Handke

Dopo gli studi di legge a Graz, dal 1966 Peter Handke vive e lavora come scrittore indipendente a Düsseldorf, Berlino e Parigi e, dal 1979, a Salisburgo. Ha vinto diversi premi letterari, tra cui il premio Büchner nel 1973 e il Grillparzer nel ’91. Sin dai primi lavori H. propone una critica del linguaggio che è allo stesso tempo un’analisi critica della società. Scrive per il teatro senza interruzione fino al 1973: fra i primi testi Insulti al pubblico (Publikumsbeschimpfung, 1966). Quindi abbandona la scrittura drammatica, per tornarvi solo nel 1982 con Attraverso i villaggi (Über die Dörfer), per W. Wenders; nel 1986 viene presentata una sua traduzione del Prometeo incatenato al festival di Salisburgo. Nel suo testo teorico, Sono un abitante della torre d’avorio , Peter Handke dichiara di non aver mai voluto scrivere per un teatro che, così come è comunemente inteso (anche nel caso dell’opera di Brecht e di Beckett), resta una reliquia del passato.

Se la letteratura, anche quella teatrale, è fatta con la lingua e non con gli oggetti che questa descrive, la lingua del realismo non serve a svelare la realtà, bensì a occultarla. Pertanto, reinventare il teatro significa anzitutto partire dalla funzione del linguaggio: rifiutare cioè di raccontare una storia, di mettere in scena la favola. La pupilla vuol essere tutore (Das Mündel will Vormund sein, 1969) è una pièce muta, un atto privo di dialoghi e parole, che ha come intento quello di provocare una riflessione su cosa significhi veramente parlare di fronte a un pubblico. Gli attori fanno del teatro perché parlano su di una scena: è questo il gioco illusionistico del teatro? Cosa significa parlare? Il teatro di H. pone tali domande e tenta di trovare delle risposte. In Kaspar (1967) H. racconta la sofferenza che comporta il dover reinventare la parola: la lingua è una tortura, l’atto del parlare è legato alla condizione di colpa, poiché non esiste la parola innocente. Con Cavalcata sul lago di Costanza (1970) l’autore si spinge ancora oltre: gli attori non interpretano dei personaggi, ma sono coinvolti in una lunga conversazione, alla ricerca, attraverso lo strumento della lingua, di quello che sono e di ciò di cui è fatta la loro vita. Il loro sforzo risulterà vano: di fronte a una donna muta comprenderanno di essere tutti morti.

In Esseri irragionevoli in via di estinzione (Die Unvernünftigen sterben aus, 1973) la ricerca continua, ma questa volta nessuno, parlando, riesce a concentrarsi su di un tema, su di un soggetto che sempre sfugge, sempre svanisce; e la parola, nello spazio teatrale, deve rendere visibile ciò che si è perduto, riportare ciò che è stato dimenticato nel quotidiano. Tale idea viene approfondita in Attraverso i villaggi , in cui il testo teatrale è inteso come `poema drammatico’: voltando le spalle a tutto il teatro del quotidiano, H. dà agli operai del cantiere di un villaggio la luce di una parola poetica che inventa un altro modo di dire e di sentire, un altro modo di vivere. Tra i testi più recenti è da ricordare Il gioco delle domande o il viaggio verso laTerra Sonora (Das Spiel vom Fragen oder die Reise zum Sonoren Land, 1989).