happening

Nel 1959 l’artista americano Allan Kaprow usa per la prima volta il termine happening in un articolo apparso sulla rivista letteraria “The Antologist”, proponendolo come forma d’arte nuova affrancata da ogni legame con la tradizione. Successivamente, nell’ottobre dello stesso anno, la parola compare nel titolo di un’opera dello stesso Kaprow, 18 Happening in 6 parts, presentata alla Reuben Gallery di New York. Il termine entra così nel linguaggio comune, a indicare non una forma d’arte chiaramente individuata, bensì alcune esperienze caratterizzate da una pluralità di mezzi d’espressione artistici. Oltre Kaprow, a praticare l’h. sono gli artisti C. Oldebur, R. Grooms, J. Dine e R. Whitman; l’uso talvolta generico del termine creerà equivoci, a causa di associazioni con esperienze molto diverse tra loro, spesso di tipo comportamentale. L’happening è un evento che immette lo spettatore in contesti imprevedibili: immagini statiche o creazioni ambientali, altre volte pièce elaborate con una struttura vicina alla rappresentazione teatrale. Dalla quale, almeno intesa nel senso tradizionale, l’happening si distingue, in particolar modo, per l’assenza di un rigore temporale nello svolgimento delle azioni e per la negazione del confine tra platea e scena, e ancora per l’impossibilità di percepire, distinguendole, finzione e realtà.

Denominatore comune delle azioni è la simultaneità degli elementi in gioco, quali gli inserti sonori, spesso eseguiti dal vivo, un apparato gestuale libero da codici scolastici e la costruzione in diretta di scenografie dal segno evidentemente pittorico: generalmente presentati in una struttura a compartimenti, nei quali appunto si svolgono azioni che decostruiscono lo spazio e spostano la percezione dello spettatore, chiamato ad agire. Nell’happening dunque le azioni possono non avere rapporto di contiguità col suono (che ha un ruolo dominante), i rumori, i gesti e le declamazioni dell’attore (la parola non è recitata e l’attore non interpreta una parte, ma si configura come elemento scenico fra gli altri elementi), che avvengono seguendo un procedimento di creazione dove un certo margine è lasciato al caso, su una traccia disegnata dall’artista che il più delle volte partecipa direttamente all’azione. In ciò che è affidato o lasciato alla casualità rientrano quelle interferenze esterne determinate dalle peculiarità del luogo che ospita l’happening e dalle reazioni del pubblico. Quest’ultimo si trasforma da puro spettatore a oggetto dell’azione, fino a condividere particolari comportamenti con l’artista. Un ponte ideale lega l’h. ad alcune rappresentazioni dadaiste e futuriste (bruitismo), all’opera di Kurt Schwitters, alle esposizioni surrealiste e al `teatro dell’assurdo’, dove la linea narrativa, il personaggio, la trama e il dialogo perdono di importanza a favore della percezione globale dell’immagine. Una concezione estetica che si ritrova negli interventi di G. Matthieu nella Serata di poesia (Parigi 1950) e in Concerted action di J. Cage (1952), compositore d’avanguardia e direttore del Merce Cunningham Dance Company, che attraverso scritti e conferenze ha costituito la spina dorsale del movimento.