Fassbinder

Abbandonata la scuola poco prima dell’esame di maturità, Rainer Werner Fassbinder lavora come comparsa ai Kammerspiel di Monaco e studia recitazione privatamente; frequentando lo Schauspielstudio Leonhard conosce Hanna Schygulla che diverrà poi una delle attrici più importanti nella sua opera creativa. Nel 1967 entra a far parte del Münchner Aktionstheater. Vi debutta come regista con una sua rielaborazione di Leonce e Lena di Büchner, cui segue, nell’aprile del 1968, la regia di Katzelmacher, un suo testo, da cui trarrà un film nel 1969 (come in seguito anche da altri suoi testi teatrali). Nel maggio del 1968 l’Aktionstheater cessa l’attività. Dieci membri di quella compagnia, tra cui H. Schygulla, P. Raben e K. Raab, fondano, per iniziativa di Rainer Werner Fassbinder, il Münchner Antitheater, collettivo di attori animato da spirito antiautoritario e vicino all’opposizione extraparlamentare. Ispirandosi al Living Theatre e al teatro della crudeltà di Artaud il gruppo oppone una nuova estetica a quella del teatro borghese e con l’impeto dell’impegno politico reagisce direttamente ai fatti dell’attualità.

Attraverso l’uso dello straniamento e della stilizzazione, di forme di montaggio e collage, gli spettacoli assumono la caratteristica di un linguagggio teatrale in rapporto diretto con quello filmico. Ciò si evidenzia in modo particolare nella messa in scena che Rainer Werner Fassbinder dirige di Ifigenia in Tauride di Goethe, che ricorda un ambiente hollywoodiano e dove Oreste e Pilade appaiono come due giovani omosessuali, con riferimenti ai fumetti, al Living Theatre e montaggi di testi di Mao e di Paul McCartney. Con l’Antitheater, sino al 1971, Rainer Werner Fassbinder realizza la quasi totalità del suo lavoro teatrale, con otto pièces e otto adattamenti. Il suo tentativo di assumere la direzione dell’importante Theater am Turm di Francoforte fallisce dopo la stagione del 1974, quando la sua ultima e controversa opera teatrale I rifiuti, la città e la morte (Der Müll, die Stadt und der Tod) viene ritirata. Da allora in poi lavora soprattutto per il cinema. Rainer Werner Fassbindernel suo teatro fa a pezzi l’eredità culturale di autori come Sofocle, Lope de Vega o Goethe, spingendosi all’eccesso e con un uso della fantasia che ha qualcosa di violento. Ne sono esempio l’adattamento da La bottega del caffè (Das Kaffehaus, 1969) di Goldoni, o quello da Lope de Vega, Il villaggio in fiamme (Das brennende Dorf), rappresentato a Brema con la regia di P. Raben (1970). Altri modelli come Gay, Jarry o Fleisser vengono da lui rielaborati con effetti meno dirompenti.

Nel complesso le caratteristiche del suo linguaggio teatrale, le già citate tecniche di straniamento come, per esempio, il rallentamento nei ritmi della recitazione, tendono a una verità che non è quella del naturalismo. Per quanto riguarda la politica, cita volentieri l’anarchismo, non senza sottometterlo a un trattamento critico che può condurre alla farsa come in Anarchia in Baviera (Anarchie in Bayern, 1969). L’ordinaria crudeltà dei rapporti interumani, i comportamenti che, nella società dei consumi, portano i più deboli a essere divorati (come i lavoratori stranieri in Katzelmacher ), viene svelata in modo quasi metodico e la violenza viene vista circolare sordidamente nei gruppi maggioritari, non tanto come evento drammatico ma in modo quasi meccanico. In opere come Preparadise sorry now , del 1970, o Sangue sulla gola del gatto (Blut am Hals der Katze, 1972), carnefici e vittime si scambiano i ruoli in una società massificata. Le lacrime amare di Petra von Kant (Die bitteren Traulmnen der Petra von Kant, 1971), uno dei suoi testi più noti e rappresentati, da cui nel 1972 trae un film interpretato da Margit Carstensen, mostra come la protagonista riproduce, nella sua relazione omosessuale, i rapporti di prevaricazione da cui ha voluto prendere le distanze nel suo rifiuto della società patriarcale. Diversamente, e in maniera provocatoria, l’assassina di Libertà a Brema (Bremer Freiheit), sempre del 1971, che avvelena genitori, figli, marito e amanti, è giustificata come un’eroina della lotta delle donne. In ultima analisi, con la sua volontà di mettere alla prova la validità dei sentimenti umani, Rainer Werner Fassbinder ci si presenta come un moralista che propone il coraggio di formulare l’angoscia come prima apertura verso un nuovo modo di vivere.