Palitzsch

Si accosta al teatro nel dopoguerra, lavorando dapprima alla Volksbühne di Dresda; nel 1948, invitato da Brecht al Berliner Ensemble, fa il suo debutto come regista in L’eroe del mondo occidentale di Synges (1949). In seguito cura regie in collaborazione con M. Weckwert, tra cui La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht (1959). Dopo la costruzione del muro di Berlino dichiara, nell’ottobre del 1961 a Oslo, di non voler più ritornare nella Rdt Nel 1962 mette in scena a Stoccarda La morte di Danton di Büchner per il Teatro nazionale del Württemberg, del quale assume la direzione cinque anni dopo. Nel 1972, dopo lunghe polemiche con i rappresentanti della politica del Cdu di Stoccarda, si dimette dal suo incarico e mette in scena un Amleto di Shakespeare che fa molto discutere. In seguito lavora a Francoforte mettendo in scena opere di Lessing, Wedekind, Müller, Ibsen, Pinter, Schiller e Horváth. Nel 1992 entra a far parte della nuova direzione del Berliner Ensemble.

Pane

Figura essenzale della body art anni Settanta. La prima performance di Gina Pane è Escalade (1971). Qui la Pane inizia il proprio lavoro d’investigazione e sfida sul corpo infierendolo con piccoli tagli e/o frustandolo, creando nell’osservatore uno shock visivo ed emotivo di notevole intensità (la documentazione fotografica e video sono dell’amica Françoise Masson). Pur essendo azioni performatiche in cui il pericolo e il dolore dell’artista sono presenti e talvolta portati al limite, esse non hanno la violenza nichilistica e la gravità di quelle di Burden o di Brus e Nitsch. Non ci sono mutilazioni ma piccole blessures. I rivoli e gli sgocciolamenti di sangue che macchiano la camicia immacolata e bianca della Pane non hanno niente a che vedere con i gorghi orgiastici dell’azionista viennese. In Azione sentimentale (1973) alla Galleria Diaframma di Milano, l’artista si infila sul braccio sinistro le spine di una rosa e incide un disegno sul palmo; in Death Control (1974) il viso è ricoperto di vermi, mentre in Laure (1976) alla Isy Branchot di Bruxelles, ancora il suo avanbraccio sinistro è infilzato con aghi da cucito.

Prampolini

Nella poetica del teatro futurista, avviata da Marinetti con la messinscena di Roi Bombance nel 1909 (anno in cui pubblicò Poupées électriques ) e con il Manifesto del teatro di varietà del 1913, ha inizio l’attività di Enrico Prampolini scenografo, con due bozzetti di costume motorumorista per `coreografie futuriste’: un bozzetto di scena e un costume `fono-dinamici’ del 1914. Nel 1915 P. pubblicò il manifesto Scenografia e coreografia futurista , dove affermò il valore della scena dinamico-cromatica, più incline all’esaltazione pantomimica che alla parola, in un dinamismo scenico che guardava all’allora giovane cinema (nel 1916 infatti collaborò con A.G. Bragaglia a Perfido incanto e Thaïs e pubblicò il Manifesto della cinematografia futurista ). Risalgono al 1917 i bozzetti per la sua prima scenografia teatrale, La vita dell’uomo di Andree. Considerando la marionetta lo strumento più idoneo alla propria concezione teorica, ne concretizzò i risultati espressivi nel dramma simbolico per marionette Matoum et Tévibar di A. Birot (1919). Seguì un’intensa attività di scenografo, scenotecnico e costumista al `Teatro del colore’ di Achille Ricciardi, dove sviluppò la propria ricerca di una scenografia risolta attraverso ritmi espressivi di luce-colore, verso una totale astrazione che lo portò a sostituire l’attore con fasci di luce in movimento, come il personaggio della Morte ne L’intrusa di Maeterlinck.

Ricordiamo inoltre L’après-midi d’un faune da Mallarmé, poema danzato con un declamato di voce fuori campo in luogo della musica, e Le bateau ivre , ispirato al poema di Rimbaud (1920). Nel 1921-1922 disegnò le scenografie e i costumi per il Teatro Sintetico Futurista, che mise in scena Antineutralità e Vengono di Marinetti, Parallelepipedi di P. Buzzi, Giallo+rosso+verde e Il pranzo di Sempronio di Settimelli, rappresentati al Teatro Svandovo di Praga, dove P. ebbe modo di sperimentare il palcoscenico girevole per la simultaneità dell’azione. Nel manifesto Atmosfera scenica futurista del 1924, mosso dall’esigenza di un rigoroso astrattismo, affermò la necessità di una scenografia elettrodinamica di «elementi plastici luminosi in movimento nel cavo teatrale», per inscenare quel “rito meccanico” che aveva assunto le tinte dell’appassionata utopia: «il teatro poliespressivo futurista sarà una centrale ultrapotente di forze astratte in gioco». Su questa linea P. portò le proprie visionarie e provocatorie proposte di messinscena nei teatri di Vienna, Praga, Parigi, New York. Progettò il modello del `Teatro Magnetico’, edificio dedicato alla scena astratta futurista che proseguiva le tesi di Gordon Craig e di altri innovatori della scenografia: esposto a Parigi nel 1925, gli valse il Grand Prix Mondiale pour le Théâtre.

Nel 1927 diede vita al Teatro della Pantomima Futurista, dove ideò suggestive soluzioni scenodinamiche tra cui si ricordano Tre momenti (1927), con la musica di F. Casavola e il `rumorarmonio’ di L. Russolo, dove P. fu anche coreografo, Coctail di Marinetti, musicato da S. Mix (1927), e L’ora del fantoccio con musica di A. Casella (1928). Fu anche autore della pantomima Il mercante di cuori (musica di Casavola), dove utilizzò in scena proiezioni cinematografiche in nome di una ancor più viva adesione all’estetica della macchina. Si affermò in seguito come scenografo nei più noti teatri italiani, lavorando a opere liriche e balletti, intrecciando rapporti estetici con l’astrattismo, il costruttivismo, il cubismo, il neoplasticismo. Ricordiamo tre lavori di Casavola ( Il castello nel bosco , 1931; Salammbô , 1948; Bolle di sapone , 1953), la `prima’ de I capricci di Callot di G.F. Malipiero (Roma, Teatro dell’Opera 1942) e La sonnambula di Bellini per il Maggio musicale fiorentino (1942).

Perinetti

Studia negli Stati Uniti e all’Université du Théâtre des Nations a Parigi. Serreau nel 1964 lo sceglie come collaboratore e poi gli affida la direzione di una compagnia formata interamente da attori di colore, con cui rappresenta due testi di Césaire: La tragèdie du roi Christophe (1964) e Une saison au Congo (1967). È stato direttore del Teatro Nazionale di Chaillot dal 1975 al 1981. Tra le sue regie ricordiamo: L’événement e L’entreprise (1965); En regardant tomber les murs (1966) di G. Foissy; Le rapport dont vous êtes l’objet (1971) di V. Havel; Ressources naturelles (1974) di P. Laville; Cyrano ou les soleils de la raison (1978) di C. Bonnefoy; Volpone (1983) di .B. Jonson nell’adattamento di J. Romains.

Padovani

Diplomatosi alla scuola di scenografia all’Accademia di Brera, Gian Franco Padovani inizia da subito ad allestire numerosi spettacoli ( Miles gloriosus di Plauto, 1949; Le furberie di Scapino di Molière, 1951; Il berretto a sonagli di Pirandello). Dopo un lungo e proficuo periodo a Trieste ( Le vergini di M. Praga, 1956; L’ispettore generale di Gogol’, 1960; Il furfantello dell’ovest di J.M. Synge, 1962), la chiave di volta è indubbiamente lo Stabile di Genova ed il rapporto con L. Squarzina, che riesce a mettere felicemente a fuoco le sue migliori possibilità ( I due gemelli veneziani di Goldoni, 1963; La coscienza di Zeno di Svevo, 1964; Maria Stuarda di Schiller, 1965). Il suo lavoro scenografico matura attraverso il raggiungimento di una raffinata unicità strutturale: l’impianto scenico, affidato ad una struttura-base fissa, si anima mediante l’uso di luci, proiezioni o ingegnosi cambiamenti a vista, realizzati con scorrevoli e girevoli, che mantengono vivo il flusso dell’azione. Così è per la Madre Courage di Brecht (1969-70), per il Giulio Cesare di Shakespeare e per Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (1971-1972). Più di recente, collabora anche con Nanny Loy ( Crimini del cuore di B. Henley, Roma, Teatro Quirino, 1992); con F. Macedonio per il Teatro Cristallo di Trieste ( Emigranti di S. Mrozek, 1991; Omobono e gli incendiari di M. Frisch, 1994) e con A. Zucchi ( Gli amori inquieti di A. Zucchi da Goldoni, Roma, Teatro Quirino, 1996).

Porta

Per il teatro Antonio Porta ha scritto testi originali e adattamenti ( La stangata persiana ) portati sulla scena da registi quali Paolo Bessegato e Michele Perriera. Tra le sue creazioni, nutrite di quell’ironia spesso surreale che ne è cifra costituiva e sorrette da una particolare sensibilità nei confronti del linguaggio, si devono ricordare Stark (rappresentato a Roma, Teatro di via Belsiana 1968); Come se fosse un ritmo (dalla sua raccolta di versi “Cara”, portato in scena a Roma, Beat 72 1972); La presa di potere di Ivan lo sciocco (allestito a Milano, Teatro Uomo, 1974), L’elogio del cannibalismo (1977), Fuochi incrociati (Milano, Centro Internazionale di Brera 1982), Pigmei, piccoli giganti d’Africa (Palermo 1985), La festa del cavallo (1986) e Salomé, le ultime parole , recentemente allestita a Salerno per la regia di Valeria Patera (1994).

Poelvoorde

Allieva del Balletto Fiammingo, dello stesso fece parte e diventò solista. Successivamente venne scritturata dal Nederlands Dans Theater e poi dal Ballet du XXème siècle. Con questa compagnia maturarono in pieno le sue forti doti tecniche ed espressive, ben valorizzate da Béjart in alcuni dei suoi più famosi lavori degli anni ’70. Di grande rilievo le sue interpretazioni in Le Marteau sans maître , I Trionfi , Acqua alta .

Pescucci

Gabriella Pescucci si trasferisce a Roma terminati gli studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Diventa assistente di P.L. Pizzi e in seguito di P. Tosi con il film Medea di P.P. Pasolini. Questo fecondo apprendistato dura circa sei anni. A partire dagli anni ’70 firma personalmente film quali Cannibali di L. Cavani, Addio fratello crudele di G. Patroni Griffi, C’era una volta in America di S. Leone (1984). La sua ricchissima attività in campo cinematografico le ha valso numerosi premi e riconoscimenti tra cui il David di Donatello, il Nastro d’Argento e nel 1993 l’Oscar per i costumi disegnati per L’età dell’innocenza di M. Scorsese. Con Patroni Griffi mette in scena per il teatro i costumi di Mahagonny di Brecht-Weill (Spoleto, Festival dei Due Mondi 1972) e sempre nello stesso anno, al Teatro alla Scala, disegna i figurini per Norma di Bellini con la regia di M. Bolognini. Suggestiva messinscena in cui i costumi di ispirazione barbarica, costruiti con tessuti di invenzione – cencio di nonna, garze trattate e tinte manualmente, intrecci di stoffe – formano una globale coralità cromatica in accordo con la scena di M. Ceroli. Collabora per il melodramma con diversi registi tra cui L. Ronconi per il Trovatore di Verdi (Monaco Staatsoper 1992), L. Cavani per La Traviata di Verdi (1990), La Vestale di G. Spontini (1993) e Manon Lescaut di Puccini (1998), tutte al teatro alla Scala di Milano. Per il teatro di prosa, intensa è la sua collaborazione agli allestimenti di Patroni Griffi, fra i quali ricordiamo Le femmine puntigliose di C. Goldoni (Venezia, La Fenice 1978), La signora dalle Camelie da A. Dumas figlio (Napoli, Teatro Diana 1992) e con L. Ronconi Strano interludio di E. O’Neill (Torino, Teatro Carignano 1991). Nella danza coopera anche in manifestazioni televisive come “Mantova festa a corte” con V. Ottolenghi e V. Cappelli occupandosi dei costumi. Il risultato del suo lavoro minuzioso si impone per la qualità, la ricerca del dettaglio, l’invenzione e la fedeltà alla linea storica dell’abito.

Pogliani

Studia danza contemporanea a Roma con Elsa Piperno e Joseph Fontano. Nel 1985 si stabilisce a New York dove frequenta il Cunningham Studio e studia con Mark Morris, Stephen Petronio, Tere O’Connor. Dopo aver danzato con i gruppi di R. Newman e L. Dean, dal 1989 al 1995 è nella Lucinda Childs Dance Company, con cui partecipa al tour mondiale di Einstein on the Beach (1992). Tornato in Italia nel 1995, collabora con Enzo Cosimi, Roberta Gelpi e Adriana Borriello e inizia una propria ricerca coreografica con lavori per la sua formazione ( Il Rosario di Umili Meraviglie , 1997) e per altre compagnie ( Ilinx, Balletto di Toscana 1997).

Piccoli

Dopo qualche anno di giornalismo, nel dopoguerra Fantasio Piccoli fonda il Carrozzone (compagnia costituita da dieci giovani attori), una delle prime esperienze di decentramento teatrale. Il gruppo comprendeva, fra gli altri, R. Valli, V. Fortunato e A. Asti, il regista A. Trionfo, gli scenografi L. Luzzati e G. Padovani. Il repertorio presentato è vario: nel 1947 vengono allestiti Il curioso accidente di C. Goldoni e Come le foglie di G. Giacosa; nel 1948 Istoria di Jesù Nazareno raccolta di laudi umbre e La dodicesima notte di Shakespeare, nel 1949 Miles gloriosus di Plauto e Un capriccio di A. de Musset; nel 1950 Liliom di Molnár. Nel 1950 il gruppo costituì il primo nucleo del Teatro Stabile di Bolzano che P. dirige per sedici anni, allestendo una settantina di spettacoli circa, fra cui opere di Shakespeare, Euripide, Molière, Anouihl, Pirandello, Goldoni, Claudel, ma anche esponenti della drammaturgia italiana contemporanea quali Terron, Bompiani, Biagi. Nel 1966 lascia la direzione dello Stabile pur continuando a svolgervi la funzione di consulente artistico, e l’anno seguente insieme a E. Calindri assume la guida del Teatro San Babila di Milano. L’attività produttiva del teatro prosegue fino alla prima metà degli anni ’70 con numerosi allestimenti, tra i quali: La Gioconda di D’Annunzio (1967) e Pensaci, Giacomino! di Pirandello (1970), ma a causa delle ingenti difficoltà economiche, alla fine degli anni ’70 lascia la direzione. Tornò così nuovamente al giornalismo, occupandosi della rubrica di critica teatrale sul settimanale “Oggi”. È stato insignito del Premio Una vita per il teatro a testimonianza di un’esistenza dedita allo sviluppo e alla diffusione della cultura.

Philippart

Dopo aver frequentato a Parigi i corsi di M.me Alessandri e della Egorova, nel 1945 entrò a far parte dei Ballets de Paris diretti da R. Petit. Molto apprezzata per il suo invidiabile temperamento, è stata la protagonista femminile di vari lavori dello stesso Petit risalenti a quel periodo. Tra essi, lo storico Le jeune homme et la Mort (1946), danzato insieme al marito J. Babilée. Si è ritirata insolitamente presto dalle scene.

Pavese

Figlia d’arte (Nino Pavese il padre, Jolanda Peghin la madre) si diploma all’Accademia d’arte drammatica`S. D’Amico’ nel 1960. Debutta come attrice giovane con Gabriele Ferzetti. Lavora poi con Gigi Proietti, Antonio Calenda, Orazio Costa. È una delle fondatrici del Gruppo della Rocca con cui lavora per dieci anni, a partire dal 1968. La troviamo inoltre con Vittorio Gassman in Quattro risate in famiglia e Ulisse e la balena bianca . Nel ’96 è in Pirandhorror , regia di Marco Maltauro, nel 1998 nell’ Impresario delle Smirne di Goldoni, regia di Adriana Martino.

Poggi

Il suo percorso si snoda tra teatro (tra gli altri spettacoli, nel 1985 mette in scena Addio cabaret , un antologia del cabaret degli anni ’60), apparizioni in televisione e cinema (nel 1998 lo vediamo in La cena per la regia di Ettore Scola) e soprattutto in radio ( Black-out in onda dal 1983 fino a oggi).

Picasso

Lamberto Picasso fu entusiasta sostenitore di un teatro d’arte e in questa direzione tentò di riformare la figura dell’attore. Dopo il successo in Sei personaggi e All’uscita , al Teatro Argentina di Roma nel 1992, collaborò con Pirandello nella compagnia del Teatro Odescalchi e insieme misero in scena un vasto repertorio dove si distinse in tutte le sue interpretazioni per intelligenza, misura e modernità. Interpretò i personaggi di alcune fra le figure più note del teatro contemporaneo: L. Andreev, F. Crommelynck, F. Molnar, L. Chiarelli, M. Bontempelli e U. Betti. Firmò alcune regie, tra cui il Grande viaggio di Sheriff, nel 1930, che viene ricordato anche per la sua interpretazione. Al cinema fu protagonista, fra gli altri, de La rosa di Frateili (1921), di Scipione l’Africano (1937) e di Un garibaldino al convento (1942). Nel 1946, con P. Borboni, diresse la compagnia per le celebrazioni pirandelliane a dieci anni dalla morte del maestro. Negli anni ’50 fu ancora un grande Enrico IV al Teatro Pirandello (ora Tordinona) con le scene di Renato Guttuso.

Plan K

Fondata nel 1973 dal coreografo Frédéric Flamand (dal 1991 direttore artistico del Ballet Royal de Wallonie), persegue l’obiettivo di far dialogare fra loro discipline diverse quali la danza, il teatro, la musica e l’audiovisivo. Alla base del lavoro di Flamand, che nel 1980 ha creato a Bruxelles un centro internazionale di ricerca artistica pluridisciplinare (La Raffinerie), sta infatti la frantumazione della rappresentazione mediante l’inserimento di tecniche nuove. Il suo teatro coreografico diventa così, in primo luogo, scena delle pulsioni, delle macchine e degli oggetti con cui gli attori-danzatori interagiscono. Tra i lavori più interessanti: Quarantaine , Scan Lines If Pyramide e la trilogia composta da Icare , Titanic e Ex Machina .

prestidigitazione

La prestidigitazione è l’arte basata sulla destrezza manuale che consiste nel far apparire, sparire o moltiplicare piccoli oggetti come palle, sigarette, carte da gioco. Si divide in prestidigitazione da scena, in cui l’artista è in piedi su un palco, e micromagia (o `close up magic’) che vede l’artista seduto con l’interazione degli spettatori. La micromagia è tra le forme di prestidigitazione più antiche e dalle tecniche più efficacemente tramandate. Oggi pare una delle arti più diffuse al mondo, soprattutto a livello amatoriale, forte di una manualistica e di una didattica sterminate. Ha origine in pratiche arcaiche come il `gioco dei bussolotti’, le cui tecniche sono ancora oggi studiate e perfezionate. Nel dopoguerra, soprattutto negli Stati Uniti, la micromagia si sviluppa nelle tecniche, nella teatralità e nei principi psicologici, con trattati e conferenze di maestri degli anni ’60 come Tony Slydini (manipolatore di monete) e Dai Vernon (il più grande trattatista e inventore di tecniche per prestidigitazione con carte da gioco). Tra i contemporanei si distingue Ricky Jay, i cui spettacoli con carte da gioco sono scritti e messi in scena da David Marnet.

Per quanto riguarda la prestidigitazione da scena, essa nasce attorno al XVIII secolo, come intrattenimento da camera, ed è poi rilanciata con la rivoluzione di Jean Robert Houdin, padre della magia moderna. Ai primi del ‘900 la prestidigitazione da scena diviene un’arte teatrale e si codifica con lo sviluppo del varietà in un tipo preciso di numero (essenzialmente muto, a differenza della micromagia) spesso fondendosi con l’illusionismo. Dei palcoscenici degli anni ’10 si ricordano i manipolatori Nelson Downs, con apparizioni miracolose di monete ed Howard Thurston, con apparizioni di carte da gioco. Negli anni ’50, Channing Pollock codifica con classe il numero del prestigiatore in frack con colombe e foulard. I più validi prestigiatori da palcoscenico sono oggi Lance Burton, con un proprio teatro a Las Vegas, e Jeff Mc Bride, manipolatore di maschere che si ispira teatralmente alle tradizioni magiche sciamaniche.

 

 

 

 

Polyakov

Evgheni Polyakov si diploma con Aleksander Yermolayev alla scuola del Bol’šoj e danza come primo ballerino con il Balletto di Novosibirsk; rientrato a Mosca nel 1970 è maître de ballet al Bol’šoj fino al 1976, anno in cui si trasferisce in Italia. Qui, dopo un biennio come maître de balletLa Fenice di Venezia, dal 1978 al 1983 assume il medesimo incarico al Teatro Comunale di Firenze, dove rimonta alcuni classici dell’Ottocento ( Giselle , Le nozze di Aurora ) e crea alcune coreografie, tra le quali un fortunato Schiaccianoci (1983); contemporaneamente collabora con il Collettivo Danza Contemporanea di Firenze per cui firma Correspondances (1982). Dal 1983 al 1988 su invito di Rudolf Nureyev è maître de ballet dell’Opéra di Parigi, da lui stesso diretta nel 1989 insieme a Patrice Bart. Dal 1988 consulente di MaggioDanza, ne assume la direzione artistica dal 1992 al 1995, portando la compagnia ai vertici della danza italiana, grazie all’elevato standard tecnico e interpretativo e alla creazione di un repertorio versatile e stilisticamente raffinato, con opere dell’Ottocento e Novecento storico, balletti di autori contemporanei internazionali e sue stesse creazioni, tra cui Cenerentola (1991), Coppelia (1992), La Ronde (1995). Rientrato a Parigi nel 1996 ha rivestito fino alla fine l’incarico di maître repetiteur.

Perezoff, troupe

Il fondatore e leader è Carlos Perez, che in Inghilterra ottiene una certa notorietà come giocoliere. Nel 1910, con i fratelli Jose e Francisco, Charles decide di formare un numero di gruppo. Vengono scritturati altri quattro artisti, formata la troupe e creato Un souper animè chez Maxim’s . La vastissima scenografia utilizzata comprende l’entrata di un ristorante, una sala con i tavoli e una cucina. Tutti e tre gli ambienti vengono messi a soqquadro dai componenti della troupe che in un susseguirsi di gag cambiano di posto alla maggior parte degli oggetti presenti in scena. Il gruppo arriva a comprendere fino a quattordici persone. Consolidano la tipologia del `numero a tema’.

Pampiglione

Laureatosi in Lettere con una tesi su Witkiewicz, si diploma in regia all’Accademia di Varsavia (1971) allestendo alcuni spettacoli sul Settecento veneziano (che sarà argomento del suo impegno all’estero). Nel 1980 dà vita all’Atelier di Formia che ospita attori di tutto il mondo per presentare in italiano opere del Novecento europeo. In questo periodo realizza diversi spettacoli per l’Estate Romana, il festival dei Due Mondi di Spoleto, il Teatro Stabile di Trieste. Parallelamente svolge attività di traduttore dedicandosi in particolar modo ai testi del teatro polacco.

Pagano

Diplomato all’Accademia di belle arti di Brera, Mauro Pagano inizia la sua carriera in teatro come assistente di Frigerio. Debutta nel 1975, firmando i costumi per il balletto Variation di R. Petit e curando le scene del Don Pasquale di Donizetti, regia F. Soleri (Teatro Comunale di Modena 1978). Durante la sua breve ma intensa carriera collaborò con importanti registi di fama internazionale, tra i quali V. Puecher per l’ Albert Herring di Britten (Piccola Scala 1980) e per J. C Auvray Der Rosenkavalier di R. Strauss (Parigi 1984). Progetta le scene e i costumi per l’indimenticabile Così fan tutte di Mozart per la regia di M. Hampe (Salisburgo 1982, Scala 1983). P. ci suggerisce attraverso l’armonia della scena in perfetta simbiosi con la musica e con la poesia della luce, l’atmosfera rarefatta e lo spazio napoletano dell’opera gioiosa di Mozart. Sempre con la regia di M. Hampe mette in scena – Don Giovanni di Mozart (Salisburgo 1987) e Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi, (Salisburgo 1985). Alla Scala nel 1985 cura le scene dell’ Aida di Verdi, per la regia di Ronconi, con il quale firma il suo ultimo spettacolo ( Fetonte di N. Jommelli, 1988). Le sue ambientazioni sceniche sono caratterizzate dall’uso di elementi architettonici, ricchi di dettagli realistici. L’abilità e l’estro di artista emerge nei suoi bozzetti attraverso la sicurezza del segno grafico, la cura dei particolari ricchi di un rivisitato gusto barocco e un sapiente uso del colore.

Popolizio

Massimo Popolizio si diploma all’Accademia d’arte drammatica `S. d’Amico’ nel 1984 e affronta il primo ruolo da protagonista l’anno successivo in Commedia della seduzione di A. Schnitzler, diretto da Luca Ronconi, regista con il quale collabora stabilmente per oltre dieci anni in numerosi spettacoli. Tra questi, P. si fa apprezzare in Strano interludio di O’Neill, Gli ultimi giorni dell’umanità , di K. Krauss, ed è protagonista in Misura per misura di Shakespeare, Peer Gynt di Ibsen, Ruy Blas di V. Hugo, Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill (nel doppio ruolo di Ezra e di Orin Mannon), fino ai più recenti Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di C.E. Gadda (nel ruolo di Giuliano Valdarena) e I fratelli Karamazov di Dostoevskij (nella parte di Dimitri). Attore versatile ed intenso, P. è insignito del premio Ubu 1996 come migliore attore italiano, e ottiene il Premio della critica, il Pegaso d’oro e il Nastro d’argento per il doppiaggio del film Hamlet di K. Branagh.

Podrecca

Nel 1911 decide di abbandonare la sua pur vivace attività di giornalista e scrittore per dedicarsi al teatro delle marionette. P. non fu solo un marionettista, ma uno straordinario organizzatore e capocomico. Nel 1914 fonda, con Giovanni Santoro, marionettista che già dirigeva una compagnia, I fantocci di Santoro, il Teatro dei Piccoli, che debutta a Roma a Palazzo Odescalchi. Con un repertorio fondato su numeri musicali di varietà e opere buffe ( Cenerentola di Massenet, L’occasione fa il ladro di Rossini, Pinocchio di Collidi,) con una compagnia di quasi trenta persone e mille duecento marionette, il Teatro dei Piccoli muove poi per una serie di tournée in tutto il mondo, realizzando, con straordinario successo, in quindici anni, ventiseimila rappresentazioni. Al Teatro dei Piccoli P. chiamò a lavorare molti dei migliori marionettisti italiani che seppero sviluppare, coerentemente con il repertorio della compagnia, grandi virtuosismi. Dopo la morte di P. è stato uno dei suoi collaboratori, Silvio Vanelli a continuare l’attività, se pur con assai minor fortuna, ribattezzando la compagnia I Piccoli di Vanelli

Parenti,

Nel 1972 Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah, con Giovanni Testori e Dante Isella, fondano il Salone Pier Lombardo, che diventa immediatamente un punto di riferimento di vitalità artistica e culturale per la città di Milano, caratterizzandosi per un’idea di teatro proiettata sia verso le novità italiane e straniere, sia verso la rilettura dei classici in chiave contemporanea, e che comprende anche un’intensa e diversificata proposta di manifestazioni culturali, concerti, rassegne cinematografiche, conferenze, festival, presentazioni di novità editoriali. Ben presto gli spettacoli del Pier Lombardo trovano circuitazione in tutta Italia, contribuendo a creare dei veri e propri `eventi’ di carattere nazionale. Spettacoli come la Trilogia di Testori (Ambleto-Macbetto-Edipus ) o Il malato immaginario e Il misantropo di Molière, o I promessi sposi alla prova di Testori, interpretati da F. Parenti e tutti con la regia di A.R. Shammah, fanno ormai parte della storia del teatro italiano. Altri spettacoli come La doppia incostanza di Marivaux, Il maggiore Barbara di Shaw, La palla al piede di Feydeau, Il bosco di notte di Sansone, Timone d’Atene di Shakespeare, si sono imposti anche per una particolare concezione dello spazio scenico, proiettato verso una forma di `teatro aperto’, che ha caratterizzato le scelte di A.R. Shammah.

Nel 1989, con la scomparsa di F. Parenti, A.R. Shammah assume interamente la direzione del teatro che, in onore del grande attore, prende il nome di Teatro Franco Parenti. A Milano e alla milanesità il T.F.P. ha dedicato, durante le ultime stagioni, un percorso nel passato e nelle contraddizioni del presente fatto di spettacoli di autori milanesi, quali G. Testori (La Maria Brasca), L. Santucci (Noblesse oblige), C.E. Gadda (L’Adalgisa), Tadini (La tempesta e La deposizione ), F. Loi (La vita, il sogno), messi in scena da A.R. Shammah e interpretati, fra gli altri, da Adriana Asti, Gianrico Tedeschi, Piero Mazzarella, Anna Galiena. In venticinque anni di attività il T.F.P. ha prodotto oltre settanta spettacoli, sei Festival Internazionali, una miriade di appuntamenti culturali, ai quali hanno partecipato, fra gli altri: C. Musatti, A. Zichichi, N. Abbagnano, E. Severino, F. Ferrarotti, G. Vattimo, U. Eco, A. Arbasino, J. Le Goff, H. Müller, D. Maraini, E. Siciliano, M. Gorbaciov. Nella stagione 1997-98 sono andati in scena: Re Lear , regia di A.R. Shammah, Il riformatore del mondo , regia di P. Maccarinelli, L’amante , regia di A.R. Shammah, La vita è un canyon , regia di A.R. Shammah.

performance

Nella sua accezione più ristretta, ‘performance art’ è un termine entrato in uso negli anni ’70 a designare ciò che in precedenza si indicava con `happening’, vale a dire una performance  in cui l’autore è a tutti gli effetti colui che la esegue o la dirige. Una seconda caratteristica fondamentale di questo genere di eventi spettacolari, condivisa da tutte le declinazioni dell’arte performativa, è lo `slittamento’ che si osserva dal medium `naturale’ di una determinata arte verso i media che sarebbero propri di altre; fenomeno spesso tanto marcato da rendere dubbia se non indecidibile l’appartenenza di una performance a una disciplina artistica piuttosto che a un’altra. Se la provenienza di un performer è il mondo del teatro, ad esempio, la parola, sempre che venga impiegata, giocherà un ruolo secondario rispetto all’articolazione dell’immagine e del movimento. Se il performer proviene dalla danza, la parola e la teatralità tenderanno a prevalere sul movimento.

Nel caso della musica il fattore squisitamente acustico sarà di gran lunga in secondo piano o del tutto assente, a vantaggio di sollecitazioni teatrali, gestuali e visive. Se pure non si possono ignorare le differenze abbastanza marcate esistenti tra la `performance art’ degli anni ’70, che risente dei nuovi influssi di minimalismo e arte concettuale, e la precedente stagione degli happening, nella sua accezione più ampia e generica la performance forma con l’happening un unico complesso di ricerche sperimentali, intrecciato in un vasto movimento multidisciplinare, inteso a stabilire un rapporto di inusitata immediatezza tra l’interprete-autore e il pubblico. Un’esigenza di immediatezza che, in linea generale, è diretta conseguenza della meccanizzazione introdotta nella nostra vita dai moderni mezzi di riproduzione tecnica dell’arte quali radio, televisione, cinema e registrazione audio. Perciò le arti `performative’ (musica e teatro in particolare) hanno trovato modo di rivendicare una loro inedita ragion d’essere facendo sì, all’opposto, che quanto accade in una certa serata su di un certo palcoscenico non sia una delle varie interpretazioni possibili di un’opera già esistente, ma un evento che la crea all’istante, unico e irripetibile; un evento nel quale il rapporto con il pubblico si gioca nella nettissima accentuazione della `spettacolarità’, mai affidabile con uguale efficacia a un freddo e distante mezzo di riproduzione meccanica.

Le origini storiche dell’happening e delle componenti performativo-spettacolari che tanto peso hanno avuto nel teatro, nella danza e nella musica tra gli anni ’50 e ’70 si possono far risalire agli effetti combinati di tre principali influssi: le suggestioni delle culture e del teatro orientali (il teatro giapponese kabuki, quello balinese), le ricerche condotte presso il Bauhaus (in specie da Laszló Moholy-Nagy e Walter Gropius) e le teorie dei surrealisti (di Antonin Artaud in modo particolare). Dall’avvento del nazismo in poi, l’emigrazione negli Usa tanto di membri del Bauhaus che di esponenti del surrealismo agevolò in misura decisiva la genesi di nuove forme di teatro in quel diverso clima culturale. Il compositore John Cage, ideatore dell’happening, affermò di essersi ispirato ad Artaud, che aveva scritto: «Perché non concepire un’opera teatrale creata direttamente sulla scena?», sottolineando l’urgenza di «collegare il teatro a tutto ciò che rientra nei dominî di gesti, rumori, colori, movimenti, ecc.». Nel 1952 ebbe quindi luogo al Black Mountain College, sotto la supervisione di Cage, il primo happening, battezzato Theatre Piece No.1 . In uno stesso spazio e simultaneamente, Cage teneva una `lecture’, Charles Olson e M.C. Richards leggevano le loro poesie, Robert Rauschenberg metteva dischi su un fonografo, David Tudor suonava il pianoforte, Merce Cunningham e altri danzatori si muovevano in mezzo agli spettatori, al di sopra dei quali erano appesi dei quadri di Rauschenberg. «Il teatro ha luogo in qualsiasi momento, ovunque ci si trovi. E l’arte, semplicemente, aiuta a comprendere che le cose stanno così», affermò Cage nel 1954, aggiungendo che anche un concerto di musica è «teatro». Da allora folte schiere di artisti, entro variegate tendenze tutte raggruppabili sotto l’egida del teatro, si sono adoperate per avvalorare le sue parole. Si intende che qui il senso della nozione di `teatro’ non si riallaccia a tradizioni specifiche di quell’arte; il teatro si trasforma piuttosto in uno spazio, in una sorta di contenitore che accoglie la compresenza di stimoli percettivi eterogenei, deliberatamente non categorizzabili.

L’assunto implicito in queste pratiche teatrali – ovvero che delle prescrizioni esecutive di massima possono provocare esiti performativi imprevedibili – del resto coincide esattamente con la definizione di `musica sperimentale’ proposta già nel 1955 da Cage: «l’osservazione e l’ascolto di molte cose allo stesso tempo, comprese quelle che fanno parte dell’ambiente circostante riunite in un atto il cui esito è sconosciuto prima che avvenga». Nel corso degli anni ’60 e ’70 si è così assistito allo sviluppo delle seguenti tendenze performative interdisciplinari: il `teatro verbale’ (Robert Fillou, Dick Higgins, Jackson McLow, Giuliano Zosi); gli happening più propriamente detti (Allan Kaprow – che nel 1959 coniò il termine stesso , Nam June Paik, Wolf Vostell, Andy Warhol); il `teatro sinestetico’ (Merce Cunningham, Trisha Brown, Lucinda Childs, Meredith Monk, Steve Paxton, Ivonne Rainer); il `teatro acustico’ (John Cage, Terry Riley, La Monte Young, Giuseppe Chiari, Philip Corner, Toshi Ichiyanagi, James Tenney, Cornelius Cardew); infine gli eventi che rientrano nel `neo-haiku theatre’ (Henry Flynt, George Brecht, George Maciunas, Takehisa Kosugi, Ben Vautier, Juan Hidalgo, Walter Marchetti), dal quale derivò poi il movimento Fluxus .

Ma laddove l’incidenza di happening e performance è stata preponderante negli Stati Uniti, la fortuna di Fluxus è stata quasi esclusivamente europea (e italiana: oltre a Marchetti e Chiari, che ne fecero parte a pieno titolo, hanno gravitato attorno alla sua area compositori come Giancarlo Cardini, Daniele Lombardi, Davide Mosconi), anche se i suoi fondatori Brecht e Maciunas sono americani. Circostanza spiegabile se si pensa che l’happening e la performance di matrice americana insistono sulla relazione pragmatica arte-vita, cui in effetti vuole alludere l’urto dissonante prodotto da un accumulo sinestetico sulla percezione dello spettatore; l’evento Fluxus, non scevro da forti influssi dell’arte concettuale, parte invece da una consapevolezza `situazionistica’ per cui la realtà è già spettacolo; l’oggetto o il gesto teatrali sono perciò proposti in sé, come puri fenomeni esibiti nella loro grammatica elementare.

Peña

Formatosi alla scuola dell’American Ballet e alla High School of the Perfoming Arts ha danzato con il Civic Opera di St. Paul e con l’André Eglevsky ballet company. Entrato nel 1974 nell’American ballet theatre ne è divenuto solista tre anni dopo. Il suo nome è legato soprattutto all’interpretazione del ruolo principale del film Nijinsky (1979).

Padovani

Lea Padovani studia a Roma all’Accademia d’arte drammatica, che lascia però per entrare in rivista e partecipa, nel 1944, a Cantachiaro , con Anna Magnani. Nel ’45, Febbre azzurra , al financo di Macario rivela al pubblico il suo splendido corpo e alla critica una sua verve, una capacità di recitare la commedia che purtroppo i registi trascurano sempre, forse per via della severa bellezza del suo volto. Dopo cinque o sei film di modesta qualità, la P. ha la sua grande occasione in Inghilterra, protagonista di Cristo fra i muratori , per la regia di Edward Dmytryk, che la impone anche a livello internazionale. Da qui una splendida occasione mancata: l’ Otello di Orson Welles (sarà sostituita da Susanne Cloutier). Durante tutta la sua vita e la sua carriera, la P. si è divisa tra cinema, televisione e teatro, ottenendo ovunque riconoscimenti e ammirazione. In teatro va ricordata la sua partecipazione a I parenti terribili di Cocteau (1946-47), la partecipazione alla ultima tournée di Ruggero Ruggeri a Londra e a Parigi con Enrico IV e Tutto per bene nel ’53; La gatta sul tetto che scotta di T. Williams (1957-58), seguita, nel 1959, al New Theatre di Londra, in inglese, The Rose Tattoo . Negli anni ’60 si dedica principalmente alla tv interpretando molti romanzi sceneggiati e anche commedie. Più tardi, delusa da offerte che giudicava ininteressanti si è dedicata soprattutto ai viaggi.

Picasso

Nel 1916 Pablo Picasso fu chiamato da Diaghilev a collaborare ai Balletti Russi per un soggetto di Jean Cocteau, Parade , con la musica di Erik Satie, messo in scena al Théatre du Châtelet nel 1917. «L’argomento sembra scritto per me», affermava Picasso alludendo alla scena davanti al baraccone su un boulevard parigino, dove gli artisti di un circo ambulante – un acrobata, un prestigiatore cinese, una ragazza americana – davano un saggio del proprio talento per invitare il pubblico a entrare. Realizzò una scenografia con prospettive fortemente sfalsate e intervenne sul soggetto inserendo dei personaggi, i manager-imbonitori, vestiti con sovrastrutture in stile cubista, dei giganteschi monoliti disumanizzati che inscenavano giochi mimici. Trattò il sipario dipingendo i protagonisti di un circo immaginario alla maniera dei suoi arlecchini ambientati tra i drappeggi di una scena. Due anni dopo ideava le scene e i costumi di Le tricorne, il balletto con le musiche di Manuel de Falla rappresentato al Théâtre de l’Opéra. Una storia di seduzione dalla vena satirica ambientata in un villaggio andaluso nel Settecento. Il noto sipario rappresentava `l’arrastro’, il prelevamento del toro morto che viene trascinato fuori dall’arena visto da una loggia ad arcate con gli spettatori. La sera della prima, Picasso dipinse i volti dei ballerini come maschere africane.

Nel 1920 era impegnato ancora con Diaghilev in Pulcinella , con le musiche ideate su temi di Pergolesi da Stravinskij («un musicista cubista», osservava Picasso). Venne messo in scena al Théâtre de l’Opéra nel 1920. «Ho immaginato una scena nella scena: una strada di Napoli inquadrata nell’arco scenico di un teatro dove si vedono le logge d’avanscena abitate da personaggi del secondo impero», ricordava Picasso Dipinse vari bozzetti, ma non apprezzò il lavoro, così Picasso creò una seconda versione, «una scena arcisemplice», diceva, «tappeto bianco puro, scene grigio scuro, e i gai costumi della commedia dell’arte». I vecchi decori di Pulcinella ritornarono alla ribalta, rimaneggiati, quando Diaghilev gli chiese le scenografie di Cuadro flamenco , rappresentato al Théatre de la Gaité-Lyrique nel 1921. Nel 1922 Picasso lavorava alla scenografia per il libero adattamento di Cocteau dell’ Antigone di Sofocle, con musica di Arthur Honegger, per il Théâtre de l’Atelier di C. Dullin. I costumi erano di Coco Chanel. Il bozzetto consisteva in un pezzo di carta accartocciato che divenne in scena il fondale roccioso di tela juta blu violetto debordante dal palcoscenico. Al centro, in una nicchia sospesa circondata da maschere dipinte da Picasso, declamava il coro.

Seguiva, nel 1924, il balletto Mercure, con la coreografia di Massine e la musica di Satie – una serie di scene collegate dalla presenza di Mercurio – realizzato nel 1924 per La Soirée de Paris, una manifestazione di spettacoli promossa dal conte Etienne de Beaumont. Il celebre sipario rappresentava due soggetti favoriti dall’artista, Arlecchino che suona la chitarra insieme a Pierrot col violino. Picasso ricordava di avere «concepito, per i differenti `quadri’, delle strutture in fil di ferro rigido e delle superfici in cartone che potevano essere animate da movimenti. Nella Notte , per esempio, una ballerina `danzava’ alla donna addormentata e la mia scena di cartone dondolava dolcemente. Volevo suggerire il movimento del caso, delle nuvole che passano». Diede il suo ultimo contributo al teatro di nuovo con Diaghilev per Le train bleu, dal soggetto di Cocteau e musica di Darius Milhaud. Le scenografie erano dello scultore Henri Laurens e i costumi di Coco Chanel. Picasso aveva concesso la riproduzione ingigantita di un suo lavoro per il sipario, Due donne che corrono sulla spiaggia . Nel 1945 il fotografo Pierre Brassai visitò Picasso per chiedergli un bozzetto per il sipario di Rendez-vous , il balletto con musica di Joseph Kosma e coreografie di Roland Petit: fu la versione ingrandita della tela Bugia e maschera .

Paganini

Raffaele Paganini è diventato la star più amata del balletto classico e contemporaneo attraverso una dura gavetta e un serio impegno personale. Nato in una famiglia con undici fratelli, di cui tre ora ballerini, P. ha iniziato a studiare danza all’età di quattordici anni presso la scuola del teatro dell’Opera di Roma e dopo soli quattro anni è entrato a fare parte del corpo di ballo dell’ente in qualità di solista, scalando poi tutte le vette del divismo fino a diventare una étoile. Dotato di un magnetismo personale, slancio atletico, largo sorriso, ottima presenza, P. è diventato l’unico ballerino ad agire sia nei teatri classici come la Scala di Milano, sia nei programmi televisivi di punta (“Fantastico 2”, “Il cappello sulle ventitré”, “Al Paradise”, “Pronto chi gioca”, “Europa Europa”).

Si dedica poi, dal 1995, alla pratica del musical sotto la guida della Compagnia della Rancia diretta da Saverio Marconi. Sono rimaste famose le sue apparizioni nei balletti classici nei luoghi privilegiati del settore: l’Opera di Roma, la Scala di Milano, il London Festival Ballet, il Ballet Français de Nancy, l’Opera di Zurigo, il Ballet concerto di Porto Rico, il San Carlo di Napoli. Una lunga stagione di successi, compreso uno show ispirato a Cenerentola a Roma, che lo rendono un personaggio popolare al grande pubblico, che lo accoglie infatti con molto favore quando tenta la strada che era stata del grande ballerino americano Gene Kelly nella prima versione italiana di Un americano a Parigi di George Gershwin (1995-96), con la regia di Luciano Cannito. In questa versione lo nota Marconi, affidandogli subito un altro ruolo da protagonista che viene da un famoso musical sempre con Gene Kelly, diretto al cinema da Stanley Donen nel 1952, Cantando sotto la pioggia.

Nelle stagioni 1996-97 e 1997-98 Paganini diventa dunque la star capricciosa del cinema muto nello show che fa registrare alti incassi: la sua specialità è alternare generi e stili di ballo, citando la sua origine classica, ma recitando con brio mai disgiunto da una sana ironia. E se talvolta, specie nella stagione estiva, torna ai suoi primi amori – Don Chisciotte con le coreografie di Lorca Massine su musiche di Thoedorakis, Il pipistrello di Strauss, coreografie di Riccardo Nunez – Paganini si è ormai convertito al musical Usa, riscuotendo, nella stagione 1998-99, un meritato e calorosissimo successo personale in Sette spose per sette fratelli . Anche in questo romantico country musical , il ballerino recita con maestria l’acrobatica parte che fu di Howard Keel nel leggendario film di Donel (1954).

Pacino

New York, 1940), attore statunitense. È famoso nel mondo per le sue interpretazioni cinematografiche, che seguono una rapidissima carriera teatrale e molti diplomi: alla High School of Performing Arts e all’Actors Studio. Studia anche con Charles Laughton alla scuola di Herbert Berghof. Esordisce brillantemente nel 1968 con The Indian Wants the Bronx , nel ruolo di un ubriaco psicotico in uno spettacolo dell’Off-Brodway, con cui vince il Tony Award, e nel 1969 recita in Does a Tiger Wear a Necktie . Interpreta poi Pavlo Hummel , Riccardo III , American Buffalo e la Salomé di Oscar Wilde (1991). Negli ultimi anni non potrà fare a meno di tornare al primo amore con alcune grandi interpretazioni: nel 1992 è il protagonista applauditissimo di Chinese Coffee . A 56 anni, nel 1996, Broadway lo accoglie con Hughie di Eugene O’Neill. Lo spettacolo segna per l’attore il ritorno al metodo di Lee Strasberg. Tra i suoi film: Il padrino (1972), Serpico (1973), Profumo di donna (1974), Heat-La sfida (1995) e Riccardo III, un uomo, un re (1996) di cui è anche il regista.

Pier’Alli

Pier’Alli (Pierluigi Pieralli) inizia il suo lavoro di ricerca negli ultimi anni ’60 con il gruppo fiorentino Ouroborus. Già dai primi spettacoli, Confronto I (Firenze 1968) su testi di J.M. Synge ( Cavalcata a mare ) e R. Wilcock ( Il Brasile ), e Ludus (Venezia 1970) – tratto da Alta sorveglianza di J. Genet – lo spazio scenico diviene protagonista assoluto, luogo in cui la parola, privata del suo significato, diventa suono puro e l’oggetto scenico perde la sua funzionalità specifica e acquista un valore paritario con l’uomo. Nel 1972, con Signorina Giulia di Strindberg, Pier’Alli definisce la sua ricerca sulla parola con una raffinata scrittura drammaturgica cui contribuisce Gabriella Bartolomei, interprete ideale della sua ricerca sul linguaggio. In un periodo di avanguardia caratterizzato da messe in scene sporche nel linguaggio e approssimative negli allestimenti, Pier’Alli si distingue per precisione espressiva e coerente intransigenza. Con Morte della Geometria di G. Scabia (Firenze 1965) il suono, il gesto, la parola e la luce si riproducono in un linguaggio che supera i modelli della comunicazione, e ogni cosa è accadimento in funzione del suo uso.

In Winnie dello sguardo (tratto da Happy days di S. Beckett, Firenze 1978) la sua ricerca si concentra sull’aspetto vocale-musicale, confermando la possibilità di integrazione fra musica e parola. La partitura musicale è composta da Sylvano Bussotti, mentre la ricerca vocale è sempre di Gabriella Bartolomei. Questo spettacolo costituisce un punto fermo del lavoro di Pier’Alli, perché si vanno definendo gli elementi fondamentali della sua ricerca. Nel 1979 al Castello Sforzesco di Milano con Si come luce, Pier’Alli si misura con uno spazio non teatrale; ma è la scrittura musicale a catturare sempre di più il regista, che nello stesso anno per la Biennale Musica lavora sul Prometeo Liberato da Shelley su musiche di Francesco Carluccio. È del 1980 Giulia round Giulia , una nuova riscrittura della Signorina Giulia di Strindberg con musica di Sylvano Bussotti. Nel 1981 alla Piccola Scala realizza Vanitas su musiche di Salvatore Sciarrino, con cui realizzerà anche Lohengrin da J. Laforgue nel 1983. Nel 1983 Pier’Alli approda al melodramma, firmando la regia de L’elisir d’amore di Donizetti al Teatro La Fenice di Venezia. AlTeatro alla Scala realizza nel 1983 Pierrot lunaire, Die Glückliche hand e Erwartung di Arnold Schönberg.

Nel 1984 mette in scena al Teatro Olimpico di Vicenza il Sogno di Scipione di Mozart, valorizzando le prospettive della scena rinascimentale senza rinunciare alla sua cifra stilistica. Nel 1985, all’interno della Basilica dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia, mette in scena Curlew River e The prodigal son di B. Britten. Nel 1985 a Aix-en-Provence e nel 1986 a Lione firma la regia de Le nozze di Figaro di Mozart. Con La caduta di casa Usher , il frammento d’opera di Debussy, nel 1986 Pier’Alli utilizza l’immagine cinematografica proiettata su un grande fondale in uno spazio teatrale essenziale. Al Teatro Comunale di Bologna inizia nel 1987 Der Ring des Nibelungen , la tetralogia di Wagner che si conclude nel 1992. Nel 1990 Pier’Alli affronta per la prima volta l’opera di Verdi, realizzando Il trovatore all’Opernhaus di Zurigo e nel 1991 Simon Boccanegra al Teatro La Fenice di Venezia (e nel 1992 al Teatro Carlo Felice di Genova). Il rapporto con l’opera romantica si sviluppa ulteriormente con Lucia di Lammermoor di Donizetti, alla Scala nel 1992 e nel 1997. Nel 1998, sempre alla Scala mette in scena Der Freischütz di Weber.

Passatore

Formatosi con De Bosio e Strehler diventa un nome di punta dell’animazione teatrale italiana: il suo testo Io ero l’albero, tu il cavallo (1972), che riassume tutte le esperienze condotte nelle scuole di Torino, ha rappresentato uno dei momenti fondamentali del teatro-ragazzi in Italia. Tra il 1978 ed il ’90 ha curato il settore ragazzi e giovani del Teatro stabile di Torino, occupandosi di regia e progetti anche all’estero.

Parry

Dedita al teatro fin dalla giovinezza; Natasha Parry è stata la partner di attori come John Gielgud, Alec Guinness, Orson Welles, e ha portato sulla scena personaggi di Shakespeare, Euripide, Ionesco, Anouilh, Sofocle, Shaw. Moglie del regista inglese Peter Brook, fa parte del Centre International de Recherche Théâtrale da lui fondato a Parigi nel 1970. Tra i lavori più significativi a cui ha preso parte: Les 5 Nô de Mishima , per la regia di Maurice Béjart; Tchin-Tchin con Marcello Mastroianni nella messa in scena di Peter Brook; Concerto pour 4 voix con Giorgio Strehler. Nel 1997 insieme al marito si è cimentata in uno dei testi beckettiani più complessi Giorni felici (Oh les beaux jours), che ha interpretato seguendo il testo tradotto in francese dall’autore, e che ha portato in tournée in tutta Europa.

Peretti

Trasferitosi dodicenne in Francia, Serge Peretti è stato scritturato giovanissimo da Jacques Rouché all’Opéra, dove a ventun’anni diventa solista. Per la sua grande classe e lo charme è stato considerato la personificazione del più puro stile di danza francese. Perfette soprattutto sono apparse le sue interpretazioni dei balletti di Serge Lifar, in particolare Oriane et le Prince d’amour (1938). Ritiratosi dalle scene, si è dedicato all’insegnamento, diventando maestro di grandi celebrità: da Petit a Jeanmaire, alla Béssy fino a L. Hilaire e S. Guillem. Poco prima della morte, Dominique Lelouche gli ha dedicato un interessante film , Serge Peretti, le dérnier italien.

Pea

Dopo una avventurosa gioventù trascorsa in Egitto, Enrico Pea fece ritorno in Versilia nel 1914 e si dedicò con passione al teatro, scrivendo testi e prodigandosi per il rilancio dei `maggi’ toscani e del Teatro Politeama di Viareggio. Tra i drammi – che si affiancano alla nutrita serie di racconti, liriche, poemetti e romanzi – ottenne riscontri soprattutto Giuda (allestimento curato dallo stesso autore nel 1918), che scandalizzò il pubblico per i suoi spunti anarcoidi. Prime piogge d’ottobre (1919), Rosa di Sion (1922), Parole di scimmie e di poeti (1922), La passione di Cristo (1923), L’anello del parente folle (1931) videro invece prevalere progressivamente un sincero sentimento religioso, che stemperò, fino a cancellarlo, il giovanile ribellismo.

Penchenat

Si forma al Théâtre du Soleil, prendendo parte agli spettacoli: La cuisine di Wesker (1967); 1789 (1970); 1793 (1972); L’âge d’or (1975). Esce dal gruppo nel 1975 per costituire una propria compagnia, il Théâtre du Campagnol, che debutta con Le triomphe de l’amour di Marivaux. Nel 1977 scrive e allestisce una riduzione del David Copperfield di Dickens. Il lavoro si basa sull’improvvisazione degli attori e riflette sul potere della memoria di mutare gli eventi dell’infanzia. Con il Théâtre du Campagnol, P. mette in scena: En r’venant d’l’Expo di Grumberg (1979), in cui l’ambientazione storica all’inizio del XX secolo – in un periodo di conflitto fra la spensieratezza della Belle Epoque e il dramma della guerra – diventa un modo per parlare delle contraddizioni del mondo contemporaneo; Le legs e L’épreuve di Marivaux (1979); Le bal (1981, a ritmo di ballo gli attori ripercorrono gli eventi salienti della storia contemporanea); L’impresario delle Smirne di Goldoni (1983); Shakespeare au lycée (1983, opera scritta collettivamente); L’enclave des papes ou la nouvelle villégiature di V. Cerami (1984); Vautrin/Balzac , adattamento di due romanzi di Balzac (1986, alla regia collabora J. Gillibert, autore del testo); Arlequin poli par l’amour di Marivaux (1988); 1, Place Garibaldi (1990); Il bugiardo di Goldoni (1993); Pene d’amor perdute di Shakespeare (1996); Nouvelle de Sicile da Pirandello (1997).

Pistoletto

Appartenente alla corrente dell’Arte Povera, nata in Italia verso la fine degli anni ’60, l’arte di Michelangelo Pistoletto dopo una parentesi pittorica e scultorea incentrata sulla riflessione degli spazi e sul trompe l’oil, si contraddistingue soprattutto per l’uso di specchi, tagliati o legati con corde, che lo porterà in parte a condividere l’esperienza minimalista degli anni ’70. Nel 1977 realizza le scenografie per Neither di Beckett, rappresentato in giugno al Teatro dell’Opera di Roma e riproposto l’anno seguente al Metamusik Festival October, presso la Nationalgalerie di Berlino; nel settembre 1978 realizza ad Avignana Trittico ’78.- I Trombonauti con M. Pioppi, E. Rava e gli abitanti di Corniglia; il 15 agosto del 1979 in una piazza di Corniglia viene rappresentata l’ Opera Ah, scritta e diretta dallo stesso Pistoletto, con musiche di E. Rava interpretate dai cantanti lirici S. Tkahashi e D. Zattera e dagli abitanti di Corniglia. Sempre con gli abitanti di Corniglia e con i membri della sua famiglia P. realizza Anno Uno , rappresentata nel marzo 1981 al Teatro Quirino di Roma e nel 1994 al Marstall di Monaco. Quest’ultima è la più nota opera teatrale di Pistoletto, al quale appartengono i testi, la regia e le scenografie: in essa gli abitanti di Corniglia diventano la città stessa, trasformati dal progetto scenografico di P. in cariatidi che sorreggono sul capo l’architettura della città e ne raccontano la storia in termini epici.

Piano

Diplomatosi al Politecnico di Milano, nel 1964, dopo lavori insieme al padre e Franco Albini, con Louis Kahn a Filadelfia e con Z. S. Makowski a Londra, Renzo Piano divenne famoso a livello internazionale grazie al progetto parigino del Centre Pompidou, nel 1977, dopo il quale sono seguiti altri prestigiosi incarichi. In campo teatrale, nel 1983, per il Teatro alla Scala di Milano e la biennale di Venezia, ha realizzato la scenografia e lo spazio scenico di Verso Prometeo di Luigi Nono, lavorando con il compositore stesso, il direttore d’orchestra Claudio Abbado e Emilio Vedova per le luci. La prima del complesso spettacolo ha avuto luogo a Venezia nel 1984. Nel 1992, collabora con lo stabile di Genova, nell’occasione delle Colombiadi, a Moby Dick, Ulisse e la balena bianca, scritto diretto e interpretato da Vittorio Gassman, concependo per lo spettacolo genovese uno spazio all’interno di una baleniera, entro cui sono situati anche gli spettatori, spazio che poi si trasforma nello scheletro di una balena.

Pintilie

Dopo aver studiato all’Istituto di arte di Bucarest Lucien Pintilie si fa notare con l’allestimento de I figli del sole di Gor’kij, nel 1961, al teatro ‘Lucia Sturdza Bulandra’. Negli anni successivi nello stesso teatro vengono rappresentati: Cesare e Cleopatra di G.B. Shaw (1963); Biedermann e gli incendiari di M. Frisch (1964); Il gabbiano di Cechov (1967); L’ispettore generale di Gogol’ (1972). Con questi spettacoli P. contribuisce al rinnovamento del teatro romeno, nella convinzione che la messa in scena della realtà – senza ricorrere ad alcuna stilizzazione simbolica – sia di per sé significativa. Dalla metà degli anni ’70 è a Parigi, al Théâtre de la ville, che mette in scena i suoi spettacoli; fra questi, Il gabbiano di Cechov (1975); Biedermann e gli incendiari di M. Frisch (1976); Jacques o la sottomissione e L’avvenire è nelle uova di Ionesco (1977); Gli ultimi di Gor’kij (1978); Tre sorelle di Cechov (1979); Le coefore di Eschilo (presentato al Festival d’Avignone, 1979); L’anatra selvatica di Ibsen (1981, di cui cura anche l’adattamento in francese); L’albergo dei poveri di Gor’kij (1982); Il flauto magico di Mozart (a Aix-en-Provence, 1982); Carmen di Bizet (a Cardiff, Galles, 1983); Tartufo di Molière (a Minneapolis, 1984); Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (1987); Danza di morte di Strindberg (1990); Scènes de Carnaval di I.L. Caragiale (al Théâtre des Nations di Parigi, 1992).

Piferi

Dopo un’esperienza giornalistica (radio libere e “Il Manifesto”) agli inizi degli anni ’70, pubblica una serie di biografie di musicisti e diventa impresario privato di concerti rock con l’Agd, la società che fonda insieme a Paolo Guerra. Dall’inizio degli anni ’80 collabora con Enzo Jannacci come coautore di numerosi spettacoli: Parlare ai limoni , Tempo di pace e pazienza , Pensione Italia , L’importante è esagerare , una trasmissione tv in otto puntate che ripercorre la carriera del cantautore milanese. Collabora ai testi degli spettacoli di Lella Costa, David Riondino, di molti giovani comici e cabarettisti e soprattutto con Paolo Rossi: Visioni di Mortimer , La commedia da due lire (1990), C’è quel che c’è (1991), Il circo di Paolo Rossi (1995), Milanon Milanin (1994), Pop e Rebelot (1993), Rabelais (1996) e le trasmissioni tv Su la testa! (1992), Il laureato (1994), Scatafascio (1997-1998).

Patroni Griffi

Trasferitosi a Roma alla fine della seconda guerra mondiale, Giuseppe Patroni Griffi fa parte di quel gruppo di letterati e intellettuali napoletani che elessero la capitale a loro luogo di lavoro, conducendosi appresso comunque tutti i caratteri della loro origine. Infatti il teatro di Patroni Griffi, prevalentemente di intreccio borghese, porta sulla scena gli aspetti più evidenti e profondi della napoletanità. Un esempio in questa direzione è rappresentato da In memoria di una signora amica (1963), dove la categoria della donna partenopea diventa un tipo universale: è esaltata la capacità di adattamento alle situazioni, anche le più difficili e impensabili. Prima di questo testo, Patroni Griffi aveva comunque già conosciuto il successo nel 1958 con D’amore si muore , suo lavoro d’esordio, scritto appositamente per la Compagnia dei Giovani. Ancora continuando il filone dedicato a Napoli e alla sua umanità, va ricordato Persone naturali e strafottenti (1974), nel quale si mette in scena la vita di quattro reietti di Piedigrotta e, attraverso un allestimento di stampo classico, ma dalla lingua viva e colorita, viene rappresentata prima di tutto la loro lotta contro un destino di rassegnazione.

Discussioni intellettuali, riferimenti all’attualità, intrecci amorosi inseriti in un impianto realistico connotano la produzione di Patroni Griffi Con Metti una sera a cena (1967, di due anni successivo è il film tratto dalla commedia), l’ipocrisia degli affetti borghesi trova la sua rappresentazione nella messa in scena delle passioni d’amore di una coppia, il cui vincolo d’unione rimane però indissolubile. Queste caratteristiche si trovano ulteriormente evidenziate ne Gli amanti dei miei amanti sono i miei amanti (1984), dove la protagonista Paloma, cantante lirica di successo, concede le sue grazie in un ambiente dove la chiacchiera salottiera la fa da padrona. Fra gli altri titoli: Lina e il cavaliere (1958), Anima nera (1960), Un aeroporto troppo distante (1966), Prima del silenzio (1979), Cammuriata (1983).

Da ricordare inoltre le regie eleganti, taglienti e frizzanti, che Patroni Griffi ha firmato in collaborazione con lo scenografo A. Terlizzi. Al cinema ha lavorato con V. Zurlini, A. Lattuada e F. Rosi. Al teatro stabile di Trieste, dal 1982 al 1988 si dedica all’allestimento della trilogia pirandelliana consacrata al `teatro nel teatro’; successivamente la sua ricerca si volge all’opera di T.S. Eliot, A. Cechov e C. Goldoni. Nel 1989 fonda una propria compagnia e trasferisce a Roma la sede del proprio lavoro (Teatro Giulio Cesare): l’intenzione è quella di approfondire la ricerca con giovani attori e di rendere più fluido l’accostamento ai testi. Fra gli spettacoli allestiti con il nuovo gruppo da ricordare, nel 1995, Romeo e Giulietta . Non va dimenticata inoltre la sua attività di narratore, con un esordio che anticipava tematiche pasoliniane, Ragazzo di Trastevere (1955), cui hanno fatto seguito i romanzi Scende giù per Toledo (1975), La morte della bellezza (1987) e i racconti Gli occhi giovani (1977).

Prebil

Formatosi presso la Scuola di ballo di stato di Zagabria danza dal 1951 al 1955 nel Balletto dell’Opera di stato di Zagabria e dal 1955 al 1965 in quello dell’Opera di stato di Belgrado. Diplomatosi come insegnante all’Istituto statale delle arti dello spettacolo di Mosca, dal 1968 si dedica all’insegnamento e alla riproduzione di classici ottocenteschi ( Giselle, Don Chisciotte, Lo Schiaccianoci ) in varie compagnie internazionali quali il Balletto dell’Opera di Roma, il San Carlo di Napoli, il Balletto nazionale olandese e il Colon di Buenos Aires. È insegnante ai corsi di perfezionamento dell’ Accademia nazionale di danza a Roma.

pupi,

L’opera dei pupi è il teatro tradizionale delle marionette dell’Italia meridionale. Ne esistono tre diverse tradizioni: quella `parlemitana’, nella Sicilia occidentale, quella `catanese’, nella Sicilia orientale e in Calabria, quella `napoletana’, in Campania e in Puglia. Una forma molto simile a quella napoletana ha prosperato a Roma fino fine dell’Ottocento. Gli storici fanno risalire l’origine della marionette cavalleresche a Napoli. Nel 1646 al seguito del vicerè spagnolo, durante le feste dell’insediamento, sembra che ci fossero dei `titeros’ castigliani. Fu Gaetano Greco che importò i pupi da Napoli a Palermo. Gaspare Canino, nella cui famiglia l’arte dei pupi si trasmette dalla prima metà dell’Ottocento, ci ha tramandato date precise relativamente alla nascita dei pupi in Sicilia.Gaetano Greco avrebbe aperto il suo teatrino nel 1826, Libero Canino nel 1828. I protagonisti del teatro dei pupi sono guerrieri dotati di armature in metallo smontabili e di spade sfoderabili; i loro movimenti, passi e tecnica di scherma sono legati ad una rigorosa tradizione.

I soggetti caratteristici dell’opera dei pupi sono lunghe vicende rappresentate a puntate, che risalgono alla letteratura medioevale francese: le `Chansons de Geste’ che narrano le avventure di Carlo Magno e dei suoi paladini. A metà dell’Ottocento Giusto Lodico, un maestro elementare siciliano, riunì le trame di un gran numero di poemi in un unico romanzo: La storia dei paladini di Francia . I gestori dei teatri sono detti in Sicilia `opranti’, `teatrinari’ o `pupari’ (ma a rigore puparo è piuttosto chi costruisce i pupi) e a Napoli `pupanti’. Diverse sono le differenze fra le varie tradizioni di pupari. I pupi palermitani misurano da ottanta a cento centimentri, pesano da otto o dieci chili e hanno il ginocchio articolato; oltre al ferro principale, che si aggancia al busto passando attraverso la testa, ne hanno uno per il movimento del braccio destro, cui è assicurato un filo che, passando attraverso la mano chiusa a pugno, permette di sguainare la spada e di rinfoderarla.

Gli animatori manovrano i pupi dai lati del palcoscenico. I pupi catanesiinvece sono alti da dieci a centotrenta centimetri e pesano trentacinque chili, hanno il ginocchio rigido e oltre al ferro principale, ne hanno uno per il movimento del braccio destro, la cui mano chiusa a pugno tiene sempre la spada. Vengono animati dall’alto di un `ponte’ di manovra posto dietro il fondale. I pupi napoletani, alti circa un metro, differiscono da quelli siciliani perché non hanno ferro alla mano destra, che è aperta, ma un filo; la spada si fissa alla palma della mano, le gambe hanno il ginocchio snodato come i pupi palermitani e vengono azionati da un ponte di manovra, come i pupi catanesi.

Pagnol

I primi passi di Marcel Pagnol nello spettacolo li muove a Marsiglia, dove fonda e dirige una rivista, “Fortunio” (che diventerà “Les cahiers du Sud”), e scrive due pièce – entrambe rimaste inedite – Catulle e Ulysse chez les Phéniciens (in collaborazione con Charles Brun). Nel 1922 si trasferisce a Parigi, dove assieme a Paul Nivoix firma alcune pièce: Tonton (1923); Un direct au coeur (1926); Les marchands de gloire (1925). Quest’ultima, rappresentata al Théâtre de la Madeleine, è accolta tiepidamente dal pubblico ma è notata dalla critica. Essa è caratterizzata dal tema d’attualità – lo sfruttamento degli eroi di guerra ad opera di speculatori senza scrupoli – trattato con ironia e sostenuto da dialoghi brillanti, in cui la denuncia dei comportamenti immorali è portata avanti con l’arma della comicità. Una tecnica che Pagnol riutilizza in Jazz (1926) – in cui è preso di mira l’ambiente accademico – e in Topaze (1928), in cui il protagonista è un onesto maestro di scuola che, caduto vittima di alcuni affaristi, decide di dedicarsi alle speculazioni illegali. Topaze riscuote grande successo, successo che arride anche alla cosiddetta `trilogia marsigliese’: Marius (1929); Fanny (1931) e César (1937, rappresentata solo nel 1946). Di quest’ultimo testo prepara in contemporanea una versione cinematografica: è dal 1933 che – a pochi anni dall’introduzione del sonoro – Pagnol è sedotto dal nuovo mezzo di comunicazione; negli anni successivi si dedicherà interamente al cinema (ricordiamo il sodalizio artistico con l’attore Fernandel), con una breve parentesi negli anni ’50: Judas (1955) e Fabien (1956), il cui esito artistico non è all’altezza dei lavori precedenti.

Polacco

Esordisce nel 1920 nella compagnia di E. Zago con il quale recita gran parte del repertorio goldoniano, specializzandosi come caratterista. Successivamente, entra a far parte del gruppo veneziano di G. Giachetti, che spaziava dal repertorio in lingua ( Pensaci Giacomino di Pirandello) a quello in dialetto veneto ( Famegia del santolo di Gallina, Nina, no far la stupida di Rossato e Gian Capo). Nel ’28 si trasferisce a Roma dove recita nella compagnia di A. Borelli e poi in quelle di T. Pavlova e V. Talli. Contemporaneamente si dedica al doppiaggio e al cinema, dove lavora a fianco di Totò e in film di C. Gallone e A. Genina fino a che, nel 1938, le leggi razziali (P. era di origine ebraica) lo costrinsero ad abbandonare l’attività. Dopo l’esilio artistico P. nel ’45 riprende a lavorare soprattutto alla radio. In seguito, torna al teatro, lavorando nella Compagnia del Teatro Nazionale di G. Salvini e al Piccolo Teatro di Palermo. Poi, nel ’57, l’incontro con Strehler che lo accolse al Piccolo Teatro di Milano, affidandogli ruoli in testi di Goldoni e Brecht. L’ultima apparizione teatrale di P. fu proprio al Piccolo in Santa Giovanna dei macelli (1970) di Brecht con la regia di Strehler. In televisione prese parte ad alcuni sceneggiati ma acquisì popolarità grazie a “Carosello” nel ruolo dell’ispettore Rock (1957-68), testimonial di una famosa marca di brillantina.

Pavese

Caratterista sanguigno e dall’inconfondibile timbro vocale Luigi Pavese ha alternato esperienze teatrali a quelle soprattutto cinematografiche, dove tra le sue numerosissime partecipazioni spiccano i ruoli a fianco di Totò come: Fifa e arena (1948), Totò al Giro d’Italia (1949), Totò le Moko (1949), Totò lascia o raddoppia? (1956) e Totò, Eva e il pennello proibito (1959). A teatro debutta nel 1921 con la compagnia di M. Pederzini, per passare poi dal 1922 al 1924 ad altre compagnie minori fino ad arrivare nel 1925 al Teatro Odescalchi di Roma, allora diretto da L. Pirandello. Nel 26 è con Sabbatini-Fontana e l’anno dopo con Almirante Manzini e dal 1928 al 1936 lavora con ben sei gruppi teatrali, tra i quali la compagnia Tofano-De Sica-Rissone e la compagnia Merlini-Cialente. Nella stagione 1937-1938 è primattore con la compagnia Borboni-Cimara con cui compie una lunga tournée. Tra le sue partecipazioni ricordiamo: nel 1942 I padri etruschi di Pinelli e Casa di bambola di Ibsen e, nel 1948, Sacro esperimento di Hochw&aulm;lder. Nel teatro di rivista ha partecipato a Sai che ti dico? (1944), Cantachiaro n.1 (1944), Imputati alziamoci! (1945) e Tobia, la candida spia (1954).

Perugini

Formatosi con Vera Volkova alla Scuola del Teatro dell’Opera di Roma, Giulio Perugini debutta nel suo Corpo di Ballo nel 1942 in La Tarantola di A. Milloss. Divenuto primo ballerino nel 1945, tre anni dopo è in questa veste al Teatro alla Scala. Qui interpreta i principali ruoli classici del danseur noble (Il lago dei cigni, 1952), affiancando spesso étoile internazionali come Yvette Chauviré, Violetta Elvin, Tanaquil Le Clerq. Nel 1955 è Romeo accanto a Violette Verdy in Romeo e Giulietta di A. Rodrigues; nel 1958 riprende il ruolo nel nuovo allestimento firmato per il Teatro alla Scala da J. Cranko. Ritiratosi dall’attività nel 1959, è stato maître de ballet del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala e insegnante alla sua scuola di ballo fino al 1977, dedicandosi anche alla coreografia (Il revisore , 1960).

Punzo

Il nome di Armando Punzo da dieci anni a questa parte si lega al lavoro della Compagnia della Fortezza composta di detenuti-attori della casa circondariale di Volterra. Nel 1988 Carte Blanche, l’associazione fondata esattamente un anno prima dallo stesso Punzo insieme ad Annet Henneman con l’intento di occuparsi di teatro, animazione e soprattutto di produrre spettacoli propri, entra per la prima volta nel carcere volterrano con un progetto di laboratorio teatrale da realizzarvi all’interno. Comincia così la collaborazione di questo piccolo teatro con un gruppo che va dai venti ai trenta detenuti, una collaborazione mai interrotta finora e concretizzatasi in diversi allestimenti tra cui La gatta Cenerentola di Roberto de Simone (1989), Masaniello (1990) e `O juorno `e San Michele (1991) di Elvio Porta, che poi scrive, appositamente per la compagnia, Il Corrente (1992). Quindi è la volta di una serie di adattamenti: Marat Sade da Peter Weiss (1993), La prigione da Kenneth H. Brown (1994), L’Eneide da Virgilio (1995), I negri da Jean Genet (1996). Del 1998, infine, è l’ Orlando furioso da Ariosto. Armando Punzo, che prima di questo viaggio all’interno della realtà carceraria aveva lavorato con il Gruppo Internazionale L’Avventura e accanto a Thierry Salmon come aiuto regista in A. da Agatha (1986), ha portato la Compagnia della Fortezza a individuare una sua precisa condizione espressiva che, nella scelta della lingua napoletana, progressivamente ampliatasi ad accogliere le inflessioni degli altri dialetti meridionali, e nella condivisione di una cultura comune spesso tragica, violenta e marginale, delinea la propria linea di sperimentazione.

Petit

Pur non potendosi annoverare tra i veri rivoluzionari della danza del Novecento, Roland Petit è da considerare tra le personalità più interessanti, estrose e ricche di talento espresse dalla Francia nell’ultimo mezzo secolo. E ciò dovuto alla sua vastissima, fluviale, eterogenea ma anche, o soprattutto, inesausta curiosità di guardare al mondo e alla vita nei suoi più vari aspetti e di cercare temi e argomenti un po’ dovunque, anche se in specie nel territorio infinito della letteratura. Dotato di un solido bagaglio tecnico acquisito nei suoi giovanili anni all’Opéra di Parigi, è da sottolineare tuttavia come nel modo di operare di P. ci sia qualcosa di semplicistico se non addirittura di superficiale. E questo anche se il suo gusto non è mai scivolato nel volgare, anche là dove ha toccato aspetti erotici. Per certa `effervescenza’ insita in alcune sue coreografie per lui si è anche parlato di “style au champagne”. Il `coup de théâtre’ o la semplice trovata sempre poi presente nei lavori.

Quanto al suo curriculum, è di una ricchezza invidiabile. Entrato a otto anni nella scuola di ballo dell’Opéra, quindicenne viene ammesso nel Corpo di ballo della stessa e sedicenne diventa solista. Nel 1943, ne L’amour sorcier di Lifar, interpreta il suo primo ruolo importante. Anche il suo apprendistato come coreografo inizia presto accanto a J. Charrat con la quale, negli anni del secondo conflitto mondiale, compie alcune escursioni nella regione parigina. Nel 1944, al momento della Liberazione della capitale francese, abbandona l’Opéra e alla fine dello stesso anno dà vita alle Soirées de danse , germe dei futuri Ballets des Champs-Elysées che, con giovanile entusiasmo, sorprendendo il pubblico, dirigerà dal 1945 al ’47. Per gli stessi firmera numerosi lavori tra i quali, a spiccare e a dargli popolarità, Les forains . Il vero capolavoro però nasce con Le Jeune homme et la Mort (1947) destinato a diventare uno dei caposaldi della letteratura coreografica del dopoguerra. Successivamente, darà vita a Les Ballets de Paris e nel 1949, a Londra, presenta la fortunatissima violenta e controcorrente, Carmen.

Dei primi anni ’50 è una parentesi hollywoodiana che lo porta a creare, nella `mecca’ del cinema le coreografie di alcuni film di successo (La scarpetta di vetro , Papà Gambalunga , Il favoloso Andersen). Ritornato in Francia, nel 1954 crea l’interessante Le Loup su soggetto di Anouilh. In quello stesso anno sposa Zizi Jeanmaire già straordinaria compagna di tante brillanti avventure artistiche e per la quale curerà, oltre a La Croqueuse des diamants , vari applauditissimi shows. Nel pieno della maturità, la sua fantasia e il suo fervore creativo lo portano ad accostarsi ai soggetti più diversi. Se G. Simenon gli fornisce il soggetto di La Chambre (1955), il famoso dramma di E. Rostand gli offre materia per un popolare Cyrano de Bergerac (1959). Del 1965 è invece altro titolo famoso: Notre Dame de Paris ricavato dall’omonimo romanzo di V. Hugo. Nel frattempo grandi teatri europei lo invitano a produrre per loro. Così la Scala di Milano (Le quattro stagioni , 1963; Poème de l’extase , 1968); così il londinese Covent Garden dove, per la coppia Fonteyn-Nureyev, crea Paradise Lost (1967). Nel 1970 viene nominato direttore dell’Opéra di Parigi ma l’esperienza è di breve durata.

È del 1972 la nascita del Ballet de Marseille (poi Ballet National dei Marseille-Roland Petit) al quale, fino al 1998, anno in cui è costretto a lasciare, dà tutte le sue energie arricchendolo di una lunga serie di lavori. A spiccare, una originale spumeggiante versione di Coppélia (1975). Anche in questa sua nuova fase artistica, non mancheranno versioni sceniche di notissime opere letterarie (fra l’altro Nanà da Zola, Les intermittences du coeur da Proust, Les hauts du Hurlevent dalla Brönte, Le fantòme de l’Opéra da Leroux). Sono degni anni ’80 altri fortunati lavori: Le mariage du Ciel et de l’Infer (Milano, 1984), Le chat botté (Parigi, 1985), L’Ange bleu (Berlino, 1985), Ma Pavlova (Parigi, 1985), Le diable amoreux (1989). Seguono negli anni ’90 altri titoli di successo, tra i quali La bella addormentata (1990), Pink Floyd Ballet (1991), Charlot dans avec nous (1991), Il Gattopardo (Palermo, 1995), Chéri (Milano, 1996) e Le Lac des cygnes et ses maléfices (Marsiglia, 1998).

Scompare il 10 luglio 2011 a Ginevra.

Paxton

Steve Paxton è una delle figure più interessanti e originali della danza americana: se non l’inventore, è certamente uno dei maggiori fautori della Contact Improvvisation. Uno sperimentatore irriducibile, refrattario ai circuiti del mercato e impegnato in un tipo di ricerca artistica di reali dimensioni sociali: critica nei confronti della danza e della società, basata sulla percezione dei corpi e sulla loro libertà contro i modelli canonizzati nei valori estetici della danza corrente. Tutta la sua produzione si interroga sullo statuto del coreografo e del danzatore e sulla loro funzione nella società. Dopo aver terminato gli studi ginnici in Arizona, entra nel 1958, all’età di diciannove anni, al Connecticut College dove insegnano Martha Graham, José Limón, Doris Humphrey e Merce Cunningham. Danza nella compagnia di quest’ultimo dal 1961 al 1964 e quindi, influenzato dalla contro-cultura newyorkese degli anni Sessanta (Living Theatre, Paper Bag Company, Diane Diprima), dalle sue stesse posizioni politiche radicali e dagli artisti della Pop Art e del Minimalismo, è cofondatore, nel 1962, del Judson Dance Theatre: il centro artistico sperimentale di New York in cui ebbe origine il movimento della Postmodern Dance. Interpreta lavori di alcuni colleghi del Judson, come Yvonne Reiner ( Trio A , 1966) e Trisha Brown, avviando anche una personale ricerca sul movimento che parte da Isadora Duncan, da lui considerata la pioniera della libertà e dall’egualitarismo coreutici, ma si estende all’analisi del movimento suggerita da Rudolf von Laban. Inizialmente crea performances nutrite di gesti quotidiani e con l’apporto di oggetti, rivelando qui una propensione per il `ready made’ influenzata da Marcel Duchamp.

Nella pièce Satisfaying Lover (1967) si avvale di decine di interpreti non professionisti della danza per una performance in cui attribuisce significato estetico all’azione comune del camminare. Egli ricerca un metodo di trasmissione del movimento che prescinda dal volontarismo e dalla soggettività; si orienta verso la scoperta della realtà organica (respirazione, coscienza dello scheletro e del flusso muscolare) propria a ciascuno dei danzatori e non-danzatori con i quali lavora e conseguentemente privilegia le forme dinamiche più semplici come, appunto camminare, correre, saltare. Esplora, inoltre, le possibilità di sviluppo del movimento a partire da una riflessione sulle forze dinamiche che lo condizionano (forza di gravità, di inerzia, ecc.) e sull’interpretazione energetica tra i corpi. Nel 1970 fonda il gruppo di ricerca Grand Union con, tra gli altri, Trisha Brown, David Gordon, Douglas Dunn e Yvonne Rainer e sviluppa, in un laboratorio con otto uomini, la tecnica conosciuta come Contact Improvvisation (o Contact Dance): uno strumento di libero scambio dinamico, incentrato sullo scambio di peso e appunto di energia tra i corpi dei performers. Un dare e avere di spinte e resistenze reciproche, che, in una gamma infinita di combinazioni improvvisate, impongono uno stato di continua tensione percettiva. La Contact Improvvisation è infatti una commistione di ginnastica, arti marziali, Tai Chi Chuan e metodo Alexander che non impone alcuna concezione estetica, ma, come ricerca di base, supera le frontiere tra le diverse discipline del movimento e diviene terreno d’incontro dinamico per danzatori, atleti ma anche per dilettanti.

Con i suoi primi laboratori maschili di Contact Improvvisation, Paxton sovverte, tra l’altro, il ruolo abitualmente conferito agli uomini nella danza: dimostra che la loro forza può tramutarsi in tenerezza. L’esito, che fa scalpore, è una sorta di risposta simpatetica al movimento femminista tanto in auge in quegli anni. Nella seconda metà degli anni Settanta insegna in Europa e spesso in Italia dove compare anche nel 1980, accanto alla partner Lysa Nelson nell’intenso e ironico duetto Part (su musica e interventi vocali di Robert Ashley) che rivela la forza e il fascino della sua figura di performer-ballerino. Assente dalle scene nel decennio successivo, continua la sua ricerca in forma appartata e solitaria senza rinunciare all’insegnamento. A metà degli anni Novanta torna sporadicamente a compare in veste di danzatore-performer e coreografo: in duetto con Trisha Brown a Vienna, nel 1996, e, nello stesso anno, ancora in coppia con la Nelson in Excavations continued.

Porcile

Dopo aver fondato nel 1952 l’Accademia di danza classica di Genova, nel 1955 inventa e organizza con Ugo Dell’Ara il Festival Internazionale del Balletto di Nervi, prima manifestazione italiana di levatura internazionale dedicata al teatro danza, che in seguito dirige da solo fino al 1958 e poi a fase alterne (1962-1964; 1969-1976, 1991-1996). Come organizzatore ha presentato in Italia molte compagnie straniere (Balletti di Igor Moisseiev), curando le programmazioni di teatri come l’Arena di Verona, La Fenice di Venezia, il Regio di Torino. È stato insignito in Francia dell’Ordres des Arts et des Lettres (1984).