Orson Welles

Considerato uno degli artisti più versatili e geniali del Novecento, Orson Welles ha da sempre tentato di stupire il suo pubblico.

Orson Welles è stato un attore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense. Considerato uno degli artisti più versatili e geniali del Novecento, ha da sempre tentato di stupire il suo pubblico. Che si trattasse di gettare il panico leggendo via radio La guerra dei mondi di H. G. Wells o di realizzare a soli 25 anni uno dei più grandi film della storia della settima arte, Quarto potere.

Orson Welles in teatro e in radio

Genio eccessivo e precoce, Orson George Welles esordisce in teatro all’età di sedici anni, interpretando la parte del duca di Wurtemburg in Süss l’ebreo, al Gate Theatre di Dublino. Inizia da qui il suo viaggio verso notorietà. Dopo le prime difficoltà incontrate per riuscire a lavorare sulle scene di Londra e Broadway e dopo una serie di viaggi in giro per il mondo, Welles riesce ad entrare nella compagnia di Katherine Cornell. Debutta così a 19 anni a Broadway in un Romeo e Giulietta nel ruolo di Tibaldo.

La sua versione radiofonica di La guerra dei mondi di H.G. Wells nel 1938 crea involontariamente un’ondata di panico nazionale. Il fatto denuncia, agli occhi dei più attenti osservatori della società di massa, le potenzialità manipolatorie dei media sulle reazioni emotive e sui comportamenti collettivi.

Prima di investire nel cinema le sue eccezionali risorse, firma due controversi spettacoli, che fecero scalpore e lo resero famoso poco più che ventenne: un Macbeth `voodoo’ interpretato da attori neri per il Negro People’s Theatre di New York nel 1936. E, l’anno dopo, un Giulio Cesare trapiantato nell’Italia fascista per il Mercury Theatre, da lui fondato con John Houseman.

Orson Welles a Hollywood: Quarto potere e L’orgoglio degli Amberson

Ormai famoso, Welles viene scritturato dalla compagnia cinematografica RKO, con la quale stipula un contratto a dir poco incredibile per un regista esordiente come lui. Welles potrà produrre, dirigere, scrivere e interpretare due film per 225.000 dollari oltre ad una percentuale dei profitti e, soprattutto, in totale libertà.

Orson Welles inizia la produzione di Quarto Potere, considerato uno dei film più belli della storia del cinema, la cui regia innovativa ha influenzato intere generazioni di registi.

Quarto potere di Orson Welles
Quarto potere di Orson Welles

Da allora la sua carriera fu una lotta incessante tra un talento artistico smisurato e le logiche asfissianti dell’industria cinematografica. Nel 194 esce L’orgoglio degli Amberson, disconosciuto dall’autore stesso perché la produzione tagliò quarantatré minuti di pellicola montandone una nuova versione senza la supervisione del regista che, con risentimento, abbandonò Hollywood per andare in Europa.

Il Macbeth e l’addio a Hollywood

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Welles ritorna alla regia con Lo Straniero, prodotto dal produttore indipendente Sam Spiegel e con La Signora di Shangai in cui spicca la splendida interpretazione di Rita Hayworth (all’epoca ancora sua moglie).

Nel 1948 esce Macbeth il primo film della trilogia dedicata a Shakespeare seguito dall’ Otello del 1952 e dal Falstaff del 1966. Ma il Macbeth si rivela l’ennesimo insuccesso commerciale e allontana quasi definitivamente Welles da Hollywood.

Otello di Orson Welles
Otello di Orson Welles

I riconoscimenti arrivano invece dal Vecchio Continente: l’Otello, film girato in tre anni, abbandonato e ripreso più volte per una serie di incredibili disavventure, tra produttori falliti e sequestri dei negativi, vince il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes. Nel 1958 è la volta di un altro capolavoro, L’Infernale Quinlan, rimontato contro i voleri del regista. Nel 1963 Welles gira Il Processo tratto dal romanzo di Kafka.

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Woody Allen

Anthony Philip Hopkins

Wilder

Thornton Wilder cominciò ad accostarsi al teatro con due raccolte di atti unici, pubblicate rispettivamente nel 1928 e nel 1931. Della seconda faceva parte – e le dava il titolo – Il lungo pranzo di Natale (The Long Christmas Dinner) che, condensando in un’ora novant’anni di banchetti natalizi, raccontava la storia di una famiglia, preannunciando modi e temi delle opere maggiori. In una scena che consisteva soltanto di un lungo tavolo con relative sedie e due porte, l’una inghirlandata di fiori e l’altra parata a lutto, si sviluppava la piccola saga dell’uomo comune con le sue gioie e le sue tristezze.

Il discorso rimase sostanzialmente lo stesso nella sua commedia più famosa, Piccola città (Our Town, 1938), che descriveva le piccole vite di una cittadina di provincia, e soprattutto le nozze e la morte di una ragazza; ma le vicende erano epicizzate dalla presenza in scena di un regista che le presentava e commentava, e passavano fluidamente dal mondo dei vivi a quello dei morti, con risultati di notevole suggestione che rendevano meno ovvio lo scoperto elogio degli ideali piccolo borghesi.

A una teatralità dichiarata si richiamava pure La famiglia Antropus (The Skin of Our Teeth, 1942), che ricostruiva il tribolato cammino dell’umanità dall’età della pietra in poi, evitando i pericoli della retorica predicatoria, grazie all’uso di tecniche mutuate dal teatro di varietà e al continuo intreccio fra passato e presente. Il suo terzo successo, La sensale di matrimoni (The Matchmaker), si ispirava a una commedia di Nestroy: fu un fiasco nella prima versione del 1938 (dal titolo The Merchant of Yonkers), piacque nell’edizione definitiva del 1954 – che non era molto più di una farsa ben scritta e ben costruita – e trionfò dieci anni dopo, tradotto in musical col titolo Hello, Dolly! . Irrilevanti furono invece i drammi successivi, fra i quali Una vita nel sole (A Life in the Sun, 1955) che rielaborava il mito di Alcesti.

Whitelaw

Billie Whitelaw comincia la sua carriera, ancora bambina, lavorando per la radio: viene presto notata e scritturata dalla Bbc di Manchester per un lavoro semiprofessionale in “Children’s Hour”. Tra le sue esperienze precoci va ricordato il breve periodo passato presso la compagnia del Bradford Civic Playhouse di J.B. Priestley, dove viene seguita dalla talent scout Esmé Church e inserita in un gruppo di giovanissimi esordienti, tra cui il futuro regista William Gaskill. Debutta in senso proprio in teatro nel 1948 a Leeds, nella compagnia di Harry Hanson (Denaro facile). Nel 1954 è alla Oxford Playhouse, diretta da Peter Hall insieme a Michael Bates, Derek Francis e Tony Church. I primi anni ’60 la vedono nella compagnia di Olivier all’Old Vic (allora sede del National Theatre), accanto a Edith Evans, Joan Plowright, Michael Redgrave, Rosemary Harris.

Nel 1964, per la regia di George Devine e al cospetto della silenziosa presenza dell’autore, interpreta il suo primo personaggio beckettiano in Commedia (Play). Nonostante le numerose apparizioni al National Theatre e con la Royal Shakespeare Company, è soprattutto nota come eccezionale interprete dei testi di Samuel Beckett: nessuno riuscì come lei a intendere e dominare le speciali qualità del suo teatro. Dieci anni dopo la prima collaborazione, con alle spalle numerosi successi, Anthony Page – su indicazione di Beckett – le offre la parte di Bocca (Mouth) in Non io (Not I), dramma che l’autore aveva scritto pensando espressamente alla sua presenza vocale. In seguito darà corpo e voce ad altri personaggi beckettiani, recitando in Passi (Footfalls, 1976), Giorni felici (1979), Dondolo (Rockaby, 1982) e Abbastanza (Enough, 1982). Nel 1987 fa la sua ultima apparizione in teatro nelle vesti di Martha nel dramma di Albee Chi ha paura di Virginia Woolf?.

Warrilow

A 36 anni David Warrilow decide di abbandonare la casa editrice francese per cui lavora per dedicarsi al teatro. Nel 1970 lascia Parigi per New York, dove fonda – assieme a Philip Glass, Lee Breuer, Jo Anne Akalaitis e Ruth Maleczech – il gruppo dei Mabou Mines. Rimane con loro fino al 1978, interpretando diversi spettacoli: Play di Beckett (1970); The red horse animation ; Music for voices ; The lost ones ; Dressed like an egg ; Southern exposure. W. è considerato l’interprete beckettiano per eccellenza «lo Stradivari della lingua di Beckett»; il drammaturgo irlandese scrive apposta per lui Un pezzo da monologo (A piece of monologue presentato con il titolo Solo , al Teatro Festival di Parma nel 1988), che l’attore porta in scena per la prima volta nel 1979.

Di Beckett interpreta anche: Ohio impromtu (1981, con la regia di Alan Schneider). Catastrophe; What Where; That time; L’ultimo nastro di Krapp (Milano, Teatro Arsenale, 1990); Aspettando Godot (1991, regia di J. Jouanneau, Parigi, Théâtre Amandiers-Nanterre; nello stesso anno è presentato a Milano, Crt-Piccolo Teatro). Nel corso degli anni ’80 recita in: Come vi piace di Shakespeare (regia di Liviu Ciulei); Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais; Il conte di Montecristo da Dumas, rielaborato dal regista Peter Sellars; The Golden Windows , regia di Robert Wilson (Brooklin Academy of Music, 1985); Minetti di T. Bernhard (Festival d’Automne, Parigi 1988); I fratelli Tanner, dal romanzo di Robert Walser, regia di J. Launay (1990). Al cinema ricordiamo la sua partecipazione a Radio Days di Woody Allen (1987).

Weil

Raro esempio di coerenza teorica e di vita, Simone Weil può essere considerata una delle voci più originali della riflessione filosofica del Ventesimo secolo. Le sue esperienze di vita, come il lavoro da operaia in una fabbrica Renault (1933-34), il tentativo di arruolarsi fra gli anarchici spagnoli (1936), la conversione al cristianesimo (dopo un viaggio ad Assisi nel 1937), la militanza nella resistenza francese in esilio, hanno segnato la sua riflessione teorica, ancorandola fortemente al sociale e alla critica di ogni totalitarismo. Tra i suoi scritti, pubblicati postumi, sono da ricordare La condizione operaia, i Quaderni e Oppressione e libertà . Per il teatro ha scritto una tragedia in tre atti, Venezia salva (Venise sauvée), la cui stesura, cominciata nel 1940, purtroppo non fu mai terminata a causa della prematura scomparsa della scrittrice. L’opera, che si basa sulle cronache di Saint-Réal sulla congiura degli Spagnoli per impadronirsi della Serenissima, uscì postuma nel 1955 e, in Italia, è stata allestita da Luca Ronconi (1994).

Watt

Formatasi con Lichine, Angiola Sartorio, Nagrin e Limón alla University of California, nel 1972 Nina Watt entra nella compagnia di Limón. Qui interpreta tutto il repertorio (There is a Time, Dances for Isadora, The Moor’s Pavane ), oltre a titoli di Humphrey, Weidman, Sokolow, Nagrin, Linke, Jooss, Kylián. Ben nota internazionalmente come docente di tecnica Limón, è invitata anche in Italia per conferenze-dimostrazioni. Nel 1995 rimonta una sezione di There is a Time per la Compagnia del Teatro di Torino diretta da Loredana Furno.

wayang

Wayang è un termine che indica un gran numero di forme teatrali dell’Indonesia, paese estremamente ricco di tradizioni spettacolari che nel nostro secolo hanno affascinato e influenzato diversi artisti occidentali, in particolare Artaud. Come nella maggior parte delle tradizioni orientali, recitazione, canto, musica, tecniche del corpo sono inscindibili; ciò nondimeno i wayang si distinguono in base al mezzo spettacolare: marionette, maschere, attore senza maschera. Tutti i wayang hanno un ‘dalang’ (marionettista o narratore) e sono accompagnati dal gamelan, un’orchestra di strumenti a percussione, prevalentemente gong e campane, accordati fra loro, cui si affiancano a volte cantanti, una sorta di liuto detto `rebab’ e flauto.

Le storie narrate provengono: dai due cicli classici del Mahabharata e del Ramayana, indicati nella tradizione indonesiana dal termine `purwa’ (originali); dal ciclo Panji , un principe giavanese in cerca di un amore perduto; da Amir Hamzah, leggenda riguardante un antico re arabo. Il termine wayang deriva forse da `bayang’ (ombra) e il teatro delle ombre giavanese, `wayang kulit purwa’, è la più antica forma di rappresentazione in Indonesia e di origine presanscrita, benché, come indica il termine `purwa’, il suo repertorio si basi sull’epica indiana. In origine era probabilmente una rappresentazione sciamanica, in cui venivano evocati gli antenati sotto forma di ombre per comunicare con i loro discendenti; l’elemento della trance, della possessione è costitutivo di questa come di molte altre forme teatrali indonesiane e soprattutto balinesi.

Nel `wayang kulit’, il `dalang’ manovra abilmente delle marionette di cuoio (`kulit’ significa appunto cuoio) dietro uno schermo di tela, che sono illuminate in modo da proiettarvi la propria ombra. Diffuso a Bali e Giava nel X secolo, ha mantenuto a Bali (si ritiene) lo stile più antico, più realistico rispetto a Giava dove, probabilmente per l’influsso islamico che proibiva immagini umane, le marionette sono più astratte. La rappresentazione tipica, preceduta e inframmezzata da elementi rituali, inizia tardi la sera e continua fino alle prime ore del giorno: inizia con una narrazione rituale, seguita dalla `danza dell’albero della vita’, simbolo della creazione; poi l’azione mostra in genere sovrani in conflitto, raggiungendo il climax con una battaglia che porta alla sconfitta del cattivo Cakil.

Altri generi diffusi di wayang legati a marionette sono: `wayang klitik’ (marionette di legno bidimensionali) e `wayang golek’ (marionette di legno tridimensionali; risale al XVI secolo); `wayang wong’ (marionetta umana, con gesti altamente stilizzati e talvolta maschere, a imitazione delle marionette). Molte forme di teatri d’ombre e di marionette di paesi vicini derivano probabilmente dal `wayang kulit purwa’ indonesiano: vanno ricordate almeno le tradizioni di Thailandia (`nang talung’ e `wayang siam’), Cambogia, Malesia (`wayang malayu’). Per gran parte delle forme spettacolari indonesiane vale la differenziazione fra tradizione giavanese – più astratta, sviluppatasi in seguito all’islamizzazione – e quella di Bali, fiorita all’ombra della corte induista, rimasta al potere in un sostanziale isolamento fino al nostro secolo.

Le forme balinesi più note oggi in Occidente, oltre alla variante locale di teatro delle ombre (`wayang parwa’), sono: il `wayang topeng’ (maschera), teatro mascherato, sviluppato a Bali nel XVII secolo, la cui forma più antica è il `topeng pajegan’, prevede un singolo attore con cinque diverse maschere, che all’inizio della rappresentazione egli pone in un cesto davanti al gamelan e che indossa una dopo l’altra, cambiandole man mano che cambia personaggio fino all’ultima (più recente il `topeng panca’ , dove gli attori sono cinque); il `legong’, danza affidata tradizionalmente solo a bambine, accompagnate dal gamelan; il `gambuh’, teatro danza sviluppato presso la corte hindu-buddista che resse Bali dal XVI secolo; il `baris melampan’, forma strutturatasi progressivamente attorno al `baris’, danzatore che rappresenta il guerriero. Va ricordato pure il `barong’ , creatura mitica simile al leone (e forse derivato dal leone cinese), al centro d’una rappresentazione che mostra un conflitto fra questi – enorme corpo-maschera animato da due attori ben coordinati, di cui uno controlla la testa, che può aprire la bocca, e l’altro la coda – e la strega Rangda, che si muove poco, guarda attraverso occhi bulbosi e terrificanti e lancia formule magiche.

Wallmann

Dopo aver studiato danza all’Opera di Vienna, Margarete Wallmann si è perfezionata a Parigi con la Preobrajenska. Ha fondato una scuola di danza a Berlino negli anni ’30; in quegli stessi anni debuttava come regista (Orfeo ed Euridice di Gluck) e coreografa al festival di Salisburgo, anche in spettacoli di Max Reinhardt. Le due attività saranno poi quasi inscindibili nel suo percorso artistico: particolarmente in Italia, dove debuttò nel 1937 al Maggio musicale fiorentino e alla Scala. Durante la guerra fu direttrice del balletto al Colón di Buenos Aires. Rientrata in Europa fu di nuovo alla Scala, anche come direttrice del corpo di ballo, creando alcune novità come Vita dell’uomo di Savinio (1958). Dal 1952 si è dedicata principalmente alla regia operistica, curando peraltro all’interno degli spettacoli d’opera i divertissements coreografici.

Wekwerth

Dopo alcuni allestimenti con un gruppo amatoriale (I fucili di madre Carrar di Brecht) Manfred Wekwerth è chiamato a lavorare al Berliner Ensemble. Allievo, poi assistente e collaboratore di Brecht, con lui firma nel 1954 la sua prima regia (Il cerchio di gesso del Caucaso); assieme a Peter Palitzsch dirige Il furfantello dell’ovest di Synge (1956) e La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht (1959). Dal 1960 al ’69 è primo regista del Berliner Ensemble; realizza numerosi allestimenti in collaborazione con registi quali Joachim Tenschert e Benno Besson (I giorni della Comune , 1962; Coriolano, 1964; Santa Giovanna dei macelli, 1968). Sue messe in scena, come quella del Riccardo III di Shakespeare o de L’anima buona di Sezuan di Brecht, vengono presentate anche all’estero (Zurigo, Vienna). Chiamato a dirigere (1975) l’Institut für Schauspielregie di Berlino, nel 1977 è nominato intendente del Berliner Ensemble, succedendo a Ruth Berghaus; tra i suoi allestimenti più significativi, Vita di Galilei (1978) e la Turandot di Brecht (1981). Dopo la riunificazione, sotto la pressione del senato di Berlino, è costretto a presentare le dimissioni, malgrado le proteste di molti registi anche occidentali (Peter Zadek tra gli altri); la sua ultima regia al Berliner Ensemble è Schweyk nella seconda guerra mondiale di Brecht.

Wakhevitch

Conclusi gli studi artistici, Georges Wakhevitch debutta come scenografo con Le roi Camelot di M. Rouf (Parigi, Théâtre de l’Oeuvre 1927), interessandosi in seguito prevalentemente al cinema. Ritorna al teatro nel 1935, collaborando con Ducreux e Roussin (Macbeth di Shakespeare e La sconosciuta di Arras di A. Salacrou; Marsiglia, Le Rideau Gris, stagione 1935-36) e, dopo aver allargato la sua attività anche al balletto e all’opera, consacra il suo successo con la realizzazione del Così fan tutte di Mozart, primo spettacolo del festival di Aix-en-Provence (1948). Con uno stile solidamente costruttivo risolve la simultaneità dell’azione drammatica senza togliere emotività e suggestione all’ambiente scenico, come accade per Il console di Menotti (Scala 1951), per la ‘veduta d’angolo’ di Sud di J. Green (Parigi, Athénée 1953) e per l’essenziale allestimento a due livelli dei Dialoghi delle Carmelitane di Poulenc (regia di M. Wallmann, Scala 1957). Dopo un Simon Boccanegra (regia di F. Enriquez; Verona, Arena 1973) dall’impianto scenico meccanicizzato, ma con atmosfere tra il metafisico e il surreale, gli ultimi lavori (Otello di Verdi: Berlino, Deutsche Oper, stagione 1975-76; Pagliacci di Leoncavallo: Scala 1977) lasciano più spazio al consueto gusto per i riferimenti pittorici, come nei fastosi costumi per il Don Carlos di Verdi (regia di H. von Karajan, scene di G. Schneider-Siemssen; Salisburgo 1979).

Wegener

Paul Wegener studia diritto a Lipsia, dove si forma anche come attore. Dopo il debutto a Rostock (1895), nel 1906 è scritturato da Max Reinhardt al Deutsches Theater di Berlino; fra le sue interpretazioni più celebri, Mercuzio in Romeo e Giulietta di Shakespeare (1907) e Mefistofele nel Faust di Goethe (1909). Dal 1937 al ’41 recita allo Schiller Theater di Berlino con Heinrich George e, dopo il 1942, con Gustaf Gründgens al Teatro nazionale; lavora anche con Piscator e Fehling. Sceneggiatore e regista cinematografico, collabora a opere di ispirazione nazista, pur non impegnandosi in prima persona nella politica culturale del regime hitleriano. Attore di forte temperamento tragico, coltivò – come scrive Herbert Ihering – «una concezione totalizzante dell’arte e intese il teatro sempre in rapporto diretto con le altre forme espressive».

Wood

Formatasi con Josephine Schwarz a Dayton, Donna Wood debutta con la Dayton Contemporary Dance Company. Si perfeziona poi al Dance Theatre of Harlem, per entrare in seguito nell’Alvin Ailey American Dance Theatre (1972) dove, con la sua intensa presenza e le sue straordinarie doti plastiche, è interprete di spicco del repertorio della compagnia e ispiratrice del grande coreografo afroamericano.

Wesker

Ebreo (il padre emigrato russo, la madre ungherese), di estrazione operaia, Arnold Wesker ha raggiunto grande notorietà con la trilogia composta da Brodo di pollo con l’orzo (Chicken Soup with Barley, 1958), Radici (Roots, 1959) e Parlo di Gerusalemme (I’m Talking about Jerusalem, 1960), parabola di una famiglia ebraica di comunisti, i Kahn, dal più acceso impegno politico a un disilluso e apatico conformismo. Nella prima commedia le vicende familiari si intrecciano con tre momenti cruciali della storia del movimento operaio, nell’arco di un ventennio: la marcia dei fascisti sull’East End (1936), la fine della guerra e la vittoria dei laburisti (1946) e i tragici fatti d’Ungheria (1956). In Radici Ada Kahn decide di trasferirsi in campagna col marito e vivere di lavoro artigianale, sottraendosi al sistema produttivo capitalistico e all’impegno sociale diretto. L’esito di questa scelta sarà scontato, ma ancora in Parlo di Gerusalemme e nel successivo Patatine di contorno (Chips with Everything, 1962) è viva la fiducia nella funzione maieutica dell’intellettuale, capace di dare una coscienza politica alla classe operaia; proprio in questa ottica Wesker fonda, insieme a Doris Lessing e Shelagh Delaney, il Center 42, organo per lo sviluppo culturale dei lavoratori.

Dopo questa prima fase Wesker non ha più ritrovato la capacità d’impatto e la forza espressiva con cui questi lavori sapevano rendere il conflitto uomo-società; opere come Le quattro stagioni (The Four Seasons, 1965) e Una città dorata tutta per loro (Their Very Own and Golden City, 1965) scadono spesso nella retorica, nella ricerca dell’effetto poetico. Negli ultimi vent’anni l’esperienza drammaturgica di W. ha tentato strade diverse, dalla ricerca della comicità con La festa di matrimonio (The Wedding Feast, 1974) al montaggio di tipo cinematografico in I giornalisti (The Journalists, 1981), Lady Othello (1987) e Quando Dio voleva un figlio (When God Wanted a Son, 1989). Un felice esperimento sono stati gli Atti unici per donne sole (One-Woman-Plays), monologhi drammatici per un’attrice raccolti in volume nel 1989.

Wiesenthal

Formatasi alla Scuola di Ballo dell’Opera di Vienna, dopo aver danzato nel suo corpo di ballo dal 1901 al 1907, insieme alle sorelle Elsa e Berta, Grete Wiesenthal ha avviato la sua carriera di danzatrice e coreografa moderna in recitals presentati in tutto il mondo. Interprete teatrale di autori come il poeta Hugo von Hofmannsthal e Max Reinhardt (con il quale ha creato il ruolo dello sguattero nella prima produzione di Ariadne auf Naxos di Richard Strauss, 1912), ha collaborato come coreografa per oltre trent’anni con il festival di Salisburgo, dedicandosi anche all’insegnamento presso la sua scuola e il Dipartimento di danza dell’Accademia di musica di Vienna, che ha diretto dal 1945 al 1952. Si è imposta sulla scena della danza mitteleuropea per la personale rivisitazione del valzer viennese, nel quale ha saputo trasferire le influenze della danza libera di Isadora Duncan e ha tradotto in movimenti continui quanto di fluente, vibrante e ondeggiante c’è in quella misura musicale, elaborando per questo una tecnica speciale, basata sulla danza classica ma arricchita dall’innovazione del dualismo tra sospensione e equilibrio. Tra le molte coreografie si ricordano gli `schizzi viennesi’ ispirati ai valzer della famiglia Strauss (Die Liebenden, Wein Weib un Gesand, Rosen aus Dem Süden) nonché Der Tod und Das Maulmdchen (musica di Schubert), ripresi con successo dal Balletto della Staatsoper di Vienna in occasione del centenario della sua nascita.

Wood

Tutta l’opera di Charles Wood è fortemente influenzata dall’esperienza militare, a cominciare da Prigioniero e scorta (Prisoner And Escort, 1963). In Dingo (1967), ambientato in Africa durante la seconda guerra mondiale, si intrecciano due visioni: quella di un ufficiale che vive il conflitto come una partita di tennis, e quella dei soldati che non combattono per avanzare di grado ma unicamente per sopravvivere. Ancora in H: monologhi di fronte a città incendiate (H: Being Monologues at Front of Burning Cities, 1969) la guerra appare solo come un mezzo al servizio del potere, e tutto il resto è un autoinganno. Il mondo degli anziani è il tema di Pasti a rotelle (Meals on Wheels, 1965), lo show-business di Riempi il palcoscenico di ore felici (Fill the Stage with Happy Hours, 1967): temi che, insieme a quello consueto della guerra, sono riuniti in Veterani (Veterans, 1972), senza però raggiungere la forza delle pièces precedenti. Seguono Il giardino (The Garden, 1982), Stella rossa (Red Star, 1984) e Di fronte al giardino di Allah (Across From the Garden of Allah, 1986).

Wedekind

Figlio di un medico e di un’attrice, Frank Wedekind trascorre l’infanzia in Svizzera; studia germanistica e letteratura francese a Losanna, quindi, per desiderio del padre, legge a Monaco. Nel 1886-87 è responsabile dell’ufficio stampa e pubblicità della ditta Maggi a Zurigo; dopo la morte del padre sceglie di dedicarsi all’attività letteraria. Nel 1890 inizia la stesura di Risveglio di primavera (Frühlings Erwachen), che verrà rappresentato per la prima volta nel 1906 con la regia di Max Reinhardt. Vive a Berlino, Monaco, Parigi e Londra, frequentando gli ambienti della bohème artistica, la gente del circo e del varietà; si interessa alle figure eccentriche o marginali, agli asociali che gettano una luce critica su quella buona società che pone il denaro al vertice della propria scala di valori.

Ben presto in rapporto con l’avanguardia naturalista, nei suoi lavori ne prende decisamente le distanze, esprimendo uno spirito satirico che si nutre di ribellione e di anarchia; i temi ruotano essenzialmente attorno alla liberazione della sensualità dell’amore naturale, e alla lotta contro il comportamento inibito e falsamente moralista della borghesia. Collabora al giornale umoristico “Simplicissimus”, ridicolizzando il militarismo, il clericalismo e ogni genere di autorità; si esibisce, accompagnandosi alla chitarra, al cabaret di Monaco `Die elf Scharfrichter’ (Gli undici boia), in canzoni dallo stile amaro e corrosivo. Compone una quindicina di opere per il teatro, che mette in scena e in cui recita personalmente; a partire dal 1909 effettua numerose tournée.

Risveglio di primavera, a cui soprattutto deve (almeno in un primo tempo) la sua notorietà, è una tragedia dell’adolescenza, in cui gli slanci erotici dei giovani protagonisti si scontrano con la cecità della famiglia e il dispotismo della scuola. La sua struttura infrange il modello di concatenazione lineare della drammaturgia classica, con una successione di quadri che stanno tra loro in rapporto più o meno diretto e in cui la caricatura violenta coesiste con toni di carattere più lirico e melanconico. Lo spirito della terra (Erdgeist, 1895) e Il vaso di Pandora (Die Büchse der Pandora, 1904), in seguito fusi sotto il titolo Lulu , oppongono il demonismo femminile alla brutalità calcolatrice e dominatrice del maschio; Lulu spiazza le norme della fedeltà e della gratitudine, i riferimenti stabiliti del bene e del male. La morte dell’eroina per mano di Jack lo Squartatore ha la funzione di preservare l’utopia di un’emancipazione futura attraverso la piena conoscenza di una realtà che ancora la nega.

Il marchese di Keith (Der Marquis von Keith, 1901) tratta il tema dell’arte in rapporto al denaro e del desiderio in rapporto alla morale: una satira che oscilla tra didatticismo e grottesco. Altre opere sono Il cantante da camera (Der Kammers&aulm;nger, 1899), Re Nicolò, o Così va la vita (König Nicolo oder So ist das Leben, 1902), Hidalla (1904), Danza di morte (Totentanz, 1906), Musica (Musik, 1908) e Franziska (1912). L’importanza dell’opera di W., punto di riferimento per la generazione dell’espressionismo, è stata riconosciuta da spiriti tra loro diversi come Karl Kraus, Heinrich Mann e Bertolt Brecht.

Wertenbaker

Nel biennio 1984-85 Timberlake Wertenbaker è scrittrice residente al Royal Court Theatre. Come la maggior parte delle autrici teatrali, deve il suo successo e il riconoscimento del pubblico e della critica ad alcuni drammi storici, come Our Country’s Good (1988) che le ha portato l’assegnazione di ambiti premi (`L. Olivier Play of the Year’; `New York Drama Critics Circle Award’ per il miglior dramma straniero, 1991). L’esigenza di concentrarsi sulla storia è stimolata dalla necessità di stabilire una tradizione letteraria al femminile, riscoprendo drammi del passato sulle donne o scritti da donne, e interrompendo così l’egemonia maschile e il suo tramandarsi indiscusso. Tra le sue opere si ricordano: The Grace of Mary Traverse (1985), The Love of the Nightingale (Royal Shakespeare Company, 1989), Three Birds Alighting on a Field (1992). I suoi lavori di traduzione e adattamento comprendono testi di Marivaux, Anouilh, Maeterlinck, Sofocle, fino alla recente Ecuba da Euripide (San Francisco 1995).

Wethal

Nel 1964 a diciassette anni, finiti gli esami di maturità e rifiutato alla prova di ammissione della scuola teatrale di Oslo, Torgeir Wethal comincia a lavorare in un gruppo teatrale di dilettanti guidato da Erik Trummler che lo segnala, in un secondo momento, a Eugenio Barba, regista italiano e fondatore dell’Odin Teatret. Con Else Marie Laukvik, Torgeir è l’unico attore del nucleo originario che fa tuttora parte del gruppo. Ha partecipato a tutti e venti gli spettacoli realizzati dall’Odin e rappresentati in trentasette paesi, tra cui Ornitofilene del 1966, Kaspariana del 1967, recitato ottanta volte ad Holstebro e in tournée per sei mesi, Ferai del 1969, Anabasis del 1979, Le ceneri di Brecht del 1980, fino ai più recenti Padri e figli del 1992 e Kaosmos del 1993 (rappresentato poi nel 1996 al Piccolo Teatro di Milano). Torgeir Wethal, grazie a training faticossisimi, a una ricerca rigorosa sulle tecniche dell’improvvisazione, realizza partiture fisico-vocali di straordinaria precisione e impatto emotivo. Si occupa, inoltre, delle produzioni cinematografiche e video dell’Odin.

Weikel

Figlia d’arte, Teri Jeanette Weikel si forma inizialmente con la madre Johanna (insegnante di danza moderna al Southwestern college di S. Diego) e nel 1978 si diploma al California Institute of the Arts. Negli Stati Uniti lavora con diverse compagnie: San Diego dance theatre (1973-75), Gus Salomons dance company (1980), Donald Byrd (1979-83), Cal-Arts dance ensemble (1981-83), Karol Armitage dance company (1983). Dal 1983 si stabilisce in Italia dedicandosi principalmente all’attività coreografica e all’insegnamento. Dotata di una tecnica virtuosistica che si esprime nelle linee dello stile Cunningham e Limon nei suoi lavori Weikel afferma una personale ricerca teatrale di movimento ispirata ogni volta a temi poetici diversi. Tra i suoi lavori: La giacca (1984), Brevi amori di tartarughe (1986), Five on red (1989), Avviso di ritorno (1991).

Wayne

Formatosi sotto la guida di Norman Walker e Martha Graham, Dennis Wayne debutta nel 1962 con la N. Walker Company, per entrare poi nell’Harkness Ballet (1964), dove diventa solista. In seguito è primo ballerino al Joffrey Ballet (1972-74) e solista all’American Ballet Theatre (1974-75). Nel 1976 fonda a New York un suo gruppo, Dancers, che rappresenta gli Usa al festival di Spoleto (1977) e si esibisce spesso in Italia. Per il Teatro Nuovo di Torino coreografa Danza Sport, con il suo caratteristico approccio dinamico-atletico al movimento.

Wallenda

Proveniente da una famiglia di tradizione, a sedici anni Karl Wallenda esegue un tirocinio col noto funambolo tedesco L. Witzman. Dopo un anno, con il fratello Hermann e due allievi, forma la troupe Wallenda, che debutta a Milano (1922) con l’esercizio che li rende celebri: la piramide umana sulla fune. Nel 1928, col nome `The Great Wallendas’, sono al Madison Square Garden di New York con Ringling Bros. and Barnum & Bailey, circo dove rimangono fino al 1946. Col passare del tempo e il nascere dei nipoti la troupe si ingrandisce, arrivando a eseguire la piramide a tre altezze, con quattro artisti alla base, due al secondo livello e uno ancora più su. Nel 1933 un fratello di Karl, Willy, muore durante uno spettacolo nonostante la rete di protezione, che da quel momento viene tolta dal numero.

Il 30 gennaio 1962, a Detroit, di fronte a seimila spettatori, uno dei Wallenda alla base della piramide cade, trascinandosi dietro tutto il gruppo; Karl e due fratelli riescono ad aggrapparsi al filo e a sostenere la diciassettenne Jana Schepp, ma tre componenti cadono al suolo: due muoiono, uno (Mario Wallenda) rimane paralizzato. Un enorme impatto nell’immaginario collettivo; l’esercizio viene eliminato dal numero. Negli anni ’70, mentre alcuni membri della famiglia continuano a esibirsi in numeri meno rischiosi, Karl si dedica in particolare a grandi traversate riprese da emittenti televisive. Il 22 marzo 1978, all’età di settantatre anni, tenta a Portorico una traversata di 250 metri, ad oltre trenta di altezza; dopo pochi passi un forte colpo di vento ne provoca la caduta e la morte. La celebre piramide a sette è ripresa solo agli inizi degli anni ’90 da gruppi come gli Angeli Bianchi o i Guerrero, purtroppo, non senza incidenti.

Wilcock

Argentino di origine anglosassone come J.L. Borges, al quale lo accomunano diversi tratti caratteristici, nei suoi lavori per il teatro Rodolfo Wilcock riuscì a fondere la vena fantastica, lirica e barocca con quella neoilluminista. Alta scrittura e osservazione critica della realtà vanno di pari passo nella sua produzione, dove i fatti appaiono spesso trasfigurati in dati assoluti. Tradusse, tra l’altro, l’opera completa di Marlowe e il Riccardo III di Shakespeare (per il celebre allestimento di L. Ronconi, Torino 1968), lasciando un’impronta fondamentale nell’uso della metrica. Alla sua fortuna come autore non sempre corrisposero allestimenti adeguati. Critico teatrale, collaborò con “Sipario” e “Il Mondo”. I titoli: Il Brasile (1960), Persone (1961), Contro-happening (1964), La donna aggiornata, madre Laura (1964), La famiglia (1965), La caduta di un impero (1967), L’agonia di Luisa (1967), Giulia Donna (1971), L’abominevole donna delle nevi (1975).

Wooster Group

Formata da Jim Claybourg, Willem Dafoe (attualmente uno dei divi di Hollywood), Spalding Gray, Peyton Smith, Kate Polk, Ron Vawter e la direttrice Elizabeth LeCompte, la compagnia Wooster Group dal 1975 ha prodotto una quindicina di spettacoli multimediali, allestiti nello spazio del Performing Garage. Sono legati alla pratica della scrittura collettiva: nel loro caso si tratta di una divisione dei compiti, in cui ciascun componente è responsabile di un particolare aspetto dell’opera. Il W.G. ha messo in scena solo testi originali, portandoli spesso in giro per il mondo, da Hong Kong alla Scandinavia; alcuni dei loro lavori, come Brace up e Fish Story , sono nati da coproduzioni internazionali. Nel 1982 E. LeCompte ha ricevuto il primo premio al Festival internazionale di San Francisco per il video Rhyme’em to Death.

Wellenkamp

Dopo gli studi di danza classica e moderna a Lisbona e a Londra Vasco Wellenkamp entra a far parte del Gulbenkian Ballet, dove nel 1977 fa il suo debutto come coreografo. Ben presto lascia le scene per dedicarsi completamente alla composizione, mettendo in evidenza uno stile di danza neoclassico, fluido ed energico; la danse d’école si combina con gli stilemi della modern dance americana nei lavori creati per il Gulbenkian (Aria, 1991; Para alèm das sombras, 1993; Amaramalia, 1995). Considerato il più importante coreografo portoghese della sua generazione, ha collaborato con compagnie internazionali, tra le quali il Balletto di Toscana (Holberg suite, 1988).

Wiener Staatsoper,

Erede di una importante tradizione ballettistica ottocentesca, contrassegnata dalla presenza di personaggi come la ballerina Fanny Elssler e i coreografi August Bournonville (maître de ballet nel 1855-56) e Paolo Taglioni (basti ricordare Sardanapalo, balletto che inaugurò nel 1869 il teatro appena costruito), dal 1891 al 1920 il Ballet der Wiener Staatsoper è diretta da Joseph Hassreiter, che vi allestisce oltre quaranta balletti tra i quali l’ancora rappresentato Die Puppenfee (1888); in seguito è guidata da Heinrich Kroller (1922-28), Margherita Wallman (1934-38) e, dal 1942 al ’58, da Erika Hanka che, affiancata da Gordon Hamilton, si impegna nella ricostituzione del suo repertorio classico (Giselle, 1955).

Gli anni ’60 e ’70 sono caratterizzati da una lunga serie di direttori e maîtres de ballet – Dimitrije Parlic (1958-61), Aurel Milloss (1961-66 e 1971-74) e Vaslav Orlikovskij (1966-71) – e dalla collaborazione con Rudolf Nureyev, impegnato anche come coreografo per i suoi primi allestimenti di Il lago dei cigni (1964) e Don Chisciotte (1966). Con la direzione artistica di Gerhard Brunner (1976-1990) la compagnia ha ulteriormente consolidato il repertorio accademico, aprendosi anche alle nuove tendenze della danza neoclassica con opere di John Neumeier (Josephslegende, 1977), Rudi van Dantzig (Vier letzte Lieder), Jirí Kylián (Return to a Strange Land); una linea proseguita da Helena Tchernikova, alla sua guida dal 1991 al 1995. Nota a livello internazionale per le sue apparizioni televisive durante il tradizionale Concerto di capodanno, la formazione incontra ancora difficoltà a raggiungere una distinta e riconoscibile identità artistica e un repertorio ben caratterizzato. Su questa linea si sta impegnando, con sue creazioni e opere di autori contemporanei, Renato Zanella, nominato direttore della compagnia nel 1996.

Wojcikowski

Dopo essersi formato alla Scuola imperiale di balletto a Varsavia e con Cecchetti Leon Wojcikowski viene scritturato nei Ballets Russes di Diaghilev (dal 1916 al ’29), imponendosi con le singolari interpretazioni di balletti di Massine (Las meniñas, 1916; Le donne di buon umore e Parade , 1917; Le tricorne , 1919; Le pas d’acier , 1927), di Nijinska (Les noces, 1923; Les biches , 1924) e di Balanchine (Barabau, 1925; Le bal , 1929; Le fils prodigue, 1929). Passato nella compagnia della Pavlova dal 1929 al ’31, danza poi nel Ballet Russe di Monte-Carlo ( Cotillon e La concurrence di Balanchine, 1932; Jeux d’enfants, Les présages , Choreartium di Massine, 1933). Dal 1935 al ’36 si esibisce con la compagnia `Les ballets de L. Wojcikowski’ da lui fondata, e successivamente entra a far parte del Ballet Russe di De Basil, dove rimane fino al 1944. Torna nella sua città, dove inizia a insegnare alla scuola di ballo dell’Opera. Nel corso degli anni ’60 riveste ruoli importanti, prima come maître del London Festival Ballet (per cui aveva già allestito Petruška nel 1958 e Shéhérazade nel 1960) e poi come insegnante all’università di Bonn.

W&aulm;chter

Antesignano degli odierni organizzatori culturali e di `eventi’, arriva in Italia nell’immediato dopoguerra, dopo una serie di peregrinazioni con la sua famiglia tra Jugoslavia, Germania e Olanda, per sfuggire alle persecuzioni contro gli ebrei. Inizia la sua attività portando per la prima volta in Italia il Circo di Mosca, il coro dell’Armata rossa e il Circo di Pechino; `suoi’ i grandi concerti che portano in Italia (sempre per la prima volta), negli anni ’60, Frank Sinatra e Sammy Davis jr. Nel 1965 invita i Beatles per la prima e unica tournèe italiana del leggendario gruppo di Liverpool; promuove e organizza anche le tournèe italiane dei Rolling Stones (1970), degliWho, dei Bee Gees, di Jimi Hendrix, per non parlare dei grandi astri del jazz, sua vera passione. Nel 1977 apre a Milano il cinema-teatro Ciak, dove si ricordano grandi stagioni di jazz e, soprattutto, cabaret, con tutti i comici italiani degli ultimi vent’anni. Nel 1997 si ritira dall’attività, restando fondatore onorario del Ciak, che viene ora gestito da Maurizio Costanzo.

Williams

Tennessee Williams nacque e crebbe nello stato del Mississippi con un padre autoritario e maschilista, una madre ancora sotto choc per lo sfacelo del vecchio Sud, una sorella amatissima che finì in manicomio; e queste prime esperienze segnarono profondamente la sua vita e costituirono la materia prima del suo teatro. Vinse nel 1939 un concorso indetto dal Group Theatre con un gruppo di atti unici, American Blues, ed esordì sulle scene nel 1940 con Battaglia di angeli (Battle of Angels) – riscritto nel 1957 col titolo La calata d’Orfeo (Orpheus Descending) – che cadde prima del debutto a New York.

S’impose cinque anni dopo con Zoo di vetro (The Glass Menagerie), variazione autobiografica sul tema del giovane che si stacca dalla famiglia e dalle sue tragedie per vivere la propria vita, presentata dal protagonista stesso con sospiri di nostalgia, cadenze di sogno e momenti di tenera ironia. Ma l’opera nella quale espresse per la prima volta il suo mondo fu Un tram chiamato desiderio (A Streetcar Named Desire, 1947), imperniato su una donna sola e vulnerabile che cercava di sfuggire alla propria disperazione aggrappandosi alle immagini di un luminoso passato, forse mai esistito, e sognando un improbabile roseo futuro, e vedeva crollare ogni illusione al contatto con una realtà brutale, rappresentata da un giovane maschio sfacciatamente virile. Blanche, la protagonista di questo dramma, il più rappresentato e forse il più significativo dell’intera opera di Williams, fu il primo dei grandi personaggi femminili offerti dall’autore ad attrici di temperamento, che ne determinarono il successo.

La galleria comprende zitelle sfiorite come l’Alma di Estate e fumo (Summer and Smoke, 1948), vedove che riscoprono la gioia di vivere come la Serafina di La rosa tatuata (The Rose Tattoo, 1951), mogli insoddisfatte come la Maggie di La gatta sul tetto che scotta (Cat on a Hot Tin Roof, 1955), mangiatrici d’uomini come la Lady della citata Calata d’Orfeo e la Principessa di La dolce ala della giovinezza (Sweet Bird of Youth, 1959), vittime di esperienze traumatiche come la Catharine di Improvvisamente l’estate scorsa (Suddenly Last Summer, 1958), per citare solo i testi del periodo più significativo. Solo La notte dell’iguana (The Night of the Iguana, 1961) aveva come protagonista un uomo, un prete spretato.

Erano tutte figure determinate in qualche modo da repressioni o esuberanze sessuali, in drammi che si facevano man mano sempre più espliciti, toccando temi tabù come l’omosessualità, il cannibalismo, la castrazione e l’incesto, in una ricerca del sensazionale che turbava gli spettatori benpensanti ma soffocava a poco a poco la personalità autentica dell’autore, soprattutto a proprio agio nella descrizione di fragili anime ferite dalla brutalità del mondo circostante. Con gli anni ’60 ebbe inizio un lungo periodo di decadenza: Williams continuò a scrivere, ma senza più ritrovare la felicità espressiva e il successo di un tempo; precipitò nell’alcolismo e nella tossicodipendenza e fu più volte ricoverato. Tra le sue ultime opere si possono ricordare Vieux Carré e Una bellissima domenica a Crève-Coeur (Crève-Coeur), entrambe del 1978.

 

Wall

Studia alla Royal Ballet School e nel 1963 entra nella Royal Ballet Touring Company; è solista nel 1964 e primo ballerino nel 1966. Nel 1964 interpreta il principe Siegfried ne Il lago dei cigni . È primo ballerino del Royal Ballet al Covent Garden dal 1970 al 1984; interpreta tutti i più importanti ruoli del repertorio tradizionale, esibendosi anche in numerosi balletti di Ashton e MacMillan. Fra le creazioni con quest’ultimo si ricordano Elite Syncopations , Le quattro stagioni , L’histoire de Manon (nel ruolo di Lescaut) e Mayerling (il principe Rudolf); si distingue inoltre in Adagio Hammerklavier di Van Manen, Quarta sinfonia (Mahler-Neumeier) e La tempesta (ruolo di Calibano; coreografia di Nureyev). Danzatore di eccellente tecnica, bella presenza ed eccezionale espressività, insegna agli Yorkshire Seminars ed è stato direttore associato e poi direttore della Royal Academy of Dancing. Dal 1995 è maître de ballet dell’English National Ballet.

Weiss

Figlio di ebrei (il padre era un industriale cecoslovacco, la madre una colta vedova svizzera che in gioventù era stata attrice), dopo l’infanzia berlinese Peter Weiss fu costretto a seguire i genitori in fuga dalla montante follia nazista (emigrarono nel 1934). Prima due anni in Inghilterra, poi due in Cecoslovacchia – dove si formò all’Accademia artistica di Praga (1936-37), poi uno in Svizzera; infine, dal 1939 in Svezia, dove Weiss si stabilì prendendo la cittadinanza (1945). La giovanile vocazione per la pittura fu subito ridimensionata dalla necessità di far fronte ai bisogni materiali di chi, abbandonata la patria, aveva perso gli agi borghesi. Costretto a mantenersi, trovò lavoro nelle arti applicate (disegnatore nell’industria tessile e grafico), continuando per molti anni a dipingere, a creare collage, a occuparsi di cinema (fu consulente per l’Accademia del film svedese fino alla morte) e, naturalmente, a scrivere.

Se la pittura non gli diede mai grandi soddisfazioni (fece la prima mostra alla galleria Springer di Berlino nel 1963, quando era ormai uno scrittore famoso), così come il cinema (nel 1960, al festival di Locarno, passò inosservato il suo primo lungometraggio, Lo sperduto ), con la letteratura e il teatro, se pur tardivamente, si impose a livello internazionale, diventando il primo grande autore di lingua tedesca dopo Brecht. Alle prose d’esordio in lingua svedese (scritte tra il 1947 e il 1953) Weiss alternò i suoi primi due drammi in tedesco – La torre, 1948 e L’assicurazione, 1952 – che risentono da una parte dell’influsso del teatro dell’assurdo, dall’altra dell’opera di Strindberg, di cui in seguito tradurrà La signorina Julie (1961) e Il sogno (1963). La svolta avvenne nel 1960, quando con il microromanzo L’ombra del corpo del cocchiere (Der Schatten des Körpers des Kutschers) si impose all’attenzione della critica per l’originalità di una scrittura capace di creare forti suggestioni visive. Il plauso della critica fu ribadito e accompagnato dall’interesse del pubblico anche in occasione dell’uscita dei due successivi testi autobiografici Congedo dai genitori (Abschied von den Eltern, 1961) e Punto di fuga (Fluchtpunkt, 1962), in cui lo sradicamento esistenziale e linguistico degli esuli del nazismo provoca una profonda crisi di coscienza che sfocia in un pessimismo critico e si manifesta nella condizione dell’apolide.

La piena maturità artistica di Weiss coincide con la sua attività di drammaturgo. Nel 1963 l’atto unico Notte con ospiti riassume tutte le esperienze linguistiche precedenti in un testo grandguignolesco, in cui due bambini assistono all’autodistruzione del mondo adulto. È il preludio al primo dei suoi capolavori: La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat, rappresentato dalla compagnia filodrammatica dell’ospizio di Charenton sotto la guida del marchese de Sade (Die Verfolgung und Ermordung Jean Paul Marats, dargestellt durch die Schauspielgruppe des Hospizes zu Charenton unter Anleitung des Herrn de Sade), solitamente abbreviato in Marat/Sade . Weiss utilizzò il dramma storico e il gioco di specchi del teatro nel teatro per mettere in risalto il conflitto tra Marat, l’uomo più radicale della Rivoluzione francese, intransigente difensore della giustizia e della ragione, e Sade, interprete di un anarchismo istintivo e di un nihilismo aristocratico che lo porta a profetizzare la sconfitta della Rivoluzione (il marchese de Sade era stato realmente ricoverato in quell’ospizio). Lo scontro tra le due istanze rimane aperto – Marat può essere un eroe come un pazzo e Sade un pazzo come un saggio – e lo stesso autore nel corso del tempo non esplicitò mai definitivamente le sue propensioni. Weiss stese quattro redazioni successive alla prima, che andò in scena nel 1964 allo Schiller Theater di Berlino con scene disegnate da lui stesso, costumi creati dalla moglie, Gunilla Palmstierna, e la regia di Konrad Swinarski. Degli allestimenti successivi vanno citati almeno quello di Peter Brook (Londra 1964, che poi diventò anche un film) e, più recentemente, quello di Armando Punzo con la Compagnia della Fortezza (198?).

L’anno successivo il clamore fu ripetuto dalla messa in scena de L’istruttoria (Die Ermittlung). Questa volta Weiss scrisse il testo più riuscito del cosiddetto `dramma documentario’ – che aveva avuto due precedenti di grande successo con Il vicario di Hochhuth e Sul caso J. Robert Oppenheimer di Kipphardt – montando in versi gli atti del processo (Francoforte 1963-64) contro i responsabili del lager di Auschwitz. Il poema, raccontando minuziosamente la barbarie, fu uno shock; snodandosi come un oratorio, scandito dalle testimonianze delle vittime e dalla difesa degli aguzzini, si chiude senza verdetto: un finale senza catarsi che diventa un ineludibile monito per il futuro. Lo spettacolo debuttò contemporaneamente in diversi teatri tedeschi: alla Freie Volksbühne di Berlino Ovest, Erwin Piscator ne fece una rappresentazione scarna, essenziale, con i ventidue quadri introdotti dai preludi composti da Luigi Nono (ripresi poi in una geniale messa in scena di Virginio Puecher al Piccolo Teatro, con l’uso inedito di telecamere a circuito chiuso, 1967); a Colonia fu messo in scena davanti a uno specchio che rifletteva il pubblico, esplicito richiamo a considerare quella tragedia il frutto della propria storia; a Berlino Est, Helene Weigel ne diede una semplice lettura, poiché nulla si poteva aggiungere a quelle parole. Un’edizione particolarmente riuscita – che concilia la forza emotiva e il rigore – è tuttora nel repertorio della Compagnia del Collettivo di Parma (regia di Gigi Dall’Aglio, 197?).

L’eco de L’istruttoria fu anche amplificato dalle polemiche suscitate dall’autore, che ne diede una lettura politica: l’orrore dei lager era il frutto del capitalismo. La sua adesione al comunismo militante influì fortemente sulle opere successive: la Cantata del fantoccio lusitano (Gesang vom lusitanischen Popanz, 1967; messa in scena nel ’69 da Strehler con il gruppo Teatro Azione, quando lasciò il Piccolo Teatro) sul feroce imperialismo portoghese in Angola, Come il signor M. fu liberato dai suoi tormenti, `stationendrama’ su un proletario sfruttato dalla società e il programmatico Discorso sulla preistoria e il decorso della lunga guerra di liberazione nel Vietnam quale esempio della necessità della lotta armata degli oppressi contro i loro oppressori come sui tentativi degli Stati Uniti di distruggere le basi della rivoluzione , di solito abbreviato in Discorso sul Vietnam (Diskurs über Viet Nam; entrambi del 1968). Si tratta di testi dichiaratamente di propaganda, in cui si intrecciano pantomime, scenette, canzoni e danze montate come spettacoli di teatro spontaneo, con trovate divertenti e efficaci intuizioni (ad esempio, i diversi registri linguistici in Discorso sul Vietnam ) ma che, per loro stessa natura, risultano grezzi nella drammaturgia e, inevitabilmente, superficiali nei contenuti.

La prospettiva fortemente ideologica di Weiss non gli impedisce di attaccare l’Urss subito dopo l’invasione di Praga e, conseguentemente, di essere messo al bando dai comunisti. Con il collage documentario Trockij in esilio (Trotzki im Exil, 1970) ritorna sul tema della rivoluzione tradita, senza ripetere lo straordinario risultato del Marat/Sade, ma anticipando temi tuttora attuali, come la necessità di un riscatto del Terzo mondo. Segue una parabola discendente con il criticato Hölderlin (1971), una biografia del poeta come l’artista capace di combattere la tradizione culturale dominante miseramente asservita al potere (rappresentata da Goethe e Schiller), e un faticoso adattamento del Processo di Kafka (1975), ridotto alla dialettica servo-padrone. Gli insuccessi degli ultimi due testi lo spinsero a ritornare alla letteratura, ma non ad abbandonare le sue idee; il suo testamento filosofico è L’estetica della resistenza (Die &Aulm;sthetik des Widerstands, 1975-1981), biografia del movimento operaio e dell’antifascismo attraverso la vita di un proletario.

Whiting

Nel 1951 John Robert Whiting vinse un concorso promosso dall’Arts Council per il Festival of Britain con Il giorno dei santi (Saint’s Day), scritto nel 1947-48, su un anziano scrittore che rimane solo perché ossessionato dal timore che tutti complottino per ucciderlo; questa visione autodistruttiva e pessimista gli inimicò il pubblico, che uscì indignato dall’allestimento all’Arts Theatre Club. Seguirono Un penny per una canzone (A Penny for a Song), allestito nel 1951 con la regia di P. Brook, l’unico dramma di Whiting limpido e non nichilista; Canzone militare (Marching Song, 1954), in cui un generale tedesco si trova dinanzi all’ardua scelta tra il suicidio e un processo infamante; I cancelli dell’estate (The Gates of Summer, 1956), portato in tournée attraverso l’Inghilterra, ma senza raggiungere Londra; e I diavoli (The Devils), riduzione teatrale da I diavoli di Loudun di A. Huxley (che in seguito avrebbe ispirato il film di Ken Russell, 1971), allestito nel 1961 dalla Royal Shakespeare Company con grande successo. Nel 1965 il Little Theatre di Bristol ha messo in scena il suo primo lavoro, Condizioni per un accordo (Conditions of Agreement), scritto nel 1946.

Wilson

Robert Wilson nasce in una famiglia di ceto medio, suo padre è avvocato e diventerà amministratore della cittadina natale, una delle tante perse al centro del Texas. La nonna materna, Mrs. Hamilton – che in seguito lo affiancherà in performance e spettacoli come The Life and Times of Sigmund Freud, The Life and Times of Joseph Stalin, A Letter for Queen Victoria – è una straordinaria compagna di giochi; con lei e altri bambini, dall’età di otto anni, organizza piccoli spettacoli nel garage di casa. Durante gli anni della scuola media partecipa alle rappresentazioni organizzate dal Waco Children’s Theatre (con la regia di Jearnine Wagner) e dal Teenage Theatre della Baylor University. Questo, nonostante l’handicap della balbuzie da cui guarirà solo a 17 anni grazie alla signorina Byrd `Baby’ Hoffman. Miss Hoffman è un’insegnante di danza di Waco che, stimolandolo a praticare movimenti lenti ( slow motion ), farà sì che Wilson impari a sciogliere la tensione del proprio corpo.

Si diploma alla High School nel 1959 e, per assecondare la volontà dei genitori, si iscrive a un corso di laurea in economia aziendale ad Austin, all’Università del Texas, che abbandonerà nel 1962, un anno prima di laurearsi. Sono fondamentali per questo cambiamento radicale l’esperienza con i bambini disabili e i laboratori di teatro per l’infanzia in cui Wilson trasmette la terapia appresa da Miss Hoffman. Wilson decide così di seguire la propria vocazione: le arti figurative. Si trasferisce a New York (autunno 1962) per iscriversi ad architettura e progettazione d’interni al Pratt Institute di Brooklyn dove, grazie all’elasticità del piano di studi può frequentare corsi di pittura e design. A New York avviene l’incontro decisivo con gli spettacoli di Martha Graham, Merce Cunnigham e Alwin Nikolais.

Folgorato dalla Graham le scrive per ringraziarla e in cambio viene invitato ad assistere alle prove della sua scuola. Con Nikolais e il suo gruppo nasce immediatamente una collaborazione tanto che nel 1964 Wilson disegnerà le scene per Junk Dances e Landscape, due coreografie di Murray Louis, assistente di Nikolais. Alla ricerca di una sua strada continua a studiare al Pratt, a lavorare con i bambini handicappati e a fare esperienze: nel 1963 gira un cortometraggio cinematografico astratto, Slant (10′), per WNET-TV; nell’estate del 1964 va a studiare pittura a Parigi dove si è trasferito George McNeil, un docente del Pratt che faceva parte della corrente pittorica dell’espressionismo astratto; nel 1965, oltre a presentare alcune sue performance (Duricglte & Tomorrow a New York; Modern Dance, una parodia del concorso per Miss America, a Waco; Silent Play, a San Antonio), gira il film (incompiuto) The House e crea scene e costumi per America Hurrah! di Jean Claude van Itallie messo in scena dal gruppo del Café La Mama; nel 1966 presenta due spettacoli di danza, Clorox e Opus 2 ed è invitato da Jerome Robbins all’American Theatre Laboratory.

Nell’estate dello stesso anno si unisce alla comunità dell’architetto utopista Paolo Soleri che a Scottsdale, in Arizona, aveva cominciato dieci anni prima a costruire la città di Arcosanti seguendo un metodo compositivo che andava a recuperare forme simboliche e miti arcaici (soprattutto quelli degli indiani nordamericani). Al grande attivismo di questi anni segue una violenta crisi esistenziale che lo costringe a curarsi per alcuni mesi in una clinica per malattie mentali. Ristabilitosi dal crollo nervoso ritorna a New York dove prende in affitto un locale al 147 di Spring Street, ex sede dell’Open Theatre. Il loft diventa un luogo di ritrovo non solo per artisti, ma anche per artigiani, uomini d’affari, casalinghe, pensionati, studenti, insegnanti e portatori di handicap. Tra gli altri troviamo la coreografa e compositrice Meredith Monk, la nonna di Wilson e il futuro critico Stefan Brecht.

Il gruppo prende il nome di Byrd Hoffman School of Byrds e Wilson quello di Byrd o Byrdwoman. L’attività è soprattutto quella del workshop che viene interrotta da performance come Baby Blood , nel 1967, e l’anno dopo da: Alley Cats (un duetto di W. con Meredith Monk), Theatre Activity 1 e 2 e ByrdwoMAN, una `rappresentazione’ itinerante che comincia nello spazio di Spring Street – dove accadono semplicissime azioni (i `Byrds’ salgono su e giù da assi, si appoggiano a fili) – e continua nella Jones Alley dove il pubblico viene trasferito a bordo di camion scoperti e si trova al centro di un’azione creata dai `Byrds’ sui tetti degli edifici circostanti. Tutta questa attività laboratoriale, che è agita in contesti non convenzionali e si nutre delle suggestioni del clima culturale newyorkese, prelude a una svolta.

Con The King of Spain del 1969 – che Wilson considera il suo primo spettacolo – il suo lavoro si sposta in un teatro, il fatiscente Anderson Theatre. Wilson comincia a elaborare quella visione bidimensionale dello spazio e quell’originalissima dimensione del tempo teatrale che diventerà la cifra inconfondibile del suo stile e lo porterà a preferire gli spazi tradizionali. Allontanandosi dai presupposti della ricerca a lui contemporanea: la dominante centralità del corpo, che si esprimeva attraverso il teatro gestuale, e il coinvolgimento diretto dello spettatore, Wilson giunge a un’idea di composizione dallo straordionario impatto visivo. The King of Spain con le sue tre sorprendenti e contraddittorie ambientazioni (una spiaggia, un salotto vittoriano e una caverna), in cui non accade sostanzialmente nulla, e con il collage ricchissimo di oggetti, persone, luci e forme apparentemente casuali rimanda a un gioco neo-dadaista che colpisce e ammalia riscuotendo un inatteso successo. Quello stesso anno la Brooklyn Academy of Music invita Wilson a creare una nuova opera, The Life and Times of Sigmund Freud, che altro non è che una ricomposizione e un ampliamento della precedente in cui la misteriosa alchimia dello sguardo si ripete.

Alla fine del 1970 debutta all’Università dello Iowa Deafman Glance, `un’opera del silenzio’, nella quale la partitura visiva scorre davanti agli occhi di un sordomuto. Il ritmo acquista per la prima volta quella scansione lenta che recupera quel `tempo naturale’ che sulla scena appare dilatato ed estenuante, ma che fa scattare lentamente una dimensione ‘altra’ nella quale immergersi e fluire sull’onda delle immagini. Con questo spettacolo, nel 1971, scoppia in Europa il caso Wilson; rapidamente diventerà un regista di culto. Dal 2 al 9 settembre del 1972 per 7 giorni e 7 notti sulle 7 montagne attorno a Shiraz-Persepoli si svolge il monumentale KA MOUNTAIN AND GUARDenia TERRACE, rappresentazione sulla ‘storia di una famiglia e di alcune persone che cambiano’, come recita il sottotitolo, che mette in sequenza vicende della cultura orientale e occidentale, ma anche episodi biografici (i giorni che W. ha appena passato in carcere a Cipro per detenzione di hashish).

E come se non bastasse la durata straordinaria, l’opera è preceduta da un’ Ouverture già in parte montata a New York e poi rimontata e ampliata per il Festival d’Automne a Parigi: 24 ore ininterrotte di spettacolo in cui hanno spazio anche pièce autonome di alcuni `Byrds’. La più intensa è la liberatoria mise en espace della crisi depressiva di Cindy Lubar, collaboratrice storica del gruppo. Altro prezioso apporto è offerto da Christopher Knowles che, oltre a mettere in scena `naturalmente’ il suo handicap in Ouverture, scriverà in seguito con W. importanti brani di Einstein on the Beach , T.S.E. e creerà insieme a lui numerosi duetti (The $ Value of Man, i vari DiaLog). A Letter of Queen Victoria (presentato al festival di Spoleto nel 1974) sembra interrompere i precedenti esercizi di espressione fisica dello stato psichico; qui a essere in gioco è il tempo, a partire dalla diseguale estensione dei quattro atti, volutamente contrapposti l’uno all’altro; e acquista sempre maggiore spazio la musica, che nel successivo Einstein on the Beach (1976, festival d’Avignone) non è più semplice accompagnamento ma elemento imprescindibile dell’azione scenica. La ripetitività della partitura di Philip Glass (che è mira di accese contestazioni) scandisce ossessivamente la personale ricostruzione biografica che il regista dedica al più famoso fisico del nostro secolo. Gli attori (tra cui Patricia Hearst, figlia di un magnate dell’editoria, con trascorsi da terrorista, che in una serie di `istantanee’ ispirate alle fotografie delle pagine di cronaca dei quotidiani impersona se stessa) si muovono seguendo le coreografie di Andrew Degroat, in intima relazione con uno spazio scenico ridotto a pochi oggetti caricati di valore emblematico, fino alla conclusiva apparizione di una macchina del tempo, simbolo dell’interiorizzazione delle teorie di Einstein trasposte in una riflessione sui tempi e i luoghi della scena.

In I was Sitting On My Patio This Guy Appared I Thought I Was Allucinating (1977) W., anche interprete accanto a Lucinda Childs, induce lo spettatore a concentrarsi sulle minime varianti in una trama di ripetizioni di parole e gesti. Con Death Destruction & Detroit (1979) comincia la fortunata serie delle sue produzioni tedesche. Con questo spettacolo di cinque ore denso di autocitazioni che si presenta come l’inconfessabile biografia di un criminale nazista mai pentito, Wilson offre una sorta di riassunto del proprio teatro. La parola è sfruttata per il suo valore sonoro, sostenuta armonicamente dalle musiche composte da Alan Lloyd, Keith Jarret e Randy Newman. L’importanza della luce e l’originale ricostruzione scenica della vita di alcuni celebri personaggi storici si saldano in Edison (1979), una seriosa celebrazione degli Stati Uniti, composta di `cartoline’ che riproducono i quadri di Hopper oppure le tipiche architetture vittoriane, avvicendandosi nell’immancabile ritmo dato dalla musica di Michael Riesman, fermo restando che visione e ascolto devono rimanere contrapposti e indipendenti.

Il teatro di Wilson non racconta, ma esibisce una struttura di rimandi visivi e uditivi; caratteristica che non smarrisce nemmeno quando privilegia decisamente la parola nella sua materialità sonora, come avviene in Die Goldenen Fenster ( Le finestre d’oro , 1982), dove il testo arriva a determinare con precisione la gestualità dell’attore. Progettato per essere presentato in contemporanea in cinque città diverse – con l’intento di stabilire una continuità spaziale autoreferenziale – ma andato in scena solo a Monaco, si prolunga idealmente in CIVIL warS, a Tree is Best Measured When it is Down, ideato per le Olimpiadi di Los Angeles del 1984, che consiste in sei parti affidate a duecentocinquanta interpreti coinvolgendo sei città di tre differenti continenti. Un’opera globale, `il più grande spettacolo del mondo’, utopico campionario degli episodi della storia umana `raccontati’ alla maniera di Wilson, probabilmente irrappresentabile per la sua complessità, ma che vive anche di tutti i tentativi che Wilson fa per riuscire a portarlo a termine. Delle sei previste solo quattro sezioni sono state effettivamente completate: quella di Rotterdam (1983), quella di Colonia (gennaio 1984) – che segna l’inizio della collaborazione con Heiner Müller -, quella di Roma (marzo 1984) e quella di Minneapolis (aprile 1984), i Kneeplays , con David Byrne come autore delle musiche e narratore.

La tensione di Wilson verso lo spettacolo totale si ritrova nel successivo rivolgersi alla tragedia classica; nascono così le due versioni operistiche di Medea (di Charpentier e di Bryars, 1984) e, soprattutto, di Alcesti di Euripide (1986), con un intenso monologo scritto da Müller, di cui W. porterà poi in scena Hamletmachine (sempre del 1986) e Quartett (1987), rivisitazione   di Le relazioni pericolose di Laclos, oltre a collaborare con lui in Death, Destruction & Detroit II e in The Forest (1988). Death, Destruction & Detroit II (1987) riprende il progetto di otto anni prima, proponendosi come sua continuazione – ancora una volta incidendo sul concetto di tempo della rappresentazione – per contrapposizione più che per analogia, incentrata sulla rielaborazione di alcune opere di Kafka.

È l’inizio di una nuova fase del lavoro di Wilson che, senza abbandonare la dimensione visiva del suo teatro, si accosta ad alcuni testi scenici – Cechov (l’atto unico Il canto del cigno ), Ibsen (Quando noi morti ci ridestiamo, testamento dell’autore e di tutto l’Ottocento), Büchner (La morte di Danton) – o narrativa come nella trasposizione scenica del romanzo di Virginia Woolf, Orlando , in un monologo affidato a Jutta Lampe (nell’edizione tedesca del 1989), a Isabelle Huppert (in quella francese del 1993, presentata anche a Milano nel 1994) e a Miranda Richardson (in quella inglese, presentata al festival di Edimburgo nel 1996).

Nel 1990 ad Amburgo va in scena The Black Rider (1990) che riunisce tre grandi artisti americani, affini per la loro capacità di sperimentare: oltre a Wilson, lo scrittore William Burroughs e il musicista Tom Waits. È un musical ispirato a Il franco cacciatore di Weber, un’opera rock affidata all’esecuzione di un’orchestra di soli otto elementi, che gioca abilmente con l’ironia, muovendo gli attori travestiti e truccati in modo grottesco, innescando una serie di allusioni cinematografiche (che vanno dai film muti a Guerre stellari ) e marionettistiche. Il felice esito di questa collaborazione non si rinnova nel successivo Alice (1992), sempre con Waits, mentre Wilson riesce a offrire una divertente ricapitolazione della storia del rock in Time Rocker (1996), con le musiche di Lou Reed. Nel 1992 prende avvio il progetto Doctor Faustus Lights the Lights, su libretto di Gertrude Stein, musica per l’occasione da Hans Peter Kuhn; recitato in inglese dai giovanissimi allievi della scuola di teatro dell’ex Rdt, sfruttando la particolare musicalità del loro accento tedesco.

I progetti misti di musica e recitato avvicinano naturalmente Wilson alla regia lirica; è chiamato da molti teatri, anche se le sue realizzazioni non mancano di sollevare contestazioni: è il caso della Salome di Strauss alla Scala (1987, con Monserrat Caballé nel ruolo del titolo), del Martyre de Saint Sébastien di Debussy (1988, commissionato da Rudolph Nureyev per il teatro di Bobigny), in cui Wilson firma un originale montaggio operando tagli e aggiunte di scene e del Doktor Faustus di Giacomo Manzoni (ancora alla Scala nel 1989). Tra gli altri importanti allestimenti ricordiamo: Il flauto magico di Mozart (1991); Lohengrin e Parsifal di Wagner (1991); Madama Butterfly di Puccini (1993). A Gibellina nel 1994 porta T.S.E.: `Come in Under the Shadow of this Red Rock’ (il titolo è l’acronimo del poeta T.S. Eliot, dove la biografia si colora di tracce autobiografiche per assurgere infine alla dimensione atemporale del mito).

Wilson sostiene costantemente, fin dall’inizio della sua carriera, l’ostilità al naturalismo opponendo una personale e suggestiva maniera di `raccontare’ che si evidenzia con particolare forza nel confronto con un testo narrativo, come avviene in La mite , tratto dal romanzo di Dostoevskij (1994), dove i tre personaggi maschili (tra cui lo stesso regista) recitano ognuno nella propria lingua madre – inglese, tedesco e francese – intrecciando un dialogo senza comunicazione, avvolti dalla presenza muta della ballerina Marianna Kavallieratos.

Wilson Torna in scena in prima persona in Hamlet: A Monologue (1995), come protagonista unico dello spettacolo in cui gli altri personaggi sono presenze oniriche evocate da costumi vuoti, animati dalla voce del solo interprete, che sulla scena esibisce con lucidità le lacerazioni della condizione umana. Nella fittissima teatrografia degli ultimi anni W. alterna spettacoli calligrafici come La maladie de la mort di Marguerite Duras con Michel Piccoli e Lucinda Childs (1991, ripreso nel 1996) a coreografie come Snow on the Mesa , commissionato dalla Martha Grahm Company (1995), opere contemporanee come Hanjo/Hagoromo: dittico giapponese di Yukio Mishima e Zeami (musiche e libretto di Marcello Panni e Jo Kondo, 1994) a opere del Novecento storico Il castello di Barbablù di Bartók e Erwartung di Schönberg (presentate assieme a Salisburgo, 1995); e Oedipus Rex di Stravinskij (1996).

E ancora, Wilson passa dalla continua ricerca sui giochi testuali di Gertrude Stein ( Four Saints in Three Acts, 1996 e Saints&Singings, su musiche di H.P. Kuhn, 1997) alla riscoperta di testi poco frequentati di Brecht (il radiodramma Der Ozeanflug ovvero il volo di Lindberg, al Berliner Ensemble, con Bernhardt Minetti, 1997) o alla rilettura di classici come Il piccolo Principe di Saint-Exupery (Wings on Rock, musiche di Pascal Comelade, 1998). È del 1998 il primo allestimento in italiano, La donna del mare di Ibsen, riscritta da Susan Sontang, con Dominique Sanda e Philippe Leroy. Infine, sempre nel 1998 ha debuttato una ambiziosa opera multimediale in 3D, Monsters of Grace , con cui si ricompone la coppia Glass-Wilson (i testi sono tratti dalle liriche del poeta sufi Rumi).

Ripercorrendo i primi 35 anni della ricerca artistica di Wilson affiora immediatamente un’idea di teatro come `spettacolo’ in cui il formalismo – basti pensare all’esasperata ricercatezza delle luci o all’estrema precisione di ogni gesto sulla scena – si ricongiunge con una coscienza critica che anziché trattare problemi e avvenimenti in modo diretto, secondo canoni narrativi, affronta la contemporaneità frantumandola e presentandola nelle sue mille compresenti sfacettature. Wilson scompone i contenuti della storia per ricomporli in una nuova sintesi dell’immaginario che invece di procedere per sequenze lineari di causa-effetto scandisce il nostro tempo interiore e rilegge il calendario sociale secondo un processo elicoidale. Il cerchio di Wilson si chiude su un piano sempre più alto, i temi – da quelli individuali (legati al rapporto corpo-psiche), a quelli universali, dettati dalle grandi vicende umane (l’avventura del progresso, la tragedia della guerra, …) – vengono ripensati secondo un’estetica raffinatissima che trasforma i grandi interrogativi etici in perfette e cristalline visioni. Porre domande, più che dare risposte è, forse, la tensione del Novecento e Wilson è riuscito a farlo con le immagini così come Beckett lo ha fatto con le parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Weidman

Charles Weidman ha studiato con Eleanor Frampton e alla Denishawn School, entrando poi nella compagnia, dove ha danzato per otto anni. Ha formato in seguito un gruppo con Doris Humphrey (1928), attivo in varie forme fino al 1945, creando numerose coreografie, spesso di vena umoristico-satirica (And Daddy Was a Fireman, 1943). Ha lavorato a Broadway e ha dato vita a una sua scuola, da cui è poi nata la Charles Weidman Dance Company, per la quale ha creato A House Divided (1945), Fables for Our Time (1947), The War between Men and Women (1954), Lysistrata (1954), Is Sex Necessary? (1959). Ha lavorato come coreografo per la New York City Opera e in varie produzioni teatrali e, come docente. All’inizio degli anni ’60 ha fondato con lo scultore Mikhail Santaro l’Expression of Two Arts Theatre a New York, continuando a calcare la scena fino alla morte. Tra i suoi allievi più noti José Limón, Jack Cole, Bob Fosse.

West

Mae West è stata soprattutto un mito e per varie ragioni: la sua capacità di impersonare una bomba del sesso e contemporaneamente farne la parodia, un humour sovente corrosivo e alcune battute che hanno fatto la storia dello spettacolo americano e, infine, tempi comici perfetti. Ancora una volta il vaudeville e l’aver cominciato a calcare le scene da bambina insegnarono alla futura star tutto sul pubblico e sulla recitazione. Pare fosse apparsa la prima volta in scena a cinque anni; a quattordici già la chiamavano `The Baby Vamp’. A quindici, nel vaudeville, fu la prima a scatenarsi in scena ballando lo shimmy. A diciannove, per la prima volta apparve in una commedia musicale e fu una rivelazione (A’ la Broadway); aveva già rifiutato una proposta di lavoro da parte di Ziegfeld. La W. aveva cominciato abbastanza presto a rivedere e riscrivere vuoi le sue battute vuoi addirittura i suoi sketch, sicché nel 1926 scrisse una commedia per produrla, interpretarla e dirigerla a Broadway: Sex, che le fruttò un’interruzione della polizia, l’arresto e dieci giorni di prigione, ma anche pubblicità per un valore incalcolabile.

La sua seconda commedia, Drag, del 1927, trattava di omosessualità e non oltrepassò una cittadina del New Jersey dove la polizia la fece chiudere definitivamente. Nel 1928 la W. portò a Broadway quello che doveva essere il suo massimo successo teatrale, Diamond Lil, accolto con entusiasmo dal pubblico e dalla critica. Pleasure Man , del ’29, fu un altro successo dell’autrice-attrice-regista, e così The Constant Sinner (1931). A questo punto la West accettò le offerte di Hollywood e, cosa inaudita a quei tempi, iniziò a quarant’anni una carriera di star cinematografica. Dieci film in dieci anni, con attori che andavano da Cary Grant a W.C. Fields; ma l’ultimo, apparso nel ’43, non fu un successo. E così l’indomita W. tornò alle scene con una commedia su Caterina di Russia (Catherine Was Great, 1944) e poi con un altro successo nel ’46, Come On Up . Seguì una lunga tournée in Inghilterra con Diamond Lil, che fu ripresa anche a Broadway nel 1949 e nel ’51. Nel 1954, a sessantadue anni, si esibì per la prima volta in un night-club circondata da giovanotti superpalestrati e seminudi: ancora una volta, gran successo. Nel 1959 scrisse la sua autobiografia intitolata, dalla più celebre delle sue battute, Goodness Had Nothing to Do With It , e nel ’78 partecipò di nuovo a un film, lo sfortunato Myra Breckinridge. Ci fu un ennesimo, e ultimo, come-back nel 1978 con il film Sextette.

Weill

Di famiglia ebrea (il padre è cantore in una sinagoga), Kurt Weill è attratto dalla musica fin dai primi anni. Dopo gli studi nella città natale passa alla Hochschüle für Musik di Berlino, sotto la guida di E. Humperdinck, quindi si perfeziona con Busoni; si mantiene suonando il pianoforte nei caffè berlinesi, prima di trovare lavoro come maestro sostituto in teatro e come direttore d’orchestra. Dedicatosi alla composizione per il teatro, firma la musica di alcuni lavori – fra cui l’opera in un atto Der Protagonist (1926) e Lo zar si fa fotografare (Der Zar laulmßt sich photographieren, 1927), ambedue su testo di Georg Kaiser – ispirati al teatro espressionista, con contenuti sociali espliciti e un linguaggio musicale semplificato, di tono immediato, rivolto a pubblici popolari.

Degli stessi anni è l’incontro con Bertolt Brecht, col quale collabora per alcuni degli esiti più importanti del teatro musicale tedesco del dopoguerra: Ascesa e caduta della città di Mahagonny (Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny; nato come Songspiel in un atto, 1927, poi ampliato in un’opera in tre atti, 1930), L’opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper, 1928), Happy End (1929), Der Jasager (1930); compone intanto cantate (“Il volo di Lindbergh”, 1929, sempre su testo di Brecht), musica sinfonica e per complessi da camera, liriche. Dal 1933 la rappresentazione dei suoi lavori teatrali è vietata dai nazisti; Weill lascia la Germania, prima per Parigi (dove va in scena il balletto I sette peccati capitali, su testo di Brecht), poi per Londra e infine per gli Usa, dove si stabilisce nel 1935. Qui si interessa al folclore musicale americano e al jazz e lavora sistematicamente per il teatro musicale, ottenendo una nuova popolarità.

Tra le sue commedie musicali si ricordano soprattutto Lady in the Dark (1941; libretto di Moss Hart, versi di Ira Gershwin), con una redattrice di una rivista di moda preda della depressione e curata da uno psicoanalista di scuola freudiana: interpretata da Gertrude Lawrence (nel cast anche Danny Kaye, al suo debutto nel teatro musicale), lancia fra le altre canzoni “Oh, Fabulous One”, “One Life to Live”, “Girl of the Moment” e la burlesca filastrocca “Tchaikowsky”; e One Touch of Venus (1943; libretto di S.J. Perelman e O. Nash), spiritosa variazione sul mito di Pigmalione, con una statua di Venere che prende vita e si innamora di un barbiere, mentre è desiderata dal direttore del museo: interpretata da Mary Martin (in origine il ruolo era destinato a Marlene Dietrich), riscuote un enorme successo e propone, fra le altre, la bella canzone “Speak Low”.

Meno fortunate sono le commedie musicali che seguono, anche se fra queste Street Scene , del 1946, appare di superba fattura, alternando dialoghi e musica alla maniera del Singspiel: da una commedia di Elmer Rice, che insieme a Langston Hughes scrive i versi delle canzoni, Street Scene è una vivace pittura d’ambiente di un quartiere popolare di New York ed è definito `dramatic musical’ (o anche `american opera’); svetta sulle altre la canzone “Lonely House”. Seguono Down in the Valley (1948), che rielabora canti popolari del Kentucky; Love Life (1948), su libretto di Alan Jay Lerner; e la `musical tragedy’ Lost in the Stars (1949; libretto di Maxwell Anderson, da un romanzo anti-razzista), protagonista un nero del Sudafrica che uccide accidentalmente un bianco ed è condannato all’impiccagione: tra le canzoni, “Train to Johannesburg”, “Trouble Man”, “Lost in the Stars”. W. muore lasciando incompiuta un’`opera popolare’ cui stava lavorando con Maxwell Anderson, tratta da Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain.

Tra le più originali figure del Novecento musicale, Weill contribuì al rinnovamento della commedia musicale americana, continuando a sviluppare in altro contesto la sua concezione di una musica di semplice e immediata comunicativa; fedele al suo motto («Io scrivo per i miei contemporanei»), mirò ad abolire gli steccati fra musica colta e musica leggera, mettendola al tempo stesso al servizio degli ideali di libertà, contro le ingiustizie e le sopraffazioni.

Walter

Dopo aver studiato a Norimberga, Eric Walter venne scritturato nel corpo di ballo del Teatro dell’Opera della stessa città. Successivamente la sua carriera si svolse a Wiesbaden e a Wüppertal. Dal 1964 fino alla morte fu direttore del Ballet Opera am Rhein. Ampia la sua attività di coreografo; da segnalare, fra i vari titoli, La morte e la fanciulla su musica si Schubert, Terza Sinfonia sull’omonimo lavoro sinfonico di Scriabin e Cajcovskij Fantaisies.

Wigman

Mary Wigman è il nume tutelare della danza espressionista, la danzatrice che più compiutamente ha evidenziato, nelle forme proprie al movimento coreutico, la critica alla società borghese e industriale tipica dell’Espressionismo visivo, nato attorno al 1905 e tentacolare al punto da influenzare molte altre discipline, comprese quelle del corpo. Alla scuola wigmaniana si sono formati maestri e coreografi illustri come Hania Holm, Yvonne Georgi, Gret Palucca, Harald Kreutzberg e alcuni dei coreografi neoespressionisti di oggi come Susanne Linke che contribuisce a mantenere viva la memoria dell’artista.

Appassionata alla danza sin da piccola, Wigman scoprì solo a sedici anni il metodo di educazione plastico-musicale elaborato da Emile Jaques-Dalcroze e ne rimase affascinata. Due anni dopo, contro il parere della famiglia che per lei aveva auspicato un futuro di moglie e madre, si iscrisse all’Istituto Dalcroze, ancora provvisorio a Dresda, in attesa del trasferimento a Hellerau. Qui apprese il metodo di lavoro che utilizzò durante il resto della carriera: sviluppare l’espressione corporea a partire da improvvisazioni strutturate. Ottenuto il diploma, scartò l’ipotesi di diventare insegnante di ginnastica ritmica; il pittore espressionista Emil Nolde la indirizzò al Monte Verità di Ascona dove Rudolf von Laban aveva fondato una sua scuola-comunità; ne divenne l’assistente ma anche la danzatrice e insegnante di riferimento, sia nella sede invernale della scuola-comunità (a Monaco) che a Zurigo, dove Laban si trasferì durante la Prima guerra mondiale.

Debuttò, nel 1914, in Hexentanz (Danza della strega), Lento e La Journée de l’Elfe: il primo assolo, soprattutto, rivelò quanto fosse lontana la sua ricerca da quella autobiografica e solare di Isadora Duncan. Il suo corpo si trasfigurava, anche con l’aiuto di una maschera, quasi fosse sospinto da forze esoteriche e diaboliche. Nel 1917, anno in cui tramutò il suo nome in Wigman, più adatto al soprannome Mary, intraprese una lunga tournée in Germania dove ritornò anche nell’anno successivo ( Marche Orientale, Danses Extatiques e Quatre Danses Hongroise sono gli assoli dell’epoca) per poi stabilirsi a Dresda (1920) dove aprì la Wigman-Schule, che ben prestò si trasformò nel centro focale della danza moderna tedesca. Le sue succursali in Europa, e soprattutto negli Stati Uniti nacquero all’indomani delle tournée internazionali della Wigman, sempre accolte dal successo, come a Londra nel 1928 e in diverse città americane, tra cui New York, nel ’30. Proprio negli anni Trenta la sua estetica coreografica subisce una profonda trasformazione e si carica di venature nazionalsocialiste.

Wuttke

Dopo aver studiato arte drammatica a Bochum, Martin Wuttke debutta nel 1984 nell’Amleto di Shakespeare (regia di H. Berg) a Francoforte, dove negli anni successivi lavora con Einer Schleef e Bob Wilson. All’inizio degli anni ’90 si trasferisce ad Amburgo dove interpreta Nella giungla della città di Brecht e L’angelo azzurro di T. Dorst. Nel 1993 inizia la sua collaborazione con il Berliner Ensemble, recitando in Wessis in Weimar di Hochhuth con la regia di E. Schleef. Fondamentale per la sua maturazione come attore è la collaborazione con Heiner Müller, sotto la cui direzione interpreta: Hamletmachine; Quartett (1993, il testo è la riscrittura per la scena che Müller compie del romanzo Le relazioni pericolose di Laclos); La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht (1996, programmato all’interno del Festival Brecht del Piccolo Teatro di Milano). Nel 1996 dirige il Berliner Ensemble, dopo la scomparsa di Müller, del quale dimostra di voler portare avanti il lavoro mettendo in scena e interpretando Germania 3 (Fantasmi per un uomo morto), un progetto che Müller non aveva avuto il tempo di portare a termine. Nel 1997 lavora in Monsieur Verdoux di Schroeter da Charlie Chaplin e nel 1998 recita in Ifigenia in Tauride di Goethe, regia di K.M. Grüber.

Wyspianski

Studia alla Scuola di belle arti e alla facoltà di filosofia dell’Università Jagellonica di Cracovia; in seguito viene ammesso nello studio del pittore Jan Matejko. Considerato il maggior rappresentante del teatro modernistico polacco (`Mloda Polska’), Stanislaw Wyspianski rompe con la tradizione romantica di una drammaturgia `da leggere’ in nome di una concezione dello spettacolo che, nella partecipazione di tutte le arti, favoriva l’avvento della regia. La sterminata produzione teatrale di Wyspianski – dove in una visione sincretica si intersecano suggestioni simboliste, la teoria nietzscheana dell’opera `sintetica’, influenze di Maeterlinck e di Wagner, presagi dell’espressionismo – può essere suddivisa in base ai temi e alle ambientazioni delle opere.

I ‘drammi greci‘ comprendono Meleagro (1899), Protesilao e Laudamia (1899), Achilleide (1903), Il ritorno di Ulisse (1907), dove miti e figure letterarie dell’antichità classica vengono sottoposti a rilettura: Achille acquisisce un’umanità sconosciuta ai suoi contemporanei a causa del destino che lo costringe a uccidere e far soffrire chi ama, mentre Ulisse agisce volutamente per cancellare nella memoria dei posteri le tracce dei crimini commessi. Nei drammi `cracoviani’ Leggenda (1898) e Boleslao l’Ardito (1903) W. esplicita una dura critica della sacralizzazione romantica del passato, denunciando l’ossessione per la storia nazionale come un vero e proprio «mattatoio del pensiero». Nei drammi dedicati alle insurrezioni nazionali del XIX secolo e alla `primavera dei popoli’ (La varsovienne, 1898; Lelewel, 1899; Legione, 1900) W. contrappone all’idoleggiamento della storia una sua interpretazione finalizzata all’identificazione dei principi politici della contemporaneità. Il capolavoro di questa fase è sicuramente Notte di novembre (1904), un dramma sull’insurrezione antirussa del 1830 dove avvenimenti e personaggi storici si incrociano con figure e temi della mitologia classica, e dove gli dèi degli antichi prendono parte attiva alle vicende storico-politiche della modernità.

Nei ‘drammi politici‘ (Le nozze, 1901; Liberazione, 1904; Akropolis, 1904) è la contemporaneità ad essere sottoposta a vaglio, nella sua qualità di anello terminale della catena degli avvenimenti storici. Da un punto di vista ideologico, a caratterizzare questi drammi non è soltanto il rifiuto della martirologia irredentistica e della visione profetico-messianica dell’arte propria dei romantici polacchi, ma anche un’esibita sfiducia nei confronti dei vagheggiamenti populistici degli intellettuali `fin de siécle’ (Le nozze). In un trionfo di sincretismo Wyspianski riesce a conciliare temi mitologici, suggestioni aristofanesche, richiami al folclore e al teatro delle marionette, personaggi storici e allegorie in pièce dove il testo è solo uno degli elementi della rappresentazione, a pari dignità con la resa pittorica delle scene e un commento musicale che spesso diviene protagonista. Al contrario di altri autori del modernismo polacco, Wyspianski gode di un ininterrotto successo sulle scene, grazie anche all’attenzione di registi come Andrzej Wajda, che delle Nozze ha realizzato un mirabile adattamento cinematografico (1972).

Waltz

Dopo gli studi con Waltraud Kornhaus dal 1983 al 1986 Sasha Waltz si perfeziona alla School of New Dance Development di Amsterdam e a New York dove danza in gruppi dell’avanguardia coreografica americana. Rientrata in Europa nel 1988 collabora con artisti come Laurie Booth, Mark Tompkins, Tristan Honsinger, David Zambrano e crea le sue prime coreografie Schwarze Sirene (1988), Morgen war sie sprachlos (1991) e False Trap (1992), cui fa seguito il primo tassello del progetto Travelogue, Twenty to eight con il quale ottiene il secondo premio all’International Choreographers Competition (1994). Con le altre due parti del progetto – Tears breakfast 1994) e All ways six steps (1995) – e con i successivi Allee der Kosmonauten (1996) e Zweiland (1997) si impone come uno dei talenti più interessanti dell’ultima generazione del Tanztheater mitteleuropeo, grazie allo sbrigliato talento narrativo e all’acuta caratterizzazione psicologica dei suoi personaggi, resi attraverso una danza variegata e composita, dai toni surreali e volutamente ironici.

Wilson

La formazione di Georges Wilson è segnata dall’incontro con grandi maestri: nel 1945 è allievo di Pierre Renoir; nel 1947-48 è nella compagnia Grenier-Hussenot; nel 1952 collabora con Jean Vilar all’allestimento di Ubu re di Jarry (Théâtre National Populaire). Nel 1963 subentra a Vilar nella direzione del TNP, che lascerà nel 1972: Brecht (Il signor Puntila e il suo servo Matti ), Corneille, Shakespeare sono gli autori degli allestimenti di maggior successo. In seguito collabora con diverse sale (in particolare L’Oeuvre) e nel 1986 si lancia nel cinema con Léopold le bien-aimé , da una pièce di Jean Sarment; tra i suoi maggiori successi, Sarah ou le cri de la langouste (1982), Eurydice di Anouilh, con il debutto in teatro di Sophie Marceau, Enrico IV di Pirandello (1995).

Williams

William Carlos Williams pubblicò nel 1961 alcuni drammi sperimentali non specificamente destinati alla rappresentazione, anche se il più importante (quello che dava il titolo alla raccolta), Molti amori (Many Loves), fu poi messo in scena dal Living Theatre nel 1969. Il fragile testo, che presentava alcune variazioni sul tema dell’amore, si componeva di tre parti in prosa vagamente collegate fra loro, cui si alternavano brani in versi; la struttura – che ricordava quella pirandelliana del teatro nel teatro – e la fisicità del linguaggio esercitarono una certa influenza sui giovani drammaturghi statunitensi.

Wajda

Andrzej Wajda compie gli studi dapprima all’Accademia di belle arti di Cracovia, poi alla Scuola superiore di cinema di Lódz. Dirige il Teatr Wybrzeza di Danzica e il Teatr Stary di Cracovia. Esordisce nella regia di un’opera teatrale nel 1959, con Un cappello pieno di pioggia da M.V. Gazo, quando è oramai un affermato regista cinematografico. Tra le prime regie, da ricordare quella di Le nozze per lo Stary Teatr di Cracovia (1963), per le conseguenze che avrà nella successiva attività cinematografica e teatrale di W. questo primo incontro con Wyspianski. Dopo lo scarso successo ottenuto con I diavoli di Whiting nello stesso anno, Wajda abbandona il teatro, per farvi ritorno nel 1971 con un adattamento dei Demoni di Dostoevskij. Completa la sua trilogia dostoevskiana con l’improvvisazione Nastazja Filipowna (1977), Delitto e castigo (1984) e Nastazja, da L’idiota (1988), versione definitiva del precedente studio del 1977.

Dai primi anni ’70 W. affianca l’attività teatrale a quella cinematografica, adattando per lo schermo spettacoli precedentemente diretti sul palcoscenico: Le nozze nel 1972, L’affaire Danton (da Stanislawa Przybyszewska, 1975; adattamento cinematografico: Danton) nel 1982, I demoni nel 1986, Nastazja – con l’attore giapponese Tamasaburo Bando nel doppio ruolo di Nastasja Filipovna e del principe Myskin – nel 1996. Vastissimo il repertorio delle regie teatrali di W., che spaziano da Sofocle (Antigone, 1984) a Mrozek (Emigranti, 1976), da Shakespeare a Dürrenmatt (Der Mittmacher , 1973), con una prevalenza di autori moderni: An-ski, Buero Vallejo, Rabe, Strindberg, Mishima, Rózewicz. Alcune messe in scena del regista di L’uomo di marmo sono state considerate autentici avvenimenti culturali.

Una di queste fu Notte di novembre (da Wyspianski, 1974): Wajda ha saputo cogliere il carattere di lamento sulla perdita della libertà e insieme di atto di fede nella sopravvivenza della identità culturale e nazionale polacca proprio dell’originale, riuscendo a far muovere alla perfezione il complesso meccanismo scenico immaginato da Wyspianski. Di grande spessore l’Amleto, diretto sempre per il Teatr Stary di Cracovia nel 1981: W., contaminando il testo shakespeariano con suggestioni da Wyspianski, realizza uno spettacolo magico, dimostrando come dalla paura, dall’incertezza, dall’incomprensione, dal rancore possa scaturire l’autoaffermazione di un uomo. L’interpretazione del testo è lasciata all’operato degli attori. Nella pièce tutti i conflitti sono puramente umani: ogni possibile conclusione generale di carattere filosofico non può che scaturire dall’osservazione dei comportamenti più elementari e immediati. L’assunto su cui ruota la lettura del personaggio-Amleto è la sua volontà di essere un attore perfetto, a fronte del desiderio di ogni attore di essere un Amleto perfetto.

Wajda attualizza l’identificazione della vita col teatro, che tanto peso ha nell’opera di Shakespeare (tutti recitiamo: Amleto, che deve fingere di fronte alla corte, è un timido dilettante e un attore professionale), impegnando nei ruoli del Re e dell’Attore, della Regina e dell’Attrice gli stessi attori, rendendo pubblico partecipe interlocutore del dramma rappresentato sulla scena. Nel corso degli anni W. si è impegnato in regie di spettacoli di sua propria concezione, come Nel corso degli anni, nel corso dei giorni… (1978), dove attraverso un collage di brani della narrativa polacca si rappresenta la vita di una città, «capitale ufficiosa di uno stato inesistente» (Cracovia) tra il 1873 e il 1914, nello snodarsi di una successione di fatti veri e inventati e nell’avvicendarsi di personaggi letterari e realmente vissuti.

Alla luce dell’affermazione di Amleto «Per poter essere buono, devo essere crudele», il regista ha operato una selezione all’interno della trama di Delitto e castigo , ravvisandone il nocciolo drammatico non nella descrizione del delitto compiuto da Raskol’nikov, ma negli scontri verbali tra l’assassino e il poliziotto, cui vengono giustapposti i colloqui tra lo studente e Sonia. Tra le regie di W. più significative degli ultimi anni, sono sicuramente da annoverare il Dibbuk da An-ski (1988) e il recente Mishima (Cracovia, Teatr Stary 1996), basato su quattro nô (Il ventaglio, L’armadio, La Signora Aoi, Il tamburello di raso) incentrati sul tema delle passioni che prevaricano sentimenti e ragione, dove va ascritta tutta al regista la capacità di identificare la dimensione sociale – oltre che personale – della patologia della paralisi del vivere.

Wilson

Formatasi con Dorothy Colter Edwards, Margaret Craske, Antony Tudor, Edward Caton, Sallie Wilson entra nel Ballet Theatre (1949) e nel Metropolitan Opera Ballet (1950-55) per poi tornare alla prima compagnia, divenuta nel frattempo American Ballet Theatre; qui viene nominata solista (1957) e prima ballerina (1961). Si esibisce in seguito anche con il New York City Ballet, creando il ruolo di Maria Stuarda in Episodes della Graham (1959) e danzando da protagonista in Les noces di Robbins (1965). Depositaria delle coreografie di Tudor, ha riprodotto nel 1994 alla Scala (protagonista Carla Fracci) Pillar of Fire , di cui è stata l’interprete di elezione.

Wright

Peter Wright studia con Jooss, Volkova, Van Praagh, iniziando a esibirsi con la compagnia di Jooss (1945-46). Successivamente passa al balletto del Metropolitan (1947) e a quello del Sadler’s Wells Theatre (1949-51, 1952-55). Dal 1957 al ’59 svolge l’attività di insegnante alla scuola del Royal Ballet e inizia a creare le sue prime coreografie ( A Blue Rose , 1957; The Great Peacock , 1958; Musical Chairs, 1959). Per il balletto di Stoccarda (dove riveste il ruolo di maître dal 1961 al ’67) realizza le coreografie: The Mirror Walkers (1963), Quintet (1963), Namouna (1967). In seguito è direttore associato del Royal Ballet (dal 1970) e coreografo – nonché direttore fino al 1994 – della Touring Company (Sadler’s Wells Royal Ballet, oggi Birmingham Royal Ballet).

Weigel

Moglie di Brecht, Helene Weigel ha fondato con lui il Berliner Ensemble e interpretato gran parte delle sue opere. All’età di sedici anni lascia il liceo per studiare recitazione a Vienna. Scritturata per brevi periodi da piccoli teatri, dal 1919 al ’21 lavora con Arthur Hellmer al Neues Theater di Francoforte, interpretando fra l’altro il ruolo di Marie nel Woyzeck di Büchner; nello stesso periodo, allo Schauspielhaus di Francoforte, è Meroe nella Penthesilea di Kleist. Nel 1922 si trasferisce a Berlino, scritturata da L. Jessner allo Staatstheater, dove interpreta i ruoli di Claudine e di Lucinde in Georges Dandin e Il medico per forza di Molière. Nel 1924 conosce Bertolt Brecht, che sposa quattro anni dopo. Nel frattempo lavora in diversi teatri berlinesi: Deutsches Theater, Volksbühne, Renaissance Theater (dove nel 1925 interpreta Klara nella Maria Magdalena di Hebbel). Nel 1928 alla Volksbühne affronta il primo importante ruolo brechtiano, la vedova Begbick di Un uomo è un uomo (regia di Erich Engel), ripreso nel 1931 allo Staatstheater con Peter Lorre e la regia dell’autore.

Nello stesso teatro, nel 1929, è Costanza nel Re Giovanni di Shakespeare, con la regia di Jessner: la critica unanime le riconosce la padronanza di un’arte interpretativa di alto livello, che unisce una notevole abilità tecnica a una profonda forza interiore. Nel 1930 recita alla prima rappresentazione di La linea di condotta (Die Massnahme) di Brecht e nel 1932 è la protagonista di La madre (da Gor’kij), con la regia dello stesso Brecht e di Emil Burri, presso la Komödienhaus di Berlino. Nel 1933 emigra, insieme a Brecht, dapprima attraverso l’Europa (Praga, Vienna, Svizzera, Danimarca), recitando solo in rare occasioni (una messa in scena di Terrore e miseria del terzo Reich, nel 1938 a Parigi); nel 1939 è a Stoccolma, nel 1940 in Finlandia e infine, nel 1941, dopo aver attraversato l’Urss, giunge con il marito negli Stati Uniti, stabilendosi a Santa Monica (California).

Alla fine della guerra ritorna in Europa; nel 1947 lavora in Svizzera, allo Stadttheater di Coira, e nel 1948 rientra a Berlino Est. Qui, nel 1949, fonda insieme a Brecht il Berliner Ensemble, che dirige sino alla morte; vi interpreta alcuni dei più importanti ruoli brechtiani ( Madre Coraggio e i suoi figli , dal 1949 al ’61, regia di Brecht e Engel; La madre , dal 1951 al ’71, regia dello stesso Brecht), tenendo inoltre numerosi recital all’estero. È stata la protagonista più congeniale a Brecht, una maestra dell’arte interpretativa del realismo. Come intendente del Berliner Ensemble ha ricevuto numerose critiche, per aver voluto fare di quel teatro una sorta di museo brechtiano. È stata insignita del Premio nazionale della Rdt.

Washington National Ballet

Nata nel 1962 dalla scuola della National Ballet Society, sotto la guida di Frederic Franklin, la Washington National Ballet si è configurata come gruppo itinerante, con un repertorio firmato dallo stesso Franklin, da Stevenson e da Balanchine. Si è sciolta nel 1974. Ne ha preso il posto il Washington Ballet, sotto la direzione di Mary Day, che ne è anche coreografa (Schiaccianoci). Ha in repertorio balletti di Petipa, Balanchine, Cranko, Van Schayk, Van Dantzig, Christe, Nebrada (L’uccello di fuoco, 1986), Ray Barra e classici del Novecento come Les noces di Nijinska. Tra le creazioni del gruppo si segnalano Synonyms (1978), Double Contrasts (1978), Momentum (1979), In the Glow of the Night (1982) di Choo San-Goh, per undici anni coreografo residente. Kevin McKenzie vi ha allestito La fille mal gardée (1991).

Winter Garten

Il Winter Garten inizia la sua attività nel 1875 come ristorante all’aperto sulla Friedrichstrasse, la strada degli spettacoli della Berlino d’allora, una specie di Broadway germanica. Il locale ospita piccole esibizioni, soprattutto musicali, come nella tradizione dei `pleasure gardens’ inglesi. Il 7 gennaio 1882 viene realizzata un’enorme copertura di vetro per permettere l’esercizio anche nei periodi invernali, da cui il nome Winter Garten. Il nuovo locale, inaugurato dall’imperatore Guglielmo I, è una sorta di serra lussuosa, con arredo di fontane e piante ed un piccolo palco dove vengono presentate alcune attrazioni, mentre i visitatori mangiano e bevono.

Il primo novembre del 1895, il Winter Garten è il primo locale pubblico europeo a proiettare una pellicola realizzata in Bioskop da Max Skladanowsky. Nel 1900 la definitiva trasformazione in teatro: spariscono piante ed aiuole, sostituite da un grande palco ed un’immensa platea capace di ospitare oltre duemila spettatori. La grande vetrata viene sostituita e il locale prende l’appellativo de `il varietà dal cielo stellato’, per il caratteristico soffitto blu a volta trapunto da miriadi di piccole luci. L’architettura scenica è modernissima, capace di ospitare da singoli comici a troupe di trapezisti o gruppi di elefanti. Il Winter Garten diventa la meta preferita dei berlinesi in cerca di divertimento. Uno dei pochi teatri europei dove il termine varietà viene applicato alla lettera e si realizza una commistione senza stridori fra vedette di varie discipline.

In oltre mezzo secolo sfilano i migliori artisti del tempo: l’illusionista Harry Houdini, la danzatrice Loie Fuller, le soubrette Cleo de Merode, la bella Otero e Mistinguette, il giocoliere Enrico Rastelli, i clown Fratellini e Grock, i trapezisti Codona ed Amadori, il domatore Alfred Court, la cavallerizza May Wirth. Ed ancora il travestito Barbette, le marionette del teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca e il trasformista Leopoldo Fregoli. Da non dimenticare la splendida orchestra di trentadue elementi diretta, negli anni ’20, dal maestro Paul Lincke. Così come il nutritissimo corpo di ballo delle Tiller Girls. Ma l’artista più rappresentativo del Winter Garten è forse il famoso comico e cantante tedesco Otto Reutter (1870-1931), che in patria ottiene un successo paragonabile a quello che da noi, negli stessi anni, riscuote Ettore Petrolini. Reutter rimane per trent’anni nei cartelloni del teatro, menestrello conservatore e patriottico, con canzoni sul mondo dei lavoratori fra le quali la nota “Ich wundre mir über gar nicht mehr” ( Non mi meraviglio più di niente ). Negli anni del nazionalsocialismo, Hitler mostra di apprezzare l’operato del locale, indicendo pubblici concorsi per i migliori artisti, proibendo però allo stesso tempo la collaborazione di operatori semiti.

Naturalmente il Winter Garten non è il solo locale del genere nella Berlino di allora. I suoi migliori concorrenti sono l’Apollo, il Walhalla e soprattutto la Scala, fondata nel 1920 da Jules Marx, con la particolarità di privilegiare una forma ibrida fra varietà e rivista. L’atmosfera dei locali di spettacolo del tempo è ben ricostruita in Cabaret (1972, Bob Fosse). Nel 1945, il WG, così come la maggior parte degli altri locali pubblici, viene raso al suolo durante i bombardamenti degli alleati sulla capitale tedesca. Ma evidentemente la tradizione del teatro di varietà è ben radicata nella cultura tedesca. Dalla fine degli anni ’80, infatti, è in atto un riflusso positivo del genere, che vede l’apertura di nuovi locali o la riapertura di vecchi in numerose città tedesche.

Nel 1992 viene inaugurato a Berlino, sulla Potsdamer Strasse, il nuovo Winter Garten, con la consulenza artistica di Andrè Heller e Bernhard Paul e quella saltuaria dell’italiano Arturo Brachetti. Altri importanti teatri di varietà sono il Teigerpalast di Francoforte e il GOP di Hannover. Ma da segnalare è soprattutto l’attività del Chamaleon, forse l’unico a proporre un’estetica veramente nuova, un `varietà underground’, che opera in un teatro diroccato al secondo piano di una vecchia palazzina nell’ex Berlino Est, con la direzione artistica del mimo-clown Harald `Hacki’ Ginda.

 

 

 

 

 

 

Wirth

May Wirth è considerata la più grande cavallerizza del secolo. Trovatella, a cinque anni comincia assieme alla sorella il tirocinio di contorsionista nel Wirth Brothers Circus, popolare complesso australiano. Viene adottata da due dei proprietari, John e Maricles Wirth Martin; quest’ultima le insegna l’arte dell’acrobazia equestre, che May inizia a praticare da adolescente. Nel 1911 John Ringling la scrittura per il Barnum & Bailey Circus dove debutta, nella pista centrale, al Madison Square Garden un anno più tardi: la critica americana la accoglie con entusiasmo. Nel 1919 viene annunciata in cartellone come `The Greatest Bareback Rider That Ever Lived’. Alcuni degli esercizi eseguiti non verranno più eguagliati, come il doppio salto mortale da cavallo a cavallo. Rimane al Ringling Bros. and Barnum & Bailey fino al 1929, alternando tali ingaggi a quelli nei teatri di varietà del circuito Keith. Si ritira nel 1938.