riequilibrato dal consenso ottenuto per Cavalli (Equus, 1973), con la regia di John Dexter, che portò in scena cavalli veri. Equus è stato interpretato da numerosi attori come Alec McCowen, Anthony Hopkins, Anthony Perkins e Richard Burton. Nel 1978 il National Theatre ha messo in scena Amadeus , in cui S. elabora il classico tema dell’invidia di Salieri, artista conformista, per il genio di Mozart, e Yonadab (1985). I drammi di S. presentano, pur nella variazione, una tematica fondamentale: la lotta degli uomini per la ricerca dei significati in un mondo dove domina la morte e la religione non offre nessuna salvezza. Lo scontro continuo tra fede e mancanza di fede, tra passione, violenza e impotenza è rappresentato tramite l’azione drammatica e il potere della parola.

Crommelynck

Figlio d’arte, Fernand Crommelynck dopo aver lavorato presso un agente di cambio si diede alle scene. Autodidatta, entrò in teatro prima come attore, poi come autore, debuttando con l’atto unico in versi Non andremo più nel bosco (Nous n’irons plus au bois, 1906), di cui fu anche interprete. Nel 1908 pubblicò un altro atto unico in versi, Lo scultore di maschere (Le sculpteur de masques), tragedia moderna di stampo intimista. I due lavori successivi, Il venditore di rimpianti (Le marchand de regrets, 1913) e Gli amanti puerili (Les amants puerils, 1921), ricalcano il medesimo stato d’animo. Il successo giunse con la farsa tragica Il magnifico cornuto (Le cocu magnifique, 1921), storia di un marito geloso che, da quando ha scoperto che la moglie è corteggiata da altri uomini, pur di provarne l’infedeltà la getta tra le braccia di tutti i paesani, finendo con l’esser tradito per davvero; celebre la messinscena di Mejerchol’d a Mosca nel 1922, esempio del costruttivismo in teatro. Trippe d’oro (1926), assalto contro la ricchezza e l’avarizia e Carine, o la ragazza prodiga della sua anima (1929), dove l’amore puro contrasta la sfrenata sensualità, connotano sempre più il suo teatro di toni farseschi, che spesso si colorano di patetismo e melanconia. Sullo stesso filone si pongono Una donna che ha il cuore troppo piccolo (Une femme qu’a le coeur trop petit, 1934) e Caldo e freddo (Chaud et froid, 1936). Ha adattato e scritto anche sceneggiature cinematografiche.

Kops

L’opera di Bernard Kops è dominata dalla tensione tra disperazione autodistruttiva e speranza riconciliatrice, come nel suo primo lavoro, L’Amleto di Stepney Green (The Hamlet of Stepney Green, 1958), dove il protagonista Sam torna come fantasma per convincere il figlio ad amare la vita; o in Il sogno di Peter Mann (The Dream of Peter Mann, 1960), dramma sul pericolo atomico. Seguono Domani è un meraviglioso giorno (It’s a Lovely Day Tomorrow, 1976), scritto in collaborazione con J. Goldschmidt, Più fuori che dentro (More Out Than In, 1980), Ezra (1981) e Simon a mezzanotte (Simon at Midnight, 1982): qui il protagonista dimostra l’efficacia delle speranze e dei sogni contro la futilità e la paura della morte. Anche se porta in scena la vita dei ceti popolari, K. non si può etichettare come scrittore realistico. Le sue opere sono infatti parabole poetiche sulla natura umana e su conflitti non specifici dell’epoca contemporanea, ma universali.

Luzi

Tra i massimi esponenti della poesia del Novecento (Il giusto della vita, Su fondamenti invisibili, Al fuoco della controversia), saggista finissimo (L’inferno e il Limbo, Vicissitudine e forma), più volte candidato al premio Nobel per la letteratura, Mario Luzi ha scritto il suo primo testo teatrale nel 1947 ( Pietra oscura, rappresentato solo nel 1998) al quale sono seguiti, molto più tardi, nel 1971 il poemetto drammatico Ipazia , Rosales (1983) e Hystrio (1987). È stato ispiratore del Progetto Divina Commedia, teso alla messa in scena delle tre cantiche del poema da parte dei Magazzini (nel 1992 curò l’adattamento del Purgatorio ). Nel 1995 al Maggio musicale fiorentino ha debuttato Felicità turbate , testo nel quale L. ha ricostruito la figura del pittore Jacopo Carucci detto il Pontormo. Notevoli le sue traduzioni teatrali: Andromaca di Racine, Riccardo III di Shakespeare.

Pensa

Tra le opere teatrali di Carlo Maria Pensa si ricordano: Il fratello (1955), La figlia 1957), I falsi (1959), Riconoscenti posero e Gli altri uccidono (entrambe hanno vinto il Premio Riccione), Gli innocenti (1966), LSD, Lei scusi divorzierebbe ? (1970), Miladieci (rappresentata diverse volte e vincitrice del premio nazionale Vallecorsi), La piscina nel cortile con cui si aggiudica il premio Flaiano. Si è occupato di regia teatrale: sue sono l’allestimento e la riduzione del Successore di C. Bertolazzi, Una famiglia di Cilapponi di C. Dossi, Trilogia di Ludro F.A.Bon. Importante il suo contributo nell’ambito della letteratura drammatica milanese, alla quale ha contribuito con cinque commedie dialettali fra le quali Dammatrà ripreso recentemente al Franco Parenti nell’interpretazione di Piero Mazzarella. Ha diretto la sezione prosa della Rai.

Sudermann

Figlio di un contadino, Hermann Sudermann studia storia e filosofia a Königsberg e Berlino. Redattore del “Deutschen Reichsblatt”, si guadagna da vivere come precettore privato e lavora come scrittore indipendente. Esponente del naturalismo, costruisce le sue opere sul modello francese del dramma di conversazione, coniugando una superficiale critica sociale con una articolazione dell’azione di innegabile efficacia scenica. Si fece conoscere, nel 1890, con il dramma L’onore (Die Ehre), primo di una lunga serie di successi anche popolari, oggi dimenticati (Magda per esempio, del 1893, era sempre nel cartellone della compagnia di E. Zacconi). Alcuni tra i titoli più noti sono Casa paterna (Heimat; 1893), I fuochi di San Giovanni (Johannisfeuer; 1900), Strandkinder (1909), Die Raschhoffs (1919), Battaglia di farfalle (Der Hasenfellh&aulm;ndler; 1927). È stato anche romanziere: La donna in grigio (Frau Sorge, 1887), Il ponte del gatto (Der Katzensteg, 1889), Il professore folle (Der tolle Professor, 1926).

Unamuno

Filosofo, romanziere, poeta, Miguel de Unamuno è fra gli autori più importanti della ‘generazione del ’98’; figura molto contraddittoria e discussa, è oggi considerato uno degli innovatori della letteratura spagnola dei primi decenni del secolo. Come drammaturgo è autore di un teatro astratto, filosofico, depurato da ogni spettacolarità, lontanissimo quindi dai gusti del pubblico dell’epoca: un tipo di teatro che egli stesso teorizzò nei suoi saggi. Tra i suoi testi più significativi: Ombre di sogno (Sombras de sueño, 1926), L’Altro (El Otro, 1926), sul problema dell’identità, e Fratel Giovanni (El hermano Juan), rivisitazione del mito di Don Giovanni. Il suo dramma Un vero uomo fu messo in scena dalla compagnia Teatro d’Arte diretto da Pirandello, 1927.

Bruce

Arruolatosi in marina a diciassette anni (l’esperienza durerà due anni), Lenny Bruce trovò la sua prima occasione all’Arthur Godfrey Talent Scouts Show, con uno sketch chiamato The Bavarian Mimic. Lavorò quindi in una quantità di club, concependo e rifinendo la cosiddetta sick comedy, uno stilema destinato a diventare il suo marchio di fabbrica. Agli inizi degli anni ’50 risalgono i suoi incontri con la spogliarellista Honey Harlow (che sposerà e da cui avrà una figlia) e con l’eroina: dalla prima divorzierà qualche anno dopo, mentre la seconda lo seguirà fino alla morte. Dal 1959 i suoi acidi e innovativi cabaret, recitati in caves sempre meno sordide e sempre più alla moda, cominciarono a ottenere risonanza nazionale, grazie anche ad una stampa compiacente e, più che altro, a caccia di ‘casi’. Dal 1963 iniziò a pubblicare su “Playboy” una serie di pezzi, più o meno autobiografici, che verranno poi raccolti nel volume Come parlare sporco e influenzare la gente, mentre ormai i suoi dischi parlati erano già un successo oltre i confini della West Coast americana. Ferocemente icastiche, destabilizzanti al punto di far diventare il loro autore un autentico simbolo della controcultura americana, le esibizioni di Bruce erano tarate su un allora inedito registro a metà tra il sarcasmo yiddish e la polemica rivolta alle sovrastrutture culturali imposte dall’establishment. Ciò gli costò, a partire dal 1961, una serie infinita di arresti – spesso durante gli spettacoli – e detenzioni che in parte fiaccarono l’impeto dirompente fino ad allora dimostrato. Responsabile di tutta una genìa di nuovi comici (anche i nostri P. Rossi e B. Grillo), Bruce morì in circostanze non ancora del tutto chiarite. Dieci anni dopo la sua scomparsa, Bob Fosse ha tratto un riuscitissimo film (Lenny) dalla sua biografia, interpretato da D. Hoffman.

De Filippo

Luigi De Filippo costituisce un po’ la quintessenza della tradizione attoriale napoletana, e già, s’intende, a partire dal versante familiare: i genitori – il grande Peppino De Filippo e Adele Carloni, anch’ella attrice e figlia di attori – si erano conosciuti sul palcoscenico, recitando nella compagnia di Vincenzo Scarpetta, fratello naturale dei tre De Filippo; e, come se non bastasse, uno dei quattro fratelli di Adele, Pietro, fu il marito di Titina De Filippo. De F. debutta in teatro al Quirino di Roma nel 1951, ovviamente nella compagnia del padre; e, da quel momento, Peppino gli affida ruoli via via più importanti. Divenuto condirettore della compagnia e principale collaboratore artistico del padre, è al suo fianco in tutte le applauditissime tournée all’estero, distinguendosi – da interprete ormai maturo e connotato da una singolare cifra espressiva, che mescola umorismo e amarezza – su palcoscenici prestigiosi, in Europa e Sudamerica. Nel 1978 lascia la compagnia del padre e imbocca una propria, autonoma strada, anche in veste di regista. Non meno significativa è l’attività di De F. come autore. Particolare successo hanno avuto le sue commedie Fatti nostri, Storia strana su di una terrazza romana, Come e perché crollò il Colosseo, La commedia del re buffone e del buffone re, e la più recente La fortuna di nascere a Napoli . Tema costante di questi copioni – a testimonianza di una scelta ideologica che discende essa stessa `per li rami’ – sono la famiglia e le sue contraddizioni, l’una e le altre assunte come specchio e paradigma della società contemporanea. Di particolare interesse anche la riscrittura in chiave metaforica di Il malato immaginario di Molière: l’azione risulta spostata a Napoli nel 1799, sicché – proclamata la Repubblica Partenopea, dopo che Ferdinando di Borbone e la regina Maria Carolina sono fuggiti in Sicilia – Argante diventa, quasi automaticamente, il classico conservatore piccolo-borghese indotto a barricarsi in casa dall’illusione di poter evitare, per l’appunto attraverso l’isolamento, il `contagio’ dei tempi nuovi e, soprattutto, dei nuovi diritti che essi hanno portato alle classi subalterne.

Goering

Segnato sin da giovanissimo dal suicidio del padre e dalla follia della madre, Reinhard Goering studia medicina a Jena, Berlino e Monaco. Lavora come medico militare nel 1914 e contrae la tubercolosi. Avvicinatosi all’espressionismo, nel 1917 scrive Battaglia navale (Seeschlacht) che viene messa in scena a Dresda nel 1918 provocando uno scandalo. L’opera viene ripresa a Berlino e lodata come uno dei lavori teatrali più belli che la guerra abbia ispirato. I sette marinai che attendono la morte su una nave da guerra, prigionieri dei loro sogni e delle loro angosce, sono il simbolo del pacifismo di un’intera generazione. Un’altra sua celebre opera, La spedizione al polo Sud del capitano Scott (Die Südpolexpedition des Kapitan Scott), messa in scena per la prima volta da Jessner nel 1930, si rivela come una delle opere più ricche e strane del repertorio espressionista; per entrambi questi lavori gli viene conferito il premio Kleist. Rifugiatosi in Svizzera, affetto da disturbi mentali, G. si disinteressa del destino delle sue opere e non assiste mai alle loro rappresesentazioni. Viaggia in Francia e in Finlandia prima di stabilirsi a Berlino. Affetto da un cancro, Reinhard Goering si avvelena nel 1936.

Bergonzoni

Giocoliere delle parole, creatore di fulminanti e surreali non-sense a partire dalla provocatoria volontà di spiegare il meno possibile, Alessandro Bergonzoni porta sulla scena il suo primo vero e proprio spettacolo nel 1986, quando rappresenta a Roma La saliera e l’Ape Piera per la regia di Claudio Calabrò.

 Le sue precedenti prove Scemeggiata, Chi cabaret fa per tre, La regina del Nautilus risultano dei contenitori di situazioni tra loro diversissime, piuttosto che testi in possesso di una specifica coerenza. L’amore per «il nuovo, l’astruso, l’originale e il curioso», la volontà di sorprendere attraverso una profluvie di giochi d’artificio verbali che ricordano quelli dei fratelli Marx o del Burchiello, la destabilizzante sottrazione di qualunque saldo ancoraggio sono i tratti distintivi anche degli spettacoli successivi, tutti monologhi diretti da Calabrò: Le balene restino sedute (Bologna 1988), Non è morto né Flic né Floc, Anghingò , (Milano 1991), Tra lo gnoto e l’ignoto (Roma 1994), La cucina del frattempo (Parma 1994). Con regia di Renzo Sicco è stato allestito Albergo Bergonzoni (Torino 1996).

L’apertura ad una seppur paradossale trama (preannunciata a partire da Anghingò e perseguita parallelamente nelle prove narrative) – che si annoda attorno all’eredità contesa tra i nipoti gemelli Jean, Jean Jean e Jean per Jean – impronta Zius e Zigotes , che ha debuttato nel 1998 al Teatro Ciak di Milano.

Chiesa

Nel 1946 Ivo Chiesa fonda la rivista “Sipario”, che dirige per cinque anni. Nel 1952, abbandonato il lavoro di scrittore e di critico, si cimenta nella regia dirigendo la sua prima compagnia (L. Brignone, M. Benassi, G. Santuccio, E.M. Salerno, A. Asti, G. Mauri) al Teatro milanese di via Manzoni. Dal 1955 è direttore del Teatro stabile di Genova. Per la scena ha adattato il romanzo di Bontempelli Gente nel tempo.

Kroetz

Cresciuto in bassa Baviera, dopo gli studi teatrali Franz Xaver Kroetz inizia a lavorare a Monaco come attore e regista; una borsa di studio della casa editrice Suhrkamp gli consente di vivere come scrittore indipendente. A lui si deve un rinnovamento della commedia popolare: Kroetz trasforma la satira della vita di campagna e le vicende dei contadini in una tragedia dell’assurdo. Le sue prime opere Selvaggina di passo (Wildwechsel, 1968), Lavoro a domicilio (Heimarbeit, 1969), Ostinato (Hartnaulm;ckig , 1970), messe in scena ai Kammerspiele di Monaco, ottengono un notevole successo; nel 1971 La corte delle stalle (Stallerhof), Treno fantasma (Geisterbahn), Caro Fritz (Lieber Fritz), Musica a richiesta (Wunschkonzert) confermano la sua reputazione. Entrato a far parte dell’Antitheater di Fassbinder, Kroetz si ispira apertamente a Horváth e a M. Fleisser (sui quali scriverà diversi saggi); riprendendo la forma del Volkstück, la sovverte in funzione di una critica della civiltà attuale. Opere come Interesse globale (Globales Interesse), Austria superiore (Oberösterreich, 1972) e Prospettive lontane (Weitere Aussichten, 1974) fanno di lui, nonostante la sua appartenenza al partito comunista, uno degli autori più rappresentati in Germania. Nel 1974, assieme a T. Bernhard e B. Strauss, viene insignito di un premio dalla città di Hannover, mentre un ottimo successo ottengono anche Viaggio nella felicità (Reise ins Glück, 1975) e Un caro saluto da Grado (Herzliche Grüsse aus Grado, 1976). Estraneo alle teorie del teatro politico e documentario, dichiaratamente distante anche da Brecht, nel suo teatro Kroetz tratta di gente d’umile condizione della Germania meridionale, che si esprime per lo più in dialetto: il loro quotidiano, spesso apparentemente insignificante, fa intravedere coordinate di tragedia. I suoi personaggi sono l’immagine di una piccola borghesia senza illusioni, dipinta con uno stile che lo stesso Kroetz ha definito `antiteatrale’ e attraverso una drammaturgia atipica.

Storey

Lo sradicamento dall’ambiente originario e la promozione sociale sono i temi delle prime commedie di David Storey: Il ristabilimento di A. Middleton (The Restoration of A. Middleton, 1967) e In Celebration (1969), interpretato da Alan Bates. Seguono L’imprenditore (The Contractor, 1969), dove un capomastro fa erigere dai suoi uomini un padiglione per festeggiare le nozze della figlia, azione intervallata da momenti di vita operaia, Lo spogliatoio (The Changing Room, 1971) e Vita di classe (Life Class, 1974). Lo stampo realistico è fortissimo nella rappresentazione di tipi e idiomi dello Yorkshire. In altre opere è invece operante una certa influenza del teatro di Pinter: Casa (Home, 1970), interpretato da John Gielgud e Ralph Richardson, Cromwell (1973), Il giorno della mamma (The Mother’s Day, 1975) e Primi giorni (Early Days, 1980), rappresentato al National Theatre. I personaggi di Storey sono uomini alienati da tutto ciò che li circonda – famiglia, strade, classe, lavoro, linguaggio, ridotto a una forma sociale priva di contenuto personale – e sono pervasi da una dissociazione totale della sensibilità, che separa la mente dalle emozioni e dalle azioni.

Sanchis Sinisterra

Formatosi nell’ambito del teatro universitario e del teatro indipendente durante il periodo franchista, dopo la fine della dittatura, nel 1977, José Sanchis Sinisterra fonda e dirige a Barcellona il gruppo sperimentale Teatro fronterizo (Teatro di frontiera), col quale si propone di indagare i limiti della teatralità e dei processi percettivi dello spettatore. Critico e teorico del teatro, S. è autore di drammi strutturalmente complessi, pur nella ricerca di una estrema riduzione della spettacolarità, caratterizzati da un’accentuata tendenza all’intertestualità, evidente ad esempio nella Trilogia americana (1992), tre testi ispirati alla Conquista. Raggiunge il successo di pubblico con ¡Ay, Carmela!, sottotitolata Elegia di una guerra civile in due atti e un epilogo, memoria della guerra civile spagnola, evocata da due soli personaggi, attori di varietà . Andata in scena in Spagna nel 1987 con Veronica Forqué come protagonista, ne fu tratta nel 1990 una versione cinematografica, diretta da Carlos Saura e interpretata da Carmen Maura. Nel 1991 ne fu messo in scena a Firenze un adattamento italiano a cura del regista Angelo Savelli.

Norén

Lars Norén esordisce nel 1963 con una raccolta di poesie dal titolo Lillà, neve; la sua fama di scrittore viene immediatamente confermata da due romanzi successivi, L’apicultore (1970) e Il paradiso sotterraneo (1972). Il mondo delle relazioni familiari e dei rapporti interpersonali, indagati nelle manifestazioni più devianti e conflittuali, è il tema centrale non solo di questi primi scritti, ma di tutta la sua produzione drammatica, che ha inizio negli ultimi anni ’70 e che annovera testi quali Una felicità oltraggiosa (1980), Demoni (1982) e Il sorriso della malavita (1982). L’incontro con il grande pubblico avviene soprattutto con la trilogia formata da Il coraggio di uccidere (1978), La notte è madre del giorno (1982) e Il caos è prossimo a Dio (1983) , testi che, pur non essendo autobiografici, rimandano parzialmente all’esperienza di vita dell’autore. Da ricordare anche i più recenti La veglia (1985), Gli attori (1987), Autunno e inverno (1989), Estate (1992) e Il tempo è la nostra dimora (1993), per lo più rappresentati al Kungliga Teatern. Una variazione rispetto alle tematiche tipiche di Norén è rappresentata dal testo del 1991 Dateci le ombre , ispirato alla figura di E. O’Neill che, insieme a Ibsen e Cechov, ha sicuramente influenzato il lavoro del drammaturgo svedese. Altro accostamento da citare è quello a Strindberg, soprattutto per la particolare attenzione riservata ai problemi del linguaggio teatrale e in particolare al dialogo, che unisce, in Norén, note di qualità lirica a un’inaspettata violenza verbale. Negli ultimi anni si è accostato anche alla regia, iniziando questa attività proprio con l’allestimento di un testo di Strindberg, Danza di morte (Piccolo Teatro, 1994).

Unruh

Di famiglia nobile, Fritz Wilhelm Ernst von Unruh fu nell’esercito prima di diventare pacifista; le sue opere contro la guerra e il suo impegno a favore della democrazia gli valsero il consenso di un’intera generazione. La sua prima opera teatrale, Luigi Ferdinando, principe di Prussia , fu rifiutata da Reinhardt, che però lo spinse a scriverne un’altra sulla vita militare. Questa fu Ufficiali, messa in scena dallo stesso Reinhardt a Berlino nel 1911 e pubblicata l’anno seguente con grande successo; Unruh fu però costretto ad abbandonare l’esercito. Nel 1917 scrisse Una stirpe, sulle atrocità della prima guerra mondiale (Francoforte 1918), e nel 1920, con Piazza , si confermò autore di tendenza pacifista, vicino all’espressionismo. Fu insignito del premio Kleist per una nuova versione della sua prima opera e per Prima della decisione (1919). Deputato repubblicano e sostenitore del fronte popolare contro il nazismo, associò il suo teatro alla difesa della repubblica di Weimar. Costretto all’esilio nel 1933, fu in Francia e in Italia prima di emigrare negli Usa nel 1940. Dopo il suo ritorno in Germania nel 1952 pubblicò altri drammi tra cui Duello sulla Havel e 17 Giugno 1954.

Bertolazzi

Contemporaneo di Capuana, Giacosa, Praga e Rovetta, Carlo Bertolazzi collaborò al “Guerin Meschino” e alla “Sera” come critico teatrale. Il suo precoce esordio è del 1888 con Mamma Teresa , rappresentato con successo dai filodrammatici, cui seguono Trilogia di Gilda (1889) e La lezione per domani (1890). Il meglio di sé lo dà comunque nei grandi affreschi della Milano a cavallo tra i due secoli. Esemplare da questo punto di vista sono è El nost Milan, in cui la protagonista Nina viene presentata prima come donna del basso popolo, e successivamente nel corrotto ambiente della nobiltà milanese: alla disperazione della popolana innamorata di un pagliaccio del circo, e poi costretta a prostituirsi, risponde quella dell’aristocratica costretta in un’atmosfera di falsità che essa stessa finirà per rifiutare. Ne La gibigianna (1898) da molti considerata la sua opera maggiore, il senso di precarietà della vita è dato dalla tormentata e ‘maledetta’ storia d’amore di Bianca ed Enrico, sullo sfondo, efficacemente reso, del contrasto cittadino tra poveri e ricchi. Dopo questi esordi in vernacolo, B. si convinse dell’impossibilità di continuare la tradizione del dialetto milanese, e scrisse in italiano il resto delle sue opere senza però riuscire mai più a ritrovare la stessa intensità realistica che lo aveva contraddistinto. Restano comunque da notare L’egoista (1900) in cui viene rappresentato il personaggio assolutamente negativo di Franco Martengo. Questi, dopo avere sposato la donna amata dal fratello, ed averla costretta a subire i suoi continui tradimenti, sacrifica anche la figlia scombinandole il matrimonio, costringendola a stare al suo fianco per accudirlo durante la sua vecchiaia. Quando giunge l’ora della morte, in preda a crisi mistiche, lascia gran parte del suo patrimonio alla comunità religiosa, lasciando la figlia in miseria. Altre opere da ricordare sono La maschera (1896), La casa del sonno (1901), Lulù (1903,) Lorenzo e il suo avvocato (1905) e La zitella (1916), in cui prosegue la linea intrapresa agli esordi, di un realismo con sfumature anticipatrici dei toni crepuscolari, in cui il Croce scorse una «spiccata critica morale» legata a pregi di «movimento e brio teatrale».

Odets

Il più tipico drammaturgo americano degli anni Trenta, Clifford Odets cominciò come attore, entrando a far parte del Group Theatre fin dalla fondazione; ne divenne l’autore più significativo a partire dal 1935, quando fece rappresentare Aspettando Lefty (Waiting for Lefty), che raccontava, in un linguaggio molto parlato ma di grande suggestione e con tecniche mutuate dal teatro agit-prop, una riunione di taxisti in agitazione, conclusa con la decisione di entrare in sciopero. Ma l’autore allargava il discorso ad altre forme di sfruttamento o di pregiudizio, ponendo in stato d’accusa vari aspetti della società americana. Seguì nello stesso anno la sua opera forse più persuasiva, Svegliati e canta! (Awake and Sing!), ritratto di una famiglia ebrea negli anni della Depressione, tenuta assieme da una madre che, ossessionata dalla mancanza di denaro, finiva col perdere la propria umanità. Subito dopo O. si trasferiva a Hollywood come sceneggiatore e, a volte, regista, ma dava ancora alle scene drammi di buon successo, nessuno dei quali aveva però la forza dei suoi testi d’esordio; fra questi, Ragazzo d’oro (Golden Boy, 1937), Scontro nella notte (Clash by Night, 1941), Il grande coltello (The Big Knife, 1949) e La ragazza di campagna (The Country Girl, 1950).