Pankova

Terminati gli studi all’Istituto Coreografico di Leningrado Elena Vladimirovna Pankova entra nel 1981 nella compagnia del Kirov dove affronta il ruoli del repertorio ottocentesco ( La bella addormentata, Don Chisciotte, Corsaro, Giselle) e del Novecento (La fontana di Bachcisaraj) . Viene scelta da Suzanne Farrell come protagonista di Scotch Symphony che porta in tournée con il Kirov, di cui diventa presto una delle ballerine più in vista e dotate. Incomincia `una carriera di stella ospite’ nelle principali compagnie come English National Ballet con il quale interpreta Il lago dei cigni . Danza in Italia nel 1991 in Lo schiaccianoci a Firenze, nel 1996 in La bella addormentata al Carlo Felice di Genova e nel 1998 è protagonista de Il lago dei cigni a Firenze. Per le sue linee perfette, per precisione, lirismo, eleganza e virtuosismo incarna l’ideale di purezza dello stile pietroburghese. È attualmente étoile alla Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera.

Maccarinelli

Piero Maccarinelli si diploma alla scuola di regia del Piccolo di Milano nel 1979. Dopo essere stato assistente alla regia di Scaparro e Olmi, nel 1982 inizia la sua carriera di regista. Maccarinelli sceglie di mettere in scena testi contemporanei, in cui il linguaggio è la chiave per trasformare situazioni quotidiane in vicende esistenziali di valore universale. Ricordiamo solo alcune delle sue regie: Teppisti! di Giuseppe Manfridi (Roma, 1985); La fiaccola sotto il moggio di D’Annunzio, con Pamela Villoresi (Roma, 1986); Giacomo, il prepotente di Giuseppe Manfridi, con Elisabetta Pozzi e Massimo Venturiello (Genova, 1989; ne ha curato la regia televisiva nel 1998); Alla meta di T. Bernhard, con Valeria Moriconi (Astiteatro, 1989); L’ospite desiderato di Rosso di San Secondo (Roma, 1990); I soldi degli altri di J. Sterner, traduzione italiana di Masolino D’Amico (Cento, 1991); Verso la fine dell’estate di C. Repetti, con Anna Galiena, Massimo Ghini e Paolo Graziosi (Spoleto, 1992); Festa d’estate di Terence Mac Nally (Latina, 1993); Scuola romana di E. Siciliano (Maccarinelli è anche scenografo; Roma, 1994); Dinner Party di Pier Vittorio Tondelli (Reggio Emilia, 1994); Vita col padre di Clarence Day, con Paola Gassman e Ugo Pagliai (Roma, 1994); Pallida madre tenera sorella di Jorge Semprun, con Gianrico Tedeschi e Moni Ovadia (Milano, 1996); La partitella di Giuseppe Manfridi (Narni, 1996); Il riformatore del mondo di T. Bernhard, con Gianrico Tedeschi e Marianella Laszlo (Milano, 1997); Operette Morali di Roberto Cavosi da Leopardi (Roma, 1998).

Morandi

Ha esordito in teatro nel 1938 dirigendo Fuente Ovejuna di L. De Vega: è questa la prima di un migliaio di regie teatrali e radiofoniche, per un repertorio che ha compreso i grandi classici e i testi più commerciali. M. è stato uno dei primi registi televisivi italiani. In qualità di critico ha collaborato dal 1947 al 1957 con il quotidiano romano “Momento Sera”. Ha insegnato regia radiotelevisiva all’Università internazionale di studi sociali pro Deo.

Don Lurio

Ballerino e coreografo. È aiuto di J. Robbins prima di lavorare per il palcoscenico di Broadway e per il varietà televisivo. A metà degli anni ’50 decide di lasciare New York per Parigi dove conosce la fama personale grazie alle coreografie in spirito esistenzialista approntate per il balletto di F. Sagan Appuntamento mancato (1956). Quel successo gli vale una scrittura presso la sede Rai di Torino per lo show Crociera d’estate (1957) in cui mette in mostra uno stile originale, ricco di verve e di humour, totalmente innovativo per i provinciali teleschermi italiani. Viene quindi chiamato a creare i balletti di molti varietà del sabato sera, nel ’59 in Canzonissima e nel ’61 in Giardino d’inverno , trasmissione nella quale dirige per la prima volta le gemelle Kessler. La coreografia ideata per il loro Da-da-um-pa , sigla d’apertura di Studio Uno (1961), entra nella storia del costume nazionale. Successivamente cura i numeri di danza di Stasera: Rita! (1965) e di Sabato sera (1967). Spesso si esibisce in prima persona sul teleschermo in coppia con la star di turno o alla guida dell’intero corpo di ballo della trasmissione. Davanti alle telecamere mette in gioco con smaccata autoironia il suo spassoso accento anglosassone, utilizzandolo in modo ancora più comico nei momenti canori. Gli viene universalmente riconosciuto il merito di aver fatto ballare tutti i personaggi della tv (fra gli altri Mina, G. Cinquetti, Milva, R. Pavone, P. Pravo, E.M. Salerno), trovando per ciascuno i movimenti più adatti. Porta il suo contributo anche al teatro musicale in spettacoli come Trecentosessantacinque (1963), allestimento in cui è in scena in prima persona, L’Assilllo infantile (con tre elle, 1966) e La sveglia al collo (1967). Per il piccolo schermo è ancora il coreografo di La vedova allegra (1968) nella versione di C. Spaak e di J. Dorelli, di Ma perché? Perché sì! (1972) dove compare anche come interprete e autore dei testi, e di Hai visto mai? (1973) dove esalta le movenze erotiche di L. Falana. Dopo l’esperienza con P. Baudo in Chi? (1976-77) rallenta la sua attività televisiva per dedicarsi all’organizzazione di tour di spettacoli e alla direzione di stage di danza. Negli anni ’80 lavora alla tv spagnola per tornare sui teleschermi della Rai con Pronto, chi gioca? (1985), Partita doppia (1992) e Quelli che il calcio… (1996). È autore di un paio di libri autobiografici.

Gil

Trasferitosi ancora ragazzo dalla natia Spagna nella Confederazione Elvetica, ha studiato a Losanna con S. Suter. Diciassettenne, è stato scritturato dai Ballets de Marseille, ove per lui R. Petit realizzò Les amours de Franz . Danzatore sicuro ed elegante, la sua carriera si è sviluppata in varie compagnie. È stato tra le file dell’American ballet e più volte si è esibito alla Scala. Ha ballato anche con Béjart, segnalandosi soprattutto per l’interpretazione del Sacre du printemps . Dal 1990 è étoile del Ballet de Monte-Carlo.

Triana

Uno degli autori più importanti del nuovo teatro cubano degli anni ’60. Il suo testo più noto è La notte degli assassini (La noche de los asesinos 1966), intorno al rapporto oppressore-vittima con aspetti del teatro della crudeltà. Tra le opere precedenti si possono ricordare Medea nello specchio (Medea en el espejo, 1960), Il parco della fraternità (El parque de la fraternidad, 1962), La casa in fiamme ( La casa ardiendo, 1962) e La visita dell’angelo (La visita del ángel, 1963). Dal 1980 T. risiede negli Usa. Nel 1986 ha debuttato a Londra con la Royal Shakespeare Company con il dramma Parole comuni ( Palabras comunes).

Café La Mama

Nell’autunno del 1961 Ellen Stewart, una talentosa nera della Louisiana, allora disegnatrice di moda, prese in affitto uno scantinato nel Lower East Side di New York. Il suo tentativo era di sottrarre il lavoro di alcuni giovani drammaturghi americani (primo fra tutti il fratello) ai condizionamenti economici dello show-business. Ristrutturato, il locale aprì nel 1962, allestendo One arm di Tennessee Williams. La necessità di ottenere la licenza suggerì di affiancare agli spettacoli un servizio di cafeteria; di qui il nome di Café La Mama, aggiornato in La Mama Etc. (Experimental Theatre Club) quando nel 1969 l’attività si trasferì nella Quarta Strada. Oltre cento erano stati intanto gli autori rappresentati per un pubblico che non pagava biglietto ma versava degli oboli, raccolti personalmente dalla Stewart e sufficienti a coprire a malapena le spese di produzione. Per quasi quattro decenni C.L.M. è stato uno dei principali punti di riferimento dell’Off-Off-Broadway, ha aperto sale collaterali, ha prodotto diverse filiazioni (Repertory Troupe, La Mama Plexus) anche fuori degli Usa, e ha dato spazio e notorietà a un’intera generazione di artisti, promuovendo in particolare il `black theatre’. Tra gli oltre 1400 nuovi lavori patrocinati dalla Stewart si contano quelli di Sam Shepard, Lanford Wilson, Harvey Fierstein, Adrienne Kennedy; grazie al suo fiuto, New York ha conosciuto eventi come il leggendario debutto di Hair , ha incontrato registi come Brook, Grotowski, Barba, Kantor, e ne ha visti nascere altrettanti, come Andrej Serban che proprio al C.L.M. ha cominciato a preparare la sua trilogia classica ( Medea , Elettra , Troiane : 1971-74). Per la sua attività Ellen Stewart ha ottenuto due Obies (gli `Oscar teatrali’ Off-Off-Broadway). La fondatrice è scomparsa il 13 gennaio del 2011.

Coltorti

Dopo il diploma all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ Ennio Coltorti ha debuttato nelle cantine dell’avanguardia romana, orientandosi quindi verso allestimenti di testi leggeri e brillanti, che gli hanno fatto vincere dieci volte il biglietto d’oro Agis per i migliori incassi. Dal 1981 al ’97 ha messo in scena Twist di C. Exton (con M. Columbro e L. Masiero), A piedi nudi nel parco di N. Simon (con S. Castellitto e M. Mazzantini), Per amore e per diletto di Petrolini, Cyrano con G. Proietti, Love letters con P. Ferrari e V. Valeri, Barnum con O. Piccolo. Il suo interesse per gli autori dell’ultima generazione si concretizza in numerosi allestimenti, tra i quali spiccano La stazione di U. Marino (da cui il film di S. Rubini), Corpo d’altri di G. Manfridi, E allora balliamo di R. Lerici. Ha ideato e dirige da dodici anni la rassegna `Attori in cerca d’autore’, che ha fatto conoscere al grande pubblico autori come Claudio Bigagli, Umberto Marino, Paolo Virzì, Stefano Reali e attori come Fabrizio Bentivoglio e Sergio Castellitto.

Moschen

Innovatore dell’antica disciplina della giocoleria. Negli anni ’70 Michael Moschen introduce il genere `contact’, che invece di gettare e riafferrare degli oggetti, prevede che siano questi a scorrere lungo gli arti, con un conseguente lavoro estremamente raffinato sui movimenti del corpo e sulla loro sincronia con quelli degli oggetti utilizzati. Si esibisce prevalentemente con sfere di cristallo e torce infuocate. Alcune sue tecniche vengono utilizzate in Hair (1979), film di Milos Forman. Negli anni ’80 si esibisce con Fred Garbo e Bob Berky nel gruppo dei Foolsfire. Interpreta le giocolerie con sfere di cristallo delle mani di David Bowie nel film Labyrinth (1986). Lavora con il Big Apple Circus. Nel 1988 crea il proprio one man show Michael Moschen in Motion che partecipa a numerosi festival di danza e teatro come quelli di Hong Kong, Perth, Edimburgo, Barcellona e Spoleto. Collabora alla messa in scena de The Alchemedians , off-Broadway del 1986. Negli anni ’90 diventa responsabile della giocoleria del Cirque du Soleil e si dedica all’invenzione di nuove tecniche e nuovi attrezzi. Numerose le apparizioni in programmi televisivi di successo. Nel 1991 crea e dirige lo speciale In Motion with Michael Moschen per la serie Great Performances della Pbs.

Merlini

Formatasi alla scuola fiorentina del Rasi, Elsa Merlini debuttò diciassettenne con A. Ninchi, passando poi con De Sanctis, Baghetti, Falconi, e sostituendo Vera Vergani nella compagnia Niccodemi (1930). A fianco di Tofano e Cimara si affermò come la più irresistibile interprete del genere comico-brillante-sentimentale (Achard, Amiel, Shaw, De Benedetti, Connors) per cimentarsi successivamente nel drammatico in coppia con Cialente (Cechov, Pirandello, Rosso di San Secondo). Nel frattempo il cinema le aveva spalancato le porte della celebrità, sin dall’esordio in La segretaria privata (1931), che inaugurò la stagione dei telefoni bianchi. Attrice ironica, senza eccessi fastidiosi, capace di passare dalla risata contagiosa al rovescio di un’impalpabile malinconia, assurse a simbolo della donna moderna in grado di riscattarsi dalla tutela maschile in virtù di una scanzonata visione del mondo, in paradossale contrasto con la `massaia rurale’ esaltata nel Ventennio. Il suo tentativo di uscire dal maso chiuso del genere brillante sembrò affermarsi con il delicato ritratto di Emilia in Piccola città di T. Wilder, regia di Fulchignoni (1940). Ma poi non trovò a dirigerla un Visconti, uno Strehler, un Costa, tanto che non disdegnò le tavole della rivista (Ma cos’è questo amore con De Sica-Melnati e Gran baldoria con Viarisio) per dedicarsi più avanti a Goldoni (donna Felicita nei Rusteghi al festival della Biennale, regia di Simoni e poi in compagnia con Baseggio). Nei primi anni ’50 tornò al giovanile repertorio patetico-brillante (Bataille, Barillet-Grédy, Sardou, Anouilh, Shaw) o dichiaratamente comico (Feydeau), senza trascurare Pirandello (La signora Morli uno e due) e lasciarsi tentare dalla novità (Il mago della pioggia di Nash). Alla vigilia degli ottant’anni, la sua ultima interpretazione fu in Mela di Dacia Maraini.

laboratorio,

Il laboratorio è luogo e condizione concreta di ricerca teatrale legata alla formazione etico-pedagogica dell’attore e alla esplorazione dell’identità espressiva di un gruppo in situazioni non necessariamente produttive. Storicamente l’idea del laboratorio nasce con la fondazione degli Studi del Teatro d’Arte di Mosca di Stanislavskij, dove lavorano tra gli altri Vachtangov e Mejerchol’d. Presente anche nel progetto di rinnovamento teatrale tentato da Copeau al Vieux-Colombier, e in particolare con la fondazione di una comunità teatrale in Borgogna, il l. si configura nel pensiero di questi grandi maestri del Novecento come la condizione necessaria alla rifondazione etico-antropologica del teatro, attraverso una messa a nudo e una ridefinizione del lavoro dell’uomo-attore. Nell’opera teatrale e parateatrale di Grotowski il laboratorio radicalizza la sua identità di luogo separato, quasi rituale, dove il performer è messo nelle condizioni di compiere un processo di autorivelazione totale, oltre la maschera delle consuetudini sociali o interpretative. Nel lavoro sul training dell’Odin Teatret e in quello più complessivo dentro all’Ista, Barba sviluppa l’istanza laboratoriale di Grotowski ed elabora una concezione del teatro stesso in termini di laboratorio di gruppo, dove l’autodisciplina e l’autoformazione permanente divengono specifiche componeneti della ricerca teatrale. Luogo insieme separato e aperto, dove è possibile compiere un incontro con se stessi e nello stesso tempo istituire relazioni con l’altro (uomini, ambiente, cultura, tradizioni, ecc.), il workshop costituisce anche l’orizzonte metodologico e teorico della `animazione’ e dei processi di formazione di natura espressiva, festiva, sociale che si riferiscono al teatro come strumento e modello di elaborazione dell’esperienza. Dentro al laboratorio il teatro incontra la scuola, il carcere, il disagio fisico e psichico, individuale e sociale, permettendo, nella sua dimensione protetta e ludica, ai soggetti coinvolti di dare forma concreta e simbolica alla propria esperienza. Interno dapprima alla storia dei gruppi teatrali e dei Centri di ricerca teatrale, oggi il laboratorio teatrale è considerato elemento strutturale non solo della ricerca e della pedagogia teatrale, ma modello di intervento formativo per ogni approccio che privilegia la dimensione del corpo, della relazione e del linguaggio simbolico.

Lagorio

Narratrice di talento e di successo ( La spiaggia del lupo , 1977; Tosca dei gatti , 1983; Il silenzio , 1993; Il bastardo , 1996), studiosa e critica ( Fenoglio , 1970; Il decalogo di Kieslowski , 1992), si è dedicata anche al teatro, con testi che affrontano casi paradigmatici di rapporti esistenziali e conflittuali: Raccontami quella di Flic (Torino 1984), Senza copione (Lugano 1989), Dolce Susanna (Washington 1992) e Dinner a Bergamo (Bergamo 1994). Le sue commedie e i radiodrammi sono stati in parte raccolti in Freddo al cuore (1989).

Braglia

Uno dei più grandi atleti italiani di sempre, tre volte campione olimpionico di ginnastica artistica (Atene 1906, Londra 1908, Stoccolma 1912). Alberto Braglia inizia a tredici anni il tirocinio nella Società Ginnastica Fratellanza, per passare poi alla Panaro. Dopo i successi sportivi, in ristrettezze economiche, approda al mondo del circo e del music-hall, dapprima con un numero ad alto rischio, la Torpedine Umana, poi con uno di acrobazia ispirato a Fortunello e Cirillino – noti personaggi del “Corriere dei Piccoli” – che esegue con un bambino di otto anni, certo Seghedoni. Il numero ottiene un buon successo e gli procura vantaggiosi contratti nei circuiti degli Usa. Tornato nel 1924 in Italia, si dedica all’insegnamento di ginnastica e porta la nazionale italiana al successo delle Olimpiadi di Los Angeles del 1932. I bombardamenti del 1944 lo riducono in miseria. Diventa allora bidello destinato alle pulizie in una palestra di Modena che dal 1909 portava il suo nome ed era stata inaugurata da Vittorio Emanuele III.

Kaye

Koreff; New York 1920 – Los Angeles 1987), ballerina statunitense. Allieva di Fokine, Vilzak e Schollar, ha studiato alla scuola del Metropolitan e alla School of American Ballet. Ha fatto parte del Ballet Theatre fin dalla fondazione (1939), affermandosi come interprete di temperamento drammatico, sia nelle nuove creazioni sia nei balletti di repertorio, meritando il soprannome di `Duse della danza’. Interprete principale di Pillar of Fire (1942) – che Tudor ideò per lei – e di Lizzie Borden in Fall River Legend di Agnes De Mille (1948), è poi stata chiamata a far parte del New York City Ballet (1951-1954), creando i ruoli principali in The Cage di Robbins (1951) e La Gloire di Tudor (1952). È entrata in seguito nell’American Ballet Theatre, dove ha creato Winter’s Eve e Journey (1957) di MacMillan e Paean (1957) di Herbert Ross, di cui è divenuta moglie. Condirettrice, insieme a Ross, del Ballet of Two Worlds (1960) che debuttò a Spoleto, si è esibita come prima ballerina nelle coreografie del marito ( Angel Head , Rashomon Suite , The Dybbuk ). Dopo il ritiro dalle scene nel 1961, ha continuato a collaborare con Ross per le sue produzioni cinematografiche ( Due vite, una svolta , 1977; Nijinskij , 1980; Giselle Dancers , 1987) e nel 1977 è entrata a far parte del consiglio direttivo dell’American Ballet Theatre.

Sposi

Diplomata alla Scuola dell’Opera di Roma, passa nel suo Corpo di ballo, ricoprendo subito ruoli solistici. Nel 1987 entra nel Ballet National de Marseille di Roland Petit, che le affida le parti principali in Il fantasma dell’Opera e Schiaccianoci e per lei crea il ruolo dell’Uccello azzurro ne La bella addormentata (1990). Dotata di un notevole brio riprende poi con successo i grandi ruoli brillanti del repertorio della compagnia ( Coppelia ).

Ferri

Ha compiuto gli studi di danza alla Scuola di ballo della Scala, per poi proseguirli con il massimo esito a quella del Royal Ballet, entrando a far parte della compagnia al Covent Garden nel 1980. In un breve volgere di tempo si affermava eccellente interprete in tre balletti di Kenneth MacMillan: Histoire de Manon , Mayerling , Romeo e Giulietta . Questi tre balletti, le stesse coreografie restavano a lei legati per la singolarità dell’interpretazione, che riproponeva in varie occasioni anche in Italia, alla Scala. Altro punto importante nella sua carriera l’incontro con il ballerino Michail Barišnikov, che la invitava all’American Ballet Theatre di New York nel 1985. Vi ritornava in varie occasioni per interpretare i ruoli protagonistici di Giselle , Schiaccianoci , Romeo e Giulietta , La sonnambula , Les Sylphides , tutti appartenenti al repertorio classico-romantico. Ciò non le impediva di affrontare altri ruoli di creazione o del repertorio moderno e contemporaneo: Fall River Legend (Opéra 1991; Torino, Regio 1994), Un petit train de plaisir di Rossini-Corghi-Amodio, White Man Sleeps di Volans-Ezralow, Carmen e Le diable amoureux di Petit, La voix humaine di Cocteau (testo recitato e danzato). Tornava poi anche ai grandi balletti del repertorio come Il lago dei cigni (versione Zeffirelli, Scala 1985), L’ombre di Filippo Taglioni-Lacotte (festival di Spoleto 1994), fino all’interpretazione del personaggio di Esmeralda nel balletto Notre-Dame de Paris di Petit alla Scala nel 1998, dopo essere stata interprete delle due versioni del balletto La Sylphide : di Taglioni-Lacotte-Schneitzhöffer a Palermo (gennaio 1998) e di Bournonville-Schaufuss-Løvenskjold alla Scala (febbraio 1998). Nell’autunno 1998 il coreografo William Forsythe ha creato per lei Quartetto , rappresentato con successo alla Scala.

Laganà

La fortuna di Roberto Laganà inizia al teatro delle Muse di Catania, dove conosce i registi G. Di Martino (Il mostro di G. De Chiara, 1978), R. Bernardi (Annata ricca, massaru cuntentu di N. Martoglio, 1978) e L. Puggelli (Dal tuo al mio di G. Verga, 1977). Quest’ultimo diventa una delle figure più significative della sua carriera, grazie ad alcuni allestimenti di rilievo (I carabinieri di B. Joppolo, Catania, 1979 I Malavoglia di G. Verga, 1982; Il gallo di T. Kezich da V. Brancati, scene di P. Bregni, Catania, 1989; La lunga vita di Marianna Ucrìa di D. Maraini, Catania, 1991), di cui i più recenti La nuova colonia (Catania, 1992, con un palcoscenico occupato soltanto da un fondale di vele issato a fatica dagli attori in abiti di oggi, e Questa sera si recita a soggetto (Catania, 1993) confermano la predilezione dei due artisti per la lettura astratta dei testi pirandelliani. Con G. Di Martino, lo scenografo lavora a Si cunta e s’arricunta di G. Di Martino (Catania, 1979) e La bella addormentata di Rosso di San Secondo (Catania, 1991), mentre con R. Bernardi a Il malandrino (Catania, 1991), L’aria del continente di N. Martoglio (Catania, 1993), `U riffanti di N. Martoglio (Catania, 1994) e, tra i più recenti, a Quannu c’è sciroccu di R. Bernardi da Molière (Catania, 1996).

Vulpian

Dopo aver studiato all’Opéra di Parigi, nel 1968 Claude de Vulpian viene scritturata dal teatro. Prima ballerina nel 1976, le viene affidato il ruolo di Nana, creato appositamente per lei nell’omonimo balletto di R. Petit ricavato dal romanzo di Zola. Nel 1978 viene nominata étoile, dopo una memorabile interpretazione di La bella addormentata nel ruolo di Aurora. Da allora interpreta tutti i ruoli principali del repertorio classico: Il lago dei cigni , Romeo e Giulietta di Cranko, Giselle , Cenerentola di Nureyev; coreografie di Béjart (Serait-ce la mort?), Balanchine, (Agon e Apollon Musagète), Ailey (Au Nord du précipice). Ha partecipato fino al 1993 alle grandi tournée internazionali dell’Opéra e ha ballato sovente con Nureyev e il suo gruppo. Si è distinta anche nel balletto La belle et la bète di Philippe Tresserra, rappresentato all’Olimpico di Vicenza.

Panelli

Proveniente dall’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, compagno di corso di Manfredi e Buazzelli, Paolo Panelli esordì in rivista, nel 1948, con Col naso lungo e le gambe corte (cioè Pinocchio), un `centone’ di ritagli di precedenti spettacoli di Garinei e Giovannini: nel cast anche Nino Besozzi attore `brillante’ in prosa e al cinema, la coppia Mario Riva e Diana Dei; e a rinforzo Gino Franzi, ex gloria della canzone, fine dicitore, lo `Scettico blues’ (non “blu”!) che gorgheggiava “Balocchi e profumi” e “Mamma”. Nella stagione 1954-1955 fu in Senza rete , rivista `d’avanguardia’ di e con Alberto Bonucci, con un cast ricco di `promesse’: Monica Vitti e Marina Bonfigli, Paolo Ferrari e Bice Valori. Dalla stagione successiva (1955-56) e per tutta la vita, recitò in spettacoli di Garinei e Giovannini, un sodalizio artistico e umano che ha pochi riscontri nel mondo dello spettacolo. Eccolo in Buonanotte Bettina accanto a Walter Chiari e a Delia Scala (1955-56); in L’adorabile Giulio (1957-58) con Dapporto, Delia Scala, Teddy Reno; in Un trapezio per Lisistrata (1958-59), dove, attingendo ad Aristofane, si scherzava sulla guerra fredda tra sovietici e americani, con Panelli nel ruolo di Dimitrione il rosso; nel cast, Delia Scala, il Quartetto Cetra (che si ribellò, ma invano, alle barbe posticce), Nino Manfredi (che ottenne un paio di pantaloni perché non voleva esporre le gambe troppo magre) e Mario Carotenuto.

Durante una replica pomeridiana, Panelli si addormentò in scena, venne svegliato da Manfredi tra le risate del pubblico, come sempre `complice’ di simili fuori-programma. Nella stagione 1960-61, il trio Scala-Manfredi-Panelli si sposta in tv e presenta una memorabile edizione di “Canzonissima”. Nel 1961-62, c’è Rinaldo in campo , straordinario musical di sapore folcloristico con Domenico Modugno, brigante siciliano, Delia Scala, contessina patriottica, l’inedito due Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, l’autorevole Giuseppe Porelli e Panelli nel ruolo di `Chiericuzzo’: moriva in scena e fu il primo `cadavere’ nella storia dello spettacolo leggero. Altri successi targati sempre Garinei e Giovannini: Aggiungi un posto a tavola , dal 1974 in poi, tre stagioni in Italia (con seicentotrenta repliche) e tournée all’estero, con Johnny Dorelli pretino alle prese con il diluvio (idea `recuperata’ dagli autori dopo La Bisarca , del 1950). Seguirà sempre con Dorelli, Accendiamo la lampada , con Gloria Guida starlet del cinema all’esordio come soubrette (fu l’ultimo spettacolo di Bice Valori, moglie di Panelli, scomparsa in quel periodo); e la partecipazione al Rugantino , tra le più importanti commedie musicali di G&G, più volte, e anche recentemente, ripresa. Ma non solo musical: Panelli, sempre con Garinei e Giovannini, ha recitato in commedie brillanti: L’alba, il giorno e la notte di Nicodemi, Niente sesso siamo inglesi con Dorelli; per non parlare delle innumerevoli partecipazioni cinematografiche, di cui ricordiamo per lo meno la memorabile interpretazione del vecchio genitore in Parenti serpenti di Monicelli (1991).

Zacconi

Figlio d’arte, con cinque fratelli datisi anch’essi al teatro, Ermete Zacconi fu sul palcoscenico fin dalla prima infanzia. Primo attor giovane nella compagnia di A. Papadopoli a soli ventun’anni, fu scritturato nel 1884 dall’allora famosissimo G. Emanuel, da cui apprese il rigore dell’impegno costante, la ricerca puntigliosa dell’approfondimento. La sua consacrazione avvenne nell’ultimo decennio dell’Ottocento, quando entrò nella compagnia di V. Marini interpretando testi di Ibsen, Tolstoj, Turgenev, Dumas figlio e La morte civile di P. Giacometti, rimasta per sempre suo cavallo di battaglia.

Nel suo repertorio, fedele a Maeterlinck, Giacosa, Praga, Rovetta, Bracco, entrò più tardi quel Cardinal Lambertini di Testoni (1905), da molti ritenuta una delle sue interpretazioni più riuscite, insieme al Lorenzaccio demussetiano e agli Spettri ibseniani. Nell’accostamento di testi di così disparato valore artistico è già implicita la dimensione naturalistica della sua concezione teatrale che la critica più avvertita da tempo aveva rilevato. Intanto, Z., nel 1899, si univa alla Duse per allestire le dannunziane La Gioconda, La gloria, La città morta , Più che l’amore. Agli inizi del secolo affrontò Shakespeare (Amleto, Macbeth, Otello, Re Lear, La bisbetica domata), il Saul dell’Alfieri, Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais, Le gelosie di Lindoro di Goldoni, Kean di Dumas padre, Il padre di Strindberg. Considerato il massimo esponente della stagione del `grande attore’ – che proclamava «il teatro sono io» – ignorando l’avvento della mediazione registica, dominò i primi trent’anni del secolo, osannato anche all’estero con le trionfali tournèe a Parigi e in Sudamerica.

A distanza di vent’anni, tornò con la Duse (La donna del mare di Ibsen e La porta chiusa di Praga) per poi allestire opere, complessivamente inferiori alla sua statura di mattatore, firmate, tra gli altri, da G. Forzano, L. D’Ambra. A fine carriera trovò consensi unanimi impersonando Socrate ne I Dialoghi di Platone e nel Processo e morte di Socrate che interpretò anche al cinema (1940), prima del definitivo addio alle scene. Per il grande schermo partecipò, fin dall’epoca del muto, a una ventina di film, tratti in gran parte dai suoi successi teatrali. Dalla seconda moglie, l’attrice Ines Cristina, ebbe la figlia Ernes (1912), anch’essa attrice.

Lievi

Artisti raffinati e sensibili, aperti ai confronti interculturali, dopo aver raccolto riconoscimenti soprattutto in Germania, Austria e Svizzera, sono stati scoperti anche in Italia. Cesare Lievi, dal 1996, è direttore artistico del Centro Teatrale Bresciano. La loro idea di teatro trova radice in Germania e nei paesi di lingua tedesca. Per i Lievi mettere in scena uno spettacolo significa entrare in sintonia con l’autore, capirne profondamente il linguaggio, cercare tramite la sua traduzione scenica di farne fiorire le potenzialità espressive. Compito degli attori è rendere vivo il testo, facendolo proprio per consentire sulla scena la ‘resurrezione’; una vitalità scenica sostenuta e consolidata dalle splendide scenografie di Daniele Lievi che cercava vita nella parola, trasformava in immagini evocative i sentimenti sottesi a essa. La mobilità dei fondali, i colori, i meccanismi più articolati e in generale tutti gli arredi scenici creati dall’artista scomparso erano in grado di trasporre liricamente i drammi e le gioie, i sogni e le utopie vissuti dai personaggi. La carriera teatrale dei Lievi ha avuto inizio nei primi anni ’80 nei locali di un’antica caserma, alle spalle del loro paese natio. Mitologie personali, brani di autobiografia, ma anche citazioni di classici caratterizzavano l’originale poetica di Cesare e Daniele.

Nel 1979 la coppia fonda insieme al costumista Mario Braghieri il Teatro dell’Acqua per il quale realizzano lavori di grande interesse, che culminano con l’allestimento di Paesaggio con Barbablù di Lievi Tieck, giunto nel 1984 alla ribalta internazionale. Con questo spettacolo si definisce la contraddizione vitale che sta all’origine del teatro dei due fratelli: l’iterazione del gesto omicida di Barbablù – tra amore e morte – che uccide tutte le sue sette mogli, rievoca il senso stesso della rappresentazione teatrale che si ripete e si consuma ineludibilmente ogni sera. Invitati in Germania, i Lievi nell’anno successivo hanno realizzato per la Hochschule di Francoforte la messinscena di Le miniere di Falun di Hofmannsthal (che porteranno anche in Italia a Udine per un’unica tappa, 1985): è stato questo l’inizio di una memorabile avventura nei paesi di lingua tedesca, con regie commissionate fra gli altri dalla Schaubühne di Berlino e dal Burgtheater di Vienna. Tra gli spettacoli di maggior successo si ricordano Il ritorno a casa di Cristina di Hofmannsthal (1987), Sonata di fantasmi di Strindberg (1988), Il nuovo inquilino di Ionesco (1988), Kaulmthchen von Heilbronn di Kleist (1988), Enrico IV di Pirandello (1989), Fratelli d’estate di Cesare Lievi (1992), oltre a numerose regie di opere liriche. La presenza dei Lievi sui palcoscenici italiani nella seconda metà degli anni ’80 è circoscritta ai due spettacoli del progetto Goethe di Brescia, Torquato Tasso (1986) e Clavigo (1988) e a La morte di Empedocle di Hölderlin (Gibellina 1987). Attingendo alla classicità del romanticismo tedesco, i tre spettacoli ruotavano attorno al tema dell’individuo e in particolare dell’intellettuale nei suoi rapporti con il potere. Ma il fascino e la novità di questi spettacoli non sono stati sufficienti a radicare in patria il lavoro dei Lievi.

Dopo una brevissima esperienza di nomina di direttore allo Stabile bresciano, Cesare è tornato ad operare in Italia nel 1991 alla Scala con Parsifal di Wagner, nel 1992 con la ripresa di Paesaggio con Barbablù (Mittelfest a Cividale del Friuli) e con il suo Varietà, un monologo (Teatro dell’Acqua). Culmine di questa fase di un’originale ricerca drammaturgica e registica, sospesa tra tradizione e teatro visivo, è stata la realizzazione per il Centro servizi spettacoli di Udine di Tra gli infiniti punti di un segmento (1995), allestimento ambientato in una stanza chiusa e animata nella quale attori-attrezzisti rendono viva la narrazione, muovono fondali, spostano sipari, cantano lieder di Schubert e gridano parole di dolore sulla incomprensione di ogni rapporto umano. Immagini di grande intensità emotiva che pervadono i personaggi ma che si estendono anche alle morbide linee delle scenografie, ai colori, alle silhouette che danno vita al paesaggio. Il grande successo di questo suo testo ha costituito le premesse per una completa affermazione di Lievi nelle nostre scene segnate l’anno seguente dalla regia di Donna Rosita nubile di García Lorca (1996) e dall’assunzione della direzione del Centro teatrale bresciano per cui ha curato l’allestimento del suo Festa d’anime , di Schifo di Robert Schneider. A nove anni dall’allestimento di Basilea Lievi cura la traduzione in italiano e una nuova messinscena di Caterina di Heilbronn di Kleist (con le stesse scene del fratello ormai non più al suo fianco), fiaba romantica che il regista racconta con un’altra fiaba, in cui i sentimenti danno scacco alla ragione. Ultime regie sono Nina o sia La pazza per amore di Paisiello (1998) per l’Opera di Zurigo e Manon di Massenet per l’Opera di Berlino (1998).

Salce

Luciano Salce si diploma in regia nel 1947 all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, ma inizia la sua carriera come attore, diretto in teatro da importanti registi come O. Costa, L. Visconti, A. Fersen, G. Strehler. Debutta nella regia teatrale con testi di Dumas padre, Bontempelli, Molière, Labiche e altri autori di teatro comico e leggero, che interpreta con una vena fortemente satirica, sottolineandone i risvolti nell’attualità. Partecipa con Franca Valeri e Vittorio Caprioli all’esperienza dei Carnets de notes, e collabora alla sceneggiatura di numerose commedie. Considerato uno dei migliori rappresentanti della commedia all’italiana, deve la sua fama alla regia cinematografica; tra i suoi film di maggior successo ricordiamo Il federale , che fu il trampolino di lancio per Ugo Tognazzi (1961), La voglia matta (1962), Le ore dell’amore (1963), Ti ho sposato per allegria (1967, dalla commedia di N. Ginzburg), Fantozzi (1975). È stato anche un ottimo regista televisivo, attività a cui si è dedicato soprattutto negli anni ’60 (Le canzoni di tutti).

Melnati

Figlio di attori, Umberto Melnati calcò le scene già da bambino con la compagnia Boetti-Valvassura. Dal 1921, con Falconi-Di Lorenzo, poi Falconi-Borboni, ottenne parti sempre più impegnative, dando prova del grande talento comico che doveva esprimersi appieno con la compagnia De Sica-Rissone e Za Bum n.8 e n.10 (tra le sue interpretazioni: Elsa la cavaliera , Lucciole della città , Lo so che non è così ). Fu interprete cinematografico di commedie basate su equivoci sentimentali ( Due cuori felici , 1932; La segretaria per tutti , 1933; Rose scarlatte , 1940) e nel Signor Max di Camerini (1937) impersonò l’uomo di mondo futile, contrapposto a De Sica, giornalaio semplice ma pieno di risorse. Nel dopoguerra lavorò spesso a spettacoli di rivista. Non mancano, infine, sue interpretazioni più impegnative: nel 1938 partecipò a Come vi garba di Shakespeare, diretto da Copeau e nel 1946 a Il borghese gentiluomo di Molière.

Peymann

Claus Peymann inizia la sua carriera nell’ambito del teatro universitario mettendo in scena Il modello di Antigone di Brecht. A partire dal 1975 collabora con il Theater am Turm di Francoforte curando la regia di opere di Peter Handke (Oltraggi al pubblico , 1966 e Kaspar , 1970), di Martin Walser e Thomas Bernhard. Per qualche mese è membro della Schaubühne diretta da P. Stein a Berlino e, a partire dal 1970, cura regie allo Schauspielhaus di Amburgo (Una festa per Boris, di T. Bernhard 1970 e Gli ipocondriaci, di Botho Strauss, 1973). Diventa il regista favorito per i lavori di Bernhard di cui dirige L’ignorante e il folle al festival di Salisburgo del 1972 con l’interpretazione di Bruno Ganz. Dal 1974 al 1979 dirige il teatro di Stoccarda. Nel 1977 vi mette in scena la prima e la seconda parte del Faust con un’estetica sensuale e barocca e raffinata intelligenza. In seguito a un conflitto con il potere politico a proposito dell’assunzione di Gudrun Ensslin, si trasferisce con la sua compagnia a Bochum, dove collabora con i drammaturghi Hermann Beil e Uwe Jens Jensen e col regista Alfred Kirchner. Ottiene grandi consensi con le rappresentazioni del Torquato Tasso di Goethe, de La battaglia di Arminio di Kleist e di Leonce e Lena di Büchner. Nel 1986 la sua nomina a direttore del Burgtheater di Vienna per opera del ministro socialista della cultura provoca notevoli conflitti con i rappresentanti della politica conservatrice. Tra i suoi allestimenti di maggior successo vanno ricordate le regie del Riccardo III (1987) e di Heldenplatz di T. Bernhard (1988)

Suzuki

Fondatore e direttore della Suzuki Company di Toga (Scot) e presidente del Centro giapponese di arti dello spettacolo, ente organizzatore del Festival internazionale di arti di Toga. Tadashi Suzuki è anche direttore artistico del Mitsui Festival, manifestazione di arti dello spettacolo tenuta biennalmente a Tokyo, sponsorizzata dal Mitsui Group. Creatore del `Metodo Suzuki’ di insegnamento per attori, un sistema di esercizi concepito come incarnazione del suo pensiero filosofico. Profondamente radicato nel passato del teatro giapponese (tra il Kabuki e il No) il metodo del maestro nipponico si configura come un’armonica sintesi tra tradizione giapponese e tecniche occidentali. Può essere definito una sorta di teatro nô moderno: esso si sforza infatti di portare nuova vita al teatro, concentrandosi sui movimenti e le qualità fisiche dell’attore del teatro tradizionale, fino a prima trascurate dalle moderne tecniche di recitazione.

Il nocciolo del metodo consiste nell’enfasi del movimento della parte inferiore del corpo e dei piedi, con un’attenzione speciale alla zona pelvica (il centro di gravità dell’attore). In opposizione all’orientamento verso l’alto, connesso alla postura eretta e incoraggiato dall’insegnamento del teatro occidentale (che valorizza in particolare l’espressione del volto), questa tecnica dirige l’energia del corpo verso il basso, verso la terra. Il movimento naturale che ne deriva risulta dai movimenti del corpo utilizzati nel lavoro tradizionale dei campi in Giappone. Il Metodo Suzuki rifiuta inoltre l’enfasi che molte tecniche di recitazione moderne mettono sul ritratto psicologico e focalizza l’attenzione invece sulla globalità del corpo. Base dell’orientamento teorico di Suzuki è la convinzione che gli esseri umani posseggano l’abilità di accedere al potere espressivo dell’energia animale e che il teatro, che è il contesto di questa espressione, sia di importanza fondamentale nella situazione globale da un punto di vista sociale e spirituale.

L’interesse di Suzuki è quello di superare le barriere nazionali e culturali in favore di un lavoro di base universale. Fautore della nascita dell’avanguardia artistica giapponese (tra gli anni ’60 e ’70), Suzuki ha collaborato a lungo con il celebre architetto Arata Isozaki per la costruzione dei cinque teatri in cui lavora in Giappone (Toga Theatre, il Teatro all’Aperto, Acm Theatre, Japan Performing Arts Center, Studio Libreria). Con il risultato che gli edifici non solo combinano le arti del teatro con l’architettura, ma hanno raggiunto un livello d’indipendenza che li pone come forma di arte moderna, apprezzata in tutto il mondo.

Il felice connubio confluito nel teatro di S. ha dato vita a spettacoli di teatro classico come le tragedie greche e quelle di Shakespeare, adattate in maniera inimitabile. Le messe in scena del geniale regista non sono infatti mai fedeli ai testi originali, ma sempre rivisitate secondo un’ottica particolarissima. Uno degli spettacoli più significativi è Trojan women nel quale Kabuki, No e il rigoroso studio del movimento ed espressione che il Metodo Suzuki impone, divengono miscela originalissima. Lo spettacolo fu portato in tournée a Parigi, Roma, Bonn, Berlino, Lisbona e nel 1979 negli Usa, aprendo così la via dell’Europa e quindi oltreoceano. È del 1981 la produzione bilingue di The Bacchae , rappresentata a Milwaukee, Toga e Tokyo.

Per tutti gli anni ’80 gli scambi internazionali si sono intensificati e la Scot è stata accolta nelle maggiori città americane, in Grecia, in Italia, Spagna, Francia, Inghilterra, Belgio, Danimarca e Germania. Nel 1991 si è festeggiato il decimo anniversario del Festival di Toga con la prima di Greeting from Edges of the Earth e il 1992 ha visto un altro nuovo spettacolo, Ivanov , frutto della collaborazione con il compositore americano Roger Reynolds. In questo periodo la compagnia di Suzuki, ormai raggiunta una notorietà internazionale, partecipa a numerosi festival in tutto il mondo. Nel 1993 è stata portata in tournée in Sudamerica la versione bilingue di Dionysus , presentata poi nel 1994 al Teatro Olimpico di Vicenza. L’ultimo spettacolo che reca la firma di Suzuki è Waiting for Romeo del 1993.

 

 

Fantoni

Figlio d’arte, pur non avendo una formazione accademica, Sergio Fantoni inizia a lavorare nel mondo dello spettacolo facendo l’imitatore per la radio, la comparsa al cinema e l’attore in ruoli di secondari al Piccolo Teatro di Roma e nella compagnia del Teatro d’Arte italiano di Gassman e Squarzina. Nel 1953 ottiene il suo primo ruolo impegnativo interpretando Giasone nella Medea di Euripide diretta da Visconti. Tra il 1955 e il 1956 lavora al Piccolo Teatro di Milano (La trilogia della villeggiatura di Goldoni, I giacobini di Zardi, entrambi per la regia di Strehler, Processo a Gesù di D. Fabbri diretto da O. Costa); quindi nel 1958 interpreta, ancora per la regia di Visconti, Uno sguardo dal ponte di A. Miller e, l’anno seguente, Figli d’arte di D. Fabbri. Dopo essersi dedicato per qualche anno al cinema e alla televisione, torna al teatro nel 1966 con I lunatici di T. Middleton e W. Rowley e Per Lucrezia di J. Giraudoux con la regia di L. Ronconi. L’anno seguente fonda la Compagnia degli Associati insieme a G. Sbragia, L. Vannucchi e V. Fortunato, proponendo un lavoro di rilettura critica dei testi classici (Ur-Faust di Goethe, Strano interludio di O’Neill, Edipo re di Sofocle, Caligola di Camus). Nel 1975 è impegnato nella sua prima regia con Lorenzaccio di A. de Musset di cui è anche interprete; sempre nello stesso anno, la sua compagnia si unisce all’Ater e realizza alcuni spettacoli con M. Placido, L. Fo, P. Mannoni (Il commedione di Giuseppe Gioacchino Belli di D. Fabbri, La potenza delle tenebre di Tolstoij, L’uomo difficile di H. von Hofmannsthal). Negli anni ’80, dopo lo scioglimento della compagnia, è sulle scene con Le tre sorelle di Cechov per la regia di De Lullo e Minna von Barnhelm di Lessing diretto da Strehler. Fonda La Contemporanea ’83, compagnia con la quale si dedica alla lettura di testi contemporanei di autori italiani (Annibale Ruccello, Manlio Santanelli) e stranieri (H. Pinter, T. Stoppard). Nel 1988 ottiene il premio Armando Curcio per il teatro con Orfani di Lyle Kessler. Nel 1992 interpreta I giganti della montagna di Pirandello per la regia di W. Le Moli e I soldi degli altri di J. Sterner diretto da P. Maccarinelli; quindi, nel ’94 recita in Come le foglie di Giacosa per la regia di C. Pezzoli. Torna alla regia nel ’96, dirigendo e interpretando Dal matrimonio al divorzio di Feydeau. Nel 1998 è al Teatro Due di Parma con Il caso Moro di Roberto Buffagni per la regia di C. Pezzoli. Notevole anche la sua attività cinematografica che lo ha visto impegnato con Visconti (Senso), Rossellini, Maselli, Montaldo, e che lo ha portato per tre anni a Hollywood. Da ricordare le sue interpretazioni televisive in Ottocento per la regia di A.G. Majano (1961) e in Delitto di stato con la regia di G. De Bosio.

Starace-Sainati

Con il marito Alfredo Sainati diede vita nel 1908 ad una compagnia intitolata al teatro del Grand Guignol, che riscosse un buon successo affrontando i testi francesi dell’orrore ed un repertorio di qualità, italiano ed internazionale. Dopo lo scioglimento della compagnia, nel 1928, continuò a recitare in formazioni di primo piano e al cinema. Solo allora, dopo averla accusata di essersi passivamente ripiegata per anni sul repertorio del marito, la critica riconobbe le sue doti drammatiche. Fra le ultime interpretazioni si ricorda La casa di Bernarda Alba di García Lorca dove è una forte Ponzia contrapposta a Wanda Capodaglio e Teresa Raquin da E. Zola (nel ruolo della suocera inferma, 1946) con la compagnia E. Maltagliati e la regia di G. Strehler.

Clarke

Martha Clarke studia con Tamiris, Limón, Ailey, Horst, Sokolov. Dal 1972 al 1978 collabora con il gruppo Pilobolus, per cui crea soli come Pagliaccio, Fallen Angels, Nocturne. Fonda poi con Felix Blaska e Robby Barnett la compagnia Crowsnest (1978). Fra i suoi lavori, con attori, mimi e ballerini: The Garden of Earthly Delights (1984), Vienna Lusthaus (1986), Miracolo d’amore (1988), The Garden of Villandry, che rimonta anche per l’American Ballet Theatre (1988). È autrice di un teatrodanza di gusto pittorico e narrativo, molto originale nel panorama statunitense.

Beruschi

Enrico Beruschi comincia al Derby Club di Milano nel 1972 quando Walter Valdi lo spinge ad esibirsi. Suoi compagni di strada in quegli anni sono Cochi e Renato (che sono anche suoi compagni di scuola) e Boris Makaresko. Chiude la sua frequentazione al Derby nel ’76. Dal 1977 comincia a lavorare in televisione debuttando nel celebre varietà firmata Enzo Trapani Non Stop. Parallelamente continua ad esibirsi come cabarettista al Teatro Ciak di Milano. Nella stagione 1979-80 debutta per la prima volta con una commedia musicale, L’angelo azzurro , per la regia di Vito Molinari. La popolarità giunge nel 1983, grazie alla televisione, con Drive-in. Lavora in tv fino al ’92, anno in cui decide di consacrarsi definitivamente al teatro con lo spettacolo Arivivis di Carlo Maria Pensa per la regia di Scaglione. Altri spettacoli sono Tre sull’altalena di Luigi Lunari, per la regia di Silvano Piccardi e, dal 1993 al ’96 porta in scena La cena dei cretini e Rompiballe entrambi di F. Veber per la regia di F. Crivelli. Ultima fatica, del 1998, è Can Can, commedia musicale replicata per la stagione 1998-1999.

Ginzburg

Al teatro Natalia Levi Ginzburg arriva con ritardo rispetto alla narrativa, frenata – per sua ammissione – dalla paura della fisicità del pubblico e dal basso livello della nostra drammaturgia. Proprio in sintonia con la sua produzione maggiore, due sono state le linee dominanti dell’approccio: da un lato l’adozione di un linguaggio parlato che non fosse né dialettale, né letterario; dall’altro l’esplorazione – a livello tematico – del microcosmo familiare, spesso malamente avvelenato da spaccature insanabili. Le prime tre commedie – Ti ho sposato per allegria (scritta per Adriana Asti e rappresentata nel 1966), L’inserzione (portata sulle scene per la prima volta a Londra, Old Vic, nel 1968 e poi riproposta al San Babila di Milano nel 1969), Fragola e panna (allestita nel 1973) – prospettano uno schema tipico nell’opera della G., quello cioè dell’infelice e sottomessa donna di provincia umiliata dall’adulterio. Il fitto intrecciarsi dei dialoghi sostituisce già sin d’ora qualsiasi azione, costituzionalmente aliena ai suoi personaggi. La segretaria (1967) e La porta sbagliata (scritta nel 1968, trasmessa in televisione nel 1972 e rappresentata l’anno successivo a Lucca, Teatro del Giglio) allargano l’obiettivo su tutti i componenti della famiglia, moltiplicando i piani dell’analisi accrescendo la coralità. Entrambe le commedie sono attraversate da un profondo pessimismo e dalla convinzione che la solitudine sia il comune destino degli uomini d’oggi. Questo nucleo tematico, reso evidente attraverso i casi di sofferta infedeltà coniugale, sostanzia anche le opere successive più significative, da Paese di mare (1968, trasmessa in televisione nel 1972), all’ Intervista (portata sulle scene del Piccolo di Milano nel 1989 da Carlo Battistoni con l’interpretazione di Giulia Lazzarini e Alessandro Haber), agli atti unici Dialogo (scritto appositamente per la televisione nel 1970, trasmesso nel 1971) e La parrucca (rappresentata nel 1973 al Teatro Rendano di Cosenza).

Seregi

Studia con Harangozó e, nel 1958, danza con il balletto dell’Opera di Budapest. Successivamente si dedica alla coreografia imponendosi con Spartacus di Khacaturjan (1968). Tra i suoi lavori: Il principe di legno di Bartók (1970), Sylvia di Delibes (1972), Il cedro di F. Hidas (1975), Kammermusik n. 1 di Hindemith (1977), On the town di Bernstein (1977), Variations on a nursery song di Dohnanyi (1978).

Gregory

Allieva di Carmelita Maracci, Michel Panaieff e Rosselat, entra a far parte del San Francisco Ballet (1961) e poi dell’American Ballet Theatre, dove diventa prima ballerina (1965) e danza ruoli da protagonista in The Eternal Idol di Michael Smuin (1970) e Bach Partita di Twyla Tharp (1984). Crea ruoli in At Midnight di Eliot Feld (1967), Brahms Quintet di Dennis Nahat (1970), The River – di Ailey (1971) e interpreta balletti di repertorio come Raymonda di Nureyev (1975), La Sylphide , Coppélia , La Bayadère . Temperamento brillante e versatile, è ballerina di stile autenticamente classico.

Garella

La formazione di Nanni Garella avviene, tra il 1978 e il 1981, all’Accademia di arte drammatica Antoniana di Bologna e al Centro teatrale bresciano presso il quale opera come regista dal 1982 al 1988 affinando la sua ricerca su riletture della tragedia classica alternate a testi di alcuni autori contemporanei quali Svevo, Strindberg, Osborne. Regie recenti sono: A piacer vostro di Shakespeare (compagnia del Teatro Filodrammatici), Anatol di Schnitzler (Teatro stabile del Friuli-Venezia Giulia, compagnia Glauco Mauri), Intrigo e amore di Schiller e Medea di Grillparzer (Teatro stabile del Friuli-Venezia Giulia), Esuli di Joyce (Centro teatrale bresciano). Dal 1992 inizia la sua collaborazione come regista con Nuova Scena – Teatro stabile di Bologna realizzando: Jack lo sventratore di Vittorio Franceschi, Gl’innamorati di Goldoni e Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello (1993), Ista laus pro nativitate et passione Domini dai laudari anonimi del Trecento perugino e da Jacopone da Todi, Arlecchino servitore di due padroni (1995-96), Lo spettro blu – cabaret traduzione e adattamento di G. Di Leva (1996), Woyzeck di Büchner (1997), Woyzeck-laboratorio su testi di Büchner, Il campiello di Goldoni (1998). Il suo lavoro si caratterizza anche per un’intensa attività di insegnante presso la Scuola civica di arte drammatica ‘P. Grassi’, l’Officina teatrale del Centro teatrale bresciano, la Bottega teatrale di Gassman, l’Accademia dei Filodrammatici di Milano, la Scuola di teatro di Bologna. Si è occupato anche di regia lirica: La bohème (Aslico 1991) e Il campiello di Wolf-Ferrari (Bologna 1998).

Alberti

Diplomato alla Scuola d’arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano (1981), ha collezionato molte esperienze teatrali, lavorando con la Cooperativa teatrale di Franco Parenti e nella stagione 1983-84 con il teatro di Porta Romana. È nella stagione 1985-86 che l’attore approderà al successo con Comedians di Griffiths, lo spettacolo del Teatro dell’Elfo che ha lanciato anche Paolo Rossi, Claudio Bisio e Silvio Orlando. Nel 1986-87 recita in Eldorado e in Café Procope (1989) sempre con il teatro dell’Elfo e con la regia di Salvatores. Con la compagnia Rossi-Vasini-Riondino invece interpreta Una commedia da due lire (1990-91), mentre, nel 1993 partecipa all’allestimento de La signora Papillon , un testo scritto e diretto da Stefano Benni. Tra le numerose apparizioni cinematografiche: Mediterraneo di Salvatores (Oscar 1992) e Gli insospettabili – per la regia di Enzo Monteleone.

Costa

Dopo la laurea in lettere Gabriella, detta Lella Costa si iscrive all’Accademia dei Filodrammatici. Inizia a recitare alla fine degli anni ’70 accanto a Massimo De Rossi, ma il primo successo è nel 1980 con il monologo Repertorio, cioè l’orfana e il reggicalze di Stella Leonetti, prima tappa di una serie di spettacoli tutti di autori contemporanei. Nel 1985 affronta il teatro-cabaret con un testo di Patrizia Balzanelli e nel 1987 debutta con il primo dei monologhi di cui è anche autrice, Adlib , cui seguiranno Coincidenze (1988), Malsottile (1990), Magoni (1994), Stanca di guerra (1996) e Un’altra storia (1998), gli ultimi due scritti in collaborazione con altri autori e con la regia di Gabriele Vacis. Il successo teatrale come attrice comica le offre svariate opportunità televisive (Ieri Goggi e domani, La tv delle ragazze, Ottantanonpiùottanta). Ha fatto anche cinema (Ladri di saponette di Maurizio Nichetti e Visioni private di Francesco Calogero). Come autrice ha pubblicato nel 1992 La daga nel loden , raccolta di testi dei suoi primi spettacoli.

Watt

Formatasi con Lichine, Angiola Sartorio, Nagrin e Limón alla University of California, nel 1972 Nina Watt entra nella compagnia di Limón. Qui interpreta tutto il repertorio (There is a Time, Dances for Isadora, The Moor’s Pavane ), oltre a titoli di Humphrey, Weidman, Sokolow, Nagrin, Linke, Jooss, Kylián. Ben nota internazionalmente come docente di tecnica Limón, è invitata anche in Italia per conferenze-dimostrazioni. Nel 1995 rimonta una sezione di There is a Time per la Compagnia del Teatro di Torino diretta da Loredana Furno.

Goncarova

Natalija Sergeevna Goncarova fu protagonista del movimento avanguardistico del Raggismo. Si dedicò in seguito alla scenografia, lavorando soprattutto per Diaghilev e poi per il Gran Ballet du Marquis de Cuevas. Le sue scene, di solito bidimensionali, furono caratterizzate da colori accesi ed elementi folcloristici, come ne Il gallo d’oro del 1914, opera-balletto di Rimskij-Korsakov, o in L’uccello di fuoco del 1925, balletto di Diaghilev. In altri casi le sue scene sono caratterizzate da toni più raffinatamente pacati e fiabeschi, come in Cenerentola del 1938, balletto di De Basil, o da linee poderose, asciutte e sobrie, come in Les Noces del 1923 su musica di Stravinskij.

Falco

Dopo gli studi con Weidman e con Limón, ha debuttato con quest’ultimo nel 1960, restando nella sua compagnia per dieci anni. Qui si è affermato come danzatore carismatico, di temperamento brillante e intensa presenza scenica. Nel 1968 ha formato il proprio gruppo creando Argot (1967), Huescape (1968), Caviar (1970), Soap Opera (1972), Escargot (1978) e Kate’s Rag (1980). Ha firmato anche Tutti-Frutti per il Ballet Rambert (1973), Eclipse per il Nederlands Dans Theater (1974) e Caravan per l’Alvin Ailey Dance Company. Alla Scala, dove ha danzato in Pavana del Moro con Nureyev, ha allestito The Eagle’s Nest (1980) e Notte nei giardini di Spagna (1992). Suo anche il meno riuscito Spazio di Leonardo (1983), per le celebrazioni milanesi del maestro. Nel 1991 il vivace e ironico Black and Blue , ispirato alla boxe, è entrato in repertorio al MaggioDanza fiorentino. Coreografo per la tv ( Fotofinish ), i videoclip (Prince) e il cinema ( Fame di Alan Parker, 1980), si è affermato come autore di una danza estroversa e vitalistica.

Nativi

Laureata in storia moderna, Barbara Nativi scopre il teatro a ventotto anni attraverso un apprendistato che va dalla collaborazione con il Victor Jara (Panichi, Riondino, Trambusti) all’incontro con l’americana Muriel Miguel delle Spiderwoman di New York e agli spettacoli all’ex Humor Side (ora Teatro di Rifredi) nelle numerose produzioni collettive del periodo, assieme a Paolo Hendel, Rosa Masciopinto, Renata Palminiello. Inizia allora il suo sodalizio artistico con Silvano Panichi, con cui fonda il Laboratorio Nove; dopo aver creato e diretto con lui molte rassegne fiorentine, crea il Teatro della Limonaia, di cui assume fin dall’inizio la direzione artistica. Nello stesso periodo lavora come attrice in performance, spettacoli surreali e di cabaret, recital futuristi. Lavora poi con il belga Thierry Salmon, Remondi e Caporossi e molti altri artisti dell’avanguardia italiana e straniera. Nel 1988 sceglie di passare alla regia e con la compagnia Laboratorio Nove debutta alla rassegna dell’Eti Ricerca Sette con Da Woyzeck . A partire dal 1990, sviluppa anche un’attività di scrittura teatrale che alterna alla direzione di pièce straniere, stimolata dallo scambio culturale che l’esperienza del Festival Intercity, nato nel 1988, comporta. Dal 1992 ha tradotto circa quindici opere teatrali contemporanee dal francese, dallo spagnolo e dall’inglese, curando per Ubulibri l’antologia Nuovo teatro inglese e Il teatro del Quebec e Intercity Plays 1 e 2 , due raccolte di testi pubblicate dal Teatro della Limonaia. L’allestimento più fortunato è stato senz’altro Le cognate di Michel Tremblay che è andato in tournée anche la stagione successiva. Ha insegnato alla Scuola del teatro Laboratorio Nove per 15 anni. Nel 1996 riceve il Premio della critica da parte dell’Associazione nazionale critici teatrali per il complesso della sua attività di regista, scrittrice e operatrice culturale nell’ambito della ricerca teatrale. Nel 1997 riceve il premio Ubu per il Festival Intercity. Parallelamente prosegue il lavoro di attrice attraverso letture e recital.

Romanov

Terminato l’Istituto coreografico di Pietroburgo Boris Georgevic Romanov ha danzato dal 1909 al 1920 con il teatro Marijnskij, interpretando soprattutto ruoli di carattere e grotteschi nello Schiaccianoci, Il padiglione di Armida, Carnaval, Le bambole, La figlia del faraone, Il re Candaule, Eunice, Islamej. La sua prima coreografia risale al 1911 quando mette in scena La mano (Ruka) al teatro Liteinij di Pietroburgo. Come coreografo ha subito l’influenza di Fokin e i suoi principi estetici sono largamente assimilabili a quelli in voga nel cabaret artistico `Il cane randagio’ e al mondo artistico del pittore Sudejkin. Nel 1913 e nel 1914 ha collaborato con i Ballets russes di Diaghilev per i quali ha coreografato La tragedia di Salomè di Florent Schmitt e le danze di Le rossignol di Stravinskij. Le danze di questo periodo sono improntate a un forte impressionismo e a un umore grottesco. Nel 1920 abbandona la Russia e dal 1922 al 1926 dirige il Teatro romantico russo. Importante il suo allestimento di Giselle (1926). Dal 1926 al 1928 ha collaborato con la compagnia di Anna Pavlova. Successivamente è stato attivo al Colon di Buenos Aires, con i Ballets russes de Monte-Carlo. Dal 1938 al 1950 ha lavorato a New York in varie compagnie. Nel dopoguerra ha lavorato ancora a Parigi e Buenos Aires.

Romberg

Sigmund Romberg impara a suonare il pianoforte sotto la guida del padre e, da solo, diversi altri strumenti. Ancora ragazzo, dirige in pubblico una marcia da lui stesso composta. Si trasferisce a Vienna per studi di ingegneria, che abbandona per dedicarsi totalmente alla musica. Si trasferisce prima a Londra e poi, dal 1909, a New York, dove suona il piano in caffè e ristoranti, prima di farsi conoscere come autore di canzoni e poi come compositore di musiche per operette e commedie musicali. Il suo primo lavoro teatrale, commissionatogli dagli impresari fratelli Shubert (Lee e Jacob, proprietari di una vasta catena di teatri) è del 1914 e si intitola The Whirl of the World , presentato al Winter Garden Theatre con buon esito. Su un’ottantina di lavori firmati da Romberg, circa la metà verrà messa in scena dagli Shubert: i libretti sono di vari autori, tra i quali spicca Harold Atteridge (alcuni testi sono scritti dallo stesso musicista).

ùDel 1914 è The Passing Show of 1914 , seguito da altre edizioni dello stesso spettacolo nel 1916, 1917, 1918, 1919, 1923 e 1924. Del 1915, fra gli altri, Hands Up (che accoglie il tango e il rag); Made in America (pieno di riferimenti ai nuovi ritmi); The Blue Paradise , adattamento di un’operetta viennese con numeri nuovi, fra cui un `Auf Wiedersehen’ diventato famoso. Robinson Crusoe jr. (1916) costituisce una burlesca occasione per Al Jolson; The Girl from Brazil (1916) immette in un severo paesaggio scandinavo ritmi brasiliani; Maytime (1917) è ancora tributario della tradizione operettistica ed è un trionfo (si impone la canzone “Will You Remember?”); Sinbad (1918, ancora per Al Jolson) presenta lussureggianti melodie di un’Arabia da favola; mentre The Melting of Molly (1918) propone canzoni dai ritmi moderni (sintomatici i titoli “Jazz-How I Love It” e “Jazz-All Your Trouble Away”).

Agli anni ’20 appartengono i maggiori successi. Il primo è Blossom Time (1921) ispirato all’operetta di Berté La casa delle tre ragazze , su musiche di Schubert: i brani “Song of Love” (con una melodia tratta dalla Sinfonia Incompiuta) e “Lonely Hearts” entrano nel repertorio e vi rimangono. Del 1924 è The Student Prince , a sua volta tratto da un’altra operetta europea, ma rinnovata dal nuovo libretto di Dorothy Donnelly e dalla musica di R. Resta lo spunto, relativo a un giovane principe che studia in incognito a Heidelberg e si innamora della cameriera di una locanda: l’esito è strepitoso, nonostante l’assenza di ballerine e la presenza in scena di un coro formato da quaranta uomini (stupendo, fra gli altri numeri della partitura, il “Brindisi” dalla ricca tessitura corale; notevoli il duetto “Deep In My Heart” e le canzoni “Golden Days”, “Serenade” e “The Flag That Flies Above Us”).

ùSeguono, fra gli altri, Princess Flavia del 1925 (dal romanzo Il prigioniero di Zenda di A. Hope), The Desert Song del 1926 (canzoni romantiche “Desert Song e “One Alone”); The Love Call (1927), con spagnolismi e canzoni di rangers (ambientato nell’Arizona); The New Moon del 1928 (di spicco le canzoni “Lover, Come Back To Me” – derivata da una melodia di Ciaikovskij – “One Kiss” e “Wanting You”); Nina Rosa (1930) e Melody (1933), ambedue con versi di Irving Caesar; Sunny River (1941). In questo periodo R. si dedica a una fitta attività concertistica portando in giro per gli Usa musiche sue e d’altri autori con una orchestra da lui diretta, che lo vede come esecutore al piano. Organizza anche diverse trasmissioni musicali per la radio. Le sue ultime commedie musicali sono: Up in Central Park (1945, bella la canzone “The Birds and the Bees”); The Girls in Pink Tights dello stesso anno, ma rappresentata nel 1954 (vanta ottimi numeri di ballo, messi in scena dalla coreografa Agnes De Mille); e My Romance (1948), da una commedia di Edward Sheldon, amico personale di Romberg.

Negli anni ’30 R. aveva collaborato con Hollywood per le musiche originali di alcuni film, fra i quali Viennese Night (1930, di A. Crosland) e La città dell’oro (The Girl of the Golden West, 1938, di R.Z. Leonard). Tra le sue commedie musicali trasposte sullo schermo si segnalano The Desert Song (1929, 1943 e 1953), New Moon (1931 e 1940), e poi La notte è per amare (The Night Is Young, 1934, di D. Murphy); Primavera (Maytime, 1937, di R.Z. Leonard); Up in Central Park (1948, di W.A. Seiter); Il principe studente (The Student Prince, 1954, di R. Thorpe). Nel 1954 Stanley Donen dirige un film sulla vita e il lavoro di R. intitolato Così parla il cuore (Deep in My Heart, protagonista José Ferrer). Romberg fa parte, con Victor Herbert e Rudolf Friml, del triumvirato che `trapianta’ l’operetta viennese in America, rinnovandola con elementi del jazz e delle forme musicali del Nuovo Mondo; ma anche se R. sposa le sue ascendenze danubiane coi ritmi `yankees’, non si integra mai completamente, restando fino all’ultimo sostanzialmente fedele allo spirito dell’operetta europea.

Magnani

Diplomata alla scuola di recitazione dell’Accademia di S. Cecilia a Roma, Anna Magnani approda in giovanissima età al teatro di prosa. Dal 1929 al 1932 è diretta da Dario Niccodemi lavorando con la compagnia di Vera Vergani e Luigi Cimara. Successivamente passa alla compagnia di Antonio Gandusio. Nel 1934 si dedica al teatro di rivista accanto ai fratelli De Rege ( I Milioni, Non so se rendo l’idea ) e soprattutto, dal 1941, accanto a Totò con il quale crea, fino al 1944, duetti teatrali di strepitoso successo, frutto del perfetto incontro tra la sua personalità aggressiva, pittoresca e mordace e la comicità trascinante del comico napoletano (Quando meno te l’aspetti, Orlando curioso, Volumineide, Che ti sei messo in testa?, Con un palmo di naso ). Ancora nel 1941 si presenta l’occasione, dopo una serie di apparizioni minori, del primo ruolo cinematografico di rilievo: De Sica la vuole, infatti, per interpretare la soubrette di Teresa Venerdì. Qui la Magnani traspone sullo schermo quel tipo di soubrette romanesca, popolana, sfrontata e non convenzionale che aveva già in parte proposto a teatro.

Alla fine della guerra, la Magnani si dedica a una rivista maggiormente legata a contenuti d’attualità e di satira politica: lavora per Garinei e Giovannini con Cantachiaro e Cantachiaro n.2 (1944 e 1945) accanto a Gino Cervi, e con Soffia, so’ del 1945. È di questi anni anche il ritorno alla prosa con testi che mettono in luce la sua maturità scenica e il suo personaggio forte, umano, veemente e complesso: Carmen (1944), Anna Christie di O’Neill (1945), Maya di Gantillon (1946) con la regia di Orazio Costa. L’esperienza teatrale si chiude rapidamente e sporadici saranno i ritorni della M. sulle scene, tra questi vanno ancora ricordate la sua interpretazione, diretta da Zeffirelli, de La lupa di Verga nel 1965, e quella della Medea di Anouilh nel 1966 – firmata da Menotti. Il distacco dal teatro dopo la fine della guerra si giustifica con la sempre più massiccia presenza della M. sugli schermi. Grande successo hanno due film in coppia con Aldo Fabrizi, Campo de’ Fiori del 1943 e L’ultima carrozzella del 1944, dove la M. consacra il suo personaggio di popolana concreta, intelligente, impetuosa e `de core’. Persa la grande occasione di Ossessione di Visconti, a causa dell’attesa di un figlio, la Magnani è Pina di Roma città aperta di Rossellini (1945), film di importanza capitale nella storia del cinema italiano, iniziatore del movimento neorealista, che la vede protagonista di una delle sequenze più celebri della storia del cinema, quella corsa mortale dietro il camion tedesco in cui è imprigionato il marito.

Le sue intense doti drammatiche, non disgiunte all’occasione da una chiara vena comica, vengono in seguito profuse in film di importanza diseguale: L’onorevole Angelina di Zampa (1947), Amore di Rossellini (1948), Assunta Spina di Mattoli (1949), Bellissima di Visconti (1951), La carrozza d’oro di Renoir (1952). L’imporsi nel cinema di un tipo di bellezza `maggiorata’ cui la M. era piuttosto lontana, la convince a lasciare Cinecittà e ad accettare il ruolo di protagonista nell’hollywoodiano The Rose Tatoo (La rosa tatuata, 1955) di Mann, interpretazione premiata dall’Oscar. Conclusa l’esperienza americana, costituita da altri due film di scarso rilievo, la M. lascia ancora due grandi interpretazioni cinematografiche, la carcerata Egle in Nella città, l’inferno (1959) diretta da Castellani al fianco della Masina e Mamma Roma (1962) di Pasolini, prima di una lunga parentesi di inattività, interrotta dalla partecipazione a quattro mediometraggi per la televisione girati da Giannetti nel 1972, opere che ne rilanciarono enormente la popolarità prima della morte.

Garland

Judy Garland è stata non solo una delle grandi glorie del cinema americano, non solo un’eccellente attrice, non solo una grandissima interprete di musical, ma anche, probabilmente, la più grande cantante bianca degli Usa. Una vita infelice quanto leggendaria: disastri sentimentali alternati a successi straordinari (e sempre meritati); alti e bassi finanziari per cui, alla sua morte, era indebitata per quattro milioni di dollari; una dipendenza, che le avevano creato, da pillole di calmanti e di rimontanti che finì per distruggerla; e una fantastica carriera in spettacolo che cominciò quando aveva pochissimi anni sulle tavole di un palcoscenico, parte di un numero (The Gumm Family) che poi diventò The Gumm Sisters, limitandosi alle tre figlie: Frances era la minore ma la più promettente. Nel 1934 le tre ragazze, ora The Garland Sisters , sono al Grauman’s Chinese Theatre a Hollywood con gran successo e la piccola Frances fa un’audizione per Louis B. Mayer, che la mette sotto contratto e le cambia il nome in Judy. Comincia una carriera cinematografica che verrà interrotta dalla Mgm con licenziamento il 17 giugno 1950. Judy Garland riemergerà dalla depressione qualche anno dopo; nel 1954 torna al pubblico osannante con un film, il suo migliore in campo musical, È nata una stella (A Star is Born) e un concerto al Palace Theatre di New York che si replica, battendo tutti i record, per diciannove settimane. Ancora una volta la sua infelice vita privata prende il sopravvento e per un lungo periodo la cantante alterna crolli nervosi, tentativi di esibirsi nei night club, tentativi di suicidio e progetti che non si realizzano. Nel 1961, due note positive: viene presentato il film Vincitori e vinti (Judgement at Nuremberg) dove G. ha un lacerante, magnifico ‘cameo’ per il quale viene candidata all’Oscar e poi, il 23 aprile, alla Carnegie Hall di New York tiene quello che i critici unanimi ritengono il suo migliore concerto (taluni si spingono a definirlo il miglior concerto in assoluto di una cantante pop): il disco che ne testimonia è a sua volta un successo ed è premiato con Grammy Awards. Televisione: Judy Garland ha interpretato alcuni ‘special’ di gran successo lungo gli anni (1955, ’57, ’62 e ’63), sicché il 29 settembre del 1963 la Cbs manda in onda il primo numero di un The Judy Garland Show . Nonostante una Judy Garland al suo meglio, lo show non decolla e va avanti sempre più stancamente fino al 29 marzo 1964; però i dischi che contengono qualche segmento di questo show ci fanno ascoltare una G. al massimo della sua forma. Dopo ci sono viaggi, tournée sempre più difficili, mariti sposati e divorziati a gran velocità, persino un grave insuccesso in un club londinese. È la fine. La cantante, sempre più dipendente dalle sue pillole, una notte supera la dose e l’indomani viene trovata morta nel bagno dal marito del momento, certo Mickey Deans.

Zamparini

Dopo il diploma all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, Gabriella Zamparini debutta nella parte della giovane e romantica Caterina in Caterina di Heilbronn di Kleist, con la regia di L. Ronconi (1972). Da allora è diventata una attrice ronconiana lavorando in quasi tutti i suoi spettacoli soprattutto in parti di donne forti e determinate, come Regine in Spettri di Ibsen (1982) e in ruoli di carattere soprattutto negli spettacoli dal 1979 in poi, come Regine ne L’uomo difficile di Hofmannsthal (1990) e Nerina in Aminta del Tasso (1994). Vince il premio Maschera d’oro, interpretando Rosaura nel Calderón di Pasolini (1976-78) e il premio Ubu per la parte della contadina ne La Torre di Hofmannsthal (1977-78).

Albertazzi

Giorgio Albertazzi debutta a Firenze fra partite di pallone e primi amori ne Il candeliere di De Musset al Teatro della Meridiana con Bianca Toccafondi, regista F. Enriquez; interpreta Fessenio nella Calandria di Bibbiena, ed è Soranzo in Peccato che sia una sgualdrina di Ford, diretto da L. Lucignani, sempre a Firenze, dove L. Visconti – che prepara Troilo e Cressida di Shakespeare a Boboli – lo vede e lo scrittura per il ruolo di Alessandro, paggio di Cressida (Rina Morelli), in una famosa edizione (1949) che allineava, oltre Gassman, De Lullo, Stoppa, Ricci, Tofano, Elena Zareschi e Memo Benassi. È sempre Visconti a procurargli la scrittura nella compagnia del Teatro Nazionale diretta da G. Salvini (1950-52), dove recita in Detective story di Kingsley, La signora non è da bruciare di Fry, Peer Gynt di Ibsen ed è il protagonista del Faustino di Dino Terra.

Il successo arriva con Il seduttore di Fabbri nella tournée americana della Ricci-Magni-Proclemer-Albertazzi-Buazzelli. Con la compagnia, dalla quale si stacca per dar vita nel ’56 alla ditta Proclemer-Albertazzi, interpreta anche il Matto nel Re Lear e il regista ne La ragazza di campagna di Odets. Fra i tanti successi della ventennale ditta, dove ha modo di imporre la sua recitazione moderna e graffiante, ispirata e medianica creando con la Proclemer una delle coppie più seguite dal pubblico e dalla critica: una memorabile Figlia di Iorio di D’Annunzio e L’uovo di Marceau (1957), Requiem per una monaca di Faulkner-Camus e Spettri di Ibsen (1958), I sequestrati di Altona di Sartre (1960), Amleto , diretto prima da Franck Hauser poi da Zeffirelli (1963), Dopo la caduta di Miller (1967), La fastidiosa (1965) e Pietà di novembre di Brusati (1967); dirige Come tu mi vuoi (1967) di Pirandello e il suo discusso Pilato sempre (1971); per una stagione la compagnia si era associata allo Stabile di Genova (Maria Stuarda di Schiller, con la Brignone nel ruolo di Elisabetta) dove, staccatosi dalla Proclemer, sarà protagonista del Fu Mattia Pascal da Pirandello ridotto da Kezich (1974); da qui derivano le grandi interpretazioni fra vita e teatro quali Riccardo III , Re Nicolò di Wedekind, Enrico IV di Pirandello (1982, regia di Calenda), Le memorie di Adriano dal romanzo della Yourcenar, regia di Scaparro (ripreso per più stagioni), La lezione di Ionesco, a Spoleto, regia di Marcucci, e l’ultimo Giacomo Casanova comédien filosofo, libertino, viaggiatore, avventuriero di voce, fantasie, divertimenti e angosce diretto da Scaparro all’Olimpico di Vicenza (1997). Fra i pionieri della tv, seduce il primo pubblico televisivo con Delitto e castigo, Romeo e Giulietta, I capricci di Marianna di De Musset, Come le foglie di Giacosa, Liliom di Molnár e l’indimenticabile Idiota da Dostoevskij, diretto da G. Vaccari. Lettore di fascino e di carisma, spazia dalla novella (Palazzeschi, Mann, Cecov, Maupassant, Pirandello) all’ Inferno di Dante. In cinema da un giovanile Lorenzaccio di Poggioli passa a L’anno scorso a Marienbad di Resnais e al suo Gradiva.

Ohno

Assieme a Tatsumi Hijikata, Kazuo Ohno è anima ispiratrice del Butoh e, almeno qui in Occidente dove ha continuato a esibirsi ultraottuagenario l’indiscusso profeta di questo singolare genere di danza. Dopo un iniziale avvio sportivo nella scuola nazionale di atletica, viene folgorato nel 1929 da una performance della grande danzatrice spagnola La Argentina – che ispirerà cinquant’anni dopo il suo lavoro più famoso Admiring La Argentina (1977). Inizia a studiare danza moderna con Baku Ishii e, dal 1936 al 1946, con Takaya Eguchi, ex allievo di Mary Wigman, i cui stilemi espressionisti avevano già colpito il giovane Kazuo in uno spettacolo di Harald Kreutzberg. Ma è solo nel 1949 che decide di debuttare pubblicamente all’età di 43 anni con una serie di assoli brevi e intensi. La maturazione decisiva nel suo stile avviene però nel 1954, quando avvia una profonda collaborazione con Tatsumi Hijikata. Insieme danno vita a un movimento artistico provocatorio e denso di fermenti, un genere di danza, il Butoh, come poetica tenebrosa di corpi contorti e numinosi gesti. Una danza `arrabbiata’, contro gli accademismi polverosi e contro gli standard imposti dall’Occidente, dentro la quale freme e si contorce il fantasma dei sopravvissuti di Hiroshima. È scandalo nel 1959 con Colore proibito (Kinjiki) di Hijikata, dove si esibisce per la prima volta il figlio di O., Yoshito, mentre Kazuo sceglie e rivela un’ispirazione più estetico-letteraria con Il vecchio e il mare tratto da Hemingway segue l’assolo genettiano Divine e assieme a Hijikata firma Le canzoni di Maldoror (1960), La cerimonia segreta per Afrodite e Torte dolci (1961), Danza rossa (1965), Sesso: istruzioni per l’uso e Tomato nel 1966. Alla fine degli anni Sessanta, mentre Hijikata prosegue la sua linea furente e scandalosa, O. ha una pausa di riflessione durante la quale si dedica al cinema. Gira Ritratti di Mr. O (1969), Il Mandala di Mr. O (1971) e Il libro di un uomo morto: Mr.O (1973). Torna di prepotenza sul palcoscenico con Admiring La Argentina (1977), icona perfetta del suo stile cesellato e introverso, spesso incarnato sotto sembianze femminili. Da allora, non ha mai smesso di esibirsi in scena, accompagnato più volte dal figlio Yoshito. Fra le sue più recenti apparizioni in Italia: alla fine degli anni Ottanta con Water Lilies firmato dal figlio e ispirato a Monet e nel 1997 a Ferrara, sempre in compagnia di Yoshito, con The road in Heaven, the road in Earth (Tendo Chido).

Mazowsze

Fondata nel 1948 a Karolin, nella regione di Mazowsze, da Tadeusz Sygietynski e da sua moglie Mira Ziminska, la compagnia lavora alla messa in scena di balletti ispirati alle canzoni e alle danze folcloriche polacche. L’ensemble, che conta circa cento elementi, assunse notorietà internazionale dopo il suo debutto a Londra (1957) e a New York (1961). Oltre alla compagnia, a Karolin venne fondata anche una scuola diretta da Mira Ziminska.

Andreev

Dopo un brillante esordio come narratore, Andreev Leonid Nikolaevic si impone subito come uno dei più originali drammaturghi di area simbolista con Verso le stelle (1905) e Savva (1906), Ma il vero trionfo lo ottiene con Vita dell’uomo (1907), suggestivo, inquietante itinerario di un’esistenza, denso di simboli e di visioni, messo in scena contemporaneamente da Mejerchol’d al Teatro della Komissarzevskaja a Pietroburgo e da Stanislavskij al Teatro d’Arte di Mosca. Sempre al Teatro d’Arte vengono messi in scena alcuni dei successivi lavori: Anatema (1909), Ekaterina Ivanovna (1912), Il pensiero (1914). In altri teatri vengono accolti con favore I giorni della nostra vita (1908), Anfissa (1910), Il professor Storicyn (1912), L’uomo che prende gli schiaffi (1915). Pur allontanandosi, dopo il 1910, dalle inflessioni fortemente simboliste dei primi lavori, rimane nella drammaturgia (così come nella prosa) andreeviana una connotazione grottesca ed esasperata che ben risponde all’atmosfera tesa del primo ventennio del Novecento. Grande successo e popolarità il teatro di Andreev Leonid Nikolaevic ha avuto in Italia nel periodo tra le due guerre: molti suoi lavori, soprattutto quelli in cui si indulge agli effetti scenici, divennero cavalli di battaglia dei nostri mattatori, da Zacconi alla Pavlova, dalle sorelle Gramatica a Ruggeri.

Città murata

Tra i gruppi più interessanti nel panorama nazionale, Città murata ha condotto un originale percorso sul teatro di narrazione (L’isola di A, 1991) regia di G. Di Bello, collaborando con autori e registi come Marco Baliani (Prima che il gallo canti, 1995) e Bruno Stori (Gioco al massacro, 1997). Ha realizzato poi interessanti manifestazioni sul ‘Tempo’ e ‘Lo sguardo dello spettatore’ (Racconti in attesa dell’alba, I sentieri del tempo). È stata fondata da Mario Bianchi e Dario Tognocchi.

Branagh

Formatosi presso il Rada (Royal Academy of Dramatic Art), Kenneth Charles Branagh entra a far parte della Royal Shakespeare Company a soli ventidue anni e a ventiquattro impersona il più giovane Henry V nella storia della compagnia. Nel 1987, stanco delle tirannie registiche, fonda la sua compagnia, Renaissance, diretta da attori e concentrata nella realizzazione di testi shakespeariani: Re Lear (1990), Coriolano (1992). Deve molto del suo successo a televisione e al cinema in particolare, dove ha spesso sfruttato a pieno le sue doti nel doppio ruolo di attore e regista a partire da Henry V (1989), L’altro delitto (1991), e Gli amici di Peter (1992), Molto rumore per nulla (1993). Nonostante tutte le polemiche nel ’92 è tornato alla Rsc per impersonare l’Amleto su richiesta del regista Adrian Noble; ha poi portato anche sul grande schermo la sua versione del principe di Danimarca curandone la regia (1996).