Dullin

Allievo di Copeau, D. si ricorda spesso come un grande scopritore di talenti e un grande maestro, soprattutto d’attori. Dopo una serie di lavori disparati a Lione si trasferisce a Parigi dove si fa le ossa recitando nel melodramma (piccole parti all’Odéon con Antoine nel 1903), allora in voga e, ritornato a Lione, per sopravvivere, recita addirittura versi di Baudelaire nelle gabbie delle bestie feroci allo zoo. Ritornato a Parigi, nel 1915, interpreta quello che può essere definito il suo primo, grande ruolo: è Smerdiakov in I fratelli Karamazov di Dostoevskij, adattamento di J. Copeau accanto al quale parteciperà ai primi anni del Vieux-Colombier. Lasciato Copeau, nel 1921, fonda in place Dancourt l’Atelier, alla cui scuola si formeranno, fra gli altri, A. Artaud, J.L. Barrault, E. Decroux. Qui e in alcuni scritti teorici molto importanti ( Ricordi e note di lavoro di un attore e Sono gli dei che ci occorrono ) sottolinea la sua esigenza di un teatro che sia impegno costante, non un’imitazione della realtà ma una trasposizione della natura. Di questa natura l’attore è il mediatore con tutto se stesso. Anche una camminata, il modo di entrare in scena, infatti, contribuisce, secondo D. alla qualità dell’interpretazione, all’individuazione del personaggio. Ma prima dell’interprete – anche per D. – come del resto, per Copeau, viene l’autore. E lamenta che lo scrittore di teatro elabori a tavolino le proprie storie senza alcun legame con la vita della scena. Proprio perché li critica così apertamente è pronto a riconoscerne la novità avendo anche il coraggio di rappresentarli. Recita classici come Corneille, Molière (giustamente famoso il suo Avaro che reciterà fino all’ultimo quando ormai il cancro di cui soffre – morirà in un ospedale di Parigi – non gli lascia più alcuna speranza) o come Shakespeare ( Riccardo III , ma anche uno sconvolgente, terribile Re Lear ) e Ben Jonson (indimenticabile la sua interpretazione del Volpone , diventata anche un film, in cui è possibile vederlo nel ruolo di Corbaccio). Attore non certo aiutato dall’aspetto fisico (gambe corte e spalle squadrate da montanaro, una voce aspra, quasi gracchiante, ma dalla dizione perfetta), D. diventa regista per sperimentare da vicino tutte le possibilità del lavoro teatrale, facendosi anche sulla scena maestro dei giovani che si sono formati alla sua scuola e che spesso gli recitano accanto. Il suo repertorio è vastissimo e spazia dai classici come Shakespeare, Ben Jonson, Molière, Calderón, Balzac ai contemporanei come Sartre (di cui mette in scena in una serata arroventata Le mosche nel 1943), Salacrou e Pirandello che ha contribuito, con alcune regie rimaste famose, a fare conoscere in Francia (fra tutte forse la più nota è quella per Il piacere dell’onestà , 1922, ambientata in una stanza ad angolo acuto con il pavimento che riproduce una scacchiera, e Ciascuno a suo modo ripreso nel 1937 per la Comédie Française).