Fabre

Jan Fabre è nipote del grande entomologo Jean-Henri Fabre. Fin da giovanissimo è protagonista di ‘soli’ di arte performativa. A ventun anni dirige il suo primo spettacolo (Theatter geschreven met een K is een kater , ad Anversa) cui segue, nel 1982, This is theatre like it was to be expected and foreseen (Bruxelles). Celebre per l’uso della Bic blu con cui disegna soggetti onirici e colora carta, stoffe, legno e altri materiali, nella sua carriera d’artista espone, crea installazioni, rielabora ambienti in tutto il mondo. Nel 1984 debutta alla Biennale di Venezia con The power of theatrical madness e, a Documenta 8 (a Kassel) presenta Dance Sections, uno studio preliminare alla realizzazione di Das Glas im Kopf wird vom Glas (coreografia del 1990 per la De Vlaamse Opera di Anversa, musiche di Eugeniusz Knapik). Dopo Prometheus Landscape (1988), nel 1989 mette in scena The interview that dies, The Palace at four o’clock in the morning e The reincarnation of God , scritti nella seconda metà degli anni ’70. Su frammenti musicali di Knapik, Bernd Zimmermann e i Doors, nel ’90 allestisce il balletto The sound of one hand clapping (Francoforte). Tra il ’91 e il ’97 lavora, tra l’altro, a Silent Screams, Difficult Dreams (Documenta IX, Kassel, 1992) e alla trasfigurazione concettuale del corpo umano con la trilogia Sweet Temptations , Universal Copyright 1 & 9 e Glowing Icons . Interdisciplinare e irriducibile sperimentatore, contamina con spregiudicata e originale sintesi le sintassi dei diversi generi espressivi a cui si accosta sulla scorta delle suggestioni surreali di Magritte e Dalì e della lezione di Duchamp. Con gli scarabei e gli insetti che ricorrono in tutte le sue produzioni (dal teatro alla performance alle suggestioni figurative degli inchiostri o penne biro su vari materiali) lavora sulle qualità percettive e ri-creative di archetipi come il labirinto e la metamorfosi, alla ricerca della vita e della libertà rigenerativa sprigionata dall’elaborazione del deteriore e degli scarti.