D’annunzio, Gabriele

Gabriele D’annunzio, autore de Il piacere e de La pioggia nel pineto

Esteta e superuomo, autore de Il piacere e La pioggia nel pineto, Gabriele D’Annunzio è tra i poeti che più hanno segnato la letteratura italiana di fine 800 e inizio 900.

Gabriele D’Annunzio è, insieme a Giovanni Pascoli, il principale esponente del Decadentismo italiano. Originario di Pescara, ha un ruolo fondamentale nella sua vita e nella sua poetica la città di Roma, dove l’autore scopre e nutre il suo amore per il lusso e la vita mondana, e dove scrive il suo romanzo più noto Il piacere. Soprannominato il Vate, cioè “poeta sacro, profeta”, occupò una posizione preminente nella letteratura e nella vita politica italiana di fine 800 e inizio 900.

Gabriele D’annunzio biografia: gli esordi letterari e Il piacere

Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia più che benestante. Già dai primi studi mostra subito un grande interesse per la letteratura ed è proprio negli anni del collegio che pubblica la sua prima raccolta di poesie, Primo Vere. Si trasferisce a Roma per frequentare l’università, ma il periodo romano sarà soprattutto un periodo di lavoro giornalistico e di vita mondana nei salotti letterari e aristocratici. 

Il grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere. Incentrato sulla figura dell’esteta decadente, rompe con i canoni estetici del naturalismo e del positivismo allora imperanti.

La vita che conduce a Roma lo sommerge di debiti e per scappare ai creditori comincia un periodo di viaggi per la Penisola. Giunto a Venezia conoscerà colei che diventerà il grande amore della sua vita, la bellissima attrice Eleonora Duse.

L’incontro con Eleonora Duse

Fino al 1894, l’attività di Gabriele D’Annunzio alternò opere di poesia con opere di narrativa. L’incontro con Eleonora Duse fu determinante per l’attività di autore teatrale, e soprattutto per il teatro italiano che stentava a rinnovare un repertorio ormai logoro e ripetitivo. Insieme a Eleonora Duse, cominciò ad approfondire la lettura dei classici. Orestea, Edipo, Antigone e Fedra rappresentano le tappe più significative di un percorso di ricerca destinato a sviluppare l’idea di una tragedia moderna, modellata su suggestioni contemporanee.

Eleonora Duse, la musa di Gabriele D’annunzio
Eleonora Duse, la musa di Gabriele D’annunzio

Con Sogno di un mattino di primavera (1897) e Sogno d’un tramonto d’autunno (1901), veri e propri capolavori di sperimentazione scenico-linguistica, D’Annunzio contribuisce in maniera determinante a inserire il teatro italiano nel clima europeo dominato dalle figure di Claudel, Strindberg, Ibsen, Hofmannsthal, Wedekind e Schnitzler. Con i due Sogni, scelse la via del teatro patologico: costruito su una struttura onirica, carico di colori, con personaggi che si muovono ai limiti di una follia che, a volte, si tinge di panismo, a volte di soluzioni metamorfiche, altre di passione. La figura della Demente e della Dogaressa anticipano, oltre che altre creature dannunziane, anche quelle del teatro espressionista, in quanto vivono situazioni d’incubo, di sogno, di magia. Si muovono sul palcoscenico come fiere prese nella rete: hanno gli occhi smarriti, il volto esangue, i capelli scarmigliati, la carne che vibra.

Un avanguardismo particolare, dunque, che ritroviamo ne La città morta (1898), andata in scena al Teatro Lirico (1901, con la Duse e Zacconi), certamente il tentativo più esplicito di coniugare la tragedia ellenistica con quella moderna.

I testi teatrali di Gabriele D’Annunzio

La Duse, intanto, gli aveva fatto conoscere il teatro di Ibsen, sulla cui fascinazione modellò La Gioconda (1899). Seguono due tragedie che alla prima rappresentazione fecero molto scalpore: La Gloria (1899) e Francesca da Rimini (1902). Due insuccessi ai quali seguirono due grandi vittorie: La figlia di Jorio (1904) e La fiaccola sotto il moggio (1905). Il successo della compagnia Talli, a Milano, fu straordinario. La Duse si trovava all’Eden Palace di Genova, per gli amici ammalata; in verità recitava la tragedia che era stata scritta per lei all’amica Matilde Serao, con tanta rabbia per essere stata esclusa.

Un anno dopo il successo de La figlia di Jorio, sempre al Teatro Lirico, andò in scena La fiaccola sotto il moggio. Tra fiaschi, incertezze e trionfi seguirono Più che l’amore (1906) e La nave (1908). Il ritorno al mito classico e al mito cristiano avviene con Fedra (1909) e Le martyre de Saint Sébastien(1911). Tra le ultime composizioni: Parisina (1921), La pisanella (1913). Il ferro (1914) può essere senza dubbio considerata una delle sue più belle tragedie, non solo per come tratta l’argomento dell’incesto, ma anche per uno stile e un linguaggio più trattenuti.

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