Govi

Formatosi nelle compagnie parrocchiali e nei circoli filodrammatici della natia Genova, Gilberto Govi si trovò nel 1913 a capeggiare la Dialettale genovese di cui era primattrice Rina Franchi Gaioni (1889 – 1970), sposata qualche tempo dopo. Suoi cavalli di battaglia furono all’inizio le commedie di Nicolò Bacigalupo (Genova 1837 – 1904), considerato il padre del teatro genovese moderno, di cui allestì quasi tutta la produzione dialettale, a cominciare da I manezzi pè majà ‘na figgia. Il crescente successo ottenuto anche fuori dalla Liguria – in particolare al Carignano di Torino e al Filodrammatici di Milano – lo indusse, a partire dal 1925, a chiedere nuove commedie, particolarmente adatte alla sua peculiarità interpretativa, ad autori non necessariamente genovesi. Scrissero per lui, tra i tanti, E. Canesi (I Gustavin e i Passalaegna , da un romanzo di De Marchi), A. Varaldo (Quando a rocca a çerca o fuso e Scacco matto), E. Valentinetti ( Pignasecca e Pignaverde ), A. Acquarone (Quand’ o gatto ne gh’è), G. Orengo (Sotto a chi tocca), E. La Rosa (In guardia!, Colpi di timone, O vaso de Pandora), S. Lopez (Parodi & C .). Iscrisse contemporaneamente nel suo repertorio commedie tratte dal veneziano (I recini de festa di R. Selvatico, Per la regola! di D. Varagnolo, Sior Felice che cuccagna , Impresa trasporti e Metallurgiche Triscornia di V. Moruccio) e dal fiorentino (Quando la pera è matura di A. Novelli e Il trabocchetto di V. Palmarini). Dotato di una mimica di immediata capacità comunicativa, di una ricerca perfezionistica del trucco, di una simpatia immediata a dispetto del carattere schivo, riuscì a rendere pienamente intelligibile un dialetto particolarmente ostico, vincendo battaglie memorabili per imporlo anche a pubblici inizialmente refrattari. Inesausto creatore di maschere che nulla avevano a che spartire con gli eponimi della commedia dell’arte, si preoccupò, come ebbe a notare Simoni fin dal 1923, «non tanto di procurare il riso con una battuta, quanto di servirsi delle battute per colorire con finezza i tipi». Pippo Manezzi, Felice Pastorino, Bartolomeo Pittaluga, Giovanni Bevilacqua, Giustin, Tognin, Pellegro, «o sciô Steno», furono tra i suoi personaggi più riusciti, resi universalmente popolari dagli allestimenti televisivi iniziati nel 1957 con la messa in onda di “I manezzi”, alfieri di una ventina di riprese in teatro o di realizzazioni in studio. Si congedò dalle scene nel 1960, rinunciando per la prima volta al trucco per impersonare Pietro Burlando nel Porto di casa mia di E. Bassano. L’anno seguente prese parte a Lui, lei e l’altro , quarto e ultimo dei suoi film.