Talli

Virgilio Talli studiò recitazione all’Accademia dei Fidenti, a Firenze. Debuttò nel 1881 con la Tessero. Fece parte poi di altri complessi di valore e lavorò con Novelli, Reinach, Di Lorenzo, Andò. Nel 1900 vestì i panni di Massimo nella prima rappresentazione di Come le foglie di Giacosa. Nello stesso anno divenne direttore della prestigiosa Talli-Gramatica-Calabresi, compagnia di cui fecero parte anche Ruggeri, Giovannini, la Franchini e L. Borelli. Nel 1909 formò un altro gruppo importante, la Talli-Melato, con Giovannini, V. Vergani, A. Betrone e, successivamente, R. Lupi (è del 1917 la prima milanese di Così è (se vi pare). Dal 1918 al ’21 diresse, in collaborazione con L. Chiarelli, la semistabile del Teatro Argentina. Dal 1921 al ’23 fu a capo della compagnia Nazionale (con A. Borelli, Ruggeri, Calò, Tofano, Olivieri e la Sammarco).

Diresse M. Abba nel 1924, quando guidava la Capodaglio-Calò-Olivieri-Campa, e si occupò della tournée della Duse. Fu il primo a mettere in scena il teatro di H. Becque in Italia con La parigina (1890) e I corvi (1891). Le sue compagnie produssero circa trecento allestimenti, tra i quali vanno ricordati gli storici La figlia di Iorio di D’Annunzio (1904), Dal tuo al mio di Verga (1904), ed Enrico IV (1922) oltre a La vita che ti diedi entrambi di Pirandello (1923) e Marionette, che passione! di Rosso di San Secondo (1918). T., che smise di recitare nel 1912, ha raccolto le sue memorie nell’interessante volume La mia vita di teatro (Milano 1927).

Salines

Antonio Salines esordì nel Teatro Popolare di V. Gassman, facendo poi del cabaret e interpretando, fra gli altri, testi satirici di autori italiani (Ambrogi, Bertoli, Bigiaretti, Costanzo). Entrato al Piccolo Teatro di Milano, sostenne ruoli importanti nella Betìa di Ruzante (regia di G. De Bosio), e nel Toller di T. Dorst (regia di P. Chéreau). Nel 1980 è regista di Un marziano a Roma di E. Flaiano e di Il concilio d’amore di O. Panizza entrambi al Teatro Belli di Roma. Nella stagione 1983-84 si distingue in opere di contenuto comico-satirico. Nel 1985 è regista e interprete di Il boudoir del Marchese de Sade di R. Lerici e interprete in Pranzo di famiglia di Lerici (regia di Tinto Brass) al Teatro Belli. Seguono Inferno di Strindberg (Teatro Belli di Roma, 1986), Chi ruba un piede è fortunato in amore di D. Fo (1987); la regia di Delitto all’isola delle capre di U. Betti, al Teatro Abeliano di Bari, Coltelli di J. Cassavetes, Il bugiardo di Goldoni (Teatro Zandonai di Rovereto) e Chi la fa l’aspetta di Goldoni (regia di Giuseppe Emiliani), Angeles in America . Il millennio si avvicina di T. Kushner (regia di W. Mramor), Francesca da Rimini di D’Annunzio, Il malato immaginario di Molière (regia di J. Lassalle) e Provaci ancora, Sam di W. Allen a Bolzano alla Casa della cultura (anche regista).

Quartullo

Laureato in architettura presso la facoltà di Roma con una tesi in scenografia sulla progettazione di un teatro (1986), diplomato in regia all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ (1982) e diplomato come attore al Laboratorio di Proietti. Pino Quartullo debutta come attore e aiuto regista di Fra’ Diavolo di G. Aceto (1980), regia di A. Trionfo. Nel 1981 è attore in “Straparole”, sceneggiato televisivo scritto da C. Zavattini, con la regia di U. Gregoretti ed è attore e autore nel programma televisivo “Attore amore mio”, regia di A. Falqui. Dal 1982 al 1988 seguirà a partecipare a varietà televisivi mentre la sua carriera d’attore prosegue nel 1982 con il film Il marchese del grillo, regia di M. Monicelli, e con la partecipazione al popolarissimo A me gli occhi, please di Proietti; segue lo stesso anno L’avaro di Molière, regia di Patroni Griffi. Costituisce La “Festa Mobile” (1983) di cui è direttore artistico e regista e con cui produce: La Mandragola di Machiavelli, di cui cura anche la messa in scena; Tentativi di passione di M. Boggio e F. Cuomo, in cui è attore e regista (1984); Rozzi, Intronati, Straccioni e Ingannati di cui è autore, regista e attore (1984); Deus ex machina da W. Allen e Teatro Grand Guignol di cui è adattatore e regista (1985); Fools di N. Simon (1986) di cui è regista e attore. Seguono le regie di Bagna e asciuga e C’è un uomo in mezzo al mare di G. Jannuzzo (1987), Quando eravamo repressi di Q. (1990), Risiko quell’irrefrenabile voglia di potere di F. Apolloni (1992), Le faremo tanto male di Q. e Masenza (1993). Partecipa come attore a A che servono gli uomini di I. Fiastri, regia di P. Garinei (1989) ed a Estate e fumo di T. Williams, regia di A. Pugliese (1996-97). Come regista cinematografico ha esordito con il cortometraggio Exit (1980), diretto con S. Reali, ed ha proseguito con Quando eravamo repressi (1991), Le donne non vogliono più (1993), Storie d’amore con i crampi (1995) e l’episodio di Esercizi di stile (1997).

Caprioli

Interprete versatile, a suo agio sia nei ruoli drammatici sia in quelli brillanti, Vittorio Caprioli si diploma all’Accademia d’arte drammatica di Roma e debutta nel 1942 con la compagnia Carli-Racca, lavorando con De Sica, Besozzi e Vivi Gioi nella commedia I giorni della vita di William Saroyan. Esordisce al Piccolo Teatro di Milano nel 1948 ne La tempesta di Shakespeare (regia di Strehler) e subito dopo interpreta Il corvo di Carlo Gozzi (1948-49). Resta a Milano fino al 1950, ottenendo parti importanti in Questa sera si recita a soggetto , I giganti della montagna di Pirandello e La famiglia Antropus di T. Wilder. In seguito ritorna al repertorio degli inizi, lavorando con Ettore Giannini in Carosello napoletano . Nel 1950 fonda con Alberto Bonucci e Franca Valeri il Teatro dei ? Gobbi, primo fortunato e raffinato esempio di cabaret all’italiana, che diventa una pietra miliare del genere per i futuri comici. Nel 1954 interpreta la prima assoluta italiana di Aspettando Godot di Beckett e firma la regia di Le catacombe , C’è speranza nel sesso e Meno storie , scritti e interpretati da Franca Valeri. Successivamente decide di allontanarsi dal teatro per dedicarsi, sia come attore sia come regista, al cinema, ottenendo discreti risultati. Dapprima partecipa come interprete a Le luci del varietà diretto da Lattuada (1950) e Zazie nel metrò (1960), dal romanzo di Quenau, per la regia di Louis Malle. Seguiranno Leoni al sole (1961), Parigi o cara (1962), Scusi, facciamo l’amore? (1968), Splendori e miserie di Madame Royale (1970) e Vieni, vieni, amore mio (1975). Torna poi definitivamente al teatro con ragazzi irresistibili di Neil Simon, Mercadet l’affarista di Balzac e La bottega del caffè di Goldoni. La sua ultima e importante interpretazione è la Trilogia del teatro nel teatro di Pirandello con la regia di Patroni Griffi.

Antoine

Considerato da tutti il padre della regia moderna, Antoine André nasce da una famiglia operaia, e si arrangia presto a fare qualsiasi lavoro, da impiegato presso la società del gas a commesso di libreria. Il magistero di questo regista, praticamente autodidatta – ha iniziato facendo l’attore in compagnie amatoriali – mai a senso unico e destinato a lasciare una traccia indelebile nella storia della scena mondiale, si rivela al Théâtre Libre (1887-1897) con la rappresentazione di quattro atti unici, il 30 marzo 1897 (Mademoiselle Pomme di Duranty, La cocarde di Vidal, Un préfet di Byl, Jacques Damour di Hennique); si rafforza al Théâtre Antoine (1897-1906) dove non si perita di confrontarsi con il teatro di boulevard e culmina all’Odéon dove, come direttore (1906-1914), mette in scena testi classici. È indubbio, tuttavia, che il suo periodo più fecondo sia quello legato al Théâtre Libre in cui getta le basi della rivoluzione naturalistica in palcoscenico. Il giovane ex impiegato del gas che debutta sulla scena del privatissimo Cercle Gaulois per sfuggire alle occhiute maglie della censura, infatti, è il primo non solo ad applicare in teatro quel bisogno di verità oggettiva che Emile Zola teorizzava per il romanzo e per la drammaturgia ne Il naturalismo a teatro, ma anche a teorizzare in un saggio rimasto famoso (Conversazione sulla regia , 1903) la ‘quarta parete’ che trasforma gli spettatori in voyeurs occhieggianti dal buco della serratura quanto avviene sulla scena. Il palcoscenico dunque è un luogo chiuso delimitato da tre pareti costituite dalle quinte e da una quarta parete immaginaria, `convenzionale’, che divide gli spettatori dagli attori costretti a recitare «come se non ci fosse il pubblico».

Antoine André rimane folgorato per la prima volta da questa rivelazione e dalla sua importanza, quando, a Bruxelles, nel 1888, si trova di fronte alla compagnia tedesca dei Meininger (la stessa destinata a lasciare un’impressione incancellabile in Stanislavskij) e al suo modo di recitare, magari girando le spalle agli spettatori e usando il palcoscenico in tutta la sua profondità. Da qui nasce per Antoine non solo l’esigenza di una scenografia che riproduca fedelmente la realtà, ma anche di una recitazione che richieda all’attore una completa immedesimazione nel personaggio da rappresentare. «Gli applausi del pubblico mi hanno risvegliato dalla trance nella quale ero caduto» scriverà nei suoi ricordi. Il nuovo teatro, destinato a fare piazza pulita dei testi di Sardou, di Dumas figlio e in generale della cosiddetta pièce bien fait trova alimento nelle riduzioni teatrali dei grandi romanzi naturalisti, in grandi autori come Ibsen e Strindberg, ma anche in drammaturghi mediocri come Jean Jullien e Ferdinand Icres. Dopo la fine dell’esperienza del Théâtre Libre è all’Odéon che A. lascia una traccia più forte, che nasce dalla sua saggezza di regista eclettico: perché misurandosi con i grandi classici come Molière, Corneille, Racine e, soprattutto, Shakespeare e con testi la cui struttura non può reggere la (quarta parete) e dunque la recitazione naturalistica, non vi resta ancorato. Il suo eclettismo, che va di pari passo con un’intelligente curiosità, è attestato anche dal suo lavoro di critico, oltre che dalla sua attività di regista cinematografico. Le storie del cinema, infatti, ricordano che è stato proprio lui a comprendere per primo l’esigenza di girare in esterni: un cinema realistico, in grado di cogliere anche nella verità dell’ambientazione, il senso della vita.

Bruce

Arruolatosi in marina a diciassette anni (l’esperienza durerà due anni), Lenny Bruce trovò la sua prima occasione all’Arthur Godfrey Talent Scouts Show, con uno sketch chiamato The Bavarian Mimic. Lavorò quindi in una quantità di club, concependo e rifinendo la cosiddetta sick comedy, uno stilema destinato a diventare il suo marchio di fabbrica. Agli inizi degli anni ’50 risalgono i suoi incontri con la spogliarellista Honey Harlow (che sposerà e da cui avrà una figlia) e con l’eroina: dalla prima divorzierà qualche anno dopo, mentre la seconda lo seguirà fino alla morte. Dal 1959 i suoi acidi e innovativi cabaret, recitati in caves sempre meno sordide e sempre più alla moda, cominciarono a ottenere risonanza nazionale, grazie anche ad una stampa compiacente e, più che altro, a caccia di ‘casi’. Dal 1963 iniziò a pubblicare su “Playboy” una serie di pezzi, più o meno autobiografici, che verranno poi raccolti nel volume Come parlare sporco e influenzare la gente, mentre ormai i suoi dischi parlati erano già un successo oltre i confini della West Coast americana. Ferocemente icastiche, destabilizzanti al punto di far diventare il loro autore un autentico simbolo della controcultura americana, le esibizioni di Bruce erano tarate su un allora inedito registro a metà tra il sarcasmo yiddish e la polemica rivolta alle sovrastrutture culturali imposte dall’establishment. Ciò gli costò, a partire dal 1961, una serie infinita di arresti – spesso durante gli spettacoli – e detenzioni che in parte fiaccarono l’impeto dirompente fino ad allora dimostrato. Responsabile di tutta una genìa di nuovi comici (anche i nostri P. Rossi e B. Grillo), Bruce morì in circostanze non ancora del tutto chiarite. Dieci anni dopo la sua scomparsa, Bob Fosse ha tratto un riuscitissimo film (Lenny) dalla sua biografia, interpretato da D. Hoffman.

De Filippo

Luigi De Filippo costituisce un po’ la quintessenza della tradizione attoriale napoletana, e già, s’intende, a partire dal versante familiare: i genitori – il grande Peppino De Filippo e Adele Carloni, anch’ella attrice e figlia di attori – si erano conosciuti sul palcoscenico, recitando nella compagnia di Vincenzo Scarpetta, fratello naturale dei tre De Filippo; e, come se non bastasse, uno dei quattro fratelli di Adele, Pietro, fu il marito di Titina De Filippo. De F. debutta in teatro al Quirino di Roma nel 1951, ovviamente nella compagnia del padre; e, da quel momento, Peppino gli affida ruoli via via più importanti. Divenuto condirettore della compagnia e principale collaboratore artistico del padre, è al suo fianco in tutte le applauditissime tournée all’estero, distinguendosi – da interprete ormai maturo e connotato da una singolare cifra espressiva, che mescola umorismo e amarezza – su palcoscenici prestigiosi, in Europa e Sudamerica. Nel 1978 lascia la compagnia del padre e imbocca una propria, autonoma strada, anche in veste di regista. Non meno significativa è l’attività di De F. come autore. Particolare successo hanno avuto le sue commedie Fatti nostri, Storia strana su di una terrazza romana, Come e perché crollò il Colosseo, La commedia del re buffone e del buffone re, e la più recente La fortuna di nascere a Napoli . Tema costante di questi copioni – a testimonianza di una scelta ideologica che discende essa stessa `per li rami’ – sono la famiglia e le sue contraddizioni, l’una e le altre assunte come specchio e paradigma della società contemporanea. Di particolare interesse anche la riscrittura in chiave metaforica di Il malato immaginario di Molière: l’azione risulta spostata a Napoli nel 1799, sicché – proclamata la Repubblica Partenopea, dopo che Ferdinando di Borbone e la regina Maria Carolina sono fuggiti in Sicilia – Argante diventa, quasi automaticamente, il classico conservatore piccolo-borghese indotto a barricarsi in casa dall’illusione di poter evitare, per l’appunto attraverso l’isolamento, il `contagio’ dei tempi nuovi e, soprattutto, dei nuovi diritti che essi hanno portato alle classi subalterne.

Tedeschi

Dopo una lunga serie di programmi televisivi alla Rai (Musica d’estate, 1984; Raffaella carrà Show, 1988) dove era entrato vincendo il concorso `Un volto per gli anni ’80’, e alla Fininvest (Doppio slalom, 1985-1990; Il gioco delle coppie , 1990), nel 1992 Corrado Tedeschi debutta ad AstiTeatro con La presa di Babilonia , testo di Oliviero Beha. Nel 1993 trova il successo anche al botteghino allestendo Tre papà per una bimba , trasposizione per il palcoscenico del film di successo Tre scapoli e un bebè . Con la coppia Tieri-Lojodice recita ne Il tacchino di Feydeau (1994).

Mariani

Gli inizi di Mario Mariani sono all’Accademia dei Filodrammatici, in seguito collabora con gli Stabili di Bolzano e Trieste e il Piccolo Teatro di Milano. Nel 1970 fonda il Gruppo della Rocca con F. Brogi, B. Marchese, G. Guazzotti e vi resta sempre legato. Interpreta, tra le sue numerose parti, Cleandro in Clizia di Machiavelli, per la regia di R. Guicciardini (1970) e Bottom in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, diretto da E. Marcucci (1972). È Prometeo in Josef K. fu Prometeo scritto e diretto da G. De Monticelli (1983) e Debuisson in Missione di H. Müller (1985). Diventa Casanova in Casanova al Castello Dux di K. Gassauer diretto da D. Desiata (1986). I suoi ultimi spettacoli sono con il Gruppo della Rocca: Turandot-Farsa degli imbianchini a congresso di Brecht (1991), Molière, divertissement a Versailles (1992) e l’ultimo Lezioni di cucina di un frequentatore di cessi pubblici di Rocco D’Onghia.

Brinner

Yul Brinner è stato l’ultima star di Hollywood con biografia basata sul mistero. Era uno zingaro? Forse, o forse no. Aveva sangue giapponese? Come mai le sue prime tracce si trovano a Parigi? È stato davvero trapezista al Cirque d’Hiver, sempre a Parigi? È stato davvero macchinista e comparsa nella compagnia dei Pitöeff, sempre a Parigi? Si è davvero laureato alla Sorbonne? Invece, provato da qualche foto, in età giovanile cantava in un cabaret tzigano accompagnandosi con la chitarra o la balalaika. Certamente nel 1940 fu portato in Usa da Michael Chechov. Certamente Brinner, che era almeno trilingue, fu reclutato dall’Ufficio di propaganda bellica americano per lavorare alla radio, in francese, nel 1942. Dopo qualche particina nella compagnia shakespeariana del suo mentore Michael Chechov, Brinner debutta a Broadway in un musical, Lute Song, accanto a Mary Martin il 6 febbraio 1946, per centoquarantadue repliche e dopo un giro in provincia; il giro riprenderà in altre città degli Usa fino all’estate del ’47 e poi verrà ripresa da Brinner a Londra. Nel 1951, con la testa rasata e altre fantasiose aggiunte alla sua biografia ottiene il ruolo del Re del Siam in The King and I che va in scena il 29 marzo a Broadway: milleduecentoquarantasei repliche al primo round. Quando Brinner lo interpreterà per l’ultima volta, poco prima della sua morte, l’avrà fatto per un totale di quattromilaseicentoventicinque rappresentazioni, più un film, per il quale sarà premiato con l’Oscar, e che sarà a sua volta un grande successo nel 1956; la sua partner in teatro fu la grande Gertrude Lawrence, in cinema Deborah Kerr, parzialmente doppiata per il canto da Marni Nixon. La carriera cinematografica di Brinner comprende più di trenta film con alcuni straordinari successi fra il ’56 e il ’76. A parte le varie riprese di The King and I, a Broadway tornerà una sola volta e per in occasione, il 4 gennaio 1976, giorno della prima e unica rappresentazione a New York, dopo un giro in provincia durato dieci mesi, di Home Sweet Homer, infelice titolo con infelice gioco di parole per un musical tratto dall’ Odissea, con Brinner nel ruolo di Ulisse.

Cecchelin

Vero attore satirico, Angelo Cecchelin interpretò e portò sulle scene la più genuina anima `batocia’ della sua Trieste. Negli anni ’20 diede vita ad una compagnia, La ganga de le macie, poi diventata La Triestinissima con la quale si esibì fino al 1939 avendo accanto Jole Silvani, uno dei più bei nomi del teatro leggero dell’epoca. Recitò soprattutto nei teatri Filodrammatico e Regina della sua città. Nel 1945 fece una lunga tournée in Italia con la fortunata rivista Trieste mia . Attraverso una serie di lavori sovente scritti in collaborazione (L’avvocato, Nino verzibotega, La festa di siora Aneta, ecc.), diede vita con la sua voce chioccia e una mimica inconfondibile ad una piccola folla di personaggi, vere macchiette (famosa quella del `mulo Carleto’) desunte in particolare dalla illegalità (piccoli truffatori, assidui frequentatori delle camere di sicurezza, balordi). Per la sua comicità caustica e pronta a sbeffeggiare ogni regime conobbe sotto il Ventennio anche il carcere. Pure nel dopoguerra però andò incontro ad amare vicissitudini al punto che gli venne impedito di calcare i palcoscenici triestini e fu costretto a rifugiarsi a Torino.

Tofano

Sergio Tofano nasce da una famiglia di magistrati (lui stesso si laurea in legge), ma intanto segue i corsi di recitazione di Virginia Marini e di Edoardo Boutet. Il suo debutto avviene nel 1909 nella compagnia del grande Ermete Novelli, per poi continuare, salendo tutti i gradini da ‘secondo brillante’ a `brillante’ prima accanto a Dondini e poi con Virgilio Talli con il quale rimane per ben dieci anni dal 1913 al 1924, quando viene scritturato nella maggiore compagnia italiana di allora, quella diretta da Dario Niccodemi dove recita accanto ad attori come Vera Vergani, Luigi Cimara, Luigi Almirante (La volpe azzurra di Herczeg e il personaggio di Knock o il trionfo della medicina di Jules Romains, 1925, reso celebre in Francia da Jouvet).

Nel 1928 finalmente è capocomico accanto a Luigi Almirante e Giuditta Rissone, mentre fra il 1929 e il 1931 con Elsa Merlini e Luigi Cimara interpreta, fra l’altro, La dama bianca di Aldo De Benedetti, Gran Mondo di W.Somerset Maugham, Pensaci , Giacomino ! di Pirandello. Attore dotato di un notevole stile, grande illustratore – è il `papà’, con il nome di Sto, del personaggio di Bonaventura che per anni allieterà i lettori del “Corriere dei piccoli” e che diventerà anche personaggio teatrale, – unisce ironia e drammaticità, satira e ottimismo. Proprio per questo può cumulare una partecipazione intensissima al cinema dei `telefoni bianchi’ allora in voga accanto a coraggiose esperienze d’avanguardia in teatro (Una bella avventura, Androclo e il leone di Shaw, Gli occhi azzurri dell’imperatore, ecc).

Accanto a Gino Cervi e a Evi Maltagliati fra il 1937 e il 1939 interpreta Esami di maturità di Fodor e Intermezzo di Noel Coward. Reciterà anche accanto a Vittorio De Sica e a Giuditta Rissone ( Il paese delle vacanze di Ugo Betti, 1940) e con Diana Torrieri. Il dopoguerra lo vede partecipare all’esperimento del Teatro Quirino di Roma dove, sotto la direzione di Costa, interpreta fra l’altro Il giardino dei ciliegi e Sei personaggi in cerca d’autore . Ritorna a fare compagnia con Laura Adani e Luigi Cimara all’interno di quel teatro leggero in cui eccelle (Occupati d’Amelia di Feydeau, Nina di Roussin). Il che non gli impedisce di partecipare, fra il 1949 e il 1952, all’esperienza del Piccolo Teatro dove, diretto da Strehler, recita accanto a Lilla Brignone e Gianni Santuccio in La parigina di Henri Becque, La morte di Danton di Büchner, Casa di bambola di Ibsen.

Nomade di natura, eccolo accanto ad Andreina Pagnani in Chéri di Colette (1951). Importante anche la sua collaborazione con il Teatro dei Satiri di Roma dove, diretto da Luciano Lucignani fra il 1952 e il 1953 interpreta, fra l’altro, il ruolo del cappellano in Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht ed è Arpagone nell’ Avaro di Molière con la regia di Fersen. Con Strehler tornerà a recitare nel 1954 nella Trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni. Da questo momento le sue apparizioni in palcoscenico si fanno più rade, ma parteciperà all’avventura di Romagnola di Luigi Squarzina nel 1959 e a La resistibile ascesa di Arturo Ui al Teatro Stabile di Torino con la regia di Gianfranco De Bosio (1961). Poi per questo grande attore eclettico, maestro di stile, ci sarà l’esperienza dell’insegnamento all’Accademia d’arte drammatica inframezzata da partecipazioni alla neonata televisione che lo avrà sovente protagonista dei suoi migliori programmi di prosa.

Valdemarin

Della carriera di Mario Valdemarin si ricordano in particolare le interpretazioni in alcuni storici spettacoli goldoniani di Giorgio Strehler: Le baruffe chiozzotte e Arlecchino servitore di due padroni (nell’edizione d’addio) e, sempre al Piccolo, Come tu mi vuoi di Pirandello (1988). Interprete di spessore, è spesso impegnato nell’allestimento di testi classici della storia del teatro: Lisistrata di Aristofane; Spettri di Ibsen; Morte di un commesso viaggiatore di Miller; La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio, diretta da Cobelli; Racconto d’inverno di Shakespeare (Teatro stabile di Palermo, regia di P. Carriglio); La mandragola di Machiavelli. Ma ha anche interpretato testi moderni, fra gli altri Veglia la mia casa, angelo da T. Wolfe (regia di Visconti) e Un amore a Roma di E. Patti (regia di L. Lucignani).

Cornacchione

Antonio Cornacchione è una delle rivelazioni più interessanti di Su la testa (Raitre 1991), la fortunata trasmissione televisiva, trampolino di lancio per tanti comici dell’area milanese e non. La sua timidezza e la difficoltà di comunicare, ovviamente apparenti, sono le armi preferite della sua comicità. Lo ricordiamo in Il circo di Paolo Rossi nell’interpretazione di Rodolfo Valentino, una copia di un mito ironicamente dissacrante.

Pani

Corrado Pani debutta ai microfoni di Radio Vaticana interpretando il ruolo di Gesù bambino. Esordisce nel cinema, nel 1953, in una parte secondaria di Viale della speranza di D. Risi. Deve a L. Squarzina il primo ruolo teatrale di rilievo, in Thè e simpatia di M. Anderson (1955) con Villi, Tieri e Garrani È del 1958 un incontro fondamentale con L. Visconti che lo vorrà in teatro nella parte di Rodolfo in Uno sguardo dal ponte di A. Miller e, nello stesso anno, in Veglia la mia casa, Angelo di K. Frings dal romanzo di T. Wolfe; e successivamente nel cinema con una parte in Rocco e i suoi fratelli (1960) . Nel 1963 un ancora poco noto Ronconi lo dirige ne La buona moglie di Goldoni, con altri giovani: la Occhini, la Gravina e Volonté. Con Le baruffe chiozzotte di Goldoni (1964-1965) prima e Il gioco dei potenti da Shakespeare (1964-1965) dopo, sarà un attore di Strehler. Contemporaneamente prende parte a vari e fortunatissimi sceneggiati televisivi (“L’isola del tesoro”, “Il caso Maurizius”, “Il mulino del Po”, “Ore disperate”, “Vita col padre”). Ottiene un grande successo nella parte di amante indigeno nel filmetto Bora Bora (1965) che gli permette però di tornare al teatro, con una più larga notorietà: dal 1966 al 1974 lavora allo Stabile di Torino, interpretando, tra l’altro, Come vi piace e Il mercante di Venezia di Shakespeare, Il gabbiano di Cechov e Peer Gynt di Ibsen, per la regia di A.Trionfo, con cui aveva preso parte anche a Puntila e il suo servo Matti di Brecht, a Genova, nel 1970. Negli anni successivi seguono Venezia salvata o la congiura tradita di T. Otway con la regia di G. De Bosio (Venezia 1982) , Il Vangelo secondo Borges regia di F. Enriquez e Giulio Cesare di Shakespeare diretto da Zanussi. Poi è accanto a Ottavia Piccolo ne L’avventuriero e la cantante di Hofmannsthal. Ultimamente ha interpretato Chi ha paura di Virginia Wolf ? di Albee, con Marina Malfatti; al Teatro Argentina di Roma, Re Lear (1995) di Shakespeare dove si distingueva per la sua interpretazione del Matto; e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1996) dal romanzo di C. E. Gadda e I fratelli Karamazov , con la regia di Ronconi.

Solenghi

Tullio Solenghi frequenta la scuola del Teatro Stabile di Genova e, nel 1982, fonda con Anna Marchesini e Massimo Lopez il Trio, che diventa uno dei fenomeni di spettacolo più importanti della scena italiana. Sciolto il Trio nel 1991, continua la sua attività come attore. Il suo debutto in tv risale al 1977 in “Luna Park”, su Rai uno in seguito il suo percorso, intrecciato per la maggior parte con quello del Trio tra televisione e teatro lo vede come attore protagonista, nel 1997 in Frankestein , un musical di cui Solenghi è co-autore insieme a M. Presta e A. Dose. Nel 1995 è la voce di `Scarr’ nel Re Leone della Disney. Nel 1996 lo vediamo al cinema nel film di L. Wertmüller Metalmeccanico e parrucchiera in un’orgia di sesso e politica.

Carpentieri

Renato Carpentieri studia architettura a Napoli, dove dal 1965 al 1974 svolge attività di organizzazione e promozione culturale, teatrale e cinematografica (con il gruppo Nuova Cultura e di ricerca sull’espressione artistica popolare. Si occupa di teatro dal 1975, anno in cui è socio fondatore, insieme con R. Ferrante, M. Lanzetta, L. Serao, O. Costa del Teatro dei Mutamenti di Napoli, di cui fa parte fino al 1980. Qui debutta come attore nel 1976 in Serata futurista , regia R. Ferrante, al quale segue nel 1977 BerlinDada , regia A. Neiwiller. Nello stesso anna firma le regie di Maestri cercando: Elio Vittorini da Vittorini e Lieto fine da Brecht (compagnia Ipocriti). Seguono gli allestimenti e le drammaturgie di Il nipote di Rameau da Diderot (1978), Kabarett di K. Valentin (1979), Le petit abbé napolitain, ovvero Storie di Ferdinando Galiani (Biennale Venezia 1981), Negli spazi oltre la luna – stramberie di Gustavo Modena (di R. Carpentieri e C. Meldolesi, 1983) e Teatrino Scientifico , Resurrezione da Zhuang Zi e Lu Hsün (1989), nel 1990 di La nave nel deserto (di R. Carpentieri e G. Longone) e L’acquisto dell’ottone da Brecht. Dal 1995 è direttore artistico dello storico gruppo di ricerca napoletano Libera Scena Ensemble. Regista promotore di un teatro `popolare-filosofico’ attento a conenuti alti (Diderot ad esempio) ma fruibile da un pubblico vasto ed eterogeneo, dà vita con il gruppo a numerosi progetti laboratoriali, rappresentati nelle strade e mercati di Napoli come sulle falde del Vesuvio. Come Il giardino del teatro e lo spettacolo-evento La nascita del teatro (1996-97) in cui cinquanta attori raccontano, quasi sempre in napoletano, la nascita `divina’ del teatro secondo un antico testo indù. Allestisce inoltre Sale di Museo (di R. Carpentieri, L. Serao, O. Costa, E. Salomone, G. Longone, rappresentato in gallerie d’arte, 1996-98), Jacques e il suo padrone di M. Kundera (1996), Medea di C. Wolf. Attore poliedrico, di sempre intensa espressività, C. ha recitato tra l’altro per R. Bacci in Zeitnot (1984) e La grande sera (1985), per G. Salvatores in Comedians (1986), in Morte accidentale di un anarchico di e con D. Fo (1987), in Riccardo II di Shakespeare con la regia di M. Martone (1993), Histoire du soldat (regia di M. Martone, G. Barberio Corsetti, G. Dall’Aglio); è Polonio per C. Cecchi in Amleto di Shakespeare (1998). Numerose le partecipazioni e i successi cinematografici: Porte aperte (1990, Premio Sacher come migliore attore non protagonista) e Ladro di bambini di G. Amelio, Puerto Escondido di G. Salvatores , Fiorile di P. e V. Taviani, Ottantametriquadri di I. Agosta, Caro diario di N. Moretti, Il giudice ragazzino di A. di Robilant, Nemici d’infanzia di L. Magni, Il verificatore di S. Incerti, La casa bruciata di M. Spano.

Tieri

Figlio del commediografo Vincenzo, Aroldo Tieri si è diplomato ventenne all’Accademia nazionale d’arte drammatica `S. D’Amico’, esordendo l’anno seguente in campo professionistico (Malatestino nella dannunziana Francesca da Rimini). Entrato a far parte della compagnia dell’Eliseo (Shakespeare, Puget, Testoni, Lodovici), nell’immediato dopoguerra legò il suo nome a testi di Pirandello, Salacrou, Vanderberghe, ma anche di autori meno impegnativi (Rattigan, Barry, Deval, Zorzi), non disdegnando il teatro di rivista a fianco di A. Magnani, W. Chiari, Totò. Nel 1952 formò compagnia con O. Villi e C. Ninchi (Betti, Anderson, Roussin, De Musset).

Nel decennio 1955-1965 ha lavorato soprattutto per il cinema, interpretando più di cento film, prevalentemente comici, con registi come Mattoli, Gallone, Brignone, Zampa, Chiarini, Soldati, Germi. Nel contempo, ha partecipato in tv a La foresta pietrificata di Sherwood, Nicola Nickleby di Dickens, Il potere e la gloria di Greene, improvvisandosi presentatore a Canzonissima ’60 . Voltate le spalle al cinema alla soglia dei cinquant’anni, ha formato compagnia (1965) con Giuliana Lojodice, più tardi sua moglie, affrontando Shakespeare, Pirandello, Albee, De Hartog, Shaw. Ha avuto per modello R. Ruggeri di cui, giovanissimo, aveva declinato la scrittura per non farsi schiacciare da una personalità tanto prepotente.

Dell’esasperata ricerca di un utopico `meglio’ che lo spinge all’incessante studio del personaggio di turno può essere esempio l’interpretazione di Un marito di Svevo (regia di De Bosio) in cui ha risvoltato in un dolente e stupito grottesco il suo stesso pessimismo esistenziale, meritandosi il premio Curcio 1984. L’anno seguente s’è deciso a impersonare Il misantropo di Molière (regia di Squarzina) che, tra dubbi e ripensamenti, lo intrigava da un quinquennio. Un altro notevole traguardo interpretativo è legato a Esuli di Joyce (1986) in cui ha espresso lo spasimo del dubbio che attanaglia il geloso Richard, trasparente ritratto dello stesso autore.

A simbolica serata d’onore per i suoi cinquant’anni di palcoscenico può essere eletta la rabbrividente trasfigurazione del Signore in grigio in Marionette! che passione! di Rosso di San Secondo con la regia di Sepe, che l’ha poi diretto in Le bugie con le gambe lunghe di Eduardo (1990) e in Care conoscenze e cattive memorie di Horowitz (1993).

Ruggeri

Figlio di un professore di lettere, Ruggero Ruggeri debuttò a diciassette anni nella compagnia Benincasa in Agnese di F. Cavallotti, per poi formarsi con A. Tessero, E. Novelli, C. Leigheb. Nel 1900 divenne primattore della Talli – I. Gramatica-Calabresi, con cui affrontò testi di Giacosa, Ferrari, Bracco, Rovetta, Sudermann, ma soprattutto s’impose come il primo Aligi nella Figlia di Jorio , rivelandosi attore dannunziano per eccellenza. La musicalità e l’incanto crepuscolare della sua voce, il portamento signorile, l’ombra di disdegno che traspariva da gesti controllati o da un semplice corrugar di ciglia concorsero a farne il modello estetico di un’intera generazione, come confermò nel dannunziano Più che l’amore e nei vari Bernstein, Bataille, De Curel, affrontati con E. Gramatica, e nei Wilde, Sardou, Brison, Guitry proposti avendo accanto L. Borelli (1910) e poi E. Paoli, T. Teldi, V. Vergani, A. Borelli con le quali passò da Shakespeare (Amleto e Macbeth ) a Bracco, da Lavedan a Forzano.

La problematica pirandelliana lo impegnò per tutta la rigogliosa maturità da Il giuoco delle parti (1918) a Non si sa come (1935), passando per Tutto per bene , Il piacere dell’onestà , Sei personaggi in cerca d’autore . Tra le due guerre ebbe come primattrici P. Borboni, A. Pagnani, M. Bagni, L. Carli, I. Gramatica, allargando il suo repertorio a Giraudoux, Nozière, Andreev e concedendo largo spazio alla drammaturgia italiana contemporanea (C.G. Villa, E. Possenti, G. Gherardi, V. Tieri) cui rimase fedele anche nel secondo dopoguerra, quando riprese molti dei precedenti successi dando credito anche a Betti e a Giannini. Straziante Martino Lori e loico Baldovino nei pirandelliani Tutto per bene e Il piacere dell’onestà – suoi antichi cavalli di battaglia cui aggiunse l’ Enrico IV – ebbe per ultima primadonna G. Paolieri, insistendo su autori e testi complessivamente inferiori rispetto alle sue eccezionali possibilità interpretative. Prima di uscire dalla scena e dalla vita ebbe la consolazione di una trionfale tournée a Parigi e a Londra. Da grande attore del teatro italiano all’antica, guardò con sospetto al teatro italiano di regia, cosa che non gli impedì di lavorare, ormai settantenne con gli allora giovanissimi Strehler, Pandolfi, Jacobbi, Brissoni e, ormai quasi ottuagenario, con Visconti, nell’alfieriano Oreste (1949). Con il cinema, muto e parlato, ebbe saltuari e insoddisfacenti rapporti.

Falconi

Armando Falconi cominciò la carriera di attore dopo essere stato impiegato e ufficiale. Si affermò nella compagnia Andò-Leigheb, per poi passare nella Andò-Di Lorenzo dove, tra il 1897 e il ’99, ricoprì il ruolo di primattore. Con Tina Di Lorenzo, che divenne sua moglie, recitò fino al ritiro dalle scene dell’attrice, nel 1920. In quell’anno assunse la direzione, assieme a L. Chiarelli, della compagnia Comoedia diventata l’anno successivo una seguitissima compagnia di successo diviso con la prima attrice P. Borboni fino al 1930. In seguito guidò altre compagnie e divise il palcoscenico con (tra gli altri) D. Menichelli-Migliari, S. Ferrati, E. Maltagliati. Fu attore di estro geniale, brillante, e seppe esaltare con eleganza la comicità dei suoi personaggi, senza mai andare sopra le righe, attento ai caratteri e al trucco. Vanno ricordate le sue interpretazioni nel Re burlone di Rovetta, Addio giovinezza! di Camasio e Oxilia, Le allegre comari di Windsor di Shakespeare, Don Pietro Caruso di Bracco, La moglie ideale di Praga, Il centenario dei fratelli Àlvarez Quintero e Joe il rosso , scritto dal figlio Dino. Con S. Zambaldi scrisse La canzone di Rolando, commedia che andò in scena nel 1918. Al cinema si affermò con Rubacuori (1931).

Connelly

A Marc Connelly si devono soprattutto due testi, Il povero a cavallo (Beggar on Horseback, 1924, con G.S. Kaufman) e Verdi pascoli (Green Pastures, 1930). Il primo, valendosi di tecniche mutuate dal teatro espressionista ma voltate in commedia, mostrava un artista alle prese con il mondo commercializzato che tentava di assorbirlo; il secondo raccontava nei termini del folclore religioso nero le vicende del Vecchio Testamento, con un anziano pastore di colore nella parte di Dio (e di colore erano anche, per la prima volta in una commedia di Broadway, tutti gli interpreti, che contribuirono al grande e inatteso successo: 640 repliche e il premio Pulitzer).

Wegener

Paul Wegener studia diritto a Lipsia, dove si forma anche come attore. Dopo il debutto a Rostock (1895), nel 1906 è scritturato da Max Reinhardt al Deutsches Theater di Berlino; fra le sue interpretazioni più celebri, Mercuzio in Romeo e Giulietta di Shakespeare (1907) e Mefistofele nel Faust di Goethe (1909). Dal 1937 al ’41 recita allo Schiller Theater di Berlino con Heinrich George e, dopo il 1942, con Gustaf Gründgens al Teatro nazionale; lavora anche con Piscator e Fehling. Sceneggiatore e regista cinematografico, collabora a opere di ispirazione nazista, pur non impegnandosi in prima persona nella politica culturale del regime hitleriano. Attore di forte temperamento tragico, coltivò – come scrive Herbert Ihering – «una concezione totalizzante dell’arte e intese il teatro sempre in rapporto diretto con le altre forme espressive».

Fiorini

Lando Fiorini sale alla ribalta nel 1959 partecipando al concorso nazionale Voci Nuove di Jesi, classificandosi tra i primi tre. Nel 1961 si afferma al Cantagiro. La grande occasione giunge lo stesso anno con la partecipazione al Rugantino di Garinei e Giovannini, spettacolo che resterà in cartellone per lungo tempo e sarà portato in tourneé all’estero. Nel 1966 partecipa a Canzonissima. Approda al cabaret quasi per caso; viene infatti chiamato al Bagaglino di Roma per sostituire Gabriella Ferri in uno spettacolo. L’esperienza lo entusiasma e così decide di aprire un proprio locale: nel 1968, dopo mesi di duro lavoro, aiutato anche dagli amici artisti, nasce il Puff. Da allora il locale è un punto di riferimento del cabaret romano, del quale F. è il principale animatore; è stato trampolino di lancio per molti attori oggi affermati (tra cui Enrico Montesano, Leo Gullotta, Lino Banfi, Gianfranco D’Angelo). Negli anni ’70 lavora anche in tv: Ciao, torno subito (1972), Macario più (1978). Nel 1979 conduce la trasmissione radiofonica Roma uguale amore , nella quale canta e recita. È di nuovo in tv nel 1990 con Riso alla romana e nel 1991 con uno special di sei puntate sulla storia del Puff : Puffando puffando .

Rooney

Ragazzino prodigio Mickey Rooney si mette in luce in una serie di cortometraggi (1927-1934) ispirati a Mickey McGuire, amato personaggio dei fumetti popolari, e nel ruolo di Puck nel Sogno di una notte di mezza estate (1935). Alla Metro Goldwin Mayer, dove è la più giovane star maschile, viene messo in coppia con Judy Garland. Insieme realizzano una serie di `barnyard musicals’, di cui fa parte la trilogia diretta da Busby Berkeley comprendente Ragazzi attori (1939), Musica indiavolata (1940) e I ragazzi di Broadway (1941), pellicole che portano al successo canzoni come “Good Morning” di Rodgers e Hart e “Our Love Affaire” di Gershwin. Nel 1937 inaugura da protagonista la serie di Andy Hardy che trova conclusione, dopo altre tredici pellicole, nel 1947. In alcune di queste, come L’amore trova Andy Hardy (1938) e Andy Hardy incontra la debuttante (1939), ha modo di prodursi ancora in pregevoli numeri musicali.

Dotato di contagiosa simpatia comunicativa e di prorompente energia fisica, riesce a risolvere a proprio vantaggio l’handicap cinematografico della bassa statura usandola in chiave di caratterizzazione espressiva, sia nelle situazioni drammatiche di La città dei ragazzi (1937) e Faccia d’angelo (1957) sia in quelle avventurose di Capitani coraggiosi (1935) e Gran premio (1944). Negli anni ’40 è chiamato a interpretare sullo schermo le biografie dell’inventore Edison in Tom Edison giovane (1940) e dell’autore di testi per canzoni Larry Hart in Parole e musica (1948). Tra i tanti lavori per la televisione rimane memorabile la sua versione musicale di Pinocchio (1957). Quando il musical cinematografico imbocca la parabola discendente accetta di lavorare anche in produzioni minori come Voli, amore e paracadutismo (1965), pressato dai debiti per gli alimenti alle ex mogli. Colleziona infatti ben otto matrimoni, sempre con donne bellissime (la prima moglie è Ava Gardner, la terza Martha Vickers). Il debutto davanti a un vero pubblico arriva solo nel 1979, a Broadway, al fianco di Ann Miller nello spettacolo Sugar Babies , con esito trionfale. Nel corso della sua lunga carriera incide centinaia di canzoni, non solo tratte da colonne sonore. Nel 1965 viene edito il volume I.E. , la sua autobiografia scritta con l’apporto di Roger Kahn.

Scaccia

Mario Scaccia fece parte delle più importanti compagnie prima e dopo la seconda guerra mondiale, da quella di A.G. Bragaglia con V. Gassman alla Gioi-Cimara. Nel 1961, con Mauri, Moriconi ed Enriquez costituì la Compagnia dei Quattro. Seguirono poi, come `battitore libero’, grandi e difficili personaggi del teatro classico (tra i quali vanno annoverati il Fra’ Timoteo della Mandragola di Machiavelli e il Negromante dell’Ariosto) e del teatro moderno. Di Shakespeare interpretò Shylock in Il mercante di Venezia , Misura per misura (1966 e 1976), Coriolano (1969) e Sogno di una notte di mezza estate (1982); di Beckett, Aspettando Godot ; di Ionesco, Le sedie, Delirio a due, La lezione, ma affrontò anche O’Neill, Stoppard e, diretto da L. Ronconi, Il candelaio di G. Bruno.

Gli anni ’90 lo vedono protagonista in Ecco Nerone di C. Terron (dramma scritto appositamente per lui) e in Ubu re di Jarry diretto da A. Pugliese. Dopo Galantuomo per transazione di G. Giraud (già affrontato nel 1949 e nel 1982) e Magic di Chesterton (di cui è anche regista), si cala nel duplice ruolo di Tiresia-Creonte in Edipo Re di Sofocle (regia di M. M. Giorgetti) e affronta Rock Aulularia per l’estate al Vittoriale di Gardone. Il 1996 segna il `debutto’ al Festival di Spoleto, dopo cinquant’anni di carriera, con Romolo il grande di Dürrenmatt. Nella stagione 1997-98 interpreta Inquisizione di D. Fabbri (con la regia del figlio Nanni) in cui viene lodata l’intelligenza recitativa dell’attore, la sua «penetrante e scarna bravura».

Boso

Vissuto a lungo a Parigi (dove ha contribuito al Centro internazionale d’arte drammatica), dal 1965 Carlo Boso si è dedicato quasi esclusivamente alla Commedia dell’Arte. Ha tenuto corsi di studio in Spagna, Inghilterra e Scozia, Francia, Germania, Canada. Nel 1983 anima la Biennale con uno straordinario spettacolo di undici maschere che recitano tre canovacci. Lavora quindi con gli attori del Laboratorio Teatro Settimo, nei pressi di Torino.

Però

Diplomato all’Istituto d’arte drammatica di Trieste nel 1974 e laureato in lettere moderne all’Università degli studi di Trieste nel 1975, Franco Però ha lavorato come attore e aiuto-regista con A. Trionfo, F. Enriquez, G. Wilson e G. Lavia (del quale è stato assistente dal 1980 al 1983). Tra le sue principali regie di prosa: American Buffalo di D. Mamet (1984), Vero West di S. Shepard (1984-85), Piccoli equivoci di C. Bigagli (1986), Singoli di E. Siciliano e Purché tutto resti in famiglia di A. Ayckbourn (1989), I serpenti della pioggia di P.O. Enquist (1989-90), Spirito allegro di N. Coward e Un saluto, un addio di A. Fugard (1990), Senza voce tra le voci racchiuse con me, collage di testi beckettiani (1990-91, affrontati anche nel 1995, Da un’opera abbandonata e nel 1947, Niente è più buffo dell’immortalità ), Partage de midi di P. Claudel (1991-92), Chi ha paura di Virginia Woolf? di E. Albee (1992), La madre confidente (1995) e La disputa di Marivaux (1997), Winckelmann , di cui è anche l’autore e L’agnello del povero di S. Zweig (1997), Lo straniero di A. Camus riduzione di J. Azenkott (1999). Ha curato anche la regia di opere liriche (La Bohème di Puccini, 1989-90; Il corsaro di Verdi, 1998), mises en espace e letture.

Tognazzi

Operaio a quattordici anni in una fabbrica di salumi (da allora è segnato il suo destino di gourmet), poi volenteroso allievo di una filodrammatica, indi intrattenitore e imitatore molto richiesto dagli amici per le serata allegre di provincia, Ugo Tognazzi fu scoperto in una selezione di dilettanti al Teatro Puccini di Milano, la capitale della rivista più prossima alla `sua’ Cremona. Prima del debutto intervenne però la guerra: il giovane si arruolò in Marina e fece parte di una compagnia delle Forze Armate con la quale compì la sua prima tournée. Quello che sarebbe diventato uno dei ‘colonnelli’ della commedia all’italiana, l’unico venuto dal Nord, e l’attore preferito di Ferreri, si esercitò con l’avanspettacolo e la rivista, instaurando un rapporto subito felice con il pubblico, trattato da amico. Anche per il suo nuovo modo di fare ridere non legato a una precisa maschera, vestito all’uomo borghese qualunque, senza eccessi né smorfie, anzi con una sorta di understatement nostrano e spiritoso: con lui e Chiari si volta pagina.

Negli anni 1944-1945 Tognazzi è al nastro di partenza all’Ambrosiano di Milano, sopra la linea gotica, con Spettacolissimo, seguito da Si chiude (quasi) all’alba , accanto a Dapporto, la Paolieri e l’orchestra Kramer. E nello stesso anno appare in locandina, come star dell’imitazione, in Viva le donne (come il film di Berkeley) di Marchesi, al Mediolanum, mentre la stagione seguente lo troviamo sempre a Milano in Polvere negli occhi e a Napoli in Polvere di Broadway , dove incontra Elena Giusti, che diventerà poi la sua soubrette per alcune fortunate stagioni: lui il compagnone un po’ provinciale, lei la vedette elegantissima. Bocca baciata nel 1946-47 lo vede in scena ancora al Mediolanum, con musiche di D’Anzi, poi passa con Macario in Cento di queste donne , di cui tre sono le scatenate, romanissime, sorelle Nava alle prese con i due comici `nordisti’.

Nel 1948-49 Tognazzi riprende con Macario Febbre azzurra, indi Paradiso per tutti e, nel 1949-50, Castellinaria di Amendola, Gelich e Maccari, in cui T. è un nipote che eredita i milioni dello zio d’America ma, per averli, dovrà fare il mendicante per un anno: un classico. Il grande spettacolo col nome al neon del Lirico, è, nel 1950-51, Quel treno che si chiama desiderio di Bracchi, Gelich e D’Anzi, intrigo per ridere con casinò e spionaggio, ispirato nel titolo, come si usava allora, al film di successo con Brando e Vivien Leigh, accanto a quattro soubrette: De Mola, Sandri, Gilda Marino e Vera Rol. La stagione seguente Tognazzi inizia, con Dove vai se il cavallo non ce l’hai , un triplice sodalizio destinato a durare con Elena Giusti, Vianello e con la coppia d’autori Scarnicci e Tarabusi, che tornano complici nel 1952-53 con la rivista Ciao, fantasma (un fantasma dell’opera alle prese col mondo contemporaneo) e nel 1953-54 in Barbanera bel tempo si spera , parodia delle profezie per l’anno in corso. Intanto Tognazzi ci prova anche con la prosa e d’estate al Manzoni di Milano, per i mariti rimasti in città (come dicevano le locandine di allora), recita una farsa quasi dialettale Il medico delle donne di Bracchi, con grandissimo successo.

Nel 1954-55 l’attore cambia compagnia femminile, sceglie la seducente Dorian Gray, dal nome maschile e wildiano, e si presenta nel più ambizioso Passo doppio, curioso show in due tempi: il primo è la storia di una diva del cinema, il secondo è di tipo cabaret con satira tv (nel cast sempre Vianello, sempre più `spalla’). L’anno dopo ancora una rivista, Campione senza volere , in cui uno scienziato diventa campione del ring, vicino a Jula De Palma. Infine l’addio alla passerella con uno spettacolo che già sta a mezza strada con la commedia musicale, protagonisti un vecchio lord, le assicurazioni e una ballerina, Uno scandalo per Lili, di Scarnicci e Tarabusi e le musiche di Luttazzi. Recita in stile pochade, con la Masiero e alcuni attori di prosa come Scaccia, Tedeschi, Maria Monti e Anna Maestri.

Da allora in poi Tognazzi si dedicherà soprattutto al cinema, frequentato prima nella ‘serie B’ e nel film parodia, diventando poi la star della commedia, da Salce a Monicelli, Ferreri e altri maestri. Ma l’amore per il teatro gli è rimasto dentro fino all’ultimo: ci è tornato infatti recitando in francese, alla Comédie di Parigi, il ruolo del padre nei Sei personaggi pirandelliani; indi, in Italia, con Molière l’ Avaro di Missiroli (1988) e Mr. Butterfly (1989), in finale di carriera.

Luttazzi

Mentre studia giurisprudenza all’università della città natale, Lelio Luttazzi comincia a comporre canzoni, partecipa a spettacoli studenteschi e suona il pianoforte per Radio Trieste. Dopo la fine della guerra 1940-45 si trasferisce a Milano, dove collabora col cantante Teddy Reno per la sua produzione discografica. Appassionato di jazz, assimila la lezione americana infondendovi lo spirito italiano nella composizione di canzoni. Le principali sono: “Muleta mia” (per Teddy Reno), “Il giovanotto matto” (per Ernesto Bonino), “Quando una ragazza a New Orleans” (per Jula De Palma), “Una zebra a pois” (per Mina), e poi “Calypso Goal”, “Cogoleta”, “Michèlle”, “Sabrina”, “Lullaby”, “Promesse di marinaio”, “Troppo tardi”, “Il male oscuro”, “Legata ad uno scoglio”, “Il favoloso Gershwin” e altre. Cura intanto per la radio alcuni programmi musicali come “Hit Parade” e “Motivo in maschera”; partecipa, in diversi ruoli, a trasmissioni televisive di musica e varietà come “Ieri e oggi”, “Studio Uno”, “Questo nostro cinema”, “Sentimentale”, “Il paroliere”, “Musica insieme”, “Teatro Dieci”, “Il signore di mezza età”. È presente anche in diversi Caroselli. Per il teatro musicale fornisce alcuni motivi, insieme ad altri, a Ciao fantasma (1952), rivista di Scarnicci e Tarabusi, con Ugo Tognazzi e Elena Giusti; poi è autore in proprio, negli anni ’50, delle musiche delle seguenti riviste (tutte di Scarnicci e Tarabusi, salvo indicazioni contrarie): Barbanera… bel tempo si spera (con Ugo Tognazzi e Elena Giusti, 1953); Tutte donne meno io (con Macario e Carla Del Poggio: comprende una canzone di grande successo, “Souvenir d’Italie”, 1953); Passo doppio (con Ugo Tognazzi e Dorian Gray, 1954); Campione senza valore (con Ugo Tognazzi e Hélène Rémy, 1955); Gli italiani sono fatti così (di Marchesi, Metz e Verde, con Billi e Riva, 1956); Uno scandalo per Lili (con Ugo Tognazzi e Lauretta Masiero, 1957); Il diplomatico (con Carlo Dapporto e Elena Giusti, 1958); Io e la margherita (di e con Walter Chiari, 1959).

Una canzone composta da Luttazzi per il Quartetto Cetra, “Vecchia America”, è compresa nella rivista Gran baldoria (1951) di Garinei & Giovannini. Intanto si occupa della composizione di colonne sonore per il cinema, quasi sempre per commedie. Senza contare le trasposizioni sullo schermo di programmi radiofonici (come “Motivo in maschera”, 1955, di Stefano Canzio: L. vi partecipa anche come collaboratore al soggetto e interprete) e le pellicole che prendono spunto da sue canzoni (come Souvenir d’Italie , 1956, di Antonio Pietrangeli, e Promesse di marinaio , 1958, di Turi Vasile), tra i film per i quali L. cura le musiche occorre citare: Totò lascia o raddoppia? di Camillo Mastrocinque (1956), Totò, Peppino e la malafemmina ancora di Mastrocinque (1956), Agguato a Tangeri di Riccardo Freda (1957), Classe di ferro di Turi Vasile (1957), Ragazza in blue-jeans di Domenico Paolella (1957), Adorabili e bugiarde di Nunzio Malasomma (1958), Venezia, la luna e tu di Dino Risi (1958), Le bellissime gambe di Sabrina di Mastrocinque (1958), Guardia, ladro e cameriera di Steno (1958), Il nemico di mia moglie di Gianni Puccini (1959), Psicanalista per signora di Jean Boyer (1959), Risate di gioia di M. Monicelli (1960), Peccati d’estate di Giorgio Bianchi (1962), La presidentessa di Luciano Salce (1977). In alcuni altri film L. figura come interprete, tra i quali la commedia di costume L’ombrellone di Dino Risi (1965) e il film drammatico L’avventura di M. Antonioni (è lo snob cavalier servente della proprietaria dello yacht che porta i personaggi della vicenda alle isole Eolie, 1959). Inquieto e insoddisfatto, incappato – agli inizi degli anni ’70 – in disavventure giudiziarie, Luttazzi è autore anche di alcuni libri, di racconti e di soggetti. Lo si può definire musicista autodidatta, elegante e di buona vena, attento ai risultati dello swing americano (i suoi modelli appaiono Gershwin come autore e Sinatra come esecutore) ma perfettamente inserito nel melodismo all’italiana.

De Filippo

Peppino De Filippo debutta a sei anni, al Teatro Valle di Roma, con una commedia di Di Napoli Vita, messa in scena da E. Scarpetta con la Compagnia dialettale napoletana; nel 1909 è Peppiniello in Miseria e nobiltà . Inizia la sua attività lavorando con V. Scarpetta insieme a Eduardo e Titina, con i quali formerà un lungo sodalizio, interrotto soltanto nel 1945, quando si porrà a capo di una propria compagnia. Inizia la sua attività di drammaturgo nel 1931, quando rappresenta al Teatro Nuovo di Napoli Don Raffaele il trombone , commedia in un atto, di tono farsesco. La scelta di Peppino si orienta verso un genere che appartiene alla grande tradizione napoletana, ma che lui riuscirà a portare agli onori dell’altare. Le sue esperienze di attore, pur formatesi nell’ambito del teatro scarpettiano e di Eduardo, si orientarono anche verso altri autori. Di Pirandello interpretò: Liolà , L’uomo, la bestia e la virtù, La patente, Amicissimi ; di Bracco: Un’avventura di viaggio , Non fare ad altri ; di Plauto: Aulularia ; di Molière: L’avaro, la cui interpretazione rimase memorabile; di Machiavelli: La mandragola . Portò in scena anche De Stefani, Falcone, Giannini, Terron, e soprattutto Curcio. Non rimase mai schiacciato dalla personalità di Eduardo; del resto erano due attori e due autori completamente diversi, simili soltanto nella mancanza di artificio, attenti nella costruzione dei personaggi, nello studio degli effetti. Anche se le sue scelte deliberatamente e consapevolmente furono orientate verso la farsa, sapeva quanto difficile fosse recitarla degnamente. Cupido scherza… e spazza è una farsa in un atto, che andò in scena al Kursaal di Napoli nel 1931, dove portò in scena, nello stesso anno, Una persona fidata , ormai col sottotitolo `farsa’, di cui egli andava fiero. Seguirono: Area paesana (1931); Quale onore (1931); Amori… e balestre (1932); La lettera di mamma (1933), certamente una delle più fortunate farse di Peppino, rimasta a Roma; in cartellone per ben quattro mesi. L’attività di scrittore fu senza sosta; scrisse ancora: I brutti amano di più (1934); Un povero ragazzo (1936); Non è vero… ma ci credo! (1942), di una comicità senza pari. Del 1947 è Quel bandito sono io , che ebbe oltre tre mesi di repliche all’Olimpia di Milano. Nel 1948 vanno in scena al Teatro Valle di Roma, L’ospite gradito e al Teatro Mercadante di Napoli, Quel piccolo campo. Nello stesso teatro, debuttano l’anno successivo: Per me come se fosse e Gennarino ha fatto il voto. Dopo alcuni anni di silenzio, riprende la sua attività con Pranziamo insieme (1952) e Le metamorfosi di un suonatore ambulante (1954). Ha scritto anche molte poesie, raccolte in due volumi; così come in due volumi è stato raccolto il suo teatro. Intensa è stata l’attività televisiva, noto il suo Pappagone, ma soprattutto quella cinematografica insieme a Totò (interpretò oltre cento film). Ha scritto anche in collaborazione con Titina: Quaranta… ma non li dimostra (1932); … Ma c’è papà (1935); con Curcio scrisse: Casanova farebbe così . Ha lasciato delle commedie ancora non rappresentate. Ha compiuto diverse tournée all’estero; ha partecipato nel 1963 al Théâtre des Nations di Parigi, mentre, l’anno successivo, viene invitato a Londra alle celebrazioni per il quarto centenario della nascita di Shakespeare, dove recita Le metamorfosi di un suonatore ambulante .

Lay

Ubaldo Lay debutta in teatro nel 1946 nella rivista Niente abbasso, solo evviva con Cimara, Proclemer, Bonucci e Caprioli, entrando poi nella compagnia Merlini-Scelzo. Nel 1947 recita con la Compagnia di prosa di radio Roma dove rimane per otto anni, interpretando duemila spettacoli di prosa con la sua voce inconfondibile, diventando assai popolare. Approda in televisione partecipando allo sceneggiato L’alfiere (1957). Dopo una breve attività cinematografica torna al piccolo schermo in Giallo club. Invito al poliziesco (1959), un programma del genere americano a metà tra il quiz e lo sceneggiato giallo, nei panni del Tenente Sheridan, sempre avvolto nel suo impermeabile bianco, il personaggio che lo renderà famoso al punto da essere scambiato nella realtà per un poliziotto vero, e quindi invitato a sciogliere dei piccoli gialli. Interpreta questo ruolo fino al 1972, nella serie La donna di picche. La sua ultima apparizione in televisione risale al 1984, come tenente in pensione nella miniserie Indagine sui sentimenti.

Lo Monaco

Dopo gli studi all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’, Sebastiano Lo Monaco debutta nel 1979 con La lupa di Verga (regia di E.M. Salerno); nel 1980 è con Salvo Randone in Edipo . Con lo Stabile di Torino lavora a fianco di Adriana Asti in Come tu mi vuoi , di Annamaria Guarnieri in Antonio e Cleopatra , ed è Diafoirus nel Malato immaginario per la regia di Missiroli. Nel 1989 inizia l’attività di primattore e impresario; realizza Hystrio di Luzi con Paola Borboni (regia di Bitonti). Dal 1990 al ’98 è protagonista di Tartufo (regia di Guicciardini), Così è (se vi pare) e Il berretto a sonagli (regia di Bolognini), Questa sera si recita a soggetto e Sei personaggi in cerca d’autore (regia di Patroni Griffi). Nel cinema ha debuttato con Festa di laurea di Pupi Avati (1985); quindi è tra gli interpreti di La romana (regia di Patroni Griffi), Dove siete? Io sono qui (regia di L. Cavani). Un personale successo ha riscosso in tv con La piovra 9 e con Un prete tra noi .

Pistilli

Luigi Pistilli esordisce nel 1955 con il saggio degli allievi della Scuola del Piccolo Teatro di Milano, La linea di condotta di Brecht con la regia di Strehler. Nei cinque anni seguenti lavora stabilmente al Piccolo dove sotto la direzione di Strehler recita in spettacoli come El nost Milan di Bertolazzi, I Giacobini di Zardi, Visita della vecchia signora di Dürrenmatt. Nel 1962 passa allo Stabile di Bologna dove interpreta Tamburi nella notte di Brecht e subito dopo torna a Milano dove partecipa a I Burosauri di S. Ambrogi e ai Mafiosi di Rizzotto-Sciascia. Nel 1970 è in Santa Giovanna dei macelli di Brecht, regia di Strehler e nel 1974, insieme al Collettivo Italiano, interpreta il ruolo dello scrittore in Conversazione in Sicilia di E. Vittorini. Nel frattempo si era avvicinato al cinema dove, soprattutto negli anni ’70, svolgerà un’intensa attività. Tra le sue partecipazioni ricordiamo: Per qualche dollaro in più (1965) di S. Leone, Cadaveri eccellenti (1976) di F. Rosi e Antonio Gramsci. Gli anni del carcere (1977) di L. Del Fra.

In televisione è da ricordare la sua interpretazione ne “La donna di picche” (1972) di L. Cortese. Nel 1981 torna a teatro in Enrico IV di Pirandello con la compagnia di G. Albertazzi, il quale, nel 1984, volle ancora con sé Pistilli ne Il genio di D. Damiani e R. La Capria. L’anno dopo recita in Zio Vanja di Cechov, diretto da Patroni Griffi a cui seguono tra gli altri: Il matrimonio del Signor Mississippi (1988) di F.Dürrenmatt, Elettra (1990) di G. Manfridi con la regia di G. Treves e A piedi nudi nel parco (1993) di N. Simon. Nel 1996, insieme a Milva con cui si lega anche sentilmentalmente, è protagonista di Tosca, ovvero prima dell’alba di Terence Rattigan con la regia di M. Parodi. Lo stesso anno viene trovato morto suicida nel suo appartamento milanese.

Astaire

La più lunga e la più straordinaria carriera di ballerino della storia: un’attività durata sessantacinque anni tra palcoscenico e cinema con inalterabile popolarità, assoluta eccellenza e corrispondente prestigio. Sigmund Freud sosteneva che essere il figlio preferito forniva a un uomo una sicurezza straordinaria. Non abbiamo mai saputo se fosse Fred Astaire o la sorella Adele, il figlio preferito di Frau Austerlitz, ma è documentato che la madre curò, dall’inizio, quella che in principio era la carriera di una delle tante coppie di fratelli nel mondo del music-hall (tanto per fare un esempio, i Cansino, padre e zia della futura Rita Hayworth). Dice la leggenda (ma forse è vera) che A. abbia cominciato a praticare il ballo seguendo le lezioni della sorella maggiore, ma non è una leggenda che fin dall’infanzia fosse in grado di affrontare praticamente qualunque passo di danza gli venisse proposto. Dotato di una complessione particolarmente agile, leggero ma anche molto forte, sviluppò col tempo il gusto della sfida, di cercare sempre nuovi passi e nuove combinazioni nel meraviglioso, ma un po’ frusto, mondo del tip-tap e di quelli che venivano definiti `balli di sala’. Questa ricerca, unita a una disciplina che in genere si definisce teutonica, somiglia a quella del bambino Mozart ai suoi inizi di musicista. Un po’ meno precoce di lui, A. debutta a Broadway, in coppia con la sorella Adele, nel novembre 1917 in Over the Top : Fred e Adele, gli Astaires, diventano i favoriti del pubblico newyorkese e continuano una carriera in crescendo. The Passing Show of 1918 è un bel successo; Apple Blossoms (1919) ha otto mesi di repliche. Seguono The Love Letter (1921), For Goodness Sake (1922), The Bunch and Judy (1922). Nel 1923, For Goodness Sake , ribattezzato Stop Flirting , trionfa a Londra e fa più di un anno di repliche. E finalmente, nel 1924, complice il produttore amico Alex A. Arons, si realizza il progetto di una commedia musicale scritta apposta per i due Astaire dai due Gershwin, Ira per le parole e George per la musica: Lady Be Good! , che ottiene un meritato trionfo con trecentotrenta repliche a New York e trecentoventisei a Londra nel 1926. Funny Face , nel ’27, con gli stessi autori e il medesimo produttore, ripete il successo degli Astaires: duecentocinquanta rappresentazoni a Broadway e duecentosessantatre a Londra, l’anno seguente.

Nel 1930, suprema consacrazione nel mondo del varietà anglofono, gli Astaires partecipano alla rivista di Ziegfeld di quell’anno, Smiles . Nel 1931 The Band Wagon, di Howard Schwartz e Howard Dietz, è di nuovo un grande successo a Broadway, ma sarà anche l’ultima volta che la magica coppia Astaires si riunisce su un palcoscenico: l’anno seguente Adele sposerà in Inghilterra Lord Charles Cavendish e non tornerà mai più sulle scene. Sempre nel ’32 A. tenta la sorte con un’altra partner: una splendida bionda di nome Claire Luce; con parole e musica di un Cole Porter entusiasta, ecco Gay Divorce che è un successo a sua volta (duecentoquarantotto repliche a New York, centotto a Londra nel ’33). In realtà, a parte questo spettacolo, e l’aver coreografato pochissimi numeri musicali altrui (Noël Coward e Gertrude Lawrence in London Calling! , Marilyn Miller in Sunny , Ginger Rogers e Allen Kearns in Girl Crazy), tutta la carriera teatrale di A. si è svolta in coppia con la sorella Adele e, purtroppo, ne restano pochissimi documenti visivi, mentre la lontananza nel tempo fa sì che sempre meno testimoni restino in grado di riferirne. La carriera cinematografica di A. comincia sotto cattivi auspici, con la pessima Joan Crawford di Dancing Lady (1933), continua con un piccolo film chiamato Flying Down to Rio (sempre 1933) nel quale avviene il magico incontro con Ginger Rogers, ed eccolo partito per un’altra celebre partnership: dopo quel primo, la coppia Astaire-Rogers compare in altri otto film tra il 1934 e il ’39, e ancora una volta, dieci anni dopo, in I Barkleys di Broadway . Per fortuna Ginger Rogers aveva delle ambizioni di attrice drammatica, e la collaborazione si interruppe una prima volta e poi una seconda. Per fortuna, in quanto A. incontrerà così altre partner, alcune mirabili come Cyd Charisse o Eleanor Powell, ma anche una splendida Rita Hayworth e, purtroppo una sola volta, Judy Garland. Da segnalare alcuni anni magici nella carriera del ballerino tra il 1952 e il ’57 (ovvero quando aveva da 53 a 58 anni!) con i film The Belle of New York , The Band Wagon , Daddy Longlegs, Funny Face e Silk Stockings . Diversi film come attore (non cantante né ballerino), alcune serie radiofoniche negli anni ’30, infinite apparizioni in tv che comprendono i memorabili An Evening with Fred Astaire (1958) e il pluripremiato Astaire Time (1960). Ha fondato e diretto per un certo numero di anni una catena di scuole di ballo (balli di sala) in tutti gli Usa e ha registrato, fra il 1923 e il 1971, centinaia di dischi (ora quasi tutti riproposti in cd) e quasi tutte le più belle canzoni dei grandi compositori Usa.

Moretti

Moretti Marcello intraprende, non più giovanissimo, gli studi di recitazione all’Accademia nazionale d’arte drammatica. Si diploma nel 1940 interpretando, nel saggio finale, l’ Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, che rimarrà come un segno indelebile nel destino della sua carriera di attore. Dopo aver recitato in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare (1941) è di nuovo Arlecchino goldoniano per la regia di Alberto d’Aversa, nel 1947 entra a far parte del Piccolo Teatro di Milano partecipando allo spettacolo inaugurale e collaborando a diversi progetti. Sempre nello stesso anno Strehler allestisce il suo Arlecchino con il proposito di valorizzare l’importanza della riforma goldoniana nel recupero della tradizione della commedia dell’arte. Moretti è il protagonista di questo progetto: interpretando Arlecchino nell’arco di tredici anni e portandolo in ventisei diversi Paesi del mondo, l’attore dedica quasi interamente la sua carriera allo studio di questo personaggio. Ne perfeziona l’interpretazione lavorando sulle sue doti di mimo e caratterista e, nel recupero di un repertorio di movenze, gestualità, espressioni di una tradizione secolare, compie una vera e propria riscoperta dello spirito della commedia dell’arte. Al di fuori del personaggio di Arlecchino, nella commedia goldoniana, Moretti interpreta con successo altri lavori del Piccolo Teatro, tra i quali sono da ricordare: Don Giovanni di Molière (1948), Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (1949), L’amante militare di Goldoni (1951), Il revisore di Gogol’ (1953), L’anima buona di Sezuan di Brecht (1958). La sua ultima grande interpretazione da ricordare prima della morte è quella di Bérenger in Il rinoceronte di Ionesco del 1960.

Cimara

Luigi Cimara frequentò la Scuola di Santa Cecilia a Roma. Esordì nel 1912 con la compagnia di Amedeo Chiantoni e si affermò tra il 1915 e 1920 lavorando con la compagnia di Tina Di Lorenzo (Vena d’oro di G. Zorzi, Germoglio di G. Feydeau). Successivamente passò alla compagnia di Vera Vergani. Fu più volte capocomico o in ditta con altri. Nel 1921 venne assunto nella compagnia di Niccodemi-Nathanson e formò con V. Vergani una coppia che divenne famosa. Nel 1931 si unì alla compagnia di E. Merlini e S. Tofano e nel 1935 fu primattore per la compagnia di Kiki Palmer, poi capocomico con L. Adani e U. Melnati e nel 1937 con P. Borboni. Nel 1939 fu in compagnia con E. Maltagliati e C. Ninchi. Fu interprete ideale di un teatro fra il leggero e il crepuscolare, nonostante varie prove nel repertorio shakespeariano (Romeo e Giulietta) e in altri testi impegnati (Le mani sporche di Sartre). Lavorò saltuariamente anche nel cinema.

Manfredini

Danio Manfredini si forma negli anni ’70 partecipando al lavoro di Cesar Brie, Dominic De Fazio e Iben Rasmussen dell’Odin Teatret, presso il Laboratorio del centro sociale Isola di Milano e poi al centro Leoncavallo. Con La crociata dei bambini di Brecht (1984), Notturno (1985) e soprattutto con Miracolo della rosa (1988) definisce un’immagine solitaria di attore estraneo a percorsi codificati, autore di un teatro personale e anarchico, interessato a situazioni di marginalità sociale ed estraneo ai compromessi con il mercato. Seguono il recital Misty (1989), La vergogna (1990) e i Tre studi per una crocifissione, nei quali viene ancora più approfondito il rapporto con la realtà psichiatrica (M. è anche operatore dei servizi territoriali) e con la pittura, quella di Francis Bacon in particolare, come visione interna da riportare all’attenzione emotiva dello spettatore. Nel 1996 collabora alla drammaturgia degli spettacoli di danza di Raffaella Giordano, cui fa seguire la lunga elaborazione di Al presente (1998).

Harrison

Rex Harrison ha avuto una carriera lunghissima, estremamente variegata e densa di successi. Ha debuttato in teatro a Liverpool nel 1924 ed è arrivato a Londra, nel West End, il 26 novembre del 1930 con Getting George Married di F. Kilpatrick. In quell’anno gira il suo primo film, in Inghilterra; proseguirà una luminosa carriera cinematografica, interrotta solo dalla guerra mondiale, di qua e di là dell’Atlantico, fino al 1979. Nel 1936 è per la prima volta a Broadway con Sweet Aloes ; nello stesso anno ottiene il suo primo grande successo negli Usa con Scuola di perfezionamento (French without Tears) di Terence Rattigan. Nel 1948 è Enrico VIII in Anna dei mille giorni (Anne of the Thousand Days) di Maxwell Anderson; nel 1950 è protagonista, prima a Broadway e poi a Londra, di Cocktail Party di T.S. Eliot. Nel 1952 Venus Observed di Christopher Fry, mentre nel 1953 è regista e attore in The Love of Four Colonels di Peter Ustinov a Broadway, e nel ’54 a Londra protagonista e regista di Bell, Book and Candle di John Van Druten; nel ’55, sempre a Londra, firma la regia di Nina di André Roussin. Nel 1956 H. incontra il ruolo della sua vita: Henry Higgins in My Fair Lady , tratta da Pigmalione di G.B. Shaw. My Fair Lady avrà 2.717 repliche a New York, 2.218 repliche a Londra, infinite edizioni e versioni discografiche; ne sarà tratto un film, sempre con Rex Harrison, premiato con l’Oscar nel 1964. A parte My Fair Lady, l’unico altro rapporto di H. con il musical sarà un bizzarro film, Doctor Dolittle (1967): uno dei più costosi disastri cinematografici. Negli anni ’70 e ’80 pochi film, ma un’intensa attività teatrale tra Broadway, il West End e tournée negli Usa: premiato a Londra per un Platonov di Cechov, protagonista a Londra e poi a New York di Casa Cuorinfranto di Shaw, nella primavera 1982 è a Broadway protagonista, insieme a Glynis Johns e Stewart Granger, di The Circle di W.S. Maugham.

Chiti

Ugo Chiti inizia nel 1970 con il gruppo di ricerca diretto da Pier’Alli e fonda poi la compagnia Teatro in piazza dedicandosi alla drammaturgia popolare. Per questo avvia con il centro Flog un progetto sulla drammaturgia vernacolare toscana. Di questo periodo sono: Si piange si ride , Il vangelo dei beceri , La soramoglie . Avvia in seguito una ricerca sulle avanguardie storiche con La casa Usher in collaborazione con il teatro Affratellamento di Firenze. Fonda il teatro Arkhè (1983) con cui allestisce Visita a Kafka e Gilgamesh . Nello stesso anno inizia a lavorare con la compagnia Arca Azzurra, diventando il drammaturgo stabile e aprendo un secondo momento di ricerca sulla drammaturgia dialettale che inizia con Carmina vini (1985). Nel 1987 avvia il progetto teatrale, come regista e drammaturgo, di La terra e la memoria dove analizza, in tre spettacoli, cinquant’anni di storia italiana guardandola attraverso la lente di un microcosmo regionale, la provincia del Chianti, realtà emblematica dei mutamenti della società italiana. Il primo, Allegretto (perbene, ma non troppo) , diventato un film ( Albergo Roma , 1996), disegna l’Italietta fascista, La provincia di Jimmy (premio Idi) è uno sguardo sugli anni ’50 da un interno familiare, Paesaggio con figure inquadra l’inizio secolo in stile quasi verghiano. Vince il premio Riccione Ater per Nero cardinale (1987). Seguirà il secondo progetto, Il vangelo dei buffi (1996), riscrittura del Vangelo in chiave popolare contadina. Collabora con Alessandro Benvenuti alla sceneggiatura di Benvenuti in casa Gori (1990) e Ritorno a casa Gori (1996). Vince il biglietto d’oro Agis nel 1990 con Kirie . Nel 1991 scrive Emma (il ridicolo della vita) , ambientato nella Firenze di inizio secolo; nel 1998 realizza il film La seconda moglie . Dopo una prima esperienza nel teatro musicale con L’arca di Noè di Britten, ha curato la regia dell’ Elisir d’amore di Donizetti con le scene di T. Pericoli (Scala 1998).

Pernice

Interprete duttile, capace di passare con qualità e impegno dai ruoli comici a quelli drammatici, Gino Pernice debutta dopo un diploma ai Filodrammatici (1952) nel Carrozzone di Fantasio Piccoli, per passare allo Stabile di Genova (La foresta di Ostrovskij); ma a rivelarlo fu il ruolo di Ser Andrea ne La dodicesima notte di Shakespeare con la Compagnia dei Giovani. Seguiranno altri impegni importanti con Morelli-Stoppa, Romolo Valli e De Lullo (Sei personaggi in cerca d’autore). Lavora in seguito con altri registi di calibro: con Enriquez ne la Bisbetica domata di Shakespeare, con Besson, Garinei e Giovannini (Se il tempo fosse un gambero), con G. Lavia nella parte dell’inquietante Vanzi in Non si sa come di Pirandello e con N. Manfredi, interpretando il comico Zio Oreste. Vince il premio Sciacca 1991 come attore non protagonista per il balbuziente in Due dozzine di rose scarlatte di A. De Benedetti. Partecipa a Italiani, brava gente di De Santis, e La classe operaia va in paradiso di E. Petri. Ha anche una breve attività televisiva.

Feliciani

All’età di vent’anni Mario Feliciani frequenta l’Accademia dei Filodrammatici di Milano e debutta nel gruppo Palcoscenico diretto da Paolo Grassi (1941); nel 1943 è con la compagnia Benassi-Carli e nel 1945 con la Borboni-Randone-Carnabuci-Cei diretto da O. Costa e R. Jacobbi. Ottiene il primo successo in La luna è tramontata di Steinbeck con la regia di Pandolfi nel 1946. In seguito si afferma nel repertorio classico nello specifico ruolo dell’antagonista. Nel 1947 è tra gli attori che inaugurano il Piccolo di Milano con L’albero dei poveri . Rimane al fianco e sotto la guida di Strehler per quattro stagioni fino al 1952, lavorando nelle più importanti produzioni. Interpreta così ruoli di rilievo nelle prime edizioni de I giganti della montagna (1947-48), La tempesta, Casa di bambola, Macbeth, Assasinio nella cattedrale, La famiglia Antropus, Il corvo, Il piccolo Eyolf, Oplà, noi viviamo, Emma (1951-52). Dal 1951 al 1955 è con Gassmann in Oreste di Alfieri, Amleto, Edipo re , Kean di Dumas e Ornifle di Anouilh. Dopo una parentesi televisiva torna a teatro con Maria Stuarda (1965) con la compagnia Proclemer-Albertazzi, Dal tuo al mio (1966) di Verga, Rose rosse per me (1967) di O’Casey, Elettra di Euripide e Golem di Fersen nella stagione 1969-70. Torna al Piccolo Teatro negli anni Settanta per l’allestimento Santa Giovanna dei macelli (1970-71) e in seguito per Le case del vedovo (1975-76). Nel 1973 interpreta Antigone di Sofocle a fianco di E. Aldini e La strega con la Proclemer. Nella sua lunga carriera ha lavorato molto anche nel cinema ricoprendo ruoli in importanti produzioni italiane ed internazionali: possiamo ricordare Ulisse con Kirk Douglas e Anthony Queen e I vinti con la regia di Antonioni. In televisione inoltre sono degne di nota le sue partecipazioni in Delitto e castigo , Il caso Maurizius e in Davide Copperfield.

Bentivegna

Diplomato all’Accademia d’arte drammatica di Roma nel 1954, Warner Bentivegna debutta nello stesso anno in La casa della notte di Maulnier con la compagnia Ricci-Magni e in Dialoghi delle Carmelitane di Bernanos, per la regia di Orazio Costa. Lavora, quindi, con diverse compagnie cimentandosi in un repertorio che va da Cechov a Molière, Giraudoux, O’Neill, T. Williams, Pirandello (ottimo il suo Capocomico nell’edizione diretta da Cobelli con T. Ferro e C. Gravina) e Fenoglio. Del tutto alieno da ogni manifestazione divistica, Warner Bentivegna si caratterizza per la maschera elegantemente ironica che lo rende paricolarmente adatto alle interpretazioni di personaggi psicologicamente complessi. Nel 1958 ritorna con Platonov a far parte del Piccolo Teatro; mentre, sempre per il Piccolo Teatro, nella stagione 1959-60 interpreta il ruolo di Florindo ne L’Arlecchino servitore di due padroni diretto da Strehler. In tv da ricordare I grandi camaleonti diretto da Fenoglio.

Brie

César Brie inizia a fare teatro a diciassette anni, studiando al Centro Dramatico di Buenos Aires. La timidezza che lo caratterizza negli anni dell’infanzia e della prima adolescenza definisce paradossalmente la progressiva tensione verso la scena: «Desideravo le donne ma non ero in grado di rivolgere loro la parola. Ho creduto che il teatro potesse aiutarmi a esprimermi, a essere meno goffo, a usare il mio corpo senza trascinarlo inutilmente da un lato all’altro con un quaderno di poesie sotto il braccio. Ho iniziato a fare teatro per poter parlare con le donne. […] ma il teatro mi ha preso, intrappolato, non sono più riuscito a lasciarlo». L’originaria motivazione schiude dunque altre strade, aprendo nuovi orizzonti: attraverso il prisma del teatro César Brie interroga il presente, esplorando se stesso. Nel 1972 partecipa alla fondazione della Comuna Baires, in cui la ricerca espressiva si intreccia all’impegno civile, e con gli attori del gruppo è presto costretto a trasferirsi in Italia a causa delle persecuzioni operate dal regime fascista in ascesa nel Paese. L’esperienza dell’esilio segnerà in maniera radicale il suo percorso artistico.

Nel 1975 lascia definitivamente la Comuna Baires e insieme a P. Nalli, D. Albertin e D. Manfredini fonda il Collettivo teatrale Tupac Amaru presso il centro sociale Isola di Milano. Fino al 1979 con questo gruppo è protagonista di spettacoli agit-prop a sfondo sociale, legati alle lotte di quartiere e finalizzati alla realizzazione di «isole di cultura liberate» (fra gli altri: A rincorrere il sole , Milano 1978, testo, regia e interpretazione di B.; Ehi , Milano 1979, di e con B. e D. Manfredini; Il gran turco giocatore di scacchi , Bologna 1980, creazione collettiva). Parallelamente approfondisce la ricerca espressiva, e definisce le linee di un teatro caratterizzato dall’essenzialità della scena e dalla centralità dell’attore, poeta che interroga il tempo attraverso il corpo e la voce. Nel 1980 l’incontro con Iben Nagel Rasmussen, apre il periodo danese della sua ricerca e porta alla fondazione del gruppo Farfa, al quale partecipano Pepe Robledo, Maria Consagra, Daniela Piccari e Dolly Albertin, determinando la possibilità di un confronto diretto con l’esperienza dell’Odin Teatret e di Eugenio Barba. L’esperienza registica e drammaturgica si innesta progressivamente sul lavoro dell’attore amplificandolo. Nascono spettacoli importanti come Matrimonio con Dio (Holstebro, Danimarca 1982, regia di E. Barba), Il paese di Nod (Holstebro 1986, con I. N. Rasmussen, e C. B., testo e regia di B.), Talabot (Holstebro 1988, con gli attori dell’Odin Teatret, regia di Barba), Il mare in tasca (Pontedera 1989, testo, regia e interpretazione di César Brie), e allo stesso tempo si approfondisce la necessità di un ritorno alle origini, alla propria terra e soprattutto alla propria lingua. È Il paese di Nod a segnare il punto di svolta e a radicare nell’attore la necessità di un ritorno a casa: tema cardine l’esilio: l’esilio di chi è stato costretto a fuggire dalla propria terra a causa della dittatura militare, ma allo stesso tempo l’intima lacerazione di chi è rimasto ed è stato costretto in silenzio a subirne gli orrori. Lo spettacolo, portato in tournée in diversi paesi dell’America Latina, traccia le linee del futuro percorso.

Nel 1990, separatosi da Iben, e lasciato l’Odin,César Brie trascorre un altro anno in Italia insieme a Naira Gonzales, e con lei realizza Romeo e Giulietta (Este 1991), l’idea, tuttavia, è quella di concludere l’esperienza europea e di raccogliere i fondi necessari per il nuovo progetto in America Latina. Nell’agosto del 1991, insieme a Naira e a Giampaolo Nalli, fonda in Bolivia il Teatro de Los Andes. Sede della comunità artistica Yotala, un piccolo paese nei pressi di Sucre. Il gruppo degli attori acquisisce fisionomia attorno al progetto di Colòn (Yotala 1992), spettacolo di una comicità graffiante, incipit di un percorso destinato a privilegiare la sincerità e l’onestà delle emozioni insite nella pluralità di voci che animano il quotidiano. È così che all’epico Colòn fanno seguito, fra gli altri, l’intima e drammatica atmosfera di Solo gli ingenui muoiono d’amore (Yotala 1993), il dissacrante e grottesco Ubu in Bolivia , da A. Jarry (Yotala 1994), e la straordinaria poesia de I sandali del tempo (Las Abarcas del tiempo, Yotala 1995). Dal 1995 parallelamente all’attività teatrale, B. pubblica “Lo scemo del villaggio” (El tonto del Pueblo), rivista di arti sceniche che sposa memoria e ricerca, oggi distribuita in tutti i paesi latino-americani, oltre che in Spagna, Francia e Italia.

Cajafa

Nel 1935, vinta una borsa di studio, Gianni Cajafa si iscrive all’Accademia d’arte drammatica di Roma, dove ha compagni di corso Ave Ninchi e Aroldo Tieri. Caratteristica di razza, inizia una carriera di ruoli minori, passando dal teatro alla rivista e al cabaret. Spalla ricercatissima, lavorò con Totò in Quando meno te l’aspetti (1940-41). Tra gli anni ’60 e ’70 è una delle colonne portanti del Derby, tempio del cabaret milanese.

Jouvet

È paradossale che quello che per molti è il prototipo dell’attore francese – per la dizione disincantata, l’ironia, l’eleganza un po’ esangue della recitazione, la risata inquietante – sia arrivato a recitare senza aver frequentato alcuna scuola, ma direttamente dalla scena, anche in senso non metaforico, dal momento che la carriera teatrale di Louis Jouvet inizia prima come costruttore di scene, poi come scenografo (sua è l’ideazione del celebre dispositivo fisso del Vieux-Colombier) accanto a Copeau. Quando abbandonerà Copeau, di cui è stato anche assistente, fondando un suo teatro in cui è attore principale ma anche regista, Louis Jouvet non dimentica mai la sua formazione e spesso firma le scene anche per i suoi spettacoli cercando, in sintonia con le idee del Cartel, di cui fanno parte anche Dullin, Pitoëff, Baty, di creare un contenitore che sia un equivalente visibile del testo. È possibile racchiudere la sua storia d’attore nella sintonia totale che lo avvicina a due autori: il classico Molière e il contemporaneo Giraudoux. Del primo è stato un interprete impareggiabile, lasciandoci una sbalorditiva galleria di personaggi: da Don Giovanni all’Arnolfo della Scuola delle mogli , da Tartufo ad Alcesti del Malato immaginario, iniziando quella che verrà chiamata la ‘via’ critica all’interpretazione di Molière. Con Giraudoux crede di avere trovato il suo Cechov, l’autore della sua generazione: dopo l’allestimento di Siegfried nel 1928, mette in scena praticamente tutti i testi, da Anfitrione ’38 (1929) a Judith (1931), da La guerra di Troia non si farà (1935) a Elettra (1937), da Ondine (1939) a La pazza di Chaillot (1945). Insegnante di recitazione al Conservatoire, ma anche grande attore di cinema, in alcuni libri ancora oggi fondamentali come Riflessioni di un attore (1939) e, soprattutto, Ascolta amico mio (1951), Louis Jouvet indaga quello che continua a sembrargli il mistero del teatro: il lavoro dell’attore, «quest’incredibile avventura di possesso e di spossessamento di sé», la cui meta non deve essere né il totale artificio né la totale spontaneità. Perché l’attore può solo testimoniare il suo personaggio, al quale offre la propria tecnica, la propria voce, il proprio viso.

Simon

Attore antiaccademico, Michel Simon si dedica al teatro dopo mille mestieri: venditore ambulante, fotografo, pugile. Il suo debutto avviene nel 1918 a Ginevra, dove ottiene un minuscolo ruolo in Misura per misura di Shakespeare messo in scena dai leggendari Pitoëff. Il suo aspetto decisamente poco piacevole (figura dinoccolata e viso dai tratti fortemente irregolari) non gli impedisce di riscuotere un grande successo in Androclo e il leone di Shaw (1920) ancora con i Pitoëff. Seguita la compagnia dei Pitoëff a Parigi, Simon, pur stentando a imporsi, ha modo di affinare quelle doti comiche e d’inventiva che saranno il tratto peculiare del suo stile. Finalmente, nel 1923, è il capocomico di Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, ruolo che interpreta con magistrale realismo e vivacità. Lasciati i Pitoëff, S. lavora in numerosi spettacoli (nel 1926 è all’Atelier in Je ne vous aime pas di Achard accanto a Jouvet), prediligendo i ruoli comici: è l’indimenticabile Clo-Clo in Jean de la lune di M. Achard e contribuisce al grande successo di Fric-Frac di Bourdet (1936).

Dalla fine degli anni ’30 non appare quasi più sulle scene teatrali. Dal 1925, infatti, si dedica principalmente al cinema: amatissimo dal pubblico per l’umanità che sa infondere ai personaggi, Simon porta tali qualità sullo schermo, creando figure difficilmente dimenticabili, tra le quali forse la più riuscita e intensamente poetica è il burbero e insieme tenero père Jules dell’Atalante di J. Vigo (1934). Già messosi in luce nel 1928 nel capolavoro di Dreyer La passion de Jeanne d’Arc, Simon collabora a lungo con J. Renoir, per il quale interpreta anche lo straordinario clochard di Boudu sauvé des eaux (1933), e con altri registi di vaglia quali M. Allégret (Lac-aux-dames , dove è un vecchio donnaiolo, 1936), Guitry (Faisons un rêve, 1937), Carné (Drôle de drame, 1937; e soprattutto Quai des brumes , 1938), Duvivier (La fin du jour, 1939), Clair (La beauté du diable , girato in Italia nel 1950, dove è Mefistofele). Protagonista di una delle stagioni più feconde del cinema francese, quella degli anni ’30, Simon, con il suo corpo scoordinato, la parlata strascicata e i suoi personaggi grotteschi e beffardi, riesce comunque a fornire prove di qualità fino alla fine della sua carriera.

Schirinzi

Tino Schirinzi è stato uno dei maggiori interpreti del teatro italiano, attore e regista anticonformista non per moda, ma per temperamento e indole. Legato sentimentalmente a Daisy Lumini, assieme alla quale ha tragicamente posto fine alla sua esistenza, durante la sua carriera ha collaborato con il meglio del teatro italiano, creando un felice sodalizio artistico con Piera Degli Esposti (Arden di Feversham e La pazza di Chaillot), partecipando al debutto italiano del giovanissimo Chéreau, lavorando assiduamente allo Stabile di Torino e al Piccolo di Milano. Memorabili le sue operazioni dissacranti (pre e post Sessantotto) sul teatro elisabettiano, su Goldoni e D’Annunzio, fino a essere cacciato dal Vittoriale, insieme a registi come Aldo Trionfo e Giancarlo Cobelli.

Ma di mezzo ci si mise la malattia, che alla fine degli anni ’70 lo colpì duramente e contro la quale lottò tenacemente per riuscire a recuperare la sua prestanza scenica e il suo straordinario timbro di voce. Ci riuscì, forse non del tutto, ma continuò a lavorare portando in scena nuovi e vigorosi personaggi come l’Ercole morente delle Trachinie (1983) per la regia di M. Castri e Stadelmann, il vecchio servo di Goethe, nell’omonimo spettacolo tratto dalla scrittura di Claudio Magris che, felice di questa esperienza, per Schirinzi aveva scritto un nuovo testo. Insieme a Piera Degli Esposti ricordiamo Caccia al lupo di Verga con La morsa di Pirandello, spettacoli di cui fu anche regista; e ancora L’illusion comique di Corneille (1979, al Piccolo Teatro con la regia di W. Pagliaro), Delitto e castigo per la regia di J. Ljubimov (1984) e nel 1986 allo Stabile di Bolzano, insieme al regista M. Bernardi, Qualcuno volò sul nido del cuculo e soprattutto il teatrante dell’amato T. Bernhard, spettacolo che gli permise per una volta di lavorare insieme alla sua compagna. Sempre nel 1986 partecipa all’ Antigone di Sofocle al Teatro greco di Siracusa; ancora a Bolzano, nel 1987, recita e cura la regia di La favola del figlio cambiato di Pirandello, del quale all’Ater recita Il berretto a sonagli con la regia di M. Castri (1989). Il suo ultimo ruolo è stato quello del servitore Zachar in Oblomov di I. Goncarov, nell’adattamento di Furio Bordon (Trieste 1992).

Scabia

Preceduto dal testo poetico scritto per La fabbrica illuminata di Luigi Nono (1964) e da altri, raccolti in Servo & Padrone (1965), l’esordio come autore teatrale di Giuliano Scabia con Zip Lap Lip Vap Mam Crep Scap Plip Trip Scrap & la Grande Mam alle prese con la società contemporanea alla Biennale di Venezia (1967) rappresenta uno degli episodi che inaugurano la controversa stagione dell’avanguardia teatrale italiana (Scabia ha fatto anche parte del Gruppo 63 e a lavorato in coppia con Quartucci). Nella sua formulazione ‘acentrica’, aperta alla partecipazione collettiva, Zip anticipa i temi politici e antistituzionali del Sessantotto teatrale e prepara la serie dei testi `aperti’ che Scabia va componendo ( All’improvviso, 1967; Visita alla prova de l’isola Purpurea di Michail Bulgakov, 1968; Scontri generali, 1969-71), mentre amplia il proprio intervento attraverso le formule militanti e sperimentali dell’`animazione’ (laboratori nei quartieri operai di Torino, interventi in una scuola della campagna emiliana, ‘azioni’ teatrali con ragazzi in dodici centri dell’Abruzzo).

Nasce nel corso di quest’ultima esperienza, con Forse un drago nascerà (1972), l’immagine di un ‘teatro vagante’ che caratterizzerà per molto tempo la poetica di Scabia, sia come stimolo profondo sia come pratica di lavoro: un teatro pellegrino che si muove su percorsi estranei alle direttrici di maggioranza, modellato secondo l’antica consuetudine dei trovatori e intessuto di momenti rappresentativi e narrativi, che lo stesso autore si incaricherà di realizzare nelle sue ‘camminate’ (vere e proprie passeggiate a piedi, anche di più chilometri, trasformate, a seconda delle esigenze e del contesto, in apparizioni, evocazioni, visite, visioni, lettere). Questo lavoro acquista notorietà e risonanza, anche internazionale, lungo tutto l’arco degli anni ’70, quando Scabia è ideatore e anima di esperienze come Marco Cavallo (con i ricoverati e gli operatori dell’ospedale psichiatrico di Trieste, diretto allora da Franco Basaglia, 1972-73), Il gorilla quadrumàno (con gli studenti del Dams bolognese, presso cui è docente di drammaturgia, stimolati alla ricerca di un ‘teatro di stalla’ sulle montagne dell’Appennino emiliano, 1974-75), Il Diavolo e il suo angelo (con l’invenzione, nella Venezia del Carnevale, di una `nuova Commedia dell’Arte’, 1979).

Durante gli anni ’80, Scabia intensifica l’attività di teatrante-viandante e dà forma di ciclo alla sua scrittura. Riassorbendo Commedia armoniosa del cielo e dell’inferno (1971) e Fantastica visione (1973), il ciclo del `Teatro vagante‘ comincia a comporsi nei suoi diciannove testi, tra i quali Lettera a Dorothea (1980), Commedia del poeta d’oro con bestie (1982-87), Ma io insistetti per stare volando ancora un poco (seconda lettera a Dorothea, 1983), Lettere a un lupo (1983) , Cinghiali al limite del bosco (1983), Tragedia di Roncisvalle con bestie (1985), Gli spaventapasseri sposi (1985), Apparizione di un teatro vagante sopra le selve (1986-87). Vanno così scoprendosi, dentro una scrittura che l’autore stesso definisce ‘amorosa’, le costanti del suo immaginario narrativo: radici che affondano in un paesaggio italiano di boschi e di cieli, ma soprattutto nelle aie contadine della pianura padana, dalla cui tradizione orale, innestata al piacere della poesia e dell’affabulazione, si sviluppa nel corso degli anni ’90 la stagione letteraria di Scabia, segnata dai romanzi In capo al mondo (1990) , Nane Oca (1992) e dal libro di poesia e disegni Il poeta albero (1995), oltre che dal riallestimento di testi teatrali precedenti a cui si aggiungono, nel 1997, Gloria del teatro immaginario e Visioni di Gesù con Afrodite.

 

 

 

Verdone

Figlio di M. Verdone, celebre storico del cinema, nel 1969 gira uno dei suoi primi cortometraggi Poesia Solare , influenzato dalla cultura sessantottina e psichedelica del tempo. Nel ’72 Carlo Verdone si iscrive al Centro sperimentale di cinematografia di Roma e due anni dopo si diploma in regia. Nello stesso periodo inizia l’esperienza di burattinaio presso la scuola di M. Signorelli e quella di attore con il Gruppo Teatro Arte diretto dal fratello Luca, episodi importanti per lo sviluppo delle sue capacità istrioniche di attore-trasformista-comico. Nel 1974 il suo primo incarico di aiuto-regia in Quel movimento che mi piace tanto , commedia erotica di F. Rossetti, con R. Montagnani. Come attore, la svolta avviene con lo spettacolo teatrale Tali e quali al Teatro Alberichino di Roma dove interpreta dodici personaggi, gli stessi che rivedremo nella serie televisiva “Non stop”; (1979), in onda su Raiuno, firmata da Enzo Trapani; e sempre gli stessi personaggi, anche se rivisti e corretti, saranno protagonisti dei suoi primi film (Un sacco bello, Bianco rosso e verdone, Borotalco). Il cinema è stato infatti (e il ricorrente schema a episodi che Verdone utilizza lo indica), il palcoscenico di questi personaggi nati in forma teatrale-cabarettistica: Leo, Ruggero, padre Alfio, il Professore, Anselmo, Enzo, personaggi-macchietta, clichè in cui si possono riconoscere delle nevrosi della società italiana e che ricorrono in tutti i suoi film. In seguito la filmografia di Verdone si fa sempre più ricca (la media è di un film all’anno) fino all’ultimo Sono pazzo di Iris Blond, del 1996.

Molin

Formatosi con Christian Ferrier, Daniel Franck e Stanley Williams, nel 1981 Alessandro Molin entra nell’Aterballetto dove si impone per personalità ed eleganza scenica affiancando spesso Elisabetta Terabust (Psyche a Manhattan di Amedeo Amodio, 1983). Dal 1986 al 1988 è primo ballerino all’English National Ballet e qui interpreta tutti i classici e titoli di Ashton (Apparitions), Béjart, Petit (Carmen). Etoile ospite del Teatro alla Scala nel 1989 e del Ballet der Deutschen Oper di Berlino nel 1990-92, in seguito, pur mantenendo il sodalizio con Aterballetto, diventa assiduo partner di Carla Fracci (Alma Mahler G. W. , 1994; Sogno di una notte di mezza estate , 1995; Jeux , 1996; La muta dei portici , 1998).