Simoni

Appena finiti gli studi liceali Renato Simoni era già critico de “l’Adige” della sua Verona, per poi assumere lo stesso incarico al quotidiano “L’Arena”. Nel 1899 si trasferì a Milano come critico drammatico de “Il Tempo”, che lasciò tre anni dopo per il “Corriere della Sera” con mansioni di inviato-elzevirista, assumendo, dopo la morte di G. Giacosa, la direzione di fatto del mensile “La Lettura”. Nel frattempo scrisse la commedia in dialetto veneto La vedova (1902), rappresentata da F. Benini, al quale diede subito dopo Carlo Gozzi (1903) e Tramonto (1906); quest’ultimo fu più tardi riscritto in lingua per F. Andò-I. Gramatica-M. Melato. Proprio con Simoni prese avvio quel teatro dialettale veneto che si distaccava dal patetismo dei postgalliniani e abbandonava la ricorrente ambientazione veneziana per radicarsi nella realtà della depressa e arida provincia, come più tardi ancora più agramente fecero Bertolazzi, Rocca, Palmieri. Nel 1908 si sbizzarrì nella rivista Turlupineide, seguita un anno dopo da Il matrimonio di Casanova, scritto in collaborazione con Ojetti, e da Congedo, che Petrolini tradusse in romanesco e Falconi-Carini-Stival-Besozzi-I. Gramatica, K. Palmer-L. Brignone recitarono in italiano.

Con il libretto per l’operetta La secchia rapita (da Tassoni) inaugurò una fattiva collaborazione con compositori quali Puccini, Giordano, Lodovico Rocca e con vari autori di operette, a cominciare da Carlo Lombardo. All’attività di commediografo decise di rinunciare dopo essere subentrato a G. Pozza (1914) come critico drammatico del “Corriere”, incarico che mantenne fino alla morte, continuando a collaborare con “L’Illustrazione italiana” e a firmare sulla “Domenica del Corriere” con lo pseudonimo di Turno. Più che critico, Simoni amava autodefinirsi cronista teatrale, in coerenza con la minuziosa quanto colorita ricostruzione d’intreccio, la spumeggiante aggettivazione, l’attenzione puntigliosa riservata agli attori, fattori tutti che contribuirono a farne il recensore più letto e ascoltato. Se spezzò presto la penna del commediografo, in compenso si dedicò molto alla regia, spesso in collaborazione con G. Salvini, a cominciare dai primi festival della Biennale di Venezia, dove riservò particolare attenzione al congeniale Goldoni. Più innanzi allargò i suoi interessi ad altri festival, allestendo spettacoli di Sofocle, Ariosto, Tasso, Ruzante, Manzoni, D’Annunzio; al Teatro Romano della sua Verona curò la regia, in collaborazione con Strehler, di Romeo e Giulietta di Shakespeare (1948). Per il cinema scrisse soggetti e sceneggiature, collaborando talvolta alla regia.