Martone

Giovanissimo Mario Martone allestisce il suo primo lavoro, Faust , nel 1976 e, due anni dopo fonda il gruppo Falso Movimento (con Tomas Arana, Angelo Curti, Lino Fiorito, Licia Maglietta, Pasquale Mari, Daghi Rondanini e Andrea Renzi). Lavorano in sala come lo Spazio Libero di Napoli, il Teatro Studio di Caserta o in gallerie d’arte, la Lucio Amelio e Studio Morra a Napoli. Gli spettacoli d’esordio del gruppo dopo che M. aveva già messo in scena Avventure al di là di Thule sono L’incrinatura e Musica da camera : installazioni, studi d’ambiente dove la figura dell’attore vive come pura presenza umana senza servirsi del supporto della recitazione. La direzione è quella della ricerca di un nuovo alfabeto teatrale; lo spazio, la luce, le diaproiezioni e il suono sono utilizzati come linguaggio specifico della partitura, non un corpo a latere della drammaturgia, ma la sua scrittura scenica. Nel 1982 con Tango glaciale il gruppo si imporrà all’attenzione del pubblico e della critica. Lo spettacolo chiude un ciclo (iniziato con Dallas 1983, Rosso Texaco e Controllo totale ) il cui punto di riferimento era lo scenario metropolitano, i deliri e i comportamenti dell’individuo urbanizzato. Tango glaciale diviene il manifesto di quell’area della sperimentazione teatrale definita `nuova spettacolarità’, un sondare le possibilità dell’immaginario scenico contaminato dalla comunicazione elettronica, dove il gesto, la musica e le immagini riprodotte dal video costituiscono un’unica macchina della visione. È il linguaggio dei media che si affaccia nel teatro, non in termini di citazione ma di analisi dei meccanismi stessi della comunicazione, un’analisi di quel vuoto che i mezzi di comunicazione hanno creato nella società con il loro fagocitante potere.

Con Otello (1982) si assiste a una successiva maturazione del gruppo, spostando il proprio interesse verso la narrazione. Nasce così un nuovo rapporto con il teatro e la sua storia, dove i corpi degli attori e le storie dei personaggi si contrappongono ai fantasmi della scena tecnologica. Dopo Il desiderio preso per la coda (1985) da Picasso, Coltelli nel cuore (1985) da Brecht e Ritorno ad Alphaville (1986) da Godard, dall’incontro con Antonio Neiwiller e Toni Servillo nasce una nuova formazione nel 1986: Teatri Uniti, nella volontà di creare un insieme di persone che non fosse soltanto una compagnia di teatro, ma un insieme vivo capace di inventare da sé il modo di produrre un’opera. Tra le regie di M. con Teatri Uniti ci sono Filottete di Sofocle (1987), Rasoi di Enzo Moscato (1991) e quel Riccardo II di Shakespeare (1993), ormai definitivamente rivolto a una impostazione dello spettacolo ricontestualizzata nell’emisfero della prosa. M. riprende in video parte delle sue realizzazioni teatrali, e nel 1984 sperimenta il 16mm con il cortometraggio Nella città barocca , dedicato al Seicento napoletano. Ma è con Morte di un matematico napoletano (1992), suo primo film, a rivelarlo regista cinematografico di raffinato spessore formale, non ripetuto nelle prove che seguiranno, L’amore molesto (1985) e Teatro di guerra (1998), troppo impegnate queste a prestare il fianco alla retorica dell’immagine.

McKenna

Si distingue nel 1940 nel ruolo di Lady Macbeth in una produzione in gaelico del testo shakespeariano, e nel ’43 entra a far parte della compagnia dell’Abbey Theatre di Dublino dove rimane fino al ’46. Il suo debutto sulla piazza londinese è del ’47, mentre i suoi più grandi successi li ottiene interpretando Pegeen Mike nell’acclamato lavoro di J. M. Synge Il furfantello dell’Ovest (The playboy of the western world) e con Santa Giovanna (1954) di G.B. Shaw; di un certo rilievo anche le numerose prove d’attrice in testi shakespeariani. Nel ’57 è a Broadway diretta da Peter Hall in I funamboli (The Rope Dancers). Nel 1985 nei panni di Mommo in Bailegangaire dell’irlandese Tom Murphy diretta dalla regista Garry Hynes in una produzione della Druid Theatre Company di Galway.

Monti

Poliedrico artista dell’area milanese, Giangilberto Monti è presente sulla scena teatrale dalla fine degli anni ’70 con spettacoli teatrali, recital, videoclip e show comico-musicali tutti all’insegna della cultura alternativa. Alla collaborazione (e a volte la partecipazione come attore) con Dario Fo alterna suoi testi, prima in forma di performance con il gruppo milanese Poesie Metropolitane e poi scrivendo veri e propri spettacoli : La città è normale (1979-80) e Guardie e ladri (1983-84). Nella veste di autore e di attore è al fianco di artisti come Aldo, Giovanni & Giacomo, Paolo Rossi e Lella Costa. M. ha scritto inoltre i testi di alcune canzoni per Anna Oxa e Mia Martini e ha adattato in italiano le canzoni di Boris Vian.

Minetti

Figlio di un architetto, sin da giovanissimo Bernhard Minetti si appassiona al teatro e all’inizio degli anni ’20, incoraggiato da E. Busch, studia recitazione a Berlino seguendo i corsi di L. Jessner. Ottiene la prima scrittura nel 1926, presso il Teatro nazionale prussiano a Gera, e dal 1928 comincia a lavorare presso il Landestheater di Darmstadt, dove si specializza in ruoli classici (Shakespeare, Schiller, Lessing, Goethe, Kleist). La sua interpretazione di Amleto nel 1930, esaltata dalla critica, lo rende celebre. Nello stesso anno si trasferisce a Berlino, dove lavora presso lo Staatstheater soprattutto sotto la direzione di Jürgen Fehling, in ruoli quali quelli di Franz Moor ne I masnadieri e di Gessler nel Guglielmo Tell (1932). Nel 1933, nonostante il nazismo, non emigra e, diretto da Fehling e da G. Gründgens, può continuare a interpretare i grandi ruoli del suo repertorio, come Marinelli nell’ Emilia Galotti di Lessing (1937), Robespierre in La morte di Danton di Büchner (1939), entrambi con la regia di Gründgens; e ancora Bruto nel Giulio Cesare (messo in scena da Fehling nel 1941). Dopo il 1945 continua a lavorare nei teatri di Kiel (di cui diviene anche direttore), Amburgo, Francoforte, Düsseldorf e Berlino, riconosciuto come uno dei più grandi attori del suo tempo. Interpreta con grande maestria sia i classici sia i contemporanei, come Beckett, Genet, Anouilh e Pirandello. La profonda sensibilità e l’intelligenza con cui si accosta a ciascuno dei suoi ruoli gli guadagnano l’ammirazione di registi tra loro anche molto diversi, come P. Stein, P. Zadek, G. Strehler (con la regia del quale interpreta, nel 1958, I giganti della montagna di Pirandello) e soprattutto di K.M. Grüber che, nel 1982, gli affida il ruolo di protagonista nel Faust di Goethe, in una memorabile messa in scena presso la Freie Volksbühne di Berlino Ovest. È interprete privilegiato del teatro di T. Bernhard, che nel 1976 gli dedica una pièce, Minetti : un omaggio alla maschera dell’attore, al suo potere di illusione e alla sua debolezza. Sono da ricordare, tra le sue apparizioni più recenti, quelle al Berliner Ensemble in La resistibile ascesa di Arturo Ui , ultima regia di H. Müller nel 1994 e in Der Ozeanflug di Brecht , con la regia di B. Wilson, nel 1998.

Montanelli

La capacità di decifrare la vita contemporanea con spirito anticonformista e freschezza espressiva sono i segni distintivi dell’Indro Montanelli giornalista e storico che si ritrovano anche nelle sue opere per il teatro. Da giovane fu un grande estimatore e frequentatore di riviste (fece anche una comparsata nella compagnia di Nanda Primavera). Al teatro si è avvicinato molto presto ( L’idolo è del 1937, Lo specchio della vanità venne messo in scena al Teatro Carignano nel 1942, L’illustre concittadino – scritto con M. Luciani – fu allestito al Teatro Excelsior di Milano nel 1949), ma i suoi testi principali sono stati scritti tra gli anni ’50 e ’60: Resisté (Teatro Olimpia, Milano, 1955), Cesare e Silla (Teatro delle Maschere, 1956), Viva la dinamite (Teatro Sant’Erasmo, 1960), I sogni muoiono all’alba (1960), Kibbutz (1961), Il petto e la coscia (Teatro di via Piacenza, Roma, 1964), Il vero generale Della Rovere (Teatro Sant’Erasmo, 1965, scritto insieme a V. Talarico). Quasi tutte le pièce sono strettamente legate a eventi (soprattutto politici) ben determinati; col passare del tempo molte di esse sono inevitabilmente diventate meno immediate e più lontane dalla sensibilità del pubblico, per cui, negli ultimi anni, le riprese si sono fatte sporadiche. Nel 1992, a cura di Arturo Corso, si è avuto l’allestimento di I sogni muoiono all’alba (di cui esiste anche una versione cinematografica), storie parallele di cinque inviati di giornali italiani sorpresi a Budapest dalla repressione comunista.

Müller

Figlio di un funzionario socialdemocratico, quando il padre con la famiglia abbandona la Rdt M. sceglie di restare. Nel 1958 a Berlino Est inizia una collaborazione con il Maksim Gor’kij Theater che durerà due anni. A Lipsia viene rappresentato per la prima volta Lo stakanovista (Der Lohndrücker), da lui scritto in collaborazione con la moglie Inge e che nel 1959 vincerà il premio Heinrich Mann. Lo stesso anno il regista B.K. Tragelehn mette in scena presso il teatro della Scuola superiore di economia di Berlino Est un’altro suo testo, La correzione (Die Korrektur) e, nel 1961, La trasferita o la vita in campagna (Die Umsiedlerin oder Das Leben auf dem Lande), le cui rappresentazioni vengono interrotte per ordine superiore del partito e degli organi statali; M. è espulso dall’associazione degli scrittori. Nel 1964 scrive La costruzione (Der Bau) e viene attaccato e criticato dal Comitato centrale del partito. Nel 1966 porta a compimento Filottete (Philoktet), Ercole 5 (Herakles 5) e Edipo tiranno (Ödipus Tyrann) da Sofocle (quest’ultimo testo viene messo in scena da Benno Besson al Deutsches Theater); nel 1968 Prometeo (Prometheus) da Eschilo, il dramma didattico Der Horatier e Drachenoper , libretto per l’opera Lancelot di Paul Dessau. Nel 1969 scrive, sulla base di un testo per la radio della moglie, La commedia delle femmine (Die Weiberkomödie) e, per la Volksbühne di Berlino Est, Horizonte . L’anno seguente inizia a lavorare come drammaturgo al Berliner Ensemble e porta a compimento Mauser , scritto in riferimento al dramma didattico di Brecht La linea di condotta (Die Massnahme). Del 1971 sono Germania morte a Berlino (Germania Tod in Berlin) e Macbeth da Shakespeare, che darà lo spunto a Wolfgang Harich per un articolo all’origine del dibattito sul cosiddetto pessimismo storico di M. Nel 1973 Ruth Berghaus mette in scena al Berliner Ensemble Cemento (Zement), ultimato l’anno prima da M. le cui opere, da questo momento in poi, verranno sempre più frequentemente rappresentate. La battaglia (Die Schlacht) e Trattore (Traktor) appaiono nel 1974 e sono montaggi di scene precedentemente scritte. Nel 1975 M. si reca negli Stati Uniti (presso l’università del Texas, a Austin) e in Messico. Nel 1976 è drammaturgo alla Volksbühne di Berlino Est e scrive Vita di Gundling Federico di Prussia sonno sogno urlo di Lessing (Leben Gundlings Friedrich von Preußen Lessing Schlaf Traum Schrei). Nel 1979 appare Die Hamletmachine che, come Quartett – scritto l’anno dopo sulla base dell’opera di Choderlos de Laclos Les liaisons dangereuses , diverrà uno dei testi di M. maggiormente rappresentati. Sempre nel 1979 gli viene conferito per Germania morte a Berlino il Mülheimer Dramatiker Preis. Nel 1982 scrive Costa depredata Materiale per Medea Paesaggio con Argonauti (Verkommenes Ufer Medeamaterial Landschaft mit Argonauten) e il brevissimo Pezzo di cuore (Herzstück), oltre a curare la regia del suo testo del 1979 La missione (Die Auftrag), scritto sulla base di un racconto di Anna Seghers. Nel 1983 diviene membro dell’Akademie der Künste della Rdt e all’Aia, nell’ambito del festival d’Olanda, diverse sue opere vengono messe in scena da compagnie di Belgio, Paesi Bassi, Bulgaria e Germania federale. Del 1984 sono Descrizione di una figura (Bildbeschreibung), allestito l’anno dopo a Graz, e Anatomie Titus Fall of Rome Ein Shakespeare Kommentar ; inizia inoltre la collaborazione con Bob Wilson (che metterà in scena diversi testi di M.) con il progetto the CIVIL warS a Colonia. Nel 1985 gli viene conferito il premio Büchner. Nel 1987 appare Wolokolamsker Chausse I-V ; M. riceve il Premio nazionale della Rdt per il complesso della sua opera. Nel 1988, nell’ambito delle manifestazioni per Berlino capitale della cultura europea, ha luogo la Heiner Müller Werkschau: ventun giorni di messe in scena dai più diversi Paesi, convegni e dibattiti dedicati alla sua opera; M. cura la regia di Lo stakanovista al Deutsches Theater. Qui, nel 1990, realizza uno spettacolo della durata di nove ore in cui l’ Amleto di Shakespeare è messo in rapporto con il suo Hamletmachine ; importante in entrambi i casi è la collaborazione con lo scenografo austriaco Erich Wonder. Lo stesso anno gli viene conferito il premio Kleist, e Francoforte gli dedica l’intero programma della manifestazione `Experimenta 6′. Nel 1991 gli viene conferito il premio Europa, consegnatogli a Taormina nel 1994. Cura quindi la regia di Mauser (con le scene di Jannis Kounellis) e Quartett e, a Bayreuth, quella del Tristan und Isolde di Wagner. Nel 1992, assieme a Peter Palitzsch, Peter Zadek, Matthias Langhoff e Fritz Marquardt, è direttore del Berliner Ensemble. Qui mette in scena una sua rielaborazione del Fatzer-Fragment di Brecht, con il titolo Duell Traktor Fatzer . Nel 1993 è l’ultimo presidente dell’Akademie der Künste/Ost. L’anno seguente realizza una nuova messa in scena di Quartett al Berliner Ensemble dove, nel 1995, cura anche la sua ultima regia: La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht. Il suo ultimo lavoro è Germania 3 . M. intende il teatro come laboratorio dell’immaginario sociale. La sua opera è un complesso di materiali diversi, storici, letterari, mitici e drammatici, accostati e fatti reagire gli uni con gli altri secondo una scrittura che è contro le convenzioni della rappresentazione teatrale. Tale scrittura spesso si sviluppa sulla linea di un io che è diviso nelle sue funzioni di narratore e di interprete. In opere come Mauser , che con Filottete e Der Horatier compone un trittico riferito alla forma del dramma didattico, soggetto e coro sono interscambiabili in una struttura simile a quella della tragedia, dove il mondo è messo in questione senza che vengano fornite risposte. Di fondamentale importanza inoltre è la dimensione ritmica del testo. Ogni testo ha un suo ritmo, magari sotterraneo, ma percepibile al punto da poter essere assorbito dal corpo come una musica. Un bel testo vive di un ritmo proprio e irradia il suo messaggio attraverso questo ritmo, e non attraverso l’informazione. Ciò che M. vuole è un teatro collegato con la vita, senza intermediazioni. A tale proposito egli rileva che un atteggiamento consueto della cultura europea è il tentativo di disabituare l’uomo alla sua capacità di fare esperienze: ovunque si inseriscono frapposizioni affinché tra le cose e l’uomo non vi sia un rapporto diretto. Bisogna allora superare la struttura precostituita del teatro (che è politica) e l’idea di un testo trasposto come informazione. M. vede come un risultato negativo dell’illuminismo il fatto che la gente a teatro sia convinta di dover anzitutto capire qualcosa. Il talento dell’arte consiste soprattutto nel reagire al proprio corpo e nel trasportarne il ritmo nel mezzo corrispondente. L’arte deriva dal corpo e non da una testa divisa dal corpo. Ciò che è interessante è l’impatto dei corpi con le idee. Le idee infliggono ferite al corpo. Le indicazioni di M. per la messa in scena dei suoi lavori sono deliberatamente provocative, anche allo scopo di confondere i registi e i loro concetti prefabbricati. Ad esempio, nel caso di Descrizione di una figura dice che il testo è come dipinto sopra l’ Alcesti di Euripide, con citazioni dall’undicesimo canto dell’ Odissea , dal film Gli uccelli di Hitchcock e dal dramma nô Kumasaka ; precisa poi che vi si descrive un paesaggio al di là della morte, che l’azione è opzionale dal momento che le sue conseguenze sono trascorse, e che si tratta della esplosione di una memoria in una struttura drammatica atrofizzata. Nella nota a Costa depredata Materiale per Medea Paesaggio con Argonauti è indicato che la prima parte può essere rappresentata in un peep-show, la seconda sulle rive di un lago nei sobborghi di Berlino Est come in una piscina fangosa a Beverly Hills, mentre il paesaggio della terza potrebbe essere quello di una stella morta dove un’unità operativa di un’altra epoca e di un altro spazio sente una voce e scopre un cadavere. Gli argomenti che vengono sviluppati e le dimensioni che vengono sintetizzate nell’opera di M. riflettono comunque l’esperienza e il disorientamento dell’uomo nella storia. È un teatro violento, venato di una disperata quanto ironica necrofilia, senza alcuna traccia dell’ottimismo storico e dell’umanesimo sterilizzato sempre graditi in ogni regime. È nota la sua espressione «Schreiben aus Lust an der Katastrophe» («Scrivere per il piacere della catastrofe»). Polemicamente, nelle interviste raccolte nel 1990 sotto il titolo Sullo stato della nazione , M. rileva che il contributo europeo alla cultura mondiale è il museo, quello specificamente tedesco lo zoo, dove gli aspetti inquietanti e incontenibili della vita vengono ordinati secondo criteri apparentemente razionali. Il suo interesse per i materiali incompleti del Fatzer di Brecht è in relazione al fatto che essi costituiscono il solo esperimento nel quale Brecht non raggiunge mai un’articolazione razionale o ideologica della storia e di un modello rivoluzionario. La fine dell’idea di rivoluzione M. la vede rappresentata nella mummificazione del corpo di Lenin esposto in un mausoleo. Al museo e alla mummificazione contrappone la forza dirompente di un infinito morire («La rivoluzione è la maschera della morte, la morte è la maschera della rivoluzione» è uno dei suoi assiomi più noti), convinto che proprio dalla non accettazione e dalla rimozione della morte nasce il bisogno – tipico della nostra civiltà – di un’accelerazione sempre maggiore, che inevitabilmente conduce all’annullamento. La sua poetica proietta situazioni e immagini comunemente riconoscibili nel nostro quotidiano contemporaneo sullo schermo del mito universale. È una poetica di carattere comunque mitteleuropeo, attraverso la quale M., autore dell’Est per gran parte delle esperienze umane, storiche e culturali che la sua scrittura riflette, può venir sentito realmente e quasi intimamente vicino alla realtà della civilizzazione occidentale, da lui del resto conosciuta a fondo attraverso la problematicità di una impostazione critica sempre viva e sofferta, con reale anticonformismo e naturale senso dell’ironia.

Mattolini

Dopo un apprendistato nei gruppi teatrali di base di Firenze (1969-74), un periodo da organizzatore culturale nell’Arci (1972-77) e il lavoro nella Coop. cinematografica Lunga gittata (1977-79), nel 1980 Marco Mattolini debutta nella regia teatrale con la prima riduzione de Il bacio della donna ragno di Manuel Puig. Nella stagione 1981-82 mette in scena due spettacoli con Mario Scaccia protagonista: Nerone di Terron e La scuola delle mogli di Molière; e assume la direzione artistica del Teatro delle Muse di Roma. Nel 1982-83 assieme a Hugo Pratt e Alberto Ongaro riduce per il teatro e cura la regia di Corto Maltese con Athina Cenci e Alessandro Benvenuti con i quali allestisce anche nella stagione estiva il musical di Chiti e Benvenuti Marta e il Cireneo . Il 1984 è l’anno del debutto cinematografico con Il mistero del Morca . Successivamente progetta e conduce alcune manifestazioni-spettacolo e nel 1986 allestisce un inedito di Fassbinder, Come gocce su pietre roventi e un inedito di Vinaver Nina è un’altra cosa . Un altro testo inedito, Mistero del mazzo di rose di Puig, In assenza del signor Goethe di Hacks e Faust ’67 di Landolfi sono del 1987. Seguono Hurlyburly di David Rabe (1989); Dossier Trovatore di E. Vaime e S. Marchini (1990); Una giornata dalla mamma di C. De Turkheim e B. Gaccio, Ti ricordi il teatro di A. Stanisci e Lorenzo (1991); Ragazze , tratto da American Psyco , tratte dal romanzo di Brett-Ellis, Sunshine di W. Mastrosimone, Gli alibi del cuore di F. Maraschi e Il fu Mattia Pascal di Kezich da Pirandello (1992); Una notte incantata d’estate da Shakespeare, La donna gigante , Firenze per non dimenticare Firenze e Le amiche del diavolo (1993); Mugugni (Kvetch) di Berkoff (1994); 2005, ultimo atto di G. Imparato, Uno, nessuno e centomila di Manfridi da Pirandello, La Traviata di Lisbona di T. Mcnally e La strana coppia di Simon (1995); Due di noi di M. Frayn, Il Magnifico e il Barbiere di M. Messeri (1996); Letto a tre piazze – di R. Clark e S. Bobrick e Via dei Serpenti di P. Misiti (1997). Come autore e conduttore per la televisione ha realizzato film, sit-com, talk show.

Marowitz

Si trasferì in Inghilterra nel 1958, dove mise a frutto ciò che aveva imparato in patria del sistema di Stanislavskij e cominciò a cercar di tradurre teatralmente le idee di Artaud, collaborando soprattutto con P. Brook per la stagione rigorosamente sperimentale sul teatro della crudeltà (1964). Nel 1968 fondò a Londra l’Open Space Company, che rimase in attività per una decina d’anni e per la quale allestì alcune novità dell’avanguardia inglese e americana, oltre a testi propri, compreso un Artaud at Rodez (1975) presentato anche in Italia. Ma la sua fama era soprattutto legata ai cosiddetti `collage’ di drammi shakespeariani intesi a recuperarne l’impatto originario, buttandone all’aria le strutture drammaturgiche, praticando numerosi tagli e inserendo scene ambientate nel mondo contemporaneo. Il primo fu Amleto (1964), cui seguirono, fra gli altri, un Otello (1972) dove era nero non soltanto il protagonsita ma anche Iago e una Bisbetica domata (1973), letta in chiave strindberghiana. Dal 1982, rientrato in patria, lavorò per un teatro di Los Angeles. Pubblicò inoltre alcuni importanti saggi sull’arte e le tecniche dell’attore.

Macedonio

Dopo una breve attività amatoriale, Francesco Macedonio incomincia la sua attività di regista al Teatro stabile del Friuli Venezia Giulia, nel 1967, con il suo primo allestimento, un testo scritto e interpretato da Vittorio Franceschi, e in seguito dirigendo la Compagnia dei Dodici, e gli attori fissi dello Stabile. Il repertorio di opere scelte da M. alterna classici come Sior Todero Brontolon , I rusteghi e La donna di garbo di Goldoni, Casa di bambola di Ibsen e Vecchio mondo di Arbuzov con Lina Volonghi, ad autori contemporanei come Fulvio Tomizza e Furio Bordon. Celebre la trilogia in dialetto triestino di Carpinteri e Faraguna: Le Maldobrie , Noi delle vecchie provincie , L’Austria era un paese agitato . Ha collaborato inoltre con la compagnia di burattini de `I piccoli’ di Podrecca e con la Cooperativa Nuova Scena di Bologna, creando un sodalizio con l’attore e autore Vittorio Franceschi, di cui mette in scena Cerco l’uomo (1975), L’idealista (1976) e Questo Amleto non si può fare (1977). Nel 1976 fonda a Trieste il teatro popolare `La contrada’.

Marinetti

Dopo i primi successi letterari a Parigi, con alcune raccolte di liriche modellate sulla poesia di Rimbaud e Verlaine, dopo l’attività letteraria, conclusasi col Manifesto del futurismo del 1909, dopo Mafarka il futurista (1910), La battaglia di Tripoli (1911), Il bombardamento di Adrianopoli (1913), Filippo Tommaso Marinetti intensificò l’attività teatrale (iniziata nel 1909 con Poupées élétriques ), non solo con una serie di Manifesti , ma anche con una cospicua produzione, che solo recentemente è stata raccolta in tre volumi da Giovanni Calendoli. I suoi lavori drammatici ebbero subito gli onori della scena: La donna è mobile fu rappresentata al Teatro Regio di Torino (1909) dalla compagnia Suvini-Zerboni; Le roi bombance al Théâtre de L’Oeuvre (1909); col titolo di Il re baldoria venne rappresentata soltanto nel 1929 in Italia al Teatro degli Indipendenti di Bragaglia. Seguirono: Elettricità , Compagnia Betti-Masi (1915); Simultaneità , Compagnia Fumagalli (1922); Il tamburo africano (Teatro Verdi di Pisa, 1922); Bianco e rosso (Teatro degli Indipendenti, 1923); Prigionieri (Teatro di villa Ferrari, 1925); Fantocci elettrici (Teatro degli Indipendenti, 1925); Vulcano (Teatro d’Arte diretto da Luigi Pirandello, 1926); L’oceano del cuore (Teatro Argentina, 1927); Il suggeritore nudo (Teatro degli Indipendenti, 1929); Simultanina (Teatro Argentina, Compagnia Fontana-Benassi, 1931). Alcune di queste opere ebbero successo in Germania, Francia, Russia e Cecoslovacchia; ebbe grande risonanza la messinscena di Prigionieri (1933) al Teatro Wielki di Leopoli, regia di Z. Radulski. Poco nota è la sua attività di autore radiofonico; M. scrisse per la radio otto sintesi raccolte in: Sintesi radiofoniche e Violetta e gli aeroplani. La `teatralità’ di Marinetti va certamente intesa in senso lato, come forma di espressione e di comunicazione; doveva essere coerente con l’estetica futurista invocata nei Manifesti dedicati al teatro: Manifesto dei drammaturghi futuristi (1911); Il teatro di varietà (1911); Il teatro futurista sintetico ; Scenografia e coreografia futurista (1915); La declamazione dinamica e sinottica (1916); Il teatro aereo futurista (1919); Il teatro della sorpresa (1921); Il teatro totale per le masse (1933). Dopo i clamori e gli scandali del primo decennio, il teatro di M., fra il disconoscimento della critica e il successo contrastato del pubblico, divenne un punto di riferimento per chi voleva sperimentare nuove forme e nuovi linguaggi. La sua scrittura scenica si scontrò con quelli che erano stati i consueti parametri teatrali della tradizione di fine Ottocento e si avviò verso soluzioni ardite, che soltanto dagli anni ’60 il teatro italiano ha riscoperto, con il movimento delle avanguardie.

MacIntyre

Tom MacIntyre debutta in teatro nel 1972 come drammaturgo con The Eye-Winker, Tom-Tinker, dramma politico messo in scena al Peacock Theatre. Erede della passione di Yeats per la sperimentazione formale, nel corso degli anni ’70 produce quattro lavori fortemente influenzati dalla danza moderna e dal cinema, ma privi di alcuna specificità irlandese. Nel 1983 con La grande carestia (The Great Hunger), dramma basato sul poema religioso di Patrick Kavanagh, si affianca al Peacock Theatre e in collaborazione con l’attore Tom Hickey e il regista Patrick Mason inaugura una nuova stagione, in cui si dedica a esplorare i lati nascosti dell’Irlanda sfruttando come punto di partenza per i suoi testi storie irlandesi, folclore o miti che uniti a movimenti, mimica e suoni lo conducono alla creazione di un teatro evocativo, onirico e a tratti surreale. Tra gli altri suoi lavori si ricordano: La donna barbuta (The Bearded Lady, 1984), Balla per il tuo papà (Dance for to Daddy, 1987), Biancaneve (Snow White, 1988) e, negli anni ’90, Chickadee (1993), Latte di capra bollente (Sheep’s Milk on the Boil, 1994) e Buonasera signor Collins (Good Evening, Mr Collins, 1995).

Manfredi

Laureato in Giurisprudenza e allievo dell’Accademia d’arte drammatica nella mitica annata dei Panelli, dei Buazzelli e delle Falk, Nino Manfredi prima di ottenere il vasto successo nazional popolare cinematografico e televisivo, e di passare poi alla commedia in prosa, ha avuto un inizio di carriera segnato dal teatro di varietà. Anche se il debutto ufficiale avvenne nel classico, perché fu scritturato addirittura dallo Stabile di Roma, da Gassman, da Costa e da Strehler nella Tempesta e nel Riccardo III scespiriani allestiti al Piccolo Teatro. Furono la Osiris e l’impresario Elio Gigante che gli cambiarono la vita, il carattere e lo stile di attore drammatico che combatteva con la sua natura. Il produttore propose a lui e ad altri giovanotti di bella presenza teatrale (Gianni Bonagura, Paolo Ferrari e Pier Luigi Pelitti, che uscì poi dall’ambiente) di formare un inedito quartetto comico, con facoltà di andare a soggetto secondo l’attualità, in una nuova rivista delle popolari tre sorelle Nava intitolata Tre per tre Nava , stagione 1953-54. Fu un successo diviso per quattro e una svolta per l’attore che venne per la prima volta a contatto con un pubblico che mostrò di gradire la sua comunicativa, la sua caratterizzazione comica, la sua inedita vena ironica, il modo nuovo di stare in scena e di dividere lo sketch con dei coevi compagni di lavoro. Insomma la rivista salvò Manfredi da un destino accademico e serioso che forse non avrebbe lasciato spazio neppure all’attore e al regista della commedia italiana anni ’60.

Il successo personale di Mandredi, come vuole una legge dura del teatro, non fu molto gradito dalle capocomiche romane e l’attore prese così altre strade, fu accanto a Billi e Riva in Gli italiani sono fatti così, spettacolo di varietà tradizionale, scritto da Marchesi, Metz e Verde nella stagione 1956-57, ancora con gli amici Ferrari e Bonagura. In precedenza, nella stagione 1954-55, Manfredi ebbe l’onore di essere scelto come giovane promettente, insieme ad Alberto Lionello, Pisu e Pandolfi, dalla regina delle soubrette, Wanda Osiris che preparava Festival , di Age, Scarpelli, Verde, Vergani (e poi anche Marchesi). Che fu un grande, fastoso, ma non fortunatissimo spettacolo nonostante la supervisione artistica di Luchino Visconti, un neofita della passerella. Il salto di qualità Manfredi lo deve naturalmente al fiuto di Garinei e Giovannini che lo misero nel ricco cast del musical alla greca Un trapezio per Lisistrata, nel 1958-59. Nella buffa e riuscita riduzione del famoso sciopero delle mogli raccontato da Aristofane, Delia Scala è l’agitatrice di animi femminili, e con lei in scena c’erano il Quartetto Cetra, Ave Ninchi, Paolo Panelli, Mario Carotenuto e Manfredi primo attore giovane e comico di bella presenza, marito in gonnellino e in balìa di spartani e ateniesi, visti come i russi e gli americani. L’anno dopo M. diventò un volto tra i più amati dagli italiani nella storica edizione di Canzonissima dove, come barista ciociaro di Ceccano, l’attore coniò lo slogan amatissimo «fusse che fusse la vorta bbona».

Dopodiché Manfredi assume il ruolo che lo consacrerà teatralmente e per tutta la vita, portandolo anche in tournée a Broadway e in Sudamerica, quello di Rugantino nell’omonimo musical scritto con Festa Campanile e Franciosa (e la collaborazione di Luigi Magni), andato trionfalmente in scena al Sistina nel ’62 e ambientato nella Roma papalina del 1830. È la prima volta che il testo assume un’importanza preminente nel musical, che i raccordi narrativi sono rispettati e sintonizzati con la musica e la coreografia, ed è la prima volta – benché anche in Rinaldo in campo morisse il coprotagonista risorgimentale Panelli – che Garinei e Giovannini si permettono un finale non lieto, mandando a morte sotto la ghigliottina l’eroe tipicamente romano, vigliacco e proletario, il bighellone della Storia. Il cast è eccezionale, figurano in scena Lea Massari (sostituita l’anno dopo da Ornella Vanoni), Bice Valori e il memorabile boia mastro Titta di Aldo Fabrizi, che ripeterà il suo ruolo anche nell’edizione con Montesano nel ’78, mentre nella stagione 1998-99 Rugantino (impersonato nella riduzione cinematografica da Celentano con la moglie Claudia Mori) torna in scena per la terza volta a furor di pubblico nel `suo’ Sistina con Valerio Mastrandrea, Sabrina Ferilli, Simona Marchini e Maurizio Mattioli. Per Manfredi musical e riviste finiscono qui, mentre proseguirà negli anni ’90 la sua attività di attore brillante, scrivendosi da solo i testi e occupandosi anche della regia (Gente di facili costumi ). Collaterale alla sua attività teatrale, copiosa e importante è stata la sua attività cinematografica: Anni ruggenti , 1962; Straziami, ma di baci saziami , 1968; Lo chiameremo Andrea, 1972; Brutti, sporchi e cattivi, 1976. Come regista, infine, si è diretto nell’episodio calviniano del soldato in L’amore difficile (1962) e nel notevole Per grazia ricevuta (1971).

Manfrè

Walter Manfrè ha iniziato la sua carriera artistica frequentando la scuola di recitazione del Teatro stabile di Catania. Da attore ha lavorato sotto la guida di registi quali Orazio Costa, Aldo Trionfo, Franco Enriquez, Andrzej Waida, Carlo Lizzani e altri, interpretando testi di autori classici e contemporanei fino al 1985 quando ha smesso di calcare le scene per dedicarsi solo alla regia. Nel 1978, parallelamente alla sua attività di attore, iniziava a svolgere quella di regista, vincendo il premio Teatrofestival quale miglior regista giovane per la messa in scena di Fando e Lis di Arrabal. Da allora la realizzazione dei suoi spettacoli si divide in messe in scena sul terreno della tradizione con letture sempre originali e operazioni sul terreno della ricerca. In quest’ultimo settore ha realizzato alcune operazioni che presentano eventi su testi di autori italiani contemporanei: Visita ai parenti di Nicolaj, Ritratto di donne in bianco di Valeria Moretti, La cena di Manfridi (spettacolo in cui gli spettatori sono seduti attorno a un tavolo e gli attori sono sopra assieme alle pietanze), La confessione di autori vari (in cui ogni spettatore prende posto su un inginocchiatoio davanti a un attore che racconta i suoi peccati). Ha diretto in testi di autori classici e contemporanei molti prestigiosi attori italiani: Il giuoco delle parti di Pirandello con Nando Gazzolo, Spettri di Ibsen con Ileana Ghione e Carlo Simoni, Io e Pirandello con Paola Borboni, Il sogno con Pupella Maggio, Desiderio sotto gli olmi di O’Neill con Raf Vallone, Fratelli di Samonà con Warner Bentivegna, Il profeta di Gibran con Paola Pitagora, Chi ha paura del lupo cattivo? con Roberto Trifirò (1996).

Moulin Rouge

Viene inaugurato il 5 ottobre del 1899, in place Blanche, ai piedi della collina di Montmartre, da due personaggi importanti nella storia dello spettacolo leggero francese di quegli anni: Charles Zidler e Joseph Oller, già responsabili del successo delle Montagnes Russes e del Nouveau Cirque e in seguito dell’Olympia. Il locale è in realtà attivo già dal 1850 col nome di Reine Blanche. Il B. du M. R. è in origine una sorta di elegante balera (frequentata soprattutto dalla ricca borghesia) che ha il merito di affermare il ballo dell’epoca, quel can-can in origine chiamato la `quadrille naturaliste’, una danza ibrida già ballata nei quartieri popolari e nei numerosi cafè chantant della vita parigina (Le Lapin agile, Le Chat noir) celebri soprattutto per le frequentazioni di gruppi di intellettuali. L’architettura del locale è sviluppata in una grande sala, con uno specchio occupante un’intera parete, circondata da una sorta di loggione che permette ai consumatori di meglio apprezzare le danze. Per tradizione gli uomini tengono il cappello in testa, cosa che dona un’atmosfera particolare. A lato della sala un bel giardino all’aperto che ospita un palco coperto destinato a piccole esibizioni. A lato della scena un enorme elefante di cartapesta. Una delle più grandi attrazioni dei primi anni del B. du M. R. è il Petomane, «l’unico artista che non paga diritti d’autore», come recita una réclame. Altra stella, più delicata, è la ballerina e cantante Jane Avril. Il B. du M. R. diventa celebre anche per i bellissimi manifesti disegnati da Toulouse-Lautrec accanito frequentatore del locale, innamorato, come quasi tutti, delle petit femmes che lo popolano. La prima illustrazione del grande pittore è del 1891 e raffigura la celebre ballerina di can-can Louise Weber, detta `La Goulue’. Nel 1903 il MR diventa un music-hall con un ristorante dove si può cenare mentre si assiste agli spettacoli. Continua a ospitare numeri di varietà fra i quali il ballerino Norman French (antesignano nello stile di Maurice Chevalier e di Fred Astaire) e Mistinguett che debutta nel 1909 con La valse chaloupée . Nel 1914 un incendio distrugge il locale che riapre solo nel 1921, per essere poi rilevato nel 1926 da Francis Salabert il quale finalmente produce una rivista a grande spettacolo: New York – Montmartre diretta da Jacques-Charles (lo Ziegfeld francese). È lui che, ispirandosi alle riviste d’oltremanica ma adattandole ai gusti parigini, rifonda in pratica l’estetica delle grandi riviste francesi contrastando per un decennio il dominio dell’altro grande locale del tempo, les Folies Bèrgere. A metà degli anni ’30 gli altalenanti risultati economici fanno ritoccare la strategia produttiva e il B. du M. R. torna un teatro di varietà. Ma nonostante ospiti nomi importanti come Joe Jackson o Barbette, finisce per essere trasformato addirittura in un cinema. Il B. du M. R. riapre solo dopo la guerra e ritorna un importante punto di riferimento sotto la direzione di Jacki Clerico. Questi, con sapiente uso del marketing e con la tesaurizzazione massima del nome storico del locale, entra in pratica nei grandi circuiti turistici, producendo riviste con grande sfarzo e con una selettiva ricerca di attrazioni internazionali, ma indubbiamente perdendo il sapore genuino del mitico il B. du M. R. Parigi è stata popolata da innumerevoli altri locali dalle connotazioni simili ma che non hanno mai raggiunto i fasti storici del Moulin Rouge o de les Folies Bèrgere. Fra questi è però doveroso citare almeno il Casino de Paris, il Bobino, il Tabarin e l’Olympia, tempio soprattutto della musica leggera. Da ricordare anche l’attività del `nuovo’ Lido, gestito dal 1945 da Joseph e Louis Clerico in posizione centralissima, sugli Champs-Elysées. Altro discorso va fatto per il Crazy Horse Saloon, dedito soprattutto all’arte dello spogliarello e per il più recente Paradis Latin, con uno spettacolo più intimo, adatto forse più agli spettatori francesi che agli innumerevoli turisti stranieri.

Milani

Dopo anni di cabaret giunge al successo grazie a trasmissioni televisive quali “Su la testa” e “Cielito Lindo” (1992), con le sue maschere serie, un po’ alla Keaton, dal leghista al becchino, dallo stupratore al killer, mette a fuoco l’aspetto più cinico e irresponsabile della nostra società. M. è il degno rappresentante di una comicità cruda, trasgressiva e spiazzante.

Mucamedov

Dopo gli studi presso l’Istituto coreografico di Mosca, dal 1978 al 1981 fa parte del Moskovskij Klasiceskij Balet di N. Kasatkina e V. Vasilev ed è protagonista dei loro balletti: Sagra della primavera , Il racconto di Romeo e Giulietta, Gajané . Dal 1981 al 1990 è solista al Teatro Bol’šoj, interprete dei balletti di Jurij Grigorovic ( Spartaco , Ivan il Terribile , L’età dell’oro , La leggenda dell’amore) di Roland Petit ( Cyrano de Bergérac ) e del repertorio classico (Romeo e Giulietta , Raimonda , Il lago dei cigni , Giselle , schiaccianoci). È un danzatore eroico-romantico di alto virtuosismo, negli anni ’80 è il migliore interprete dei balletti di Grigorovic. Nel 1990 entra a far parte del Covent Garden Royal Ballet, affronta i balletti di Kenneth MacMillan ( Il principe delle pagode, Manon Lescaut , Winter Dreams ) e di Frederick Ashton ( La fille mal gardée , con il Birmingham Royal Ballet), dando prova di profonde capacità interpretative.

Mitchell

Studia alla New York High School of Performing Arts e alla School of American Ballet. Dopo aver danzato a Broadway e per John Butler e Anna Sokolow, entra nel New York City Ballet (1956), primo ballerino nero nella storia della compagnia. Qui si fa notare, per eleganza, nitore tecnico e forte presenza scenica, come interprete di Western Symphony , Sogno di una notte di mezza estate , nel ruolo di Puck (1962), Agon (1967) e Metastaseis & Pithoprakta (1968) di Balanchine. Balla anche in Ebony Concerto (1960) di John Taras e in The Unicorn , the Gorgon and the Manticore di John Butler. Danza intanto in famosi musical come Carmen Jones e Kiss me, Kate , mentre a Broadway è coreografo di Shinbone Alley . È ambasciatore, con la sua American Dance Company, della danza nera nordamericana in Senegal (1966) e in Brasile, dove è chiamato a creare la compagnia di balletto nazionale. Fonda nel 1968, con Karel Shook e con il supporto della Fondazione Ford, il Dance Theatre of Harlem, che debutta ufficialmente nel 1971. Il suo intento è quello di offrire anche ai danzatori di colore la possibilità di misurarsi con il balletto classico e neoclassico, fino a quel momento appannaggio esclusivo dei bianchi. Testimone dell’orgoglio culturale della sua gente, coreografa per la propria compagnia Epigrams (1966), Holberg Suite , Tones , Fête noir (1971) e John Henry , balletto dedicato a un operaio afroamericano, la cui forza fisica vince persino contro i nuovi mezzi meccanici, morto durante la costruzione della prima ferrovia tra l’Atlantico e il Pacifico.

Marzot

Vera Marzot compie gli studi classici, all’Università internazionale di studi sociali di Roma e vince una borsa di studio per la sezione costume del Centro sperimentale di cinematografia. Inizia l’attività professionale nel cinema come assistente ai costumi con P. Zuffi nel 1959 per il film Il Generale della Rovere di R. Rossellini. Per alcuni anni a partire dal 1962 è assistente di P. Tosi con cui inizia una lunga collaborazione lavorando a film come Il Gattopardo di Visconti. Il suo esordio nel teatro lirico avviene quando Visconti le affida i costumi per il Don Carlos di Verdi (Opera di Roma 1965), seguiranno altre produzioni come Rosenkavalier di Strauss (1966) sempre all’Opera e Traviata di Verdi (Covent Garden di Londra). Trascura sempre più il cinema dedicandosi al teatro, instaurando un’interessante collaborazione con il regista L. Ronconi creando i costumi per numerosi spettacoli di prosa tra cui L’anitra selvatica di Ibsen (Stabile di Genova, 1976), L’uccellino azzurro di Maeterlinck (Teatro Regio di Reggio Emilia, 1979), Ignorabimus di Holtz (Prato Teatro Regionale Toscano, 1986), Il mercante di Venezia di Shakespeare (Comédie-Française, 1987), L’uomo difficile di Hofmannsthal (Stabile di Torino, 1990), Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (coproduzione Teatro di Roma, Exspo Lisbona, 1998). Inoltre disegna i figurini per Aida di Verdi (Teatro alla Scala, 1985), spettacolo in cui i costumi hanno una parte dominante nell’illusione scenica. Qui alla ricerca minuziosa del dettaglio e al sensibile uso del colore, abbina una grande abilità e fantasia nell’uso dei tessuti e dei materiali. E ancora per il teatro d’opera il Fetonte di Jommelli (1988), Oberon di Weber (1989), Lodoiska di Cherubini (1991), Tosca di Puccini (1996) tutte opere progettate per il Teatro alla Scala con la regia di L. Ronconi. Sempre con il medesimo regista fra gli altri cura i costumi di Giro di vite di Britten al Teatro Regio di Torino (1995), L’Orfeo e Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi nel 1998.

Morelli

Nipote di Alamanno Morelli, figlia degli attori Amilcare Morelli e Narcisa Brillanti, Rina Morelli recitò fin da piccola accanto al padre. Il suo esordio vero e proprio avvenne nel 1924 in Liliom di F. Molnár, con la compagnia di A. Betrone. Nel 1927 recitò nella compagnia dannunziana e nel 1933 Copeau la scelse per il Mistero di Santa Uliva al Maggio fiorentino. Già impostasi all’attenzione della critica per l’intensità e l’originalità della sua interpretazione, nel 1938-39, con la compagnia del Teatro Eliseo, accanto a G. Cervi, C. Ninchi, P. Stoppa e A. Pagnani, ottenne anche il riconoscimento del pubblico. Con questa compagnia riportò grandi successi tra cui: Giorni felici di C.A. Pouget, Fascino di K. Winter, Viaggio alle stelle di M. Anderson, Otello e Le allegre comari di Windsor di Shakespeare. Alla parentesi quasi sterile della seconda guerra mondiale, succedette un periodo di grande attività che la portò all’incontro con il regista L. Visconti, avvenuto nel 1945. Questi la diresse nei Parenti terribili di J. Cocteau dello stesso anno. Nel 1946 costituì compagnia al fianco di Paolo Stoppa, scegliendo un repertorio soprattutto comico ( Spirito allegro di N. Coward, Arsenico e vecchi merletti di J. Kesselring). Fu ancora L. Visconti a dirigere la coppia Morelli-Stoppa nell’ambizioso progetto di portare sulle scene italiane il dramma esistenzialista Antigone di J.P. Sartre, autore, insieme ad Anouilh, Girardoux, Miller e Williams, tra i prediletti dell’attrice, senza tralasciare il suo amore per Shakespeare e Goldoni. Lo spettacolo riscosse grande successo e il sodalizio Morelli-Stoppa-Visconti proseguì con produzioni di rilevante valore artistico. L’attrice apparve anche nei film Senso , Il Gattopardo , L’innocente per la regia di Visconti, inoltre partecipò a produzioni televisive quali I Buddenbrook tratto da T. Mann e Le sorelle Materassi da A. Palazzeschi. La M. si può a tutt’oggi considerare come una delle maggiori interpreti italiane contemporanee per la sensibilità con cui seppe rendere, attraverso la sua recitazione veristica, un repertorio che spaziava dai ruoli brillanti a quelli drammatici. Inoltre, quando anche in Italia si impose l’intervento della regia, pur conservando le doti innate che da sempre le permettevano di individuare con precisione i tratti distintivi dei personaggi antichi e moderni che via via si trovava ad affrontare, riuscì a conciliarle con le nuove esigenze richieste dalla scena.

Marais

Jean Marais fu allievo di Dullin prima di entrare in contatto con Jean Cocteau e il suo ambiente. Nel 1937 ottenne infatti una parte che avrebbe dovuto essere quella di Edipo, nelle intenzioni di Cocteau, ma che fu invece solo quella secondaria del coro nella Machine infernale dello stesso Cocteau. Da questo momento, i due artisti condivisero il percorso artistico ed esistenziale: M. sarà Galaad ne I cavalieri della Tavola Rotonda e in seguito sarà il protagonista de I parenti terribili , pièce scritta da Cocteau espressamente per lui (1938). Pur continuando a recitare in importanti produzioni teatrali più `convenzionali’, Marais legherà la sua carriera all’attività drammaturgica e poi cinematografica di Cocteau: interpreta infatti La macchina da scrivere (1941) e Renaud et Armide (1946), nello stesso anno sarà Stanislas in L’aquila a due teste. In questa stessa fase interpreterà anche lavori di Anouilh e di Sartre, ottenendo un grande successo. Tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 sarà il protagonista della stagione cinematografica cocteauiana da La bella e la bestia (1946) a L’aquila a due teste (1948), a Orphée del 1950, dove la sua bellezza perfetta assume caratteri quasi pittorici grazie alla fotografia curatissima ed estetizzante voluta dallo stesso Cocteau. Con Visconti sarà l’inquilino nelle Notti bianche (1957). Recentemente (1990, ripresa nel 1993), l’attore ha rievocato il suo intenso rapporto con Cocteau nella pièce Cocteau-Marais , insieme a Jean Tardieu.

Mosca,

Circo di Mosca è la denominazione dell’insieme di artisti e spettacoli provenienti dalla russia o dall’ex Unione Sovietica. A cavallo dei due secoli, l’entusiasmo degli spettatori stimola in Russia lo sviluppo delle arti circensi e del varietà e il sorgere di numerosi edifici deputati a tali spettacoli. Artisti di ogni genere, in cerca di lavoro, accorrono da tutta Europa e in particolare dall’Italia. Si affermano Alessandro Guerra e i Ciniselli. Guerra, detto `il furioso’, nel 1845 fa costruire un edificio in legno che chiama Cirque Olimpique. Gaetano Ciniselli, nel 1869 assume la direzione del circo in muratura di Mosca e di quello in legno di Pietroburgo (quest’ultimo poi rimpiazzato da un elegante edificio che esiste tuttora). Altri direttori famosi sono i Truzzi, apprezzati inscenatori di pantomime e proprietari di circhi itineranti. La Russia diventa una seconda patria per i circensi italiani. Lì si stabiliscono gli Averino, nascono Enrico Rastelli e Alberto Fratellini, e trova il successo Giacomo Cireni, il `clown dello Zar’. L’agiatezza dura però solo fino allo scoppio della prima guerra mondiale, che porta gravi scompensi all’arte circense. Solo al termine vi è una parziale ripresa con la creazione di nuovi circhi stabili, circhi itineranti e teatri di varietà. Nel 1917, con la rivoluzione, la maggior parte degli artisti stranieri si dà alla fuga non vedendo immediate possibilità di lavoro in una nazione dove ognuno viene espropriato dei propri beni. Ma le grosse privazioni che soffre il settore devono da lì a poco generare le solidi basi sulle quali viene costruita la più grande struttura circense del nostro secolo.

Il 26 agosto del 1919 Lenin promulga il decreto sulla nazionalizzazione dei teatri e dei circhi seguendo la proposta del Commissario all’Istruzione e alla cultura, Anatolij Vasileviic Lunaciarsky. Da quel momento la responsabilità di tutti i circhi stabili o itineranti esistenti sul territorio sovietico, nonché quella di tutti i lavoratori del settore circense, ricade su di un unico organo direttivo: il Soyuzgoscyrk. Il livello degli artisti russi ha però sofferto delle traversie sociali del grande territorio e, salvo qualche rara eccezione, è inferiore a quello degli stranieri. Per supplire a questo divario, nel 1927 viene inaugurata la Scuola delle arti del circo e del varietà di Mosca che in sette decenni sforna oltre 4000 artisti di vario genere, ma tutti in possesso di solide basi generiche. Dalle scuole di regia teatrale di Mosca arrivano dei giovani che creano il mestiere di regista di circo; figura professionale del tutto nuova che permette, attraverso la stretta collaborazione di artisti, coreografi e compositori, la creazione di vere e proprie opere d’arte circensi alle quali si cerca di dare sviluppo tematico, imprimendo toni storici e politici che vadano oltre la forma meramente esibitrice del numero da circo. Nel 1946 viene creato il prezioso Studio per la formazione e la preparazione di artisti, numeri e spettacoli di circo, dagli addetti chiamato solo `lo Studio’: un laboratorio d’arte circense d’avanguardia dove vengono sperimentate le potenzialità tecniche e creative di ogni disciplina. Altri edifici per il circo con tecniche sempre più perfezionate vengono eretti in tutta la nazione, fra essi un moderno edificio costruito sulle colline di Lenin nel 1972, che dispone di cinque piste intercambiabili: una tradizionale, una di gomma per le scatenate evoluzioni dei cavallerizzi del Don, una attrezzata per i numeri di illusionismo, una con la superficie ghiacciata e una con un bacino idrico per numeri e pantomime acquatiche. Un gigantesco dispositivo permette di alzare e abbassare le piste in una manciata di minuti, offrendo così ai registi di circo la possibilità di creare numerose combinazioni.

A Mosca la fantasia e la creatività degli artisti possono esprimersi senza condizionamenti di nessun tipo. L’artista che intende realizzare un nuovo numero presenta ai responsabili dell’organismo centrale un dettagliato progetto nel quale descrive nei minimi particolari la propria futura creazione artistica. Il Soyuzgoscyrk ha allestito una potente organizzazione che dispone di strutture in grado di soddisfare ogni possibile esigenza degli artisti. Vi sono sartorie per la realizzazione di costumi, sale di registrazione per l’incisione di particolari brani musicali, laboratori con falegnami e fabbri per la costruzione di nuovi speciali attrezzi. Sono numerose le tournée all’estero. In Italia si ricordano quelle del 1959, 1964, 1969, 1982, 1987 e 1991. Negli anni ’80 l’economia dell’Unione Sovietica comincia a dare palesi segni di crisi. Con la dissoluzione dell’Urss, il Soyuzgoscyrk si trasforma in Rosgoscyrk e l’enorme patrimonio artistico e animale del circo sovietico si riduce ai `soli’ seimila artisti e circa settemila animali operanti sul territorio russo. Attualmente sono oltre duecento le persone che lavorano al Rosgoscyrk, rimasto nella vecchia sede di Mosca. La struttura è divisa in dipartimenti. I due circhi stabili di Mosca non sono più di sua proprietà mentre continua a gestire quello in tenda, sito al Parco Gorky, la Scuola e il famoso Studio. Molti proprietari di numeri di animali cercano di vendere all’estero belve e competenza d’addestramento: nel loro Paese mantenere tali animali senza l’apporto dello Stato comporta oggi rischi gravissimi. Gli artisti diventano sempre più intraprendenti e si lasciano andare ad iniziative private. Mentre una volta il Souyuzgoscyrk vigilava sulla qualità dei programmi inviati all’estero, ora si è aperta una falla senza margini e si è dato il via a una colossale e capillare migrazione di artisti verso l’Occidente. Il Rosgoscyrk, diretto da Ludmila Jairova, sta cercando di diventare una moderna organizzazione in grado di avere un ruolo determinante anche negli anni a venire, mentre gli ulteriori gruppi emergenti, come quello di Leonid Kostiuk e quello di Nikulin, stanno tentando di assumere una struttura solida.

Mantegazza Tumiati

Con il marito Tinin ha formato per parecchio tempo una delle coppie più affiatate del teatro d’animazione italiano. Debutta in teatro nel 1972 con il gruppo di Milano `Pesce fuor d’acqua’, nel 1974 è tra i fondatori del Teatro del Buratto dove rimane sino al 1986 dirigendo quasi tutte le produzioni del gruppo. Uscita dal Buratto, mette in scena gli spettacoli di Ornella Vanoni e Gino Paoli. Dal 1968 lavora in Rai come capoanimatrice creando i pupazzi per diverse trasmissioni e curando la regia, tra l’altro, di oltre cinquecento puntate di L’albero azzurro , la trasmissione di punta della Rai per i ragazzi.

Monticelli,

La famiglia Monticelli opera nel teatro dei burattini e delle marionette da cinque generazioni. Il capostipite fu, nei primi anni dell’Ottocento, Ariodante, di origine piemontese. Il più famoso della famiglia fu Otello (1905-1991). Otello fu anche il primo a dedicarsi con grande successo al teatro dei burattini, continuando anche a manovrare le marionette nelle famose compagnie di Enrico Novelli (fantocci lirici Yambo) e in quella dei Podrecca. In questa attività fu affiancato dai figli William (1930-1992), Loredana (1931) e Mirca (1936). Oggi l’attività con i burattini di tradizione emiliana prosegue con i figli di William, Andrea (1958) e Mauro (1961), che nel 1979 costituiscono la compagnia Teatro del Drago.

Marcadè

Allieva della Carlson, le sue coreografie rispecchiano sovente un universo tenero e malizioso a un tempo, per qualche verso simile a quello della sua maestra. Il suo stile, tuttavia, ha qualcosa di più brusco e violento, la gestualità più veemente e crudele, anche se non mancano i tratti delicati. Tra le sue coreografie più significative Tendre est la nuit , Monsieur Pigeon e ancora (1986) Les insoupconnables légèretés , vasto affresco romantico teatrale di cui ha offerto più di una versione.

Miami City Ballet

La Miami City Ballet viene fondata nel 1986 da Edward Villella, grande ballerino balanchiniano, con un repertorio che comprende titoli di Balanchine come Allegro brillante , Concerto barocco , Apollon , Cajkovskij Pas de deux , Bugaku , Square Dance , The four temperaments ; di Taylor come Company B , e brani originali come El amor brujo di Richard Tanner; Surfacing di Lynne Taylor-Corbett; Transtangos , Purple Band I , Three movements , Nous sommes di Jimmy Gamonet de los Heros, coreografo residente. È la più giovane e dinamica compagnia nordamericana, apprezzata per la brillantezza tecnica e la purezza accedemica.

Monk

Tra le maggiori `performance artists’ della scena contemporanea americana, Meredith Jane Monk è autrice di una ricca serie di opere multimediali che incorporano coreografia, musica, linguaggio e filmografia, prodotte per la maggior parte – se non interamente – da lei stessa. Ha compiuto dapprima gli studi musicali e si è quindi rivolta alla danza, apprendendo le tecniche `Graham’ e `Cunningham’. Nel 1965 presentò alla Judson Church di New York, crocevia delle nascenti tendenze postmoderne, le sue prime performance. L’anno successivo il suo 16 Millimetres Hearings , sorta di allusivo racconto autobiografico in forma di performance, venne giudicato una delle esibizioni più riuscite di quel periodo. In seguito si è dedicata all’esplorazione di spazi teatrali alternativi: le tre parti di Juice (1969), definito `cantata teatrale’, si svolgevano in un teatro universitario, sulla grande scala a spirale del Guggenheim Museum di New York e in un loft . Tra i numerosi spettacoli multimediali degli anni ’70 e ’80 spiccano Education of a Girlchild (1973), di cui firmò musica e regia e che rimanda, come gran parte del suo lavoro, a un `vissuto’ autobiografico qui riletto in chiave femminista; Recent Ruins (1979), Turtle Dreams (1983) e Atlas (1991), opere in cui la danza si modula su gesti minimi e quotidiani e sviluppa una ricerca analitica sulla gestualità. Ma sono da ricordare anche le composizioni prettamente musicali come Songs from the Hill (1976) per voce sola, Book of Days per voci e strumenti (1985) e Facing North per voce, organo e pianoforte (1990). Infatti l’aspetto forse più originale di questa sfaccettata ricerca risiede proprio nell’inconfondibile impiego della vocalità, che nelle sue performance assolve a una funzione marcatamente teatrale . La voce assurge in lei a strumento di comunicazione totale e di semplicità primigenia, svincolata dalle tecniche consuete alla tradizione occidentale, in specie di quella colta. M. assegna alla voce un valore volutamente `regressivo’ e straniante, quasi essa potesse riportarci alle sorgenti di una perduta infanzia dell’umanità. A questo fine ha articolato le forme di un elegante primitivismo che alterna con disinvoltura lamenti, cantillazioni, imitazioni di animali, momenti di parlato, canto sillabico e vocalizzi, e ancora altri echi di tecniche esotiche o di nuovo conio, amalgamandole tutte grazie alla singolare mobilità dei suoi suggestivi timbri vocali. Di queste straordinarie qualità se ne accorse, tra i primi, Bob Wilson con il quale la M. partecipò alle prime rivoluzionarie performance della Byrd Hoffman School of Byrds.

Magistro

Miko Magistro termina gli studi presso la facoltà di Scienze Naturali dell’Università di Catania. Nel 1970, viene ammesso all’Accademia di recitazione del Teatro Stabile di Catania. A partire dal ’73 entra a far parte della compagnia dello stesso Teatro a fianco di Turi Ferro, Umberto Spadaro, Ave Ninchi. Affronta da protagonista o coprotagonista testi di notevole impegno sociale e culturale della drammaturgia italiana e straniera come: La morte di Danton di Buchner, Vita dei campi di Verga, L’eredità dello zio canonico di Russo Giusti, L’altalena di Martoglio, Cavalleria rusticana di Verga, L’ultima violenza di Fava, Pipino il breve di Barbera- Cucchiara, ed ancora una nutrita antologia pirandelliana Liolà , La patente , La sagra del Signore della Nave , L’uomo la Bestia e la Virtù , La nuova Colonia non senza incursioni negli autori stranieri: Il giardino dei ciliegi di Cechov ed in quelli contemporanei Le menzogne della notte di G. Bufalino.