Nemirovic-Dancenko

Fondatore con Stanislavskij del Teatro d’Arte di Mosca, Vladimir Ivanovic Nemirovic-Dancenko inizia come brillante e acuto critico teatrale su quotidiani e riviste (“La sveglia”, “L’artista”, “Il corriere russo”, “Novità del giorno”) e come scrittore di romanzi, racconti e drammi ( L’ultima volontà , 1888; Un nuovo affare , 1890; L’oro , 1895; Il prezzo della vita , 1896; Sogni , 1901: tutti rappresentati con grande successo ai teatri Aleksandrinskij e Malyj, con i migliori attori del tempo). Nel 1896 rifiuta il premio Griboedov per Il prezzo della vita , ritenendo ingiustamente sottovalutato il coevo Il gabbiano di Cechov. Dal 1891 al 1901 insegna alla Scuola musicale-drammatica moscovita, formando una generazione di attori di grande futuro, che di lì a poco chiamerà a far parte del suo teatro. Nel 1898 incontra l’attore e regista Stanislavskij, di cinque anni più giovane di lui: insieme progettano un teatro davvero rivoluzionario, dove ogni routine, ogni convenzione viene rifiutata. Studio attento, rigoroso del testo, lunghi periodi di prove (mesi, rispetto ai pochi giorni delle normali compagnie), estrema, dettagliatissima cura nella preparazione ed esecuzione di scene, costumi, oggetti (rispetto all’uso di materiali già pronti e generici), collaborazione continua con scenografi, costumisti, sarti, trovarobe, per un risultato globale di armonia ed equilibrio del tutto nuovo nel teatro del tempo. Al termine di un lungo, `storico’ colloquio, Nemirovic-Dancenko e Stanislavskij decidono la fondazione del Teatro d’Arte. La compagnia è composta in parte dai colleghi della precedente compagnia di Stanislavskij, in parte dai migliori allievi di Nemirovic-Dancenko: O. Knipper, Vs. Mejerchol’d, I. Il’inskij.

Nonostante le prime regie vengano firmate insieme, la divisione dei ruoli è molto precisa: Nemirovic-Dancenko si assume l’onere delle scelte letterarie, Stanislavskij della preparazione artistica degli attori. Entrambi discutono l’impostazione del testo, lavorano all’approfondimento del discorso dell’autore. È Nemirovic-Dancenko comunque che decide quali autori inserire nel repertorio e che riavvicina Cechov al teatro, ottenendo da lui non solo l’autorizzazione a riprendere Il gabbiano dopo l’insuccesso di due anni prima, ma l’esclusiva di tutti i lavori successivi, da Zio Vanja (1899) al Giardino dei ciliegi (1904); è lui che convince Gor’kij a scrivere per il teatro, che porta al successo i suoi primi lavori ( Piccoli borghesi e Bassifondi , 1902) e mette in scena (sempre con Stanislavskij) I figli del sole (1906), in aperta polemica con il mondo borghese e l’ intelligencija , passivi, incerti, assenti negli anni `caldi’ seguiti alla rivoluzione del 1905. La sua attività di regista si rende lentamente autonoma da Stanislavskij, dimostrando solida maturità con spettacoli come Quando noi morti ci destiamo di Ibsen (1900), Giulio Cesare di Shakespeare (1903), Le colonne della società (1903) e Rosmersholm (1908) di Ibsen, I fratelli Karamazov da Dostoevskij (1910), Il cadavere vivente di Tolstoj (1911), Pane altrui di Turgenev (1912), Nikolaj Stavrogin da I demoni di Dostoevskij (1913), La morte di Pazuchin di Saltykov-Scedrin (1914), Il convitato di pietra di Puškin (1915). Dopo la Rivoluzione d’ottobre, mentre Stanislavskij compie tournée all’estero con grande successo, Nemirovic-Dancenko riorganizza il teatro, dimostrandosi disponibile alla nuova realtà sovietica. Sempre più indipendente da Stanislavskij, di cui non condivide l’esasperata lentezza che le ricerche del `sistema’ impongono alla preparazione degli spettacoli, introduce nel repertorio del teatro, fino allora dominato dai classici, interessanti testi sovietici, come Pugacëvscina di Trenëv (1925), Il blocco di Vs. Ivanov (1929), Ljubov’ Jarovaja di Trenëv (1936). Accanto alla scoperta di nuovi talenti, Nemirovic-Dancenko coltiva i classici che sono certamente più affini alla sua personalità e di cui coglie con sempre maggior ampiezza la complessità: oltre a Gor’kij, di cui mette in scena i più recenti lavori (Egor Bulycëv e altri , 1934; Nemici, 1935), e a Cechov, di cui riprende con grande sensibilità e intelligenza Tre sorelle (1940), si dedica a Tolstoj (riduzione di Resurrezione, 1930 e Anna Karenina, 1937), Ostrovskij (L’uragano, 1934), Griboedov (Che disgrazia l’ingegno!, 1938). Regista di solido impianto realistico, di ampia cultura e di grande professionalità, mantiene costantemente una posizione di autorevole prestigio, tenendosi lontano sia da facili sperimentalismi sia dal grigiore della politica culturale di partito. Ottiene notevole successo anche come regista d’opera.