Fersen

Vissuto in Italia sin dall’infanzia, dopo gli studi filosofici (tra le pubblicazioni L’universo come gioco, 1936) Alessandro Fersen è costretto a emigrare a Parigi dalle leggi razziali fasciste. Qui si avvicina alla prosa, stimolato dal gruppo parigino del Cartel. Esordì in teatro con il fondamentale Lea Lebowitz (1947), di cui scrisse anche il testo seguendo una leggenda chassidica, con la Compagnia del Teatro ebraico: lo spettacolo, di antico folclore yiddish, univa rigorosamente parola, canto e danza. Con la costante collaborazione di Lele Luzzati per scene e costumi, F. ha diretto numerosi spettacoli puntando sempre alla unità delle arti sceniche. Si ricordano tra gli altri: Le allegre comari di Windsor di Shakespeare (1949); Il malato immaginario e L’avaro di Molière (1953); Così è (se vi pare) del 1955 e Come prima, meglio di prima di Pirandello (1957); Il figliol prodigo e Venere prigioniera di G.F. Malipiero (1957); Le diavolerie (Spoleto 1967); Golem (su suo testo, 1968); Fuente Ovejuna di Lope de Vega (1975). Dedicatosi con particolare passione all’attività didattica e saggistica, ha fondato a Roma (1950) uno studio, collegato al teatrino de ‘I nottambuli’, che ebbe breve esistenza. Nel 1957 aprì una scuola per attori basata sulle teorie e sul metodo di Stanislavskij, cui Fersen ha dedicato numerosi studi e pubblicazioni (L’ultimo Stanislavskij , Il metodo Stanislavskij) e che dagli anni ’60 supererà, interessandosi all’antropologia e alla tecnica del monodramma, raccogliendo le sue idee nel saggio Il teatro, dopo (1980).