Merlini

Formatasi alla scuola fiorentina del Rasi, Elsa Merlini debuttò diciassettenne con A. Ninchi, passando poi con De Sanctis, Baghetti, Falconi, e sostituendo Vera Vergani nella compagnia Niccodemi (1930). A fianco di Tofano e Cimara si affermò come la più irresistibile interprete del genere comico-brillante-sentimentale (Achard, Amiel, Shaw, De Benedetti, Connors) per cimentarsi successivamente nel drammatico in coppia con Cialente (Cechov, Pirandello, Rosso di San Secondo). Nel frattempo il cinema le aveva spalancato le porte della celebrità, sin dall’esordio in La segretaria privata (1931), che inaugurò la stagione dei telefoni bianchi. Attrice ironica, senza eccessi fastidiosi, capace di passare dalla risata contagiosa al rovescio di un’impalpabile malinconia, assurse a simbolo della donna moderna in grado di riscattarsi dalla tutela maschile in virtù di una scanzonata visione del mondo, in paradossale contrasto con la `massaia rurale’ esaltata nel Ventennio. Il suo tentativo di uscire dal maso chiuso del genere brillante sembrò affermarsi con il delicato ritratto di Emilia in Piccola città di T. Wilder, regia di Fulchignoni (1940). Ma poi non trovò a dirigerla un Visconti, uno Strehler, un Costa, tanto che non disdegnò le tavole della rivista (Ma cos’è questo amore con De Sica-Melnati e Gran baldoria con Viarisio) per dedicarsi più avanti a Goldoni (donna Felicita nei Rusteghi al festival della Biennale, regia di Simoni e poi in compagnia con Baseggio). Nei primi anni ’50 tornò al giovanile repertorio patetico-brillante (Bataille, Barillet-Grédy, Sardou, Anouilh, Shaw) o dichiaratamente comico (Feydeau), senza trascurare Pirandello (La signora Morli uno e due) e lasciarsi tentare dalla novità (Il mago della pioggia di Nash). Alla vigilia degli ottant’anni, la sua ultima interpretazione fu in Mela di Dacia Maraini.