gestuale

Se per gesto intendiamo un’azione che sottolinea i significati del testo al quale fare riferimento, magari anche solo una postura verosimile o mimica dell’attore e del performer, il teatro gestuale, invece, fa riferimento a un linguaggio fisico che assume una precisa funzione comunicativa indipendente dalla parola, perché rivolta a esprimere, attraverso un codice di segni cinetici e iconografici, le immaterialità e le evocazioni simboliche dello spettacolo. E storicamente questi segni hanno dato il senso dei valori e delle tensioni espresse dalla società, le cui regole da infrangere hanno riguardato sia l’estetica che l’etica dei comportamenti (si pensi al `naturalismo’ e al `libero movimento’ del Living Theatre), e intorno ai quali il teatro ha applicato le sue modalità di intervento, almeno a partire dagli anni ’50. La ricerca in questa direzione raccoglie i contributi di grandi maestri della scena del ‘900: dalle geometrie coreografiche di Oskar Schlemmer, al corpo di Decroux, fino a Barrault e Lecoq come soluzioni che recuperano il teatro; tenendo conto di quelle azioni concertate del teatro futurista, e prima ancora le azioni mute dei saltimbanchi girovaghi del ‘500, corpo allusivo e musicale rielaborato nel teatro contemporaneo da Fo. Nel novero del teatro gestuale, ma con sfumature implicite alla autodisciplina dell’attore, si ricollegano i percorsi di Grotowski e di Barba. Dunque il teatro gestuale irrompe con la sua portata irriverente negli anni in cui l’arte informale raccoglie intorno a sé quelle diverse tendenze che vanno a indagare le «possibilità espressive ed emozionali della materia», esaltandone le ambiguità e l’affastellamento della percezione, in questo modo cercando di raggiungere «la misura della propria finitezza» attraverso l’interpretazione del non riconoscibile nell’immediato.

Se è l’arte a influenzare il teatro o viceversa, e come questa influenza riassuma, all’interno di un’esperienza scenica, tutta una serie di pulsioni vitalistiche, da una parte, e politiche, dall’altra, è un dato ormai assodato: sono in effetti i singoli accadimenti, ognuno rappresentanti del proprio emisfero di umanità e di pedagogie improvvisate, a resocontare nei primi anni questa esplosione partecipativa di pubblico, pittori, poeti e attori, lì a condividere strategie comuni. Strategie che rispondono alle istanze dell’arte di farsi veicolo di un immaginario collettivo, senza cadere nella trappola della retorica o dell’impegno realizzato con soluzioni più o meno istituzionalizzate. Non che il teatro (e l’arte) si avventuri in clandestinità rivoluzionarie passando per una violenza esplicita, di certo però si infrangono regole sino ad allora assolute. Al gesto come attitudine liberatoria fanno riferimento gli artisti Pollock, Fautrier e De Kooning, la stessa indeterminatezza compositiva che il musicista compositore John Cage propone nei modi di una creazione interdisciplinare, spesso casuale e in spazi teatrali che non prevedono divisioni tra pubblico e il luogo dell’azione. In quanto alla danza, è M. Cunningham (collaboratore dello stesso Cage) ad avvertire nella gestualità pura, nel segno proprio della danza, un linguaggio che è già un significato di per sé. Il Living offre la catarsi per mezzo di una fisicità vietata ai minori, l’Open Theatre di Joseph Chaikin, parte dalle `azioni fisiche’ di Stanislavskij per misurare nell’improvvisazione collettiva degli attori la sua ‘reazione fisica’.