Bertelà

Sara Bertelà si diploma nel 1987 presso la scuola del Teatro stabile di Genova. In seguito lavora con i registi Anna Laura Messeri (Il furfantello dell’ovest di J.M. Synge, 1987), Marco Sciaccaluga (La buona moglie di Goldoni, 1988; Pane altrui di I. Turgenev, 1989; Come vi piace di Shakespeare, 1990; La famiglia dell’antiquario di Goldoni, 1994), Gianfranco De Bosio (L’avaro di Molière, 1990; La Moscheta di Ruzante, 1997), Benno Besson (Mille franchi di ricompensa di V. Hugo, 1991-92), Gabriele Lavia (Platonov di A. Cechov). Nel 1990-91 lavora con Massimo Castri in Amoretto di A. Schnitzler, per il quale vince il premio Eleonora Duse come miglior attrice giovane 1991. In tale occasione inizia l’importante sodalizio artistico con la regista Cristina Pezzoli (allora assistente di Castri), con cui mette in scena nel 1994 Lungo pranzo di Natale di T. Wilder, nel 1996 La scuola delle mogli di Molière, nel 1997 Il principe travestito di Marivaux e nel 1998 uno studio su Cechov. Dal 1994 inoltre collabora assiduamente con Valerio Binasco (Re Cervo di C. Gozzi, 1994; Family Voices di H. Pinter, 1998 e, come assistente alla regia, La bella di Lenane di M. Mc Donagh). Ha lavorato anche per il cinema e la televisione.

Melato

Attrice di temperamento versatile, in grado di interpretare la tragedia di Euripide e il musical di Garinei e Giovannini, il dramma psicanalitico di T. Williams e O’Neill e la commedia di Pirandello, la farsa di Fo e la barocca poesia in versi di Racine, la Parigi di Feydeau e la Milano di Bertolazzi, Mariangela Melato è nata a Milano in via Montebello, epicentro di Brera, dove avrà da giovane, complice il bar Giamaica, significativi incontri col mondo dell’arte. Di provenienza borghese, destinata all’attivo mondo del lavoro, la Melato inizia come vetrinista alla Rinascente, ma dentro coltiva un altro sogno, esprimersi con l’arte, recitare. Dapprima studia a Brera, poi si esibisce in allarmanti cambi di look, disegna manifesti, infine si iscrive alla scuola di recitazione della Sperani al Filodrammatici, dove viene scambiata, a sua insaputa, per una parente dell’altra Melato (Maria). Viene fuori subito un gran temperamento, soprattutto la voglia di tentare ogni strada espressiva. Laureata attrice, è scritturata per Piccola città di Wilder col Carrozzone di Fantasio Piccoli, un gruppo stabile ma girovago di Bolzano: è la gavetta, la classica battuta del `pranzo è servito’. Ma fa in fretta passi da gigante: la ragazza ha un tipo di comunicativa un po’ brutale, diversa, che dal palcoscenico `passa’ al pubblico. Ed eccola con Dario Fo e Franca Rame, nel settembre del 1965 all’Odeon di Milano, in Settimo ruba un po’ meno , che anticipava Tangentopoli; ma l’anno dopo non deve stupire trovarla con Ricci in Enrico IV e la stagione dopo ancora è vista e presa da Visconti per La monaca di Monza di Testori con la Brignone, poi per L’inserzione della Ginzburg. Se questi sono debutti ufficiosi, una gavetta ricca di talenti complementari, il primo successo personale la Melato lo ottiene come Olimpia nel mitico, rivoluzionario Orlando furioso di L. Ronconi, che prende il via nel 1969 al Festival di Spoleto e poi gira l’Italia e il mondo con entusiasmo garibaldino e un’accoglienza di pubblico trionfale. Spettacolo di rottura, che lo stesso regista traduce poi in bellissime immagini per la tv, l’ Orlando getta le basi del più proficuo rapporto di lavoro della Melato, quello appunto con Ronconi che la dirigerà in spettacoli memorabili: l’elisabettiama Tragedia del vendicatore di Tourner nel ’70 in una compagnia di sole donne, l’ Orestea , in cui è una prepotente Cassandra, nel ’72 a Venezia e poi in giro fino a Parigi; in L’affare Makropulos nel 1993 e una `dark lady’ hitchcockiana che visse due volte in Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill, versione kolossal del ’97.

L’altro regista con cui la Melato ha lavorato in modo stabile è G. Sepe, che dal 1985 al ’92 ha realizzato con lei tre successi di segno molto diverso, sfidando gli stereotipi: il verismo sentimentale di Vestire gli ignudi di Pirandello; la forza barbara della Medea di Euripide e il dramma americano di Anna dei miracoli in cui la professoressa Melato insegna il palpito della vita a una bambina cieca e sordomuta. Importante, atteso, scritto nel `destino’ milanese, il suo debutto con Strehler nel ’79, nella terza, poetica edizione di El nost Milan di Bertolazzi: purtroppo, una prova unica. Ma la sua biografia non sarebbe completa se non si citasse il suo amore per la rivista (adorava il gusto camp lombardo dei Legnanesi): nel film Basta guardarla di Salce è un’irresistibile soubrette spagnola d’avanspettacolo. E in tv, prima di affrontare la sociologia della Vita in gioco, il ruolo di Avvocato delle donne e le malinconie milanesi della Lulu di Bolchi, apparve dapprima come ballerina scatenata, perfino, al fianco di Baudo, chiusa dinoccolata in una valigia. Furono Garinei e Giovannini a intuire il suo ramo di `follia’ teatrale, portandola in scena con Rascel e Proietti nella parte della prostituta dell’anno Mille in Alleluja, brava gente nel 1971, mentre con Giorgio Gaber reciterà La storia di Alessandro e Maria nell’82, teatro sentimentale a due voci. Naturalmente è il cinema l’ambito nel quale la Melato ha ottenuto, negli anni ’70, il vasto successo. Adoperando la vena grottesca lanciata dalla Wertmüller, l’attrice, da poco entrata nella “Treccanina”, lancia una coppia nazional-popolare con Giannini in Mimì metallurgico , Film d’amore e d’anarchia e Travolti da un insolito destino nel ’74. Ma, amante delle sfide impossibili, recita anche con Petri, Chabrol, De Sica, Steno, Vancini, Corbucci (un gustoso sketch con Celentano in Di che segno sei? ).

I risultati migliori, e molti premi, li ottiene con Monicelli in Caro Michele (1976), e con Brusati, che le offre un grande personaggio legato alla poetica della memoria dell’amore perduto in Dimenticare Venezia (1979), oltre alla occasione mancata del Buon soldato. Decisamente in sintonia la Melato si trova con G. Bertolucci, detective sotterraneo di un nuovo tipo di donna per il cinema italiano: ne fanno fede i due film bellissimi, Oggetti smarriti e Segreti segreti , mentre con Pupi Avati si diverte in un quasi musical, Aiutami a sognare . Nell’81 accetta una trasferta americana per la commedia Jeans dagli occhi d’oro con Ryan O’Neal, ma si rivela un’esperienza modesta. L’ultima parte della sua carriera è legata a una intensa, prepotente edizione teatrale di Un tram che si chiama desiderio di Williams diretta a spirale nell’inconscio da De Capitani, con le scene di Bruni, lo stesso `team’ con cui affronta nel ’95 il gusto iper-grottesco un po’ datato di Tango barbaro di Copi, addirittura en travesti. Legata ormai da molti anni allo Stabile di Genova, nel 1997-98 ha accettato di tornare al teatro di divertimento puro, in La Dame di Chez Maxim’s di Feydeau diretta da Arias, di cui è festeggiata mattatrice insieme a Pagni; ma per la legge del contrappasso decide, nel 1999, di interpretare con la regia di Sciaccaluga Fedra di Racine.

Brignone

Figlia del regista cinematografico Guido e nipote dell’attrice Mercedes, Lilla Brignone esordì a quindici anni con Kiki Palmer, per recitare poi con Gandusio, Besozzi, Ricci, la Merlini, Stival, Cimara, Benassi, non disdegnando una parentesi in rivista con Rascel. Se suo prediletto quanto intransigente maestro fu Ruggeri, una svolta decisiva nella sua carriera avvenne con la settennale esperienza presso l’appena nato Piccolo Teatro di Strehler-Grassi, dove fu impegnata con Shakespeare, Molière, Pirandello, ma anche con Camus, Anouilh, Savinio, oggi sofoclea Elettra (1951), domani shakespeariana Lady Macbeth (1952). Dalla maturazione con Strehler alla consacrazione con Visconti il passo fu breve ma essenziale, trascorrendo dalla Nennele di Come le foglie di Giacosa (1954) alla Elizabeth del Crogiuolo di Miller (1955), dalla Contessina Giulia di Strindberg (1957) a La monaca di Monza di Testori (1967). In coppia con Santuccio, per una dozzina d’anni suo compagno d’arte e di vita, affrontò classici e moderni, tragici e comici (Seneca e Schiller, O’Neill e Brecht, Williams e Albee, Goldoni e Ibsen), affidandosi a registi come Squarzina, Enriquez, Scaparro, Fenoglio. Un’inesausta ricerca di perfezione, filtrata da una sensibilità al limite della nevrosi, la stimolò a prediligere personaggi tormentati e problematici, senza perciò negarsi a qualche concessione `brillante’, quasi per una necessità di controcanto. Negli ultimi anni lavorò soprattutto con Sepe, un regista «uscito dalle cantine romane», con il quale fu tra l’altro l’enigmatica signora Frola di Così è (se vi pare) di Pirandello, suo straziante canto del cigno.

Torrieri

Interprete originale, incisiva nel registro comico e appassionata in quello drammatico, dotata di forte energia comunicativa, Diana Torrieri debutta sulle scene nel 1937 nella compagnia Borboni-Cimara, con la quale porta il teatro italiano in America del Sud insieme a Anton Giulio Bragaglia che l’anno successivo la scrittura al Teatro delle Arti di Roma, dove diventerà primattrice. Di questa esperienza si ricordano, tra gli altri: Delitto e castigo di Dostoevskij, Il rosso e il nero di Stendhal, Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill con Lola Braccini. Dopo l’apparizione sullo schermo in Don Pasquale (1940), nel 1943 entra nella compagnia dell’Eti ( Il piccolo Eyolf di Ibsen, Zio Vanja di Cechov) poi è in coppia con Piero Carnabuci. Nel 1949-50 è accanto a Carraro in La macchina infernale di Cocteau, Sei personaggi in cerca d’autore , Albertina di Bompiani e L’annuncio a Maria di Claudel. In seguito appare in molti spettacoli di buon livello: Agamennone (1952) e Antigone di Alfieri (1953), Otello di Shakespeare (1953), Oreste di Alfieri accanto a Gassman e la Zareschi (1955) Elettra di Sofocle (1956); di quell’anno è anche la tournée in America del Sud con Tofano (fra gli altri Vestire gli ignudi e Pensaci, Giacomino! ). Fedra di Racine (1957) Nella traduzione di Giuseppe Ungaretti più volte rappresentata. Nel 1955-56 è inoltre interprete e regista di Un tram che si chiama desiderio di T. Williams. Dalla fine degli anni ’50 si esibisce in recital di poesia e prosa ed è presente e attiva anche in tv. Tra le ultime interpretazioni Più grandiose dimore di O’Neill (Milano, Teatro San Babila 1969 regia di V. Cottafavi).

Falk

Diplomatasi all’Accademia d’arte drammatica, Rossella Falk debutta nel ruolo della Figliastra nei Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello con la regia di O. Costa che la dirigerà in altri spettacoli, passando poi a lavorare con Luchino Visconti in Un tram chiamato desiderio di T. Williams, Il seduttore di D. Fabbri, La locandiera di Goldoni e Le tre sorelle di Cechov. Nel 1954 decide di dar vita a un gruppo di attori fra i venti e i trent’anni ma già affermati: nasce così la Compagnia dei Giovani, con la quale F. segnerà le tappe più importanti della sua carriera, da La bugiarda, scritta da D. Fabbri appositamente per lei, alle figure pirandelliane dei quattro celebri allestimenti della compagnia. Chiusa l’esperienza con la storica formazione, nel 1974 inizia la sua attività di capocomico, interpretando Trovarsi di Pirandello e La signora dalle camelie di Dumas, ancora con la regia di De Lullo. Dopo un’assenza di quattro anni torna alle scene nel 1980 con il musical Applause di A. Green e B. Comden, per la regia di Antonello Falqui. Dal 1981 al ’97 è direttore artistico del Teatro Eliseo di Roma insieme a Giuseppe Battista e Umberto Orsini. Si dedica al teatro straniero contemporaneo con autori come Kempinski, Frayn, Shaffer, ma ha affrontato anche Schiller in Maria Stuarda con la regia di Zeffirelli e Cocteau in L’aquila a due teste , diretta da Lavia, o Parenti terribili con la regia di Cobelli. Nella stagione 1994-95 rimette in scena da regista e interprete un testo affrontato con la Compagnia dei Giovani, Anima nera di Patroni Griffi, e incarna la figura di Maria Callas in Master Class di T. McNally. Alcune interpretazioni cinematografiche con Losey, Aldrich e, fra gli italiani, con Fellini in Otto e mezzo . Diverse apparizioni televisive nella registrazione di alcune commedie e in sceneggiati.

Gandolfi

Graziosa e dotata di una voce leggera ma intonata Franca Gandolfi è una delle figure femminili più caratteristiche del nostro teatro di rivista. Nel 1954 è scritturata da Garinei e Giovannini che la mettono accanto a Dapporto nella prima versione di Giove in doppiopetto dove ottiene un successo personale interpretando il numero “Quant’è buono il bacio con le pere”. Nella trasposizione cinematografica dello spettacolo (1954) ripete il proprio ruolo teatrale. Quando nella stagione successiva Garinei e Giovannini riallestiscono il lavoro non le riconfermano la parte perché la vogliono nel cast della loro nuova produzione, La granduchessa e i camerieri (1955), a fare le controscene di W. Osiris. È poi in compagnia con Totò in A prescindere… (1955) e durante una replica palermitana di questa rivista assiste e cura sulla scena il grande comico al suo primo grave episodio di cecità totale. Successivamente è la primadonna della rivista Cartastraccia (1957). Dopo il matrimonio con D. Modugno si ritira dall’attività artistica.

Cappi

Jolanda Cappi inizia la sua attività al Piccolo Teatro, sotto la regia di R. Maiello (Marat/Sade, 1967) e K.M. Grüber (Il processo di Giovanna d’Arco a Rouen, 1968). Subito dopo è stretta collaboratrice di D. Fo e F. Rame in `Nuova scena’: i primi spettacoli di rottura con il teatro delle `convenzioni’. Alla fine di questa esperienza fonda con Nichetti, Salvi e Caldarelli la compagnia `Quelli di Grock’, dando l’avvio a una scuola di teatro ancora oggi viva e palpitante. Nel 1975, con Velia e Tinin Mantegazza, partecipa alla creazione del Teatro del Buratto di Milano, di cui è ancora anima e memoria. Di questi venticinque anni di attività intensa e partecipata vanno ricordati almeno quattro spettacoli: L’histoire du soldat (1975), Quello Stolfo da Ferrara (1981), Sotto la tavola (1990) e La cacciatrice di sogni (1995), dove, attraverso un testo di R. D’Onghia, dà corpo alla tragedia della guerra nell’ex Jugoslavia.

Adani

Esordisce quindicenne nella compagnia Pavlova, passando poi alla Za-Bum n.9 e alla compagnia degli Spettacoli Gialli diretta da Romano Calò. Nel 1934 ricopre il ruolo di primattrice con la ditta Cimara-Adani-Melnati, mentre è dell’anno successivo l’incontro con Renzo Ricci, col quale forma fino al 1940 una delle coppie più affiatate della scena italiana; con lui, scostandosi dal genere brillante, affronta interpretazioni di grande impegno (Ofelia, Giulietta, Caterina nella Bisbetica domata , Margherita Gauthier, Mila di Codro). Dopo la guerra si confronta con un repertorio soprattutto moderno: da Kaiser (Giorno d’ottobre , regia Paolo Grassi con V. Gassman) e Shelley (Pick-up-girl ), compagnia Ruggeri-Adani, regia G. Strehler), ad Achard, Caldwell, Cocteau, Kaufmann e Hart, Kanin, Feydeau e De Filippo, con prove di particolare rilievo in: Oh papà, povero papà la mamma ti ha appeso nell’armadio e io mi sento tanto triste di Kopit, regista M. Missiroli (1964); Giorni felici di Beckett (1965, regia di R. Blin) e ne La Venexiana con la regia di M. Scaparro (1966). Laura Adani si è ritirata dalle scene dopo il secondo matrimonio (aveva sposato in prime nozze il duca Luigi Visconti di Grazzano, fratello di Luchino), con il conte Balbo Bertone di Sambuy.

Vazzoler

Elsa Vazzoler esordì nel 1945 accanto a M. Benassi, poi fu con G. Stival e E. Gramatica, ma ebbe anche esperienze con A. G. Bragaglia (Per sempre di O’Neill e Lo spirito della morte di Rosso di San Secondo, entrambi nel 1949). Dopo un fugace passaggio nella rivista – Cavalcata di mezzo secolo con N. Taranto – dal 1951, per Casa nova , C. Baseggio (con cui formerà compagnia) la volle con sè e da allora cominciò veramente ad affermarsi. In poco tempo diventò una delle migliori attrici del teatro veneto (guadagnandosi l’appellativo di ‘Dogaressa’) ed eccelse soprattutto nel repertorio goldoniano: Orsetta nelle Baruffe chiozzotte (1954), Lucrezia nelle Donne gelose (1958). Negli anni ’60 lavorò anche con gli Stabili di Genova e Trieste. Con scarso successo, partecipò anche a vari film, maggior popolarità la ottenne in alcuni sceneggiati televisivi (David Copperfield).

Maestri

Figlia d’arte, Anna Maestri studia recitazione alla Scuola d’arte drammatica `S. D’Amico’ fino al 1941, anno in cui decide di trasferirsi a Trento per combattere nella Resistenza. Esordisce sul palcoscenico nel 1945 con Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare e con Spirito allegro di N. Coward al fianco di R. Morelli e P. Stoppa. Nel 1946 recita accanto a V. Gassman in Le guerre spiegate ai poveri di E. Flaiano e interpreta, per la regia di Visconti, Delitto e castigo di G. Baty da Dostoevskij. Lavora ancora con Visconti in Vita col padre di Lindsay e Crouse (1947) e in Un tram chiamato desiderio di T. Williams (1949). Nel 1956 partecipa a una importante tournée in America, Russia, Germania e Spagna con la compagnia di Peppino De Filippo. Nel 1963 le viene conferito il premio S. Genesio come migliore interpretazione femminile in Otto donne di R. Thomas. Accanto a L. Volonghi recita ne Le baruffe chiozzotte di Goldoni per la regia di Strehler (1965 e 1966). Nel corso degli anni ’70 è ancora presente sulle scene del Piccolo Teatro di Milano ( La Betìa del Ruzante, Splendore e morte di Joaquín Murieta di Neruda, Il campiello di Goldoni diretto da Strehler e Non cantare, spara con il Quartetto Cetra) e al Teatro di Roma ( Terrore e miseria del terzo Reich , Celestina ). Degna di nota la sua attività cinematografica ( Totò, Eva e il pennello proibito del 1958, Torna a settembre del 1960). Da ricordare, infine, le sue apparizioni televisive, anche negli ultimi anni della sua carriera.

Betti

Laura Betti inizia la carriera come cantante jazz. Dopo un’esperienza di cabaret con W. Chiari – tra un recital di canzoni su testi di Buzzati, Calvino, Cederna, Fortini, Siciliano, e l’interpretazione di se stessa ne La dolce vita di Fellini – debutta nel 1955 in teatro con Il crogiolo di Miller diretta da Visconti (che le consiglia di abbreviare il cognome), quindi è nel Cid di Corneille con E.M. Salerno e ne I sette peccati capitali di Brecht-Weill. Determinante, tanto nella vita quanto nella carriera, l’incontro con Pasolini (che la dirige in Teorema e Orgia , Teatro stabile di Torino, 1968) in memoria del quale – oltre che a occuparsi della Fondazione ‘P.P. Pasolini’ – ha portato in tournée Una disperata vitalità , nella stagione 1996-97, uno spettacolo di liriche e testi. Definita negli anni ’60 la ‘Juliette Greco italiana’, attrice soprattutto cinematografica (Teorema, 1968; Nel nome del padre, 1971; Sbatti il mostro in prima pagina, 1972; Allonsanfan, 1974; Novecento e Vizi privati e pubbliche virtù, 1976; Il gabbiano, 1977; Il piccolo Archimede, 1979), ha fatto propri atteggiamenti provocatori e messaggi dissacranti, senza mai tradire la schietta immediatezza della terra d’origine.

Finocchiaro

Angela Finocchiaro si forma nel teatro ragazzi partecipando tra il 1975 e il 1980 a diversi spettacoli della compagnia Quellidigrock e del Teatro del Sole; nel 1980 fonda il gruppo Panna acida dove, con Carlina Torta, allestisce Scala F (1982), uno degli spettacoli più intensi ed emozionanti di quegli anni. Dopo aver frequentato nel 1983 il seminario con Dominic De Fazio, interpreta nel 1986 La stanza dei fiori di china che diventerà uno dei suoi cavalli di battaglia. Attrice spiritosa e intelligente, da allora alterna con grande sobrietà il teatro con il cinema e la televisione. È una delle interpreti preferite da M. Nichetti (Ratataplan, 1980; Volere volare, 1990) e di D. Luchetti (Domani accadrà, 1987; Il portaborse, 1990). Sempre con Luchetti è interprete, accanto a Silvio Orlando, di Sottobanco di D. Starnone (ma non parteciperà alla versione cinematografica intitolata La scuola). In televisione ha preso parte a quasi tutte le trasmissioni della nuova comicità, sino a essere protagonista, nelle vesti di una suora, nella serie di Canale 5 Dio vede e provvede (1996).

Gramatica

Sulle scene fin dall’infanzia con la compagnia di cui facevano parte il padre suggeritore e la mamma sarta, Emma Gramatica si formò, come la sorella maggiore Irma, al seguito della Duse, accompagnandola in varie tournée europee. Alla voce chioccia e alla scarsa avvenenza che sembravano precluderle la via del successo contrappose una volontà ferrea e una disciplina rigorosa, emergendo come Gioconda nella Sirenetta dannunziana, tanto da essere ben presto scritturata come primattrice da Zacconi (1900). Dopo essersi cimentata con Goldoni, Ibsen, Rostand, Hauptmann, fu per un triennio con Ruggeri, a fianco del quale assaporò il trionfo in Marcia nuziale di Bataille. A capo di proprie compagnie, dedicò particolare attenzione a Shaw (Candida, Pigmalione, La professione della signora Warren, Non si sa come, Santa Giovanna, Cesare e Cleopatra) senza trascurare D’Annunzio, Pirandello, Rosso di San Secondo e altri autori contemporanei come Lodovici, Viola, Cantini, Gotta, del quale ultimo inscenò la festeggiatissima Damigella di Bard. Dal Romanticismo prediletto negli anni verdi all’accentuato verismo dell’infatuazione ibseniana trascorse al non sempre congeniale humor inglese, indulgendo più innanzi nell’estenuato intimismo de La sorridente signora Beudet di Amiel-Obey, de Le medaglie della vecchia signora di Barrie, di Aimer di Géraldy. Ebbe al suo fianco Benassi, Giorda, Ninchi, Geri, Stival, tentata più volte da personaggi maschili come Amleto e Il furfantello dell’Ovest di Synge. Nel secondo dopoguerra è stata in Sudamerica e in Spagna, riproponendosi sui palcoscenici italiani con Simoni, Sarment, Gotta, Viola, Pirandello. Ha preso parte a una decina di film e a vari allestimenti televisivi.

Trouché

Figlia d’arte, Liana Trouché esordisce lei bolognese, nella compagnia di Eduardo De Filippo, dove ebbe modo di affinare un timbro e una cadenza da autentica napoletana. Mise a frutto questa preparazione soprattutto negli anni in cui lavorò insieme alla compagnia del marito Aldo Giuffré. La Trouché fu anche apprezzata interprete televisiva in sceneggiati come La fiera delle vanità e Chi ha ucciso Anna o in gialli e soap-opera all’italiana come Vivere insieme. Al cinema è da ricordare la sua interpretazione da protagonista in Nel regno di Napoli (1978) di Werner Schroeter. È scomparsa il 5 febbraio del 1981, durante le repliche di Felici e contenti (1979) di Terzoli e Vaime, regia di Pietro Garinei con Gino Bramieri.

Duse

Figlia d’arte, in palcoscenico fin dalla più tenera età nella compagnia di guitti cui si erano associati i genitori, Eleonora Duse tardò a rivelare le eccezionali doti interpretative che le avrebbero fruttato l’appellativo di ‘divina’ per antonomasia. Quindicenne Giulietta shakespeariana a Verona nei giorni in cui moriva la madre, fu scritturata l’anno dopo da L. Pezzana che, di fronte alla sua personcina minuta e agli acerbi mezzi espressivi, le consigliò addirittura di abbandonare ‘l’arte’. Non ebbe miglior fortuna con la Dondini-Drago, ma qualche tempo dopo attrasse la curiosità di G. Emanuel, che la volle al Teatro dei Fiorentini di Napoli accanto a G. Pezzana. Fu delicata Desdemona e tenera Ofelia, ma conseguì il primo successo nella drammatica personificazione di Teresa Raquin di Zola. Rotto il rapporto sentimentale con il giornalista M. Cafiero, si trasferì a Torino, dove le scarse accoglienze di pubblico la indussero a meditare il ritiro dalle scene. Avendo avuto occasione di apprezzare l’eccezionale bravura di S. Bernhardt, decise di sfidarla nella Principessa di Bagdad di Dumas figlio, vincendo la prova temeraria.

Nel 1881 sposò l’attore Tebaldo Marchetti (in arte Checchi), da cui ebbe la figlia Enrichetta. Ma quattro anni dopo, durante una tournée sudamericana, confessò al marito, rimasto da allora in Argentina, il suo amore per il compagno d’arte Flavio Andò, con il quale nel 1887 costituì la Compagnia della città di Roma. Al successo artistico non corrispose quello di coppia e l’inquieta, tormentata, vibratile attrice tentò di placare la tensione attraverso ambiziose letture, l’apprendimento delle lingue straniere, lo studio approfondito di classici e moderni suggeritogli dal poeta e commediografo Arrigo Boito. Ma ‘l’anno di sogno’ fu compromesso dalle sempre più frequenti tournée estere, mentre un profondo mutamento avveniva nel suo animo e nei suoi programmi di lavoro, inducendola a rinnegare il precedente repertorio (Dumas, Sardou, Giacosa) e a rompere sia con il postromanticismo sia con il verismo, per accostarsi al teatro di poesia. La spinta decisiva venne dall’incontro con D’Annunzio, dal suo impegno di scrivere per il teatro, dalla trionfale accoglienza parigina al Sogno di un mattino di primavera . Tra una leggendaria Signora dalle camelie e un’osannata Adriana Lecouvreur, impose La Gioconda, La gloria , La città morta . Ma la parentesi artistica e umana con l’Imaginifico praticamente s’infranse allorché, avendo ella cercato di protrarre l’esordio di La figlia di Iorio (1904), si vide sostituita da E. Gramatica. Da allora si dedicò soprattutto a Ibsen e a un frenetico vagabondaggio per tutta Europa, finché nel 1909, dopo una Locandiera a Vienna, annunciò il ritiro dalle scene. Per una dozzina d’anni (con l’eccezione del film Cenere dal romanzo della Deledda), si ritirò nell’eremo di Asolo, risospinta in palcoscenico soltanto dalle sopravvenute difficoltà finanziarie. Ripropose Ibsen, D’Annunzio, Praga; fu a Londra, Vienna e negli Usa, dove lo spropositato carico di fatiche le fu fatale.

Aslanidis

Aslanidis Dotorea frequenta l’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’ di Roma. Nel 1969-70 lavora con L. Ronconi nell’ Orlando furioso di Ariosto e ne La tragedia del vendicatore di C. Tourner. Nel 1971 entra come socia fondatrice nel Gruppo della Rocca: inizia una lunga collaborazione con le regie di R. Guiccardini ( Perelà da A. Palazzeschi; Candido da Voltaire; Notte all’italiana di O. von Horváth; La missione di H. Müller), E. Marcucci (diversi spettacoli, tra i quali nel 1972 Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare; Il rinoceronte di Ionesco e nel 1976 Il mandato di N.R. Erdman nel ruolo di Speranza), Guido De Monticelli ( Il Maestro e Margherita da Bulgakov; Racconto d’inverno di Shakespeare; Anfitrione di Kleist), Mario Missiroli e Gianfranco De Bosio. Nel 1988 lascia il Gruppo della Rocca e lavora, tra gli altri, con Gabriele Lavia ( Riccardo III di Shakespeare), Benno Besson ( 1000 franchi di ricompensa di Hugo), Gianfranco De Bosio ( Le baruffe chiozzotte di Goldoni), Nanni Garella ( Medea di Grillparzer) e Federico Tiezzi. Ha registrato inoltre molte commedie radiofoniche.

Taylor

Sulle scene fin dall’infanzia, Laurette Taylor divenne una star nel 1912 con il grande successo di Peg del mio cuore , una variante della favola di Cenerentola, scritta dal marito J. Hartley Manners, autore anche di altri copioni sulla sua misura. Rimasta vedova nel 1928, attraversò un lungo periodo di crisi (dovuta in parte all’alcolismo) e rimase per molto tempo lontana dalle scene. Ritrovò la pienezza dei propri mezzi e sbalordì pubblico e critica solo nel 1944, quando interpretò il personaggio della madre in Zoo di vetro di T. Williams.

Kustermann

Dalla metà degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70 Manuela Kustermann è la primadonna dell’avanguardia teatrale: affronta nudi di scena e provocazioni di ogni genere partecipando a tutti gli spettacoli di Giancarlo Nanni, con il quale debutta in Il bando di Virulentia, al Margutta di Roma (1966). Dal 1968 al ’72 i due – compagni di vita oltre che d’arte – danno vita alla Compagnia Teatro La Fede presentando al pubblico performance su Marcel Duchamp (1968), rivelando testi di grande forza espressiva come il Risveglio di primavera di Wedekind (1972) e riscrivendo classici quali A come Alice , da Carrol e Rabelais (1972). Quest’ultimo è una delle esperienze cruciali di quella stagione, caratterizzata dalla spontaneità, dalla forte presenza del corpo e dal rovesciamento dei ruoli (la protagonista rimane sullo sfondo interrogando gli altri personaggi). Sempre nel 1972 è Ofelia nell’ Amleto di Carmelo Bene. Dopo una fugace esperienza allo Stabile di Genova (Ondine, 1973) dà vita con Nanni alla cooperativa La fabbrica dell’attore, e apre nella capitale lo spazio sperimentale Teatro in Trastevere. Poliedrica e androgina, veste spesso panni maschili (in Faust e in Franziska , dove indossa la marsina). Con Nanni ritorna ad Amleto , ma questa volta veste i panni del principe di Danimarca (1978); nello stesso anno, ancora Shakespeare con Cimbelino (mai rappresentata prima in Italia). Ruggiti d’avanguardia ancora nel 1979, quando lei e Nanni sono Jean Harlow & Billy the Kid. Nel 1982 è interprete di una bella versione di Casa di bambola di Ibsen, cui segue Lulù di Wedekind. Nel 1988 recita per Orazio Costa in La vita è sogno di Calderon e, l’anno seguente, la Manuela Kustermann e Nanni riaprono a Roma il Teatro del Vascello, proponendo un ambizioso progetto culturale dal titolo Guerra e pace . Da segnalare nelle ultime stagioni la ripresa di A come Alice (1995) e Come vi piace di Shakespeare (1996).

Melato

Dopo svariate esperienze fra i filodrammatici, Maria Melato fu scritturata da Berti (1904) per diventare primattrice giovane con I. Gramatica e F. Andò. Decisivi furono i dodici anni trascorsi nella compagnia diretta da Talli, avendo in repertorio Bernstein, Bataille, Niccodemi, Brieux, per poi affrontare Goldoni, Andreev,Rosso di San Secondo, D’Annunzio. All’Immaginifico restò fedele anche dopo aver fatto compagnia col Betrone, in coerenza con la nativa vocazione drammatica e la propensione per la scrittura alta. Accostata dai suoi ammiratori alla Duse per la stessa tensione emotiva e per la sensibilità esasperata, possedeva un registro vocale che la induceva a compiacimenti fonici eccessivi, tanto da essere maliziosamente accusata di `cantare’. Nel triennio 1937-40 fu protagonista de La duchessa di Padova di Wilde e della Tosca di Sardou, mentre nel dopoguerra ripropose D’Annunzio, Praga, Cocteau, congedandosi dalle scene (1948) con Casa paterna di Sudermann, prima di ritirarsi in Versilia. Poco significative le interpretazioni cinematografiche nel muto e nel parlato.

Neri

Dopo aver conseguito il diploma magistrale Rosalina Neri inizia a prendere lezioni di canto (ha come insegnante la soprano Toti Dal Monte) e debutta in televisione con Marcello Marchesi in “Invito al sorriso”. Grazie alla straordinaria somiglianza con Marilyn Monroe arriva subito il grande successo popolare ma in Rai è giudicata troppo provocante e viene estromessa dai palinsesti. Così debutta in teatro con Rascel in Tobia, candida spia di Garinei e Giovannini. Poi parte per l’Inghilterra, dove rimane anche per ragioni sentimentali, lavorando in televisione, protagonista per tre anni del Rosalina Neri Show. Torna in Italia e riprende la sua carriera sul palcoscenico con un recital di canzoni al Teatro Gerolamo di Milano, al quale segue Milanin Milanon di Crivelli e Adalgisa di Gadda, con la regia di Umberto Simonetta. Nella stagione 1984-85 Strehler la chiama per interpretare La grande magia (1985), dopo il quale farà anche Grande e piccolo (1987-88), La sposa Francesca (1991-92), L’anima buona di Sezuan (1995-96), Il Campiello (1992-93), Lux in tenebris (1995-96). Nel 1994 ha la parte di Agnese ne I Promessi Sposi alla prova di Testori al Teatro Franco Parenti di Milano.

Montanari

Insieme a Marco Martinelli, Luigi Dadina e Marcella Nonni nel 1983 Ermanna Montanari fonda a Ravenna il Teatro delle Albe, destinato a dar vita nel 1991 al centro per la ricerca teatrale Ravenna Teatro. Come attrice e scenografa, secondo la regia di Marco Martinelli, mette in scena fra gli altri Ruh , Romagna più Africa uguale (1988), Siamo asini o pedanti? (1989), Bonifica (1989), All’inferno! (1996) e Perhindérion (1998), all’interno di un itinerario che sposa ricerca e sperimentazione linguistica all’attenzione per il proprio patrimonio etnico e antropologico. Nel 1991 crea il Linguaggio della Dea, uno spazio in cui `pensare al plurale’, possibilità di riflessione sul femminile attraverso l’incontro e il confronto di esperienze. Le linee fondative del suo percorso artistico disegnano tracce di un’incessante ricerca, che è memoria e corpo di una terra che cerca di farsi linguaggio. Inseguendo il segreto di parole aggrovigliate nel silenzio del corpo, l’attrice ritorna attraverso lo spazio del teatro a quella terra che per `eccessiva identità’ avrebbe forse voluto dimenticare: il dialetto romagnolo le consente di riappropriarsi del sangue e di «esprimere con forza le azioni senza separarle dalle parole». Un viaggio continuo e rinnovato nella propria preistoria, che la vede protagonista non solo come attrice ma anche come autrice e regista in Confine (1986), finalista nel premio Opera Prima di Narni, in Rosvita (1991), in Cenci da Artaud e Shelley (1993), in Ippolito da Euripide e Marina Cvetaeva (1995), e soprattutto in Lus , canto in dialetto romagnolo del poeta Nevio Spadoni. In Lus , le gambe nude sospese nel vuoto buio, l’attrice è Belda, strega dei miracoli, il cui linguaggio si fa canto e grido recuperando l’essenza archetipica della parola. Ermanna dei presagi.

Faiella

La formazione teatrale di Alessandra Faiella avviene a Milano, dove si diploma alla scuola di mimo e teatro di ‘Quellidigrock’ e dove segue il corso di teatro comico di A. Corso, presso il Derby. A Parigi è allieva di Philippe Gaulier e del suo laboratorio sulla comicità, mentre a Pontedera segue uno stage di J. Grotowski. Dal 1988 al ’90 lavora con la compagnia Quellidigrock, con il Teatro Officina di Milano e con la compagnia Fo-Rame ( Il Papa e la strega , 1989), oltre ad allestire suoi testi, scritti insieme a Giorgio Ganzerli, come Bravi cani e Un vile ricatto . Subito dopo interpreta lo spettacolo Rosa tragico, scritto da lei insieme a Ganzerli e Ragusa, e partecipa alla rassegna `Un palcoscenico per le donne’, organizzata da F. Rame. Dal 1993 al ’95 conduce un laboratorio di teatro comico presso il Centro di Recupero Psicofisico per donne mastectomizzate di Milano e, nel ’97, segue uno stage sulla presenza dell’attore, sotto la guida di Roberta Carreri dell’Odin Teatret. Una buona popolarità è arrivata alla F. grazie alla televisione, dove ha interpretato personaggi comici in trasmissioni Rai quali Producer (1996) con S. Dandini e Pippo Chennedy Show (1997), dove impersonava la cubista Alexia e la signora Barozzi, la sfortunata madre di Alexia.

Morlacchi

Dopo aver frequentato l’Accademia dei Filodrammatici, Lucilla Morlacchi nel 1955 debutta con la compagnia Calindri-Volonghi; ma l’inizio della sua carriera teatrale è determinato dall’incontro con Visconti che la sceglie per la parte di Rosangela nell’ Arialda di Testori (1960). Dal 1961 al 1964 lavora per il Teatro stabile di Genova dove ha modo di maturare le sue doti di attrice drammatica ( Uomo e superuomo di Shaw per la regia di Squarzina, Il diavolo e il buon Dio di Sartre, Il matrimonio di Figaro diretto da Puecher). Lavora anche per la televisione dove acquista popolarità con sceneggiati quali Ottocento (1959) e La figlia del capitano (1965). Nel 1965 è chiamata nuovamente da Visconti per interpretare il ruolo di Varija ne Il giardino dei ciliegi di Cechov. Intanto continua la sua collaborazione per lo Stabile di Genova recitando, tra gli altri, in Madre Coraggio di Brecht (1970) e Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (1972), entrambi per la regia di Squarzina. Successivamente con Ronconi recita in Anitra selvatica di Ibsen, nella stagione 1976-77. Negli anni ’80 inizia un lungo sodalizio artistico con Franco Parenti: Il malato immaginario (1980, regia di Shammah); Tartufo (1983, regia di P. Lotschak); I promessi sposi alla prova di Testori (1984, regia di Shammah); Orestea di Eschilo (1985, regia di Parenti); Filippo di Alfieri (1987, regia di Testori); Cantico di mezzogiorno di Claudel (1988, regia di Shammah). Nel 1990 è protagonista della tragedia di Schiller La sposa di Messina e ottiene il premio Eleonora Duse come migliore attrice dell’anno per l’interpretazione di Solange ne Le serve di Genet, diretto da M. Castri. L’anno seguente recita in Alceste di Euripide prendendo parte, così, a uno dei tre lavori che compongono lo spettacolo Nell’intima dimora progettato da W. Pagliaro. Nel 1995 interpreta Ritorni d’emozione di Wenzel sempre per la regia di W. Pagliaro e nel ’96 è interprete di I Turcs tal Friul di Pasolini allestito da Elio De Capitani. Da ricordare, nella sua attività cinematografica, la partecipazione a Il Gattopardo di Visconti (1963), dove interpreta il ruolo di Concetta.

Hepburn

Nonostante i successi nel nuoto e nell’atletica, Katharine Hepburn volle, volle sempre, fortissimamente volle essere attrice, sin dalla scuola, dove si esibì in molti spettacoli amatoriali. Due commedie nell’estate del 1928 e poi, nell’autunno di quell’anno, il debutto a Broadway: cacciata dai produttori alla generale di Those Days , poi protagonista, per otto giorni, di Holiday . Cinque anni e cinque commedie dopo, nel 1933, ebbe un clamoroso e sottolineato insuccesso con The Lake , che le fruttò però la chiamata a Hollywood, con il celebre provino diretto da George Cukor. Da qui inizia una delle più feconde carriere cinematografiche di un’attrice e di una star, ma H. non smetterà di amare il teatro e ci tornerà piuttosto spesso: The Philadelphia Story , nel 1939, è un trionfo e originerà un film di culto. Ma i critici continuano a non amarla: Brook Atkinson la distrugge per Without Love , nel 1942. Nel 1950 H. incontra il suo autore teatrale (Shakespeare) ed è una memorabile Rosalinda in Come vi piace ; nel ’52 è La miliardaria di G.B. Shaw. Nel 1957 (a cinquant’anni!) si permette Porzia in Il mercante di Venezia : trionfo assoluto; nella stessa stagione è Beatrice in Molto rumore per nulla , ovviamente perfetta. 1960: sempre al festival di Stratford nel Connecticut, è Viola in La dodicesima notte e Cleopatra in Antonio e Cleopatra . Celebra il suo sessantaduesimo compleanno in teatro, a Broadway, debuttando in un musical, Coco (la storia di Coco Chanel, assai romanzata) che raggiunge l’onorevole numero di 332 repliche. Tornerà ancora in teatro, a Broadway, per A Matter of Gravity di Edith Bagnold nel 1976, e poi ancora nel 1981 per The West Side Waltz di Ernest Thompson. Ha girato molte commedie per la tv: fra queste spiccano Amore fra le rovine (1975) e Il grano è verde (1979), entrambe per la regia di George Cukor.

Colbert

Emigrata con i genitori negli Usa a soli cinque anni, Claudette Colbert inizia giovanissima a lavorare in teatro, dapprima come scenografa, poi come attrice. Esordisce in The Wild Westcotts di A. Morrison (1923) al Frazee Theatre di New York; nel 1925 interpreta Ginette in A Kiss in a Taxi di C. Gray, ma il successo più autentico le deriva dall’interpretazione di Lou in The Barker di K. Nicholson (1927), presentato al Baltimore Theatre di New York: un ruolo destinato a garantirle il consenso del pubblico anche a Londra l’anno seguente. Nel 1929 delude in parte le aspettative di O’Neill che aveva pensato per lei la parte di Ada Fife in Dynamo , messo in scena l’11 febbraio al Martin Beck Theatre. È il cinema tuttavia a consacrare ufficialmente la vocazione artistica dell’attrice, che nel 1934 conquista l’Oscar come migliore attrice protagonista in Accadde una n otte di F. Capra. Al teatro torna sporadicamente nel 1951 e nel ’55 in Island Fling di N. Coward e in A Mighty Man Is He di A. Kober, preferendo alla scena le suggestioni del grande schermo. Fra i volti più noti della sophisticated comedy anni ’50, con alcuni isolati sconfinamenti nel cinema d’azione, è stata protagonista di numerosissime pellicole fra le quali It’s a Wonderful World (1939), Thunder on the Hill (1951 ), Texas Lady (1955) e Parrish (1961).

Padovani

Lea Padovani studia a Roma all’Accademia d’arte drammatica, che lascia però per entrare in rivista e partecipa, nel 1944, a Cantachiaro , con Anna Magnani. Nel ’45, Febbre azzurra , al financo di Macario rivela al pubblico il suo splendido corpo e alla critica una sua verve, una capacità di recitare la commedia che purtroppo i registi trascurano sempre, forse per via della severa bellezza del suo volto. Dopo cinque o sei film di modesta qualità, la P. ha la sua grande occasione in Inghilterra, protagonista di Cristo fra i muratori , per la regia di Edward Dmytryk, che la impone anche a livello internazionale. Da qui una splendida occasione mancata: l’ Otello di Orson Welles (sarà sostituita da Susanne Cloutier). Durante tutta la sua vita e la sua carriera, la P. si è divisa tra cinema, televisione e teatro, ottenendo ovunque riconoscimenti e ammirazione. In teatro va ricordata la sua partecipazione a I parenti terribili di Cocteau (1946-47), la partecipazione alla ultima tournée di Ruggero Ruggeri a Londra e a Parigi con Enrico IV e Tutto per bene nel ’53; La gatta sul tetto che scotta di T. Williams (1957-58), seguita, nel 1959, al New Theatre di Londra, in inglese, The Rose Tattoo . Negli anni ’60 si dedica principalmente alla tv interpretando molti romanzi sceneggiati e anche commedie. Più tardi, delusa da offerte che giudicava ininteressanti si è dedicata soprattutto ai viaggi.

Albertini

Edda Albertini esordì molto giovane e tutta la sua carriera fu contrassegnata da un notevole potenziale drammatico e dal rapporto con i più grandi registi. Nel 1949 è al Piccolo Teatro diretta da G. Strehler in Questa sera si recita a soggetto e Arlecchino servitore di due padroni , poi a Roma, diretta da G. Pacuvio nel Processo da Kafka; nell’estate del 1950 è Giulietta a Verona diretta da G. Salvini, spettacolo ripreso nella stagione successiva con la compagnia del Teatro Nazionale a fianco di V. Gassman (Romeo) con il quale interpreta anche una incantevole Solvejg nel Peer Gynt di Ibsen. Seguono: Gli straccioni di A. Caro; Anna per mille giorni di R. Anderson; Il giocatore e Ispezione di U. Betti; Intrighi d’amore del Tasso e Giovanna e i giudici di T. Maulnier (a San Miniato), dove accanto alla Giovanna incatenata di Vivi Gioi è l’apparizione gloriosa della guerriera. Capace di passare da figure giovani e luminose a torve e complesse psicologie, è stata la serva nera con la Proclemer-Albertazzi di Requiem per una monaca e Regina negli Spettri di Ibsen. Nell’agosto del 1987 fu applaudita protagonista sui palcoscenici della Cina, dove era impegnata in Il campiello di Goldoni.

Danieli

Figlia d’arte, Isa Danieli debutta giovanissima, a soli quindici anni, nella compagnia di Eduardo, con il quale avrà un rapporto lungo ed estremamente formativo, alternato all’esperienza, faticosa ma non meno utile, dell’avanspettacolo: impara, così, a ballare e a cantare, e soprattutto a tener testa ai pubblici più eterogenei ed esigenti. In tal senso, le servirà molto anche il lavoro con Nino Taranto. Poi di nuovo Eduardo e, nel ’76, La Gatta Cenerentola di Roberto De Simone e l’interpretazione – davvero da antologia – del celeberrimo ruolo della prima lavandaia. De Simone la vuole con sé anche in Mistero napolitano e Festa di Piedigrotta . Quindi, nel 1980, il premio Idi per Amore e magia nella cucina di mamma , scritto e diretto per lei da Lina Wertmuller. L’anno dopo Benno Besson le fa indossare, nell’ Edipo tiranno , le vesti di Tiresia e Giocasta. Ed è l’esperienza decisiva, quella che impone come attrice non solo napoletana: infatti, di lì a poco parteciperà a L’anima buona di Sezuan e a Puntila e il suo servo Matti , sotto la guida di Strehler e di Glauco Mauri. Proprio questo, d’altronde, è il tratto fondamentale del suo carattere, la voglia di rimettersi sempre in discussione e di tentare sempre nuove strade. Ed è perciò che, pur profondamente radicata nella tradizione, diventerà l’autentica musa della nuova drammaturgia napoletana: portando al successo testi come Regina Madre di Manlio Santanelli, Festa al celeste e nubile santuario di Enzo Moscato e Ferdinando di Annibale Ruccello.

Parry

Dedita al teatro fin dalla giovinezza; Natasha Parry è stata la partner di attori come John Gielgud, Alec Guinness, Orson Welles, e ha portato sulla scena personaggi di Shakespeare, Euripide, Ionesco, Anouilh, Sofocle, Shaw. Moglie del regista inglese Peter Brook, fa parte del Centre International de Recherche Théâtrale da lui fondato a Parigi nel 1970. Tra i lavori più significativi a cui ha preso parte: Les 5 Nô de Mishima , per la regia di Maurice Béjart; Tchin-Tchin con Marcello Mastroianni nella messa in scena di Peter Brook; Concerto pour 4 voix con Giorgio Strehler. Nel 1997 insieme al marito si è cimentata in uno dei testi beckettiani più complessi Giorni felici (Oh les beaux jours), che ha interpretato seguendo il testo tradotto in francese dall’autore, e che ha portato in tournée in tutta Europa.

Volonghi

Lina Volonghi esordisce nel 1933 nella compagnia di Gilberto Govi dove rimane per sei anni alternando il lavoro sul palcoscenico all’attività agonistica del nuoto (è campionessa per tre volte). Successivamente, entra a far parte del Teatro delle Arti di Roma lavorando per Anton Giulio Bragaglia. In questi anni l’attrice dà prova di grande versatilità, interpretando svariati ruoli del repertorio classico, moderno e contemporaneo e dimostrando, inoltre, una naturale inclinazione per il genere comico (lavora con la Adani-Ruggeri-Cimara).

Dal 1949 al ’52 è impegnata nella formazione Calindri-Volonghi-Volpi e lavora su testi di Shaw e Wilde. Quindi, passa allo Stabile di Genova dove ha modo di maturare le sue qualità interpretative (Celestina di F. De Rojas, Piccoli borghesi di Gor’kij, Colomba di Anouilh). Lavora con Visconti in Come le foglie di Giacosa accanto alla Brignone, Randone, Santuccio (1954), con Buazzelli e Lionello in Il tacchino di Feydeau, con R. Ricci e E. Magni nell’ Estro del poeta di O’Neill. Nel 1965, al Piccolo Teatro, interpreta il ruolo tragico di Ecuba nelle Troiane di Euripide-Sartre, sotto la guida di F. Tolusso. Per la regia di Strehler interpreta Le baruffe chiozzotte di Goldoni.

Nel 1968 torna allo Stabile di Genova diretto da Ivo Chiesa interpretando I rusteghi e La casa nova di Goldoni; raggiunge, poi, l’apice della sua interpretazione drammatica con Madre Coraggio di Brecht, diretta da L. Squarzina (1970, spettacolo replicato per tre stagioni). Con l’interpretazione del personaggio brechtiano la V. dà l’ennesima prova della sua eccellente professionalità nel rivestire con straordinaria naturalezza anche ruoli lontani dal suo modo di intendere e sentire la vita. Dell’ultimo periodo della sua carriera sono da ricordare: La brocca rotta di Kleist ancora per lo Stabile di Genova, dove recita accanto a E. Pagni (1983); Buonanotte mamma di Marsha Norman, presentato a Spoleto (1984); infine Bussando alla porta accanto di F. Dorin (1986), spettacolo con cui dà l’addio alle scene perché colta da un improvviso attacco cardiaco che le impedisce di riprendere a lavorare. Frequenti sono state le sue apparizioni televisive che hanno accresciuto la sua popolarità.

Bertini

Una delle prime grandi dive del cinema italiano, Francesca Bertini esordisce giovanissima in teatro: sembra già nel 1899 al Teatro Nuovo nella compagnia di Serafino Renzi con il nome di Franceschina Favati o, secondo altri, nel 1904, sempre al Nuovo, come Cecchina (Checchina) Francesca Bertini, ma la sua carriera è tutta cinematografica. Ugualmente incerto l’esordio sul grande schermo che, per l’attrice, risalirebbe al 1908, con La dea del mare , mentre per altri (Prolo, Falena) al 1910 con Il Trovatore . Prima apparizione certa della B. è con Il pappagallo della zia Berta (1912, Prod. Celio), ma in L’histoire d’un Pierrot (1913, Prod. Celio, regia di Negroni) si evidenzia la maschera tragica che avrebbe reso celebre Francesca Bertini Il passaggio dell’attrice alla casa di produzione Caesar dell’avvocato Barattolo, ne fa una diva: grazie a una potente campagna pubblicitaria che la attira all’attenzione del pubblico e della stampa. Francesca Bertini si impone come stella in film come Nelly la gigolette (1914) e, soprattutto, Assunta Spina dal testo di Salvatore Di Giacomo (1915, regia di Gustavo Serena). Già dal 1916 la recitazione della B. si caratterizza in stilizzazioni dalla forte impronta decadente tipica del dannunzianesimo del tempo (ad esempio Fedora , 1916). In seguito ai suoi successi nel 1918 viene fondata la Bertini Film, casa di produzione che, però, non ebbe grande fortuna. La B. assume, quindi, il ruolo di donna bella, fatale ed ambigua in pellicole come La donna nuda (1918), La piovra , Serpe , I sette peccati capitali (1920-21), che furono però degli insuccessi commerciali e che portarono al mancato rinnovo del contratto della B. con la Caesar di Barattolo. Dopo aver sposato il conte Paolo Cartier, la B. lavora in Germania, Francia e Spagna (fino agli anni Cinquanta in La dama dalle camelie , Tosca) e le sue apparizione cinematografiche si fanno sempre più rare (compare, ad esempio, in Novecento , 1976, di B. Bertolucci).

Toccafondi

Figlia di uno scenografo fiorentino Bianca Toccafondi debutta in palcoscenico a tre anni ne Il sesso debole al Teatro della Pergola. A venti recita nell’ambito del Teatro universitario e studia con Athos Ori della Filodrammatica fiorentina. Nel 1952 inizia una intensa attività di doppiaggio e l’anno dopo entra a far a parte della Compagnia di prosa della televisione interpretando opere di Dostoevskji, Cechov, Molnar, De Musset. Entra nella Compagnia Albertazzi-Proclemer-Ricci-Magni-Buazzelli recitando in ruoli importanti attinti da un repertorio vario che fa risaltare le sue doti sia di attrice drammatica che brillante. Da Il seduttore di Fabbri a Corruzione a Palazzo di Giustizia di Betti, a Re Lear. Con I coccodrilli di G. Rocca vince il premio quale migliore attrice dell’anno. Fonda la compagnia Ricci-Magni-Volonghi-Toccafondi (L’estro del poeta, 1959, di O’Neill, Miles gloriosus di Plauto e Sette contro Tebe di Eschilo). Dal 1962 forma compagnia con Gramatica-Santuccio-Toccafondi (Romanticismo di Rovetta). Con Incontro a Babele di S. Cappelli vince il premio Idi 1962 come migliore attrice di commedia italiana. Negli ultimi anni è spesso impegnata in pièce di genere brillante. Anche in televisione ha partecipato a numerosi sceneggiati: Oblomov (1965), I promessi sposi, Il dottor Jekyll (1968), e La vita di Leonardo Da Vinci (1971).

D’Albert

All’età di tre anni Lucy D’Albert segue la madre (l’attrice Lydia Johnson, il cui vero nome era Lydia Abramovic) nei suoi spostamenti prima in Turchia e in Francia, infine in Italia. Esordisce bambina, parallelamente alla carriera della madre, e dall’età di quindici anni ha un’attività scenica regolare. Nel 1931 è in una rivista a Napoli (La terra gira) con la madre e i tre fratelli De Filippo. Dal 1932 al ’35 è a Napoli, soubrette assoluta degli spettacoli di Michele Galdieri; nel 1936 ancora a Napoli, con Nino Taranto in Son tornate a fiorire le rose , un successo che le frutta il passaggio a compagnie di rivista dal prestigio nazionale, con Spadaro, ancora con Taranto, con Totò. Dal 1945 al ’47 in formazioni sporadiche accanto a Rascel, Tecla Scarano, i fratelli De Vico. A partire dal 1948 è con Dapporto, ancora con Taranto, con Walter Chiari, con Billi e Riva (Caccia al tesoro di Garinei e Giovannini, 1953) e poi, sempre di G. & G., nel 1954, in Giove in doppiopetto con Carlo Dapporto, spettacolo in cui lei, che si sentiva rivoluzionaria rispetto all’immagine della soubrette classica, viene contrapposta alla semplicità trionfante di Delia Scala proprio come l’immagine della soubrette tutta piume e strass. Nel 1955 partecipa alla versione cinematografica di Giove in doppiopetto e nella stagione 1958-59 la troviamo accanto a Macario nello scombinato Chiamate Arturo 777 .

Mercatali

Diplomata all’Accademia di Roma, Magda Mercatali debutta nel cabaret ma si forma con Gassman. Negli anni ’70 lavora in televisione (La trilogia della villeggiatura di Goldoni, regia di M. Missiroli) e con la compagnia Belli ( Una tranquilla dimora di campagna di Witkiewicz, Ore rubate di M. Sbragia, Diario di Giovanni seduttore di R. Lerici, Lulù – di Wedekind, Cuore di cane di Bulgakov). Dopo un’esperienza al Piccolo Teatro di Milano e allo Stabile di Genova, negli anni ’80 è col Teatro di Roma; tra gli spettacoli, Timone d’Atene di Shakespeare (regia di L. Squarzina), Il tacchino di Feydeau (regia di E.M. Salerno). Ultimamente ha interpretato con successo L’impresario delle Smirne di Goldoni, con la regia di A. Martino.

Rame

Figlia d’arte, con suo padre Domenico, la madre Emilia, il fratello, gli zii e i cugini, fin da bambina Franca Rame gira per le piazze e i teatri della Lombardia e del Piemonte. Nel 1950 lascia la compagnia di famiglia per diventare attrice di prosa e di rivista. Nel 1951 è tra le protagoniste con Tino Scotti e la sorella Pia di Ghe pensi mi di Marcello Marchesi, del quale interpreta nelle due stagioni successive anche I fanatici e Papaveri e papere. Brava e bellissima, è una delle soubrette più ammirate. Conosce Dario Fo nel 1953 e da allora non si separeranno più nella vita come sul palcoscenico. Insieme in scena fin dalla prima edizione di Il dito nell’occhio, diventeranno una delle coppie artistiche più solide, caratterizzando oltre quarantacinque anni di storia del teatro italiano e internazionale. È stata l’ammirata protagonista femminile di tutti gli spettacoli di Fo, con cui da sempre collabora anche per la stesura dei testi e per le messe in scena, e con cui condivide, spesso come vera e propria artefice, l’impegno politico del loro teatro.

Senza Fo, è in scena nel 1969 con L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone e Legami pure, tanto spacco tutto lo stesso e con Tutti uniti! Tutti insieme! Ma scusa quello non è il padrone? (1971). Nel 1973 viene sequestrata e aggredita per la sua attività politica nelle carceri, con l’iniziativa `Soccorso rosso’ e solo vent’anni dopo si scopriranno i nomi degli aggressori. Nel 1978 interpreta da sola – firmando per la prima volta il testo con Fo – Tutta casa, letto e chiesa sulla condizione della donna, che rappresenterà per anni con successo in tutta Europa. Mentre prosegue l’attività con il marito, nel 1986 recita ancora senza Fo in Parti femminili 2 (che comprende i due atti unici Una giornata qualunque e Coppia aperta) e nel 1992 in Parliamo di donne (L’eroina, Grassa è bello), di cui è coautrice. Nel 1993 è interprete di Settimo ruba un po’ meno n. 2 . Nel 1994 scrive con Dario e il figlio Jacopo e interpreta da sola Sesso?, grazie tanto per gradire , che porterà in giro per altre tre stagioni, integrandolo nel 1996 con Mistero buffo in coppia con Fo. Nel 1997 debutta in Il diavolo con le zinne accanto a Giorgio Albertazzi per la regia di Fo. Nel 1998, ancora con Fo, porta in tournée la conferenza-spettacolo Marino libero, Marino innocente! , ricostruzione in chiave satirica delle vicende del processo Sofri.

Goggi

Bambina ‘prodigio’, come si diceva una volta, Loretta Goggi. Esordio a nove anni in tv, con Sotto processo di A. G. Majano, e poi una serie sterminata di trasmissioni: per ragazzi, sceneggiati (Cosetta in I miserabili di Hugo, 1964; La freccia nera, 1968), fino alle tre serie di situation comedy Due per tre su Canale 5 al pomeriggio della domenica, in coppia con Dorelli, su testi di Iaia Fiastri (1966-67-68). Ha condotto varietà, eccellendo in imitazioni (Mina, P. Pravo, G. Cinquetti); come doppiatrice, ha dato la voce al canarino Titti, il nemico di Gatto Silvestro, ma anche a O. Muti, A. Belli, S. Dionisio. Si fece chiamare Daniela Momigliano quando tentò, giovanissima, la carriera di cantante, partecipando poi nel 1966 al programma Settevoci di Baudo. Con il suo nome, e con la canzone “Maledetta primavera”, ha partecipato al Festival di Sanremo 1981, classificandosi al secondo posto. Nelle stagioni 1995-96 e 1996-97, accanto a Dorelli, ha interpretato in teatro Bobbi sa tutto , quattro atti unici diretti da Garinei e scritti da I. Fiastri, Age e Scarpelli, Benvenuti e De Bernardi, Luigi Magni: tutti i copioni iniziavano con la stessa battuta: “Bobbi sa tutto”.

Torta

Carlina Torta esordisce nel gruppo Teatro del Sole per poi fondare, a metà degli anni ’80 con A. Finocchiaro, la compagnia Panna acida, che realizza spettacoli come Scala F, Viola, Maldimare, in scena al Teatro Verdi di Milano. Nella stagione 1988-89 scrive e dirige Lucertole ; nel 1996 allestisce Manicomio primavera, ispirato a un racconto dell’omonimo libro di Clara Sereni, in cui, ha detto l’attrice, «c’è il senso della vita come l’ho espressa nel mio teatro: dolore e piacere, sofferenze e gioia». Nella stagione 1997-98 è nel Re Lear di Shakespeare, con la regia di A. R. Shammah.

Gherardi

Diplomata alla scuola del Piccolo Teatro, Anna Maria Gherardi debutta nell’ Adelchi di Manzoni con Gassmann nel 1960. Ha una lunga militanza nei teatri sperimentali romani: al Porcospino, Beat ’72, Spazio Uno. Lavora con R. Guicciardini fondatore del Gruppo della Rocca, ne La tragedia spagnola di T. Kyd. Nel 1967 è Solange ne Le serve di Genet con P. Degli Esposti, diretta da Scaparro. Ha lavorato in molti spettacoli con G. Marini: Doppio sogno di Schnitzler, dove interpreta il ruolo del cardinale, e Il gran teatro del mondo di Calderón de La Barca. È stata diretta anche da Chérif: ne I paraventi di Genet e Moonlight di Pinter. Recita con Ronconi in Ignorabimus di Arno Holz. Ha svolto anche una discreta attività cinematografica: Le mani sporche di J.P. Sartre, di Petri; Novecento di B. Bertolucci.

Monti

Dopo aver esordito nel 1953 come cantante di blues e spirituals, Maria Monti debuttò nel 1955 come attrice con la compagnia di Elsa Grado allo Smeraldo di Milano, nell’avanspettacolo Quando spunta la luna all’Idroscalo , che la segnalò all’attenzione dei comici di rivista. La stagione seguente passò con la compagnia Tognazzi-Masiero, interpretando Uno scandalo per Lilli , parodia di una ragazza tifosa del jazz di New Orleans. Dopo la partecipazione allo spettacolo del Teatro stabile di Napoli La dolce guerra (regia di G. Di Martino), dove confermò la sua originalità di cantante-interprete dalla voce sensuale e dalla dizione incisiva, prende parte con G. Cobelli, al Teatro Arlecchino di Roma, a Can can degli italiani (1963), un’aspra parodia sull’attualità che le offrì l’occasione di esibire quella parte di sé fino allora celata al pubblico. Nelle stagioni del 1964-66 si presenta con P. Poli in Il candelaio e Il diavolo . Intensa anche l’attività nel cabaret con Giorgio Gaber e Nanni Svampa. Nel 1973 recita in Ambleto di Testori accanto a Franco Parenti e nel 1980 interpreta la principessa Himalaj in Operetta di W. Gombrowicz (regia di Antonio Calenda). Perfettamente a suo agio nel teatro leggero, nel 1984 affianca Gino Bramieri in Pardon monsieur Molière e nel 1987 è interprete de L’angelo azzurro di Aldo Trionfo e Alessandro Giupponi, dal romanzo omonimo di Heinrich Mann. E nel 1991 interpreta Maria d’amore, scritto personalmente con Patrick Rossi Gastaldi. Nel 1993 partecipa a Milanon Milanin con Paolo Rossi. Tra i film a cui ha preso parte vanno citati almeno Giù la testa di Sergio Leone (1971), Novecento di Bernardo Bertolucci (1976) e Oh Serafina! di Alberto Lattuada (1977).

Jeanmaire

Una carriera costellata di cambiamenti, un senso dell’avventura artistica che l’ha spinta a provare molti generi e molti Paesi, una scoperta, tardiva ma non per questo meno affascinante, della canzone, francese questa, a metà strada tra le grandi diseuses alla Yvette Guilbert e le melodiche popolari: ancora in attività negli anni ’90, apparendo per qualche emozionante numero o canzone in uno spettacolo del marito-mentore Roland Petit, una figura con cui i destini di Renée Jeanmaire si sono profondamente intrecciati. Renée, non ancora Zizi, entra a nove anni alla scuola di danza dell’Opéra di Parigi, a quindici fa già parte del corpo di ballo e in pochissimo tempo ne diventa un’apprezzata solista. È però costretta a lasciare l’Opéra se vuole cominciare a esibirsi in altri teatri, ed è così che fra il 1944 e il ’45 incontrerà Roland Petit, che coreografa e organizza delle serate di danza al teatro Sarah Bernhardt. Nel 1946 è solista del Nouveau Ballet de Monte-Carlo e danza le coreografie che Serge Lifar crea per lei. Nel ’47 è danseuse étoile e ottiene gran successo al Covent Garden di Londra in una serie di balletti classici e moderni. Finalmente, nel ’48 è nel Ballet de Paris diretto da Roland Petit, per il quale, in tournée a Londra, il 21 febbraio del ’49 crea il personaggio di Carmen nel balletto omonimo: Renée Jeanmaire diventa una celebrità internazionale.

L’anno seguente un altro grande successo con La croqueuse des diamants , sempre per la coreografia di Roland Petit. Nel 1951, durante la seconda tournée americana dei Ballets de Paris, J. e Petit vengono scritturati a Hollywood per un film da Carmen. Il progetto non si realizza, ma in compenso Jeanmaire (negli Usa le hanno eliminato il nome di battesimo), appare, al fianco di Danny Kaye in Hans Christian Andersen (1952): gran successo, ma la sua carriera cinematografica si limiterà a sei film molto spaziati negli anni. In compenso Broadway la chiama: The Girl in Pink Tights , 5 marzo 1954, coreografia di Agnes De Mille, centoquindici repliche. Nel 1956 canta per la prima volta in palcoscenico e incanta per sempre il pubblico francese (come incanterà poi quello internazionale) in una Revue des Ballets de Paris. Nel 1957, all’Alhambra di Parigi, presentata da Maurice Chevalier, debutta ufficialmente nel music-hall, che le riserverà negli anni seguenti una serie ininterrotta di successi e soddisfazioni. Il suo numero, e canzone, Mon truc en plumes, è celebre come pochi altri numeri di music-hall e ancora eseguito. Nonostante i gravissimi problemi di artrite professionale, Jeanmaire, ormai diventata Zizi, continua con il suo humour, la sua tecnica perfetta una carriera nella rivista, e di anno in anno aumenta il suo successo come cantante: interpreta mirabilmente le canzoni di Mistinguette e diventa la star di due celebri spettacoli degli anni ’70 al Casino de Paris, La revue de Roland Petit e Zizi je t’aime.

Reiter

Virginia Reiter si formò nella compagnia di C. Emanuel, dove militò dal 1882 al 1894, ricoprendo dal 1887 il ruolo di primattrice. In quegli anni raggiunse la notorietà recitando parti shakespeariane e romantiche. Passò quindi alla Talli-Reinach, con la quale nelle stagioni 1894-95 affrontò ruoli brillanti. Alle prove drammatiche tornò con Leigheb e Andò (1895-99) e nel 1896 fu la prima interprete de La lupa di Verga. Tra il 1900 e il 1902 fu socia di F. Pasta; con questa compagnia affrontò la Messalina di Cossa e ottenne il suo più grande successo con Madame Sans-Gêne di Sardou. Fu poi in società con L. Carini fino al 1915, anno in cui si ritirò dalle scene. Dotata di affascinante femminilità e di una splendida voce, la R. è stata una delle migliori attrici italiane a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Tessier

Valentine Tessier debutta a Rouen prendendo parte a melodrammi di scarso valore, ma a vent’anni viene chiamata nella compagnia che Copeau ha appena messo in piedi al Vieux-Colombier. Qui si mette in luce interpretando Le nozze di Figaro di Beaumarchais; Il misantropo di Molière, I fratelli Karamazov di Copeau, dal romanzo di Dostoevskij (1921), La fraude di L. Fallens (1921), Amour, livre d’or di A. Tolstoj (1922), Bastos le hardi di L. Régis e F. de Veynes (1923), Il faut que chacun soit à sa place di R. Benjamin (1924). Quando la compagnia di Copeau si trasferisce in provincia, T. decide di restare a Parigi e, sotto la direzione di Jouvet, recita alla Comédie des Champs-Elysées: Léopold le bien-aimé di Sarment (1923); La scintillante di Romains (1924); Madame Béliard di Vildrac (1925); Sigfrid (1928) e Amphitryon (1929) di Giraudoux; Suzanne di Passeur (1929); Domino di Achard (1932); Intermezzo di Giraudoux (1933). Nel 1934 interpreta all’Atelier di Dullin Peccato che sia una sgualdrina di J. Ford (nel 1961 interpreterà la stessa commedia con la regia di L. Visconti).

La Tessier ha volutamente privilegiato il teatro al cinema, ritenendo il primo più rispettoso della libertà dell’interprete. La sua carriera continua nel dopoguerra con Lucienne et le boucher di M. Aymé (1948); Chéri di Colette (1949); Filumena Marturano di De Filippo (1952); Les parents terribles di Cocteau; Il gabbiano di Cechov (nell’adattamento di E. Triolet, 1955); La professione della signora Warren di Shaw (1956); La visita della vecchia signora di Dürrenmatt (1960, ne è seguita una versione televisiva); L’idiota di Dostoevskij (alla fine degli anni ’60). La sua ultima interpretazione è stata Ne coupez pas mes arbres , al fianco di Fernand Ledoux.

Lojodice

Giuliana Lojodice esordisce giovanissima in teatro, nel Crogiuolo di A. Miller, diretta da Visconti (1955), e si segnala, nel 1958, in Ricorda con rabbia di John Osborne, per la regia di G. Sbragia. Nel 1959 è Nina ne Il gabbiano , di A. Cechov, per la regia di Mario Ferrero. Attrice versatile e di intensa personalità, è protagonista di numerosi sceneggiati televisivi, come la Tragedia americana (1963) di T. Dreiser, diretta da A. G. Majano, o Il conte di Montecristo (1966, regia L. Fenoglio). Capace di passare agilmente dal registro tragico a quello comico alla commedia musicale, la Lojodice è accanto a Marcello Mastroianni in Ciao Rudy (1965-66) di Garinei e Giovannini. Nel 1966 incontra Aroldo Tieri, con cui darà vita ad un lungo e fortunato sodalizio umano ed artistico. La ditta Tieri-L. inizia il suo cammino con Uscirò dalla tua vita in taxi di Waterhouse e Hall, (1966, regia di Mario Ferrero), e affronta Feydeau, Pirandello, G. B. Shaw, Svevo, Molière (Il misantropo, 1985, regia L. Squarzina), Joyce ( Esuli ). Dal 1988, dopo un’intensa stagione al Teatro delle Arti di Roma (da ricordare Spirito allegro di Coward), la coppia lavora stabilmente con il regista Giancarlo Sepe: da questa collaborazione sono nate produzioni fortunate come Marionette che passione di Rosso di San Secondo (1988-89); La bugie con le gambe lunghe di Eduardo De Filippo (1990-92); Il tacchino di G. Feydeau (1994), Un marito ideale di Oscar Wilde (1995-97). Nel cinema si ricorda in Il morbidone di M. Franciosa; Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico scomparso in Africa , di E. Scola; e La vita è bella di R. Benigni.

Azim

Nel 1972-73 Raffaella Azim frequenta la scuola del Piccolo Teatro di Milano. Debutta al Salone Pier Lombardo di Milano dove lavora assiduamente fino al 1976 (nel 1974-75 Macbetto di G. Testori accanto a F. Parenti, regia di A.R. Shammah e poi La Betia di Ruzante e nel 1975-76 Il misantropo di Molière interpretati e diretti dallo stesso Parenti). Dal 1978 al 1980 lavora frequentemente con G. Sbragia (I demoni da Dostoevskij, La bella addormentata di Rosso di San Secondo, Il Giorno da G. Parini, Le baccanti di Euripide). Nel 1981-82 con Ritorno a casa di H. Pinter e L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello inizia la collaborazione con C. Cecchi, con il quale nel 1993-94 mette in scena Leonce e Lena di G. Buchner e nel 1997-98 La serra di H. Pinter. Ha lavorato inoltre con i registi R. Maiello (Tito Andronico di Shakespeare, 1976), L. Ronconi (Fedra di J. Racine, 1983-84), A. Pugliese (Il mercante di Venezia di Shakespeare, 1984-85), G. Cobelli (Il matrimonio di Figaro di de Beaumarchais, 1985-86), G. Zampieri ( Pericle, principe di Tiro di Shakespeare, 1986-87), A. Trionfo (La città morta e La nave di D’Annunzio, 1987-88), J. Miller (Misura per misura di Shakespeare, 1989-90), Chérif (Improvvisamente l’estate scorsa di T. Williams, 1991-92; Moonlight di H. Pinter, 1994-95), N. Garella (Didone abbandonata di Metastasio, 1992-93), S. Sequi (Macbeth di Shakespeare, 1995-96).

Lawrence

Ragazzina ricca di versatilità e virtuosismo, Gertrude Lawrence si esibisce nei teatri del West End londinese, dove entra in amicizia con un Noël Coward non ancora adolescente, amicizia destinata a durare per tutta la vita. Trasferitasi a New York, il suo stile stravagante e sofisticato, le sue bizzarrie e la vitalità trascinante anche fuori dalla scena la rendono ben presto la musa dei ‘roaring Twenties’, al fianco di personaggi come Zelda e Scott Fitzgerald. In teatro conquista il pubblico in London Calling (1923), scritto per lei da Coward, mentre sullo schermo partecipa a sei film, dei quali solo Battle of Paris (1929) è un musical. Nel 1926 Gershwin compone per la sua voce la partitura musicale di Oh, Kay! , spettacolo in cui a lei per prima vengono affidati brani destinati alla fama come “Dear Little Girl” e “Someone To Watch Over Me”. Due anni dopo conosce i trionfi londinesi con la stessa commedia musicale. Fa di nuovo coppia con Coward in Vite private (1931) e in To-Night at 8:30 (1936) in cui esegue anche alcune canzoni di mano dello stesso Coward. Nello spettacolo Lady in the Dark (1941) con musiche di Kurt Weill presta la propria fama come trampolino di lancio per lo sconosciuto Danny Kaye. Nella prima versione cinematografica di Zoo di vetro (1950) interpreta la difficile parte della madre. Il suo capolavoro teatrale è considerato il musical Il Re ed io (1951), dove è la battagliera istitutrice inglese alla corte del Siam, ruolo pensato espressamente per lei da Rodgers e Hammerstein. Lascia incise moltissime delle canzoni composte a misura delle sue potenzialità dai più importanti autori (Berlin, Porter, Weill e Gershwin tra gli altri) e si racconta senza falsi pudori, non tacendo il lungo periodo da alcolista, nel libro autobiografico A Star Danced pubblicato nel 1945. Nel 1968 il suo personaggio caparbio e determinato è stato portato sullo schermo da Julie Andrews nel film biografico Un giorno… di prima mattina .

Chaplin

Quinta figlia di Charles (la madre è Oona O’Neill), Victoria Chaplin nei primi anni ’80 ha fondato con il marito J.-B. Thiérrée ‘Le cirque imaginaire’, realizzando spettacoli con numeri di acrobazia, illusionismo, burattini e marionette, maschere, mimi, misteri e animali di ogni tipo (oche, anatre, conigli, colombe). In tournée mondiale, dagli Usa al Giappone, sono stati portati gli spettacoli della compagnia – nei quali recitano tutti i membri della famiglia – tra cui spicca Le cirque invisible (1991). Nel 1997 l’ensemble è di nuovo in tour con il nome Il cerchio invisibile, perché «la parola circo è ormai vuota di senso, mentre il cerchio è una figura geometrica perfetta, recinto fatale di ogni rito e iniziazione».

Redgrave

Figlia di Michael R. e R. Kempson, Vanessa Redgrave debutta nel West-End londinese nel 1958 recitando col padre in Un colpo di sole (A Touch of the Sun) di N.C. Hunter. A ventiquattro anni ottiene uno dei suoi primi successi a Stratford nelle vesti shakespeariane di Rosalinda in Come vi piace per la regia di M. Elliot. Nel 1964 interpreta Nina ne Il Gabbiano di Cechov, diretta dal marito T. Richardson che la segue anche nel dramma di Ibsen La donna del mare . Sotto la guida di P. Hall, suo grande ammiratore, recita per la Royal Shakespeare Company in Sogno di una notte di mezza estate, Coriolano, La bisbetica domata di Shakespeare. Attrice dotata di grande immaginazione e inventiva, ebbe un grandissimo successo nel ruolo della signorina Brodie nella versione per il teatro del romanzo di Muriel Spark Gli anni in fiore della signorina Jean Brodie (The Prime of Miss Jean Brodie). Ammirata a livello internazionale, negli ultimi anni si è specializzata in drammi americani moderni, tra cui si ricordano Il tocco del poeta (A Touch of the Poet, 1988) di O’Neill, Battaglia di angeli (riscritto nel 1957 come Orpheus Descending) di T. Williams, e due lavori di M. Sherman: Un manicomio a Goa (A Madhouse in Goa, 1989) e Quando lei ballava (When She Danced, 1991). Notevole è anche la sua attività cinematografica: da Blow up di Antonioni a I diavoli di Russel, da Casa Howard di Ivory a Miss Dalloway di Gorriss.

Cotta

Elena Cotta è moglie di C. Alighiero, con il quale ha fatto `ditta’; tra i suoi ruoli favoriti, oltre al personaggio androgino e lunare interpretato nell’ Amleto di Bacchelli (1976), figurano quello della vecchia Doris in Disse mamma non andare di C. Keatley, la Sheila di Sinceramente bugiardi di A. Ayckbourn e la protagonista di La sconcertante signora Savage di J. Patrick, andata in scena nel 1997.

Giehse

Cresciuta in una famiglia di mercanti ebrei, Therese Giehse studia recitazione a Monaco. A partire dal 1920 ottiene diverse scritture a Breslavia e a Monaco, alla Bayerische Landesbühne e allo Schauspielhaus. Dal 1906 al 1933 lavora con Falkenberg ai Kammerspiel di Monaco in ruoli quali la contessa Geschwitz nella Lulù di Wedekind (1928), la signora Peachum nell’ Opera da tre soldi e della regina Gertrude nell’ Amleto (1930). Nel gennaio del 1933, assieme a Erika Mann, inaugura a Monaco il cabaret antifascista Il macinapepe (Die Pfeffermühle) con uno spettacolo che viene poi rappresentato anche a Zurigo e in tournée in diverse città europee. Nello stesso anno emigra in Svizzera dove, dopo il 1937, lavora allo Shauspielhaus di Zurigo, la più importante scena libera di lingua tedesca a quel tempo. Vi interpreta Giocasta nell’ Edipo (1939), la madre in Nozze di sangue di García Lorca (1944) e lavora, con la regia di Hirsch e Brecht in Il Signor Puntila e il suo servo Matti (1948). Nel 1950 viene scritturata al Berliner Ensemble dove recita ancora nel Puntila . Lo stesso anno, con la regia di Brecht e Engel, è la protagonista di Madre Courage , che già in precedenza aveva interpretato a Zurigo. Tra Berlino e Zurigo lavora anche in drammi di Frisch e Dürrenmatt: del primo interpreta Don Giovanni o l’amore per la geometria (1953 e 1964); del secondo La visita della vecchia signora (1956). Nel 1970 interpreta La madre di Brecht per P. Stein alla Schaubühne di Berlino. A tale proposito Hennig Rischbieter scrive che attraverso di lei si esprimeva «…la quotidianità al di là degli eroismi, i desideri e i fardelli del proletariato, le miserie della piccola borghesia».

Massironi

Dopo aver frequentato un corso di recitazione in provincia (scuola ‘L. Pirandello’ a Busto Arsizio, 1982) Marina Massironi inizia a calcare le tavole del palcoscenico in lavori come Proibito di Williams, Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, Il conte di Carmagnola di Manzoni, allestiti da compagnie amatoriali (1983-85). Dall’incontro con Giacomo Poretti (che poi sposerà) emerge la sua vocazione comica, tanto che i due formano la coppia Hansel & Strudel, nome col quale gireranno locali e cabaret presentando recital e sketch dal 1985 al 1987, anno in cui approdano allo Zelig con Quando la coppia scoppia . Dal 1988 Hansel & Strudel si dividono e Giacomo entra a far parte del trio Aldo Giovanni e Giacomo. La Massironi inizia a collaborare con il nuovo trio in Lampi d’estate (1992), Ritorno al gerundio e Aria di tempesta (entrambi del 1993). Nel 1994 è interprete con Ruggero Cara e Flavio Bonacci di Lei, commedia in tre episodi scritta da Gianfranco Manfredi, Laura Grimaldi e Gino & Michele, in scena al Teatro Litta di Milano con la regia di Marco Guzzardi. Segue, nel 1995, la collaborazione con Marco Pagani, con il quale scrive e interpreta Aria viziata . L’attrice raggiunge il grande pubblico nella stagione 1995-96 al fianco di Aldo Giovanni e Giacomo, nello spettacolo I corti diretto da Arturo Brachetti; in televisione è ospite fissa nella trasmissione su Italia Uno Mai dire gol .