Hoffman

Dopo aver lavorato in un teatro di Boston, esordisce a New York nel 1965 in Harry, Noon and Night , imponendosi l’anno dopo in Eh? di H. Livings, che gli fa vincere molti premi, e nel 1968 in Jimmy Shine di M. Schisgal. Contemporaneamente si afferma anche sullo schermo, ma torna alle scene nel 1984 per una memorabile ripresa di Morte di un commesso viaggiatore («attore di genio e di demoniaca intensità»). Altri consensi ha avuto affrontando, nel 1989, il personaggio di Shylock nel Mercante di Venezia , prima a Londra e poi a New York, con la regia di P. Hall.

Hoppe

Marianne Hoppe studiò recitazione al Deutsches Theater di Berlino e privatamente con Lucie Höflich. Debuttò nel 1928 e fece quindi parte della compagnia del Deutsches Theater sotto la direzione di Reinhardt sino al 1930. Quindi recitò al Neues Theater di Francoforte e ai Kammerspiele di Monaco in ruoli di primo piano (Adriana in La commedia degli errori, diretta da O. Falckenberg). Dal 1933 al ’45 lavorò con G. Gründgens (che sposò nel 1936 e dal quale divorziò nel 1946) al Teatro nazionale di Berlino: fu protagonista in Emilia Galotti (1937) e in Antigone (1940). Recitò anche in numerosi film. Dopo la guerra, dal 1947 al ’55, continuò a lavorare con Gründgens allo Schauspielhaus di Düsseldorf: interpretò Elettra ne Le mosche (1947) di Sartre e Celia in Cocktail party (1950) di Eliot. Nel 1962 lavorò nell’ultima regia di Gründgens, Il concerto di H. Bahr, al Deutsches Schauspielhaus di Amburgo. Negli anni ’70 fu diretta in diverse occasioni da C. Peymann in opere di T. Bernhard. Restano famose le sue interpretazioni di Madeleine in Savannah Bay di M. Duras, allo Schiller Theater di Berlino (1986), e del ruolo maschile di protagonista in Re Lear , diretta da B. Wilson a Francoforte (1990). Definita `la Duse prussiana’, è a tutt’oggi considerata una delle più grandi attrici del teatro tedesco. Tra le sue interpretazioni più recenti vanno ricordate quelle al Berliner Ensemble: Quartett di H. Müller (1994); La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht, con la regia dello stesso Müller (1995); Monsieur Verdoux di Chaplin-Schroeter (1997).

Hampton

Il primo testo importante di Christopher Hampton, Quando hai visto mia madre per l’ultima volta? (When Did You Last See My Mother?, 1966), debutta al Royal Court Theatre di Londra facendo scalpore per la sincerità e l’ironia con cui tratta il tema dell’omosessualità. Seguono: Eclissi totale (Total Eclipse, 1968); Il filantropo (The Philantropist, 1970), su un uomo incapace di reali convinzioni che tenta di sopravvivere dando ragione a tutti – ma i suoi rapporti finiscono ugualmente male; I selvaggi (Savages, 1973), sullo sterminio degli indigeni in Brasile; Festa (Treat, 1976). Successivamente H. si dedica a adattamenti da Cechov, Ibsen, Molière, Feydeau, intervallati da testi di alterno valore, tra cui Racconti da Hollywood (Tales from Hollywood, 1983): protagonista è lo scrittore austriaco Ödön von Horváth che, fuggito negli Usa dopo l’Anschluss, incontra altri espatriati come Brecht e Mann. L’adattamento per la scena delle Liaisons dangereuses di Laclos (1985) – da cui Stephen Frears nel 1988 ha tratto l’omonimo film – è stato ripreso da A. Calenda (Roma, Teatro Eliseo 1988) e da M. Monicelli (Marina di Pietrasanta, La Versiliana 1994).

Hecht

Nato in una famiglia di artisti di circo, dopo lunghe esperienze nel giornalismo letterario divenne noto soprattutto come sceneggiatore cinematografico ( Scarface , Notorious , Addio alle armi ). Arrivò al grande successo nel 1928 quando, con Charles MacArthur (1895-1956), scrisse Prima pagina (The Front Page), una satira del mondo giornalistico e di quello politico che, mescolando abilmente i modi della commedia con quelli del melodramma, riscosse inalterati successi anche nelle numerose riprese e nei tre film che ne furono tratti. Con lo stesso collaboratore scrisse anche Ventesimo secolo (Twentieth Century, 1932), una farsa sulla tempestosa relazione fra un regista e un’attrice, e il libretto di Jumbo (1935), un musical a grande spettacolo di R. Rodgers. Fu inoltre autore di romanzi e racconti.

Halprin

Shumann; Winnetka, Illinois, 1920), danzatrice e coreografa statunitense. Danza nella compagnia Humphrey-Weidman in Sing Out Sweet Land (1945); insegna poi presso la propria scuola (1948-1955), dando vita al Dancer’s Workshop (1955) in collaborazione con artisti visuali e musicisti. Dopo Birds of America e Flowerburger (1959), in cui si esibisce coinvolgendo Terry Riley, La Monte Young, Yvonne Rainer, Meredith Monk, è spesso invitata ai festival d’avanguardia europei. Crea in seguito Parades and Changes (1965), Bo’ulu Bo’ici Bo’ee , presentato a New York col titolo Animal Ritual , Initiations and Transformations (1971). Sostenitrice della pratica dell’happening, si distingue anche per l’impegno sociale: insieme al marito, l’urbanista Lawrence Halprin, tiene corsi estivi per danzatori e architetti, conducendo il Multi-Racial Communal Workshop e attività di danzaterapia con malati gravi (lei stessa è guarita da un tumore).

Hughes

Poeta, narratore, autore di blues e di ballate, espresse nell’intera sua opera le speranze e le collere della sua gente, temperando spesso la rabbia con l’umorismo e il lirismo. Numerose le sue opere teatrali, fra le quali Mulatto (1935), un melodramma sui rapporti interrazziali accolto freddamente dalla critica ma replicato a Broadway per quasi due anni; i musical Simply Heavenly (1957) e Black Nativity (1961); la commedia Tambourines to Glory (1949); e drammi di esplicita polemica politica e sociale, per teatri che si rivolgevano prevalentemente al proletariato di colore.

Hopkins

Già attivo come produttore nei teatri di varietà, presentò a Broadway, soprattutto negli anni ’20, spettacoli di qualità che si opponevano alla consueta routine del teatro commerciale. Diresse, fra l’altro, J. Barrymore in Riccardo III (1920) e Amleto (1922), A. Nazimova in alcuni testi ibseniani e molte novità di rilievo, fra le quali Anna Christie di O’Neill (1921), Quanto costa la gloria? di Anderson e Stallings (1924), Incantesimo di Barry e La foresta pietrificata di Sherwood (1935; nel cast figuravano anche L. Howard e H. Bogart). Fu il primo a offrire occasioni allo scenografo R.E. Jones e il primo a dar lavoro ad attori destinati a grande avvenire come K. Hepburn e C. Gable.

Howard

Una raffinata sensibilità e un gusto discreto ma sicuro furono i tratti caratteristici della H., danzatrice di talento e, in certe occasioni, scenografa. Allieva della Egorova, della Preobrajenska e di altre grandissime ballerine russe, a partire dal 1930 fece parte del Ballet Club della Rambert, dove iniziò a dedicarsi anche alla coreografia; fra i suoi successi, Death of a Maiden . I suoi meriti furono però riconosciuti soprattutto a partire dal 1945, con la nascita del Sadler’s Wells Ballet, del quale diventò la coreografa en titre . Fu a suo agio tanto nei soggetti drammatici ( The fugitive , Mardi gras , A Mirror for Wishes ) quanto in quelli comici ( The Rape of the Lock , La Muse s’amuse e Salina , parodia del balletto romantico tradizionale). Nel 1949 creò la coreografia di Fête étrange , da Il grande Meaulnes di Alain-Fournier.

Hodson

Laureata in storia della danza all’università della California, è autrice, con il marito Kenneth Archer, storico dell’arte inglese, di studi fondamentali sul Sacre du printemps di Nijinskij, che ha riallestito nel 1987 per il Joffrey Ballet. A loro si devono anche altre importanti ricostruzioni: Jeux di Nijinskij e La Marsigliese di Isadora Duncan per Carla Fracci, Cotillon e La chatte di Balanchine, Skating Rink di Jean Börlin per il Balletto di Zurigo e per il Balletto reale svedese, compagnia per cui rimontano anche Within the Quota , El Greco , Dervishes , sempre di Börlin (1998).

Hauptmann

Dopo una prima formazione a Breslavia, Gerhart Hauptmann studiò scienze naturali, filosofia e storia dell’arte a Jena; si accostò al teatro, e dal 1884 visse come scrittore indipendente a Berlino. Nel 1912 fu insignito del premio Nobel per la letteratura. La sua opera, in cui si possono rilevare influenze che vanno da Zola a Ibsen e Tolstoj, esercitò un ruolo determinante nella storia del teatro europeo. Nel 1889 venne rappresentato a Berlino il suo dramma Prima del tramonto (Vor Sonnenaufgang), che aprì la strada al naturalismo. Tra il 1889 e il 1893 Gerhart Hauptmann scrisse diverse opere teatrali, tra cui I tessitori (Die Weber, 1892), La pelliccia di castoro (Der Biberpelz, 1893), La morte di Hannele (Hanneles Himmelfahrt, 1896), con le quali ottenne fama internazionale. Disgustato dal carattere decorativo e sentimentale del teatro del suo tempo, Gerhart Hauptmann dipinse, attraverso i suoi personaggi, un severissimo ritratto dell’epoca guglielmina e tentò di fare del dramma sociale lo specchio critico dell’epoca. La denuncia dell’ingiustizia sociale, dell’ipocrisia borghese, la descrizione della miseria di famiglie rovinate dall’industrializzazione sono i temi delle sue opere. Con La festa della pace (Das Friedensfest, 1890) e Anime solitarie (Einsame Menschen, 1891) tracciò un’immagine feroce della borghesia tedesca e si attirò l’odio delle classi più conservatrici; I tessitori gli attirò l’accusa di propaganda rivoluzionaria, ma fu rappresentato in tutta Europa e tradotto in russo dalla sorella di Lenin. Tuttavia, nel 1914 Gerhart Hauptmann si schierò dalla parte del fervore bellicistico, con gran stupore dei suoi seguaci e dell’imperatore, che immediatamente gli conferì un’onorificenza. Dopo la guerra il trionfo dell’espressionismo e il successo delle opere di Strindberg e di Wedekind offuscarono la sua fama. Il dramma Herbert Engelmann, rappresentato nel 1923, testimonia ancora un notevole mordente nella scrittura, ma anche un allontanamento dalle preoccupazioni sociali e politiche. Negli ultimi anni, chiusosi in un profondo pessimismo, Gerhart Hauptmann divenne amico di Thomas Mann, che diede i suoi tratti al personaggio di Peeperkorn ne La montagna incantata.

Harris

Dopo una lunga gavetta di serate nei night-club californiani – dove divertiva il pubblico con battute folgoranti e amare sulle proprie miserie quotidiane – divenne uno dei più noti intrattenitori dei locali notturni newyorkesi. I suoi personaggi – uomini da marciapiede, incapaci di integrarsi ma orgogliosi della propria razza e della propria inadeguatezza – rispecchiano la personalità di un artista che amava sprecare le proprie doti.

Herbert

Di formazione accademica, Victor Herbert compie i suoi studi musicali in Germania, prima a Baden-Baden e poi a Stoccarda. Diplomato in violoncello e direzione d’orchestra, suona il violoncello nell’orchestra sinfonica di Stoccarda e poi, dopo il suo trasferimento in America, in quella del Metropolitan di New York. Nel 1894-98 dirige la banda della Guardia nazionale dello Stato di New York e nel 1898-1904 (come associato) la Pittsburgh Symphony Orchestra. Intanto comincia a comporre per la scena americana spettacoli musicali che hanno le radici nell’operetta di gusto europeo (specialmente quella di tipo viennese, alla Franz Lehár) e accolgono al tempo stesso, man mano, caratteristiche della musical comedy , genere d’origine britannica e americana nato proprio alla fine del secolo scorso, ricco di sex-appeal, di spunti presi dalla cronaca, di parentele col varietà e la rivista (da questi la commedia musicale si distingue per la continuità della trama, mentre varietà e rivista procedono per quadri staccati).

Tra i numerosi titoli di Victor Herbert, rappresentati con successo in vari teatri di Broadway, Prince Ananias (1894), The Wizard of the Nile (1895), The Idol’s Eye (1897), The Fortune Teller (1898), scritto per una cantante ventunenne e già diva, Alice Nielsen, nel doppio ruolo di una ereditiera ungherese e di una zingara che predice la fortuna; ancora, Cyrano de Bergerac e The Singing Girl (1899), The Viceroy (1900), Babes in Toyland (1903), una delle maggiori riuscite grazie alla leggiadria del racconto, di tipo fantastico, e alla musica orecchiabile e brillante. Seguono, fra gli altri, Babette (1903), Miss Dolly Dollars (1905), Mademoiselle Modiste (1905), su uno splendido libretto di Henry Blossom, Naughty Marietta (1910): tutti basati su personaggi femminili in bilico fra una educazione tradizionale e le tensioni sbarazzine verso un’esistenza libera, di moderne vedute. Ma assai vari sono gli spunti su cui Victor Herbert costruisce i suoi spettacoli: per esempio la vita campagnola (The Red Mill, 1906), l’esotismo (Algeria, 1908), i fumetti (Little Nemo, 1908), il mondo stesso del teatro (The Prima Donna, 1908). Le ragazze e le dame del tempo, viste in diverse personificazioni, dominano comunque il vasto panorama herbertiano: citiamo ancora The Duchess (1911), The Enchantress (1911), The Lady of the Slipper (1912), The Débutante (1914), The Only Girl  (1914), The Princess Pat (1915), Eileen (1917), Angel Face (1919), My Golden Girl  (1920), The Girl in the Spotlight (1920), The Dream Girl (1924).

Victor Herbert si cimenta anche nell’opera lirica (Natoma, 1911, e Madeleine, 1914), nella musica sinfonica (vari concerti per violoncello), ma la sua fama resta legata al teatro musicale, con addentellati nel cinema: nel 1916 compone una partitura ad hoc per The Fall of a Nation, film di guerra scritto dal reverendo Dixon, autore del romanzo da cui era stato tratto l’anno prima La nascita di una nazione di Griffith; quindi – col sonoro – alcuni lavori teatrali di Victor Herbert vengono trasposti sullo schermo e diverse sue musiche e canzoni sono utilizzate in varie pellicole. Sulla sua vita si gira nel 1939, con la regia di A.L. Stone, il film The Great Victor Herbert . Musicista tra i più prolifici della ribalta americana, Victor Herbert ha saputo proporre al teatro leggero del Nuovo Mondo le solide basi della sua esperienza `classica’ e dell’eredità europea, rinnovando al tempo stesso gli schemi della vecchia operetta con l’innesto di caratteri tipici dell’America fra i due secoli; e questo senza rinunciare a una vena melodica calda e lussureggiante. Dopo di lui si succederanno altri validi compositori nel teatro musicale Usa, ma Victor Herbert non solo funge da trait d’union tra Europa e America, ma si propone anche come il più significativo precursore del musical vero e proprio.

Hanlon Lees

George, Thomas, William, Alfred, Edward e Frederic Hanlon aggiunsero al proprio nome quello dell’istruttore Lees Hanlon, al quale furono affidati sin dalla giovanissima età e sotto la cui guida acquisirono notevoli doti ginniche e acrobatiche. Si esibirono nella disciplina dei giochi icariani, delle parallele e dell’acrobatica al tappeto, ingaggiati nei maggiori teatri di varietà. Attorno al 1870 vi fu l’evoluzione da acrobati ad attori di pantomima, emblematica del continuo e vitale flusso di artisti e idee che scorreva in quegli anni fra circo e teatro: ingaggiati a tempo pieno alle Folies Bergère, inscenarono pantomime di successo, fra le quali si ricorda Le voyage en Suisse , scritta da Raoul Tochè ed Ernest Blum, e interpretata con il noto giocoliere Agoust. Théodore de Banville, nella prefazione al piccolo volume che raccoglie le loro memorie, scrive: «Tutti gli oggetti che guarniscono la tavola diventano bocce di una giocoleria senza capo né coda, salgono, scendono, risalgono, rimangono sospesi in aria, oscurano il cielo, simili a un ondeggiare i cui flussi e riflussi siano in grado di cacciare le vaghe ebbrezze del delirio e dell’amore». Discendenti degli H.L. si esibirono fino ai primi anni del ‘900.

Hasenclever

Studiò diritto a Oxford, quindi lettere e filosofia a Losanna e a Lipsia; dopo il 1910 si dedicò principalmente all’attività di scrittore. Dal 1914 al ’16 fu volontario in guerra, ma più tardi divenne pacifista. Dal 1924 al ’28 fu corrispondente da Parigi; privato nel 1933 della cittadinanza tedesca, visse in Francia fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Internato nel campo di concentramento di Les Milles, vicino a Aix-en-Provence, si avvelenò per paura di essere consegnato alla Gestapo. Nel teatro di H. si esprimono con singolare violenza i conflitti psicologici e politici di un’intera generazione. Il suo dramma Il figlio (Der Sohn, 1914), per cui ottenne il premio Kleist, è considerato uno degli esempi più tipici del teatro espressionista; sempre del 1914 è un’altra delle sue opere più significative, La conversazione infinita (Das unendliche Gespr&aulm;ch). Il tema del pacifismo assume venature religiose in Il salvatore (Der Retter, 1915) e Antigone (1917); con Uomini (Die Menschen, 1918) H. si allontana dallo stile espressionista e utilizza a fini drammaturgici le suggestioni del cinema muto. A Parigi scrisse anche commedie come Un signore perbene (Ein besserer Herr, 1927); tra le sue ultime opere Assassinio (Mord), del 1938.

Huston

Trasferitosi negli Usa, lavorò a lungo nel varietà; s’impose a Broadway nel 1924 come protagonista di Desiderio sotto gli olmi di O’Neill, e vi tornò occasionalmente, negli intervalli di una proficua carriera hollywoodiana, per interpretare fra l’altro Dodsworth (1934), dal romanzo di S. Lewis, Otello (1936) e il musical Knickerbocker Holiday (1938) di K. Weill, dove cantò per primo il famoso “September Song”. Gli si addicevano soprattutto personaggi un po’ sopra le righe, che affrontava con lucidità e vigore, secondo i migliori canoni della recitazione realistica.

Haydée

Marcia Haydée studia danza classica con V. Veltcek, T. Leskova, S. Egorova e O. Preobrajenska e, dopo una prima apparizione nella compagnia del Teatro Municipal di Rio de Janeiro, nel 1957 entra nel Grand Ballet du Marquis de Cuevas, dove interpreta i primi ruoli solistici in balletti di repertorio (Giselle). Nel 1961 passa allo Stuttgart Ballet, del quale viene nominata prima ballerina (1962); qui stringe un sodalizio artistico di fondamentale importanza con il coreografo John Cranko, che sviluppa il suo straordinario istinto drammatico in balletti divenuti, grazie anche alla sua memorabile interpretazione, classici del nostro tempo: Romeo e Giulietta (1962), Onegin (1965), La bisbetica domata (1969), Carmen (1971), Initialen R.B.M.E. (1972), ai quali si affiancano le prove in creazioni di Kenneth MacMillan (Las Hermanas, 1963; Canto della terra, 1965), Glen Tetley (Voluntaries, 1973), John Neumeier (La dame aux camélias, 1978; Un tram che si chiama desiderio, 1983) e Maurice Béjart (Isadora; Le sedie; Wien, Wien, nur du allein). Dal 1976 al 1996, ancora attiva come ballerina, ha diretto lo Stuttgart Ballet, prodigandosi a mantenere intatto il repertorio di Cranko, ma insieme sviluppando lo stile della compagnia con lavori di H. Van Manen, U. Scholz, W. Forsythe, J. Kylián e con sue creazioni, quali La bella addormentata (1987), la singolare rilettura di Giselle (1989), il discusso The Planets (1991). Dal 1992 al 1994 è stata inoltre responsabile artistico del Balletto di Santiago del Cile. Vera tragédiènne della danza, dotata di una personalità teatrale incisiva e di una emozionante sensibilità interpretativa, è considerata una delle più importanti personalità della scena ballettistica internazionale degli ultimi trent’anni, spesso a fianco di Richard Cragun, con il quale ha formato una partnership memorabile. Ritiratasi ufficialmente dalle scene nel 1996, continua ad apparire come ospite in piccoli ‘camei’ per ruoli di carattere, come la strega Madge in La Sylphide di Peter Schaufuss (Stoccarda 1998).

Home

William Douglas Home inizia la sua carriera negli anni ’40, scrivendo commedie da salotto e alcuni drammi storici. Indifferente alla rivoluzione osborniana, perpetuò il genere tradizionale anche dopo gli anni ’50, sicuro di poter contare su un certo pubblico. Tra le sue opere più interessanti, Grandi ricchezze (Great Wealth, 1937), Barabba oggi (Barabba Nowadays, 1947), The Chiltern Hundreds (1947), la tragedia storica su Giacomo IV di Scozia Il cardo e la rosa (The Thistle and the Rose, 1949), La debuttante riluttante (The Reluctant Débutante, 1955), l’opera antimilitarista Il cattivo soldato Smith (The Bad Soldier Smith, 1963), L’anatra all’arancia (The Secretary Bird, 1968; noto nell’adattamento di M.G. Sauvajont, 1970), Lloyd George conobbe mio padre (Lloyd George Knew My Father, 1972), La dama di Sark (The Dame of Sark, 1974), con una visione non scontata dell’occupazione tedesca delle isole Channel; infine, La sala di consultazione (The Consulting Room, 1977) e Ritratti (Portraits, 1987). Nelle sue opere H. offre un quadro storico della vita sociale inglese dopo la seconda guerra mondiale, senza peraltro superare il livello dell’intrattenimento.

Hilaire

Entrato nel 1975 alla scuola di danza dell’Opéra di Parigi, a diciassette anni era già nel corpo di ballo del teatro, dove diventerà étoile nel 1985. Danzatore di grande eleganza e notevole aplomb , il suo repertorio è assai vasto: dai grandi classici ( Don Chisciotte , Raymonda ) giunge ai capolavori del Novecento ( Etudes di Lander, Dances at a Gathering di Robbins, Histoire de Manon di MacMillan) e agli autori più moderni ( Tanz-Schul di Kylián, Fantasia semplice di Bagouet, e ancora In the Middle Somewhat Elevated di Forsythe). Béjart ha creato per lui Episode . Come `guest star’ si è esibito sui più importanti palcoscenici del mondo, compresa la Scala. È stato ospite dell’American Ballet, e a Londra viene regolarmente invitato accanto a Sylvie Guillem, sua naturale partner; con lei ha fra l’altro danzato in maniera memorabile Il lago dei cigni (versione Dowell), La bayadère (versione Makarova), L’après-midi d’un faune di Robbins e Romeo e Giulietta di MacMillan.

Horton

Ha studiato danza con Adolph Bolm, ma è stato profondamente influenzato dalla cultura dei pellirosse e dall’attore e danzatore giapponese Michio Ito, tanto da creare poi la prima compagnia americana multirazziale. Dopo il debutto al Civic Theatre della sua città (1926) si è trasferito in California (1928), esibendosi come ballerino solista e organizzando anche un festival, per dare vita in seguito ai Lester Horton Dancers (1934) e a una sua scuola a Los Angeles (1948). Tra le sue creazioni di maggiore spicco: Salome (1934), Sacre du printemps (1937), Conquest (1938), Totem Incantation (1948), A Touch of Klee and Delightful Two (1949). Ha lavorato anche per il cinema ( Atlantis , 1947). Ha sviluppato una propria tecnica moderna: ogni movimento parte dal torso, propulsore dell’energia motrice per gambe e braccia, ma occhi, bocca e volto non sono meno importanti, secondo la tradizione orientale; molto curato anche il lavoro di articolazione dei piedi. Il suo insegnamento è stato determinante per numerosi allievi, tra cui Bella Lewitzky e Alvin Ailey.

Hoyer

Allieva di G. Palucca, Dore Hoyer ha danzato con numerose compagnie e gruppi tedeschi, per dedicarsi a recital solistici dal 1933. Nella duplice veste di solista e direttrice di un suo gruppo si è esibita anche dopo la guerra ( Danze per K&aulm;the Kollwitz , 1945). Maître de ballet dell’Opera di Amburgo dal 1949 al ’51, in seguito ha proseguito l’attività solistica in numerose tournée internazionali, esibendosi insieme al pianista-percussionista Dmitrij Viatovic in danze da lei create ( Bolero ). Morta suicida, è una delle personalità più significative della `Ausdruckstanz’, rappresentata in maniera esemplare dalle sue danze severe e rigorose; si ricorda ancora il ciclo degli Affekte , grazie anche alla ricostruzione di Susanne Linke (1989).

Hardy

Dopo aver studiato architettura ed essersi trasferito a Londra per esercitare questa professione, Thomas Hardy optò per la letteratura, imponendosi come poeta e romanziere. Si cimentò anche nel teatro, con opere più adatte forse alla lettura che alla rappresentazione. In I dinasti (The Dynasts, 1903-08), dramma epico scritto dopo aver visitato il campo di Waterloo, le battaglie napoleoniche sono viste da un coro di intelligenze ultraterrene. Nel 1923 viene rappresentata La regina di Cornovaglia (The Famous Tragedy of the Queen of Cornwall at Tintagel in Lyonness), tragedia in versi ispirata alla vicenda di Tristano e Isotta.

Habimah

Attirato dalla grande maestria degli attori del Teatro d’Arte, il gruppo, parzialmente proveniente dalla Polonia, si rivolge per un sostegno a Stanislavskij, che lo affida, dopo aver tenuto qualche lezione, al regista Vachtangov. Lo Studio dà il suo primo spettacolo nel 1918 (una serata di atti unici diretta da Vachtangov), ma ottiene un clamoroso successo nel 1922 con Il Dibbuk di An-ski, sempre diretto da Vachtangov, dove l’espressività di movimenti, danze, costumi, trucchi, portata al limite estremo, dà allo spettacolo una forza impressionante. Morto Vachtangov nel 1922, lo Studio continua la sua attività con altri due spettacoli ( L’ebreo errante di Pinskij, 1923 e Golem di Levin, 1925). Nel 1926 lo Studio parte per una tournée in Europa e in America e rimane all’estero, dividendosi in due gruppi: uno, guidato dall’attore Zemach, resta negli Usa, mentre l’altro va in Israele.

Hofmannsthal

I drammi lirici del poeta Hugo von Hofmannsthal non ancora ventenne e già celebre – Ieri (Gestern, 1891), La morte di Tiziano (Der Tod des Tizians, 1892), Il folle e la morte (Der Tor und der Tod, 1893) – preludevano al suo futuro impegno nel teatro, accanto alla prosa e alla saggistica, e annunciavano un tema che attraverserà la sua produzione: il dono poetico coltivato all’ombra di un estetismo schivo, e il presentimento della necessità di inoltrarsi nel mondo per dare autenticità e vita alla propria missione letteraria. Tra i drammi scritti nel 1897 L’imperatore e la strega (Der Kaiser und die Hexe) anticipava la tragedia La Torre (Der Turm), ispirata a La vita è sogno di Calderón, di cui Hugo von Hofmannsthal darà due versioni (1920 e 1925) che ne testimoniano la genesi tormentata da quesiti morali e filosofici; e Il ventaglio bianco (Der weisse Faulmcher) declinava già, nel minuetto dell’infedeltà di Fantasio e Miranda, le note della commedia portata alla piena riuscita in L’uomo difficile (Der Schwierige, 1921), dove nella rappresentazione dell’aristocrazia viennese al crepuscolo si uniscono due filoni hofmannsthaliani, l’opera leggera e il dramma mistico.

Era dunque ormai definito il destino di Hugo von Hofmannsthal nel teatro quando si andava esaurendo la sua precoce vena poetica, col conseguente smarrimento spirituale di cui diede testimonianza nella Lettera di Lord Chandos (1901). Nel primo dramma non breve, L’avventuriero e la cantante (Der Abenteurer und die Saulmngerin, 1898), scritto in seguito al viaggio in Italia sulle orme di Goethe che riavvicinerà il poeta alle proprie origini italiane, compare Venezia, la città che farà da sfondo ad altre opere di Hugo von Hofmannsthal, prose e drammi. Venezia è per il poeta il simbolo dell’ambiguo sovrapporsi di vita e apparenza, la città dove «tutti vi sono mascherati», come osserva l’Andrea del romanzo Andrea o i ricongiunti (Andreas oder Die Vereinigten, 1907-13), quella Venezia popolata di aristocratici austriaci che non è molto diversa dalla Vienna del Canaletto, e che fa da sfondo al tema, ricorrente in Hugo von Hofmannsthal, del tentativo di ricongiunzione di istanze etiche ed estetiche nei personaggi intimamente scissi tra i due versanti della realtà e dell’apparenza. E, procedendo come l’autore per disvelamenti, nelle sembianze dell’avventuriero di L’avventuriero e la cantante, ulteriore figura dell’esteta hofmannsthaliano, perennemente infatuato dell’artificio che gioca da virtuoso tra la vita e le apparenze, si cela il volto del `Grande italiano’, come Hugo von Hofmannsthal aveva definito D’Annunzio; mentre la cantante Vittoria delinea il profilo di Eleonora Duse, a cui il giovane poeta aveva tributato la propria ammirazione nelle pagine scritte in occasione delle tournée viennesi dell’attrice nel 1892 e nel 1903.

Il panorama lagunare si fa fosco e sinistro in Venezia salvata (Das gerettete Venedig, 1902-04), il dramma tratto dall’opera di Thomas Otway, dove il brutale realismo elisabettiano diventa raffinato estetismo agitato da barlumi sinistri e grotteschi. Qui Venezia è una trappola dove i condannati a morte, cuciti in sacchi, vengono affogati in una laguna putrida e stagnante. È il periodo in cui Hugo von Hofmannsthal studia i capolavori teatrali del passato, dalle tragedie greche ai misteri medioevali, dal teatro secentesco spagnolo a quello elisabettiano; studi che daranno vita, in epoche diverse, a numerosi rifacimenti. Dall’Elektra (1902) rivissuta nel crudo scenario espressionista, tra laceranti evocazioni di sangue e danze macabre, che avvierà il sodalizio con Max Reinhardt e in seguito con Richard Strauss, nella versione operistica del 1909, inaugurando il cammino di Hugo von Hofmannsthal librettista; a La leggenda di Ognuno (Jedermann, 1911), la `moralità’ ispirata all’ Everyman di un ignoto drammaturgo inglese del Cinquecento, rappresentata ogni anno al festival di Salisburgo di cui H. fu uno dei promotori. Figure allegoriche delle virtù e dei vizi (la Morte, le Opere buone, la Fede) e figure realistiche (il cuoco, i servi, il debitore) gravitano nell’atmosfera di ombroso chiaroscuro declinato dai presagi e dalle inconsce parole di Jedermann, fino al culmine drammatico, situato da Hugo von Hofmannsthal – come già dagli autori cinquecenteschi – verso il centro dello svolgimento della vicenda, nella scena del banchetto dove si dà l’annunzio terrificante e inatteso della Morte. Dopo una lunga e dolorosa perplessità, Jedermann si spoglia di ogni bene terreno e, sorretto dalla Fede e circondato da un alone di compassione, si inoltra fiducioso nella tomba.

A questo dramma dichiaratamente liturgico si affiancano i drammi mistici, che si alternano ad altri lavori dal 1897, anno di Il piccolo teatro del mondo (Das kleine Welttheater), primo esperimento calderoniano di rappresentare il mondo come sogno illusorio, a cui molti anni dopo farà seguito Il gran teatro salisburghese del mondo (Das Salzburger Welttheater, 1922), dove Hugo von Hofmannsthal rifà El gran teatro del mundo di Calderón, ampliandolo e rendendolo quanto più possibile spettacolare, nella vicenda del ricco che afferma il valore dell’ordine consacrato dalla tradizione e del povero che, pur sognando la rivoluzione, torna al lavoro nei boschi; e quando la Saggezza gli impedisce di levare la scure sull’empietà del ricco, incapace di comprensione per i deboli, rinuncia a infliggere la punizione e, divenuto infine santo, intercede per il ricco dinanzi alla morte. A conclusione del percorso calderoniano e della maturazione di H., ora alla crisi culminante delle proprie riflessioni, giunge La Torre, dove il mistero, non più sorretto da un precetto religioso, diviene tragedia.

Se Venezia è la città della maschera, della caducità, dell’io che viaggia alla ricerca di se stesso attraverso le avventure del Caso, la Spagna di Calderón è il regno della durata, dove i grandi problemi vengono innalzati all’universalità. Un theatrum mundi dove agiscono le figure eterne che incarnano i conflitti dello spirito e dove, infine, si impone l’ordine della divina grazia e saggezza. Così l’uomo, il re, liberato dalle illusioni mondane, è svegliato alla coscienza che la vita è sogno, illusione, gioco, nel senso che l’uomo agisce sempre in vincoli cosmici e religiosi, di fronte ai quali ogni manifestazione del singolo diviene vana. Nelle due versioni di La Torre Hugo von Hofmannsthal scandaglia la possibilità del riaffermarsi di quell’ordine cosmico nella nuova epoca dilaniata e sofferta, dove gli accenni alla situazione del dopoguerra sono numerosi e velati. Il crollo di questa possibilità e la conseguente necessità di comprendere «disperatamente», senza consolazione, le nuove potenze che si affermano, culminano in un cupo pessimismo, che sigilla irrimediabilmente la conclusione del dramma.

Heura

Heura nasce nel 1978 e inizia la sua attività artistica con la coreografia di Isabel Ribas Com et dius Nena? , che vince il secondo premio al concorso internazionale di coreografia di Nyon nel 1979. Si impone quindi come giovane compagnia emergente in altri concorsi e festival internazionali. Composta da sei danzatori, presenta lavori di coreografi diversi: L’amant del Sol a l’ombra di Maria Rosas (1979), Passatges di Helisa Huertas (1980), Anells sence dits di Avelina Arguelles (1980, secondo premio al concorso internazionale di Colonia), Le ciel est noir di Isabel Ribas (1984).

Honzl

Studioso di teatro, esordì nel 1920 in occasione delle Spartachiadi, con la regia di uno spettacolo di massa presso lo stadio comunale di Praga. Persuaso della necessità di dar vita a un teatro autenticamente proletario, fondò con l’attore Josef Zora il Gruppo drammatico operaio. Figura chiave dell’avanguardia teatrale ceca, H. fu fondatore e animatore dei principali gruppi di ricerca: nel 1921 il movimento `poetista’ Devetsil (Il farfaraccio, dal nome di un fiore); nel 1924 il Teatro Liberato, che diresse con alcune interruzioni dal 1926 al ’38; nel 1940 il Teatrino per 99, dove mise in scena i `pásma’, montaggi di testi lirici, epistolari, di canzoni e brani musicali. Ad animare il lavoro di H. fu il tentativo di collegare il rinnovamento dell’arte con il rinnovamento della società. L’evoluzione del suo stile – dal costruttivismo al realismo, attraverso il poetismo e il surrealismo – non fu un mutamento del fine ma dei mezzi, in relazione al mutare del contesto politico e sociale. A H. si deve la messa in scena di vari testi dell’avanguardia letteraria ceca (Nezval, Vancura, i fantasisti Voksovec e Weinrich) ed europea (Apollinaire).

Hamsun

Di origini contadine, dopo aver lavorato come calzolaio si ingegnò in vari mestieri, facendo la spola tra la sua patria e gli Stati Uniti. Knut Hamsun riuscì a pubblicare novelle, articoli e il romanzo che decretò il suo successo, Fame (1890). Premio Nobel per la letteratura nel 1920, per il teatro ha scritto una trilogia ( La porta del regno , 1895; Il gioco della vita , 1896; Tramonto , 1898), che narra delle vicende dell’eroe nietzschiano Kareno, filosofo-poeta il cui pensiero è schiacciato dal trionfo inevitabile della natura sull’intelletto. Dopo il poema drammatico Il monaco Vendt (1902), esaltazione dell’atteggiamento naturalista, H. affronta il dramma romantico con La regina Tamara (1903) e grottesco con In balia della vita (1910), incentrati sul tema dell’amore. L’influenza di Nietzsche e il dichiarato filonazismo durante la seconda guerra mondiale lo porteranno a essere accusato di tradimento, rinchiuso in una casa di cura (1945-48), processato e privato dei beni.

Hawkins

Ha studiato presso la School of American Ballet e con Harald Kreutzberg; ha fatto parte dell’American Ballet (1935-1937), del Ballet Caravan (1936-1939), ma soprattutto della Martha Graham Dance Company, dove ha creato ruoli principali in American Document (1938), Every Soul is a Circus (1939), Letter to the World (1940), Deaths and Entrances (1943), Appalachian Spring (1944), Dark Meadow (1945), Cave of the Heart e Night Journey (1947), Diversion of Angels (1948). Primo elemento maschile a entrare nella compagnia (1938-1951), è stato marito e ispiratore della coreografa. Separatosi dalla Graham, ha fondato la propria compagnia, insieme a Lucia Dlugoszewski e allo scultore Ralph Dorazio, e la propria scuola a New York. Tra le sue coreografie: Sudden Snake-Bird , Inner Feet of Summer Fly , Here and Now with Watchers , Eight Clear Places , Cantilever , Geography of Noon , Naked Leopard , Angels of the Inmost Heaven , Greek Dreams with Flute . Atletico, dotato anche di qualità di attore, è stato uno dei maggiori protagonisti maschili della danza moderna americana.

Hochhuth

Tra le opere più significative di Rolf Hochhuth Il vicario (Der Stellvertreter), messo in scena alla Freie Volksbühne di Berlino nel 1963 con la regia di E. Piscator, e Soldati. Necrologio per Ginevra (Soldaten. Nekrolog auf Genf, 1967), presentato nello stesso teatro con la regia di H. Schweikart; entrambe le opere sono basate su materiali documentari. La prima tratta delle omissioni della chiesa cattolica sotto Pio XII di fronte all’olocausto degli ebrei; la seconda presenta la figura di Churchill come responsabile dei bombardamenti contro la popolazione civile tedesca e dell’assassinio, per mano dei servizi segreti britannici, del presidente del consiglio polacco Sikorski. H. pone così categorie di ordine politico-morale, ma oggi entrambi i lavori vengono ritenuti, dalla critica più avvertita, voluminosi e sovraccarichi; nonostante ciò Il vicario , messo in scena a Parigi e Londra da P. Brook, è stato uno dei maggiori successi teatrali del dopoguerra, mentre Soldati fu, a suo tempo, fortemente contestato in Inghilterra. Guerrillas , del 1970, è il tentativo di H. di staccarsi dalla drammaturgia documentaria dei suoi lavori precedenti; La levatrice (Die Hebhamme, 1972) ruota attorno al problema della politica degli alloggi per i senzatetto; Lisistrata e la Nato (Lysistrate und die Nato, 1974) è una commedia in quattro atti, ambientata su un’isola greca poco prima del colpo di stato dei colonnelli del 1967; Morte di un cacciatore (Tod eines J&aulm;gers, 1977) mette in scena le ultime ore di un Hemingway immaginario. Tra le sue ultime opere sono da citare Giuristi (Juristen) e Donne medico (&Aulm;rtztinnen), entrambe del 1980.

Herlitzka

Diplomato all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’, Roberto Herlitzka si forma artisticamente alla scuola di Orazio Costa, per il quale interpreta, fra gli altri, ruoli tormentati in Francesca da Rimini di D’Annunzio (1960), Episodi e personaggi del poema dantesco (1966) e Don Giovanni di Molière (1966). Significative anche le sue prove in spettacoli diretti da Ronconi (Il candelaio di Giordano Bruno, 1968; Le mutande di C. Sternheim, 1968). L’incisiva presenza scenica gli consente un’esplorazione profonda dei classici, guidata da registi quali A. Calenda (Come vi piace, Sogno di una notte di mezza estate, Prometeo, Senilità), L. Squarzina (Il ventaglio , Misura per misura ), G. Lavia ( Otello , Zio Vanja ) e W. Pagliaro (un memorabile, monologante Misantropo di Molière recitato tutto da solo). Alla scena affianca un’intensa attività cinematografica, collaborando con registi quali L. Wertmüller ( Film d’amore e d’anarchia , 1973; Pasqualino settebellezze , 1975; Notte d’estate con profilo greco , 1986), N. Michalkov (Oci Ciornie, 1987), L. Comencini (Marcellino pane e vino, 1991), R. Faenza (Marianna Ucria , 1997).

Hope

All’età di quattro anni Bob Hope è trasferito con tutta la sua famiglia a Cleveland, Ohio, dove cresce, vince un concorso (a dieci anni) con un’imitazione di Chaplin, pratica la boxe e molti lavori casuali. Si accosta all’arte dell’attore per caso e nel vaudeville: un numero di canto, imitazioni, `eccentric dances’ per cui viene notato da “Variety”; nel 1929 è a New York; nel 1933 è fra i protagonisti di Roberta . Fra il 1934 e il ’36 gira a New York otto brevi commedie per il cinema. Nel 1936 è presente a Broadway, prima nelle Ziegfeld Follies di quell’anno e poi, in ottobre, in Red, Hot and Blue di Cole Porter: terzo nome dopo Jimmy Durante e Ethel Merman, con un onorevole score di 183 repliche e un onorevole piazzamento per il nostro comico. Sarà la radio (mezzo di massimo successo alla fine degli anni ’30) a condurlo a Hollywood: The Big Broadcast of 1938 è un film tratto da una trasmissione di successo. Negli anni ’40 H. raggiunge il successo assoluto con i vari film Road to… ( Singapore, Zanzibar, Morocco, ecc.), formando un terzetto indimenticabile con Bing Crosby e Dorothy Lamour vittima casuale delle macchinazioni del suo partner maschile.

Sullo schermo Bob Hope caratterizza amabilmente la figura dell’anti-eroe un po’ timido e talora meschino, che bilancia l’insicurezza innata con una sfumatura di arguzia: personaggio in grado di suscitare la tenerezza e il sentimento amoroso anche di donne bellissime come Shirley Ross, Betty Hutton, Jane Russell e Lucille Ball in film come Parata di stelle (1947), Viso pallido (1948), Come divenni padre (1949), Arrivan le ragazze (1953). Bob Hope non tornerà più al teatro, ma le sue apparizioni personali (`one man shows’) si moltiplicheranno lungo gli anni: non solo special televisivi, di grandissimo successo (ha debuttato in tv nel 1950), ma anche le tournée sui vari teatri di guerra dove erano presenti soldati americani, dalla seconda guerra mondiale alla Corea, al Vietnam, addirittura all’assembramento delle truppe in Arabia Saudita per la crisi Iraq-Kuwait (1990-91). Altre celeberrime apparizioni di H. sono state infinite presentazioni agli Oscar, gli Academy Awards. Personalmente, H. di Oscar ne ha vinti cinque (1940, ’44, ’52, ’59 e ’65), tutti per le sue attività umanitarie o i contributi alle attività dell’Academy. Infine va ricordato che dal 1941 al 1953, con l’eccezione del ’48, H. è stato presente nella lista dei dieci attori di maggiore incasso del cinema. Ha sempre dedicato molto del suo tempo e del suo massiccio patrimonio ad attività benefiche. Infine ha scritto dieci libri di viaggi, di golf o autobiografici, l’ultimo uscito nel 1990.

Howard

Si affermò nel 1924 con Essi sapevano ciò che volevano (They Knew What They Wanted), che riprendeva la storia di Tristano e Isotta, ma la ambientava in un vigneto californiano, servendosi di un linguaggio con inflessioni dialettali e alternando momenti comici e drammatici fino all’inevitabile lieto fine. Rimase l’opera migliore di questo onesto artigiano, che contribuì con i suoi drammi realistici – come Il cordone d’argento (The Silver Cord, 1926), imperniato su una madre patologicamente possessiva – alla lenta maturazione del teatro statunitense. Adattò anche romanzi e drammi stranieri e firmò per il cinema la sceneggiatura di Via col vento .

Hoecke

Artista poliedrico, che da anni sperimenta con il suo Ensemble una forma di teatro totale, dove danza, recitazione, canto, musica e altre espressioni si fondono in un insieme armonico. Come danzatore Micha van Hoecke ha fatto parte del Ballet du XXème siècle diretto da Maurice Béjart, dove matura alcuni passaggi artistici fondamentali. Solista in numerose creazioni di Béjart, H. inizia a dedicarsi alla coreografia nel 1971; nel 1979 diviene direttore artistico della scuola Mudra fondata da Béjart, di cui diventa stretto collaboratore. Nel 1981 fonda il Ballet Théâtre Ensemble, gruppo di danzatori scelti, con personalità variegate, unite da una tecnica forte e limpida. Per loro crea la maggior parte dei suoi molti lavori, caratterizzati da una sensibilità spesso malinconica e struggente e da una notevole capacità di orchestrare i singoli talenti. Tra le sue coreografie: Monsieur Monsieur (con cui l’Ensemble ha esordito ufficialmente nel 1982), Doucha, La dernière danse. Nel 1986 l’Ensemble è ospite residente del festival di Castiglioncello, per il quale vengono prodotti, tra gli altri, Prospettiva Nevskij, Guitare, Il violino di Rotschild, mentre dal 1995 l’Ensemble ha sede presso il Teatro Verdi di Pisa. Intensa è anche la collaborazione (dal 1990) con Ravenna Festival, dove Micha van Hoecke debutta nella regia lirica con La muette de Portici di Auber (1991), vince il Premio della critica italiana nel 1992 per Adieu à l’Italie , e crea inoltre Orpheus e Pulcinella (1996) con Luciana Savignano e Pèlerinage (1997). È del 1998 il Pierrot lunaire per Alessandra Ferri e Maximiliano Guerra e il suo Ensemble. Dal 1997 è coordinatore artistico per il ballo al Teatro Massimo di Palermo, dove è in preparazione un nuovo allestimento (I sette peccati capitali) per il 2000. Nell’ottobre 1998 è interprete a Torino (accanto a Carla Fracci) di Oh, les beaux jours di Béjart.

Hay

Dopo gli studi con la madre, presso l’Henry Street Playhouse e con M. Cunningham, si esibisce con la compagnia di Limón e pratica il Tai Chi Chuan (1964). Partecipa al movimento della Judson Memorial Church, lavorando con danzatori non professionisti in luoghi alternativi. Tra le sue coreografie: Rain Fur (1962), City Dance , Alla Day Dance , Elephant Footprints in the Cheesecake , Would They or Wouldn’t They (1963), Victory 14 (1964), Rise (1966), Group I (1967), Group II e Ten (1968), 20 Permutations of 2 Sets of 3 Equal Parts in a Linear Order (1969), Deborah Hay with a Large Group Outdoor (1970), The Grand Dance (1977), Voilà (1997). Coautrice del libro Moving Through the Universe in Bare Feet (Feet. Ten) Ten Circle Dances for Everybody (1974), teorizza una danza cosmica e rituale come sintesi di movimenti naturali, attraverso la respirazione e la meditazione.

Hübbe

Formatosi presso la scuola del Balletto reale danese, entra nella compagnia nel 1986 e – dopo la medaglia d’argento al concorso di Parigi (1986) e il primo premio nel concorso Eurovisione (1987) – nel 1988 ne diventa étoile, interpretando fra l’altro Romeo e Giulietta , La Sylphide , Apollon Musagète e Cajkovskij pas de deux . Nel 1992 raggiunge il New York City Ballet come primo ballerino, debuttando in Donizetti Variations di Balanchine. Danza anche in coreografie di Robbins e Martins. Ballerino di alta scuola e di linea purissima, è spesso invitato dalle grandi compagnie come `guest star’.

Hockney

Le scene e i costumi per Ubu re di Jarry, messo in scena al Royal Court Theatre di Londra nel 1966, inaugurarono l’attività di David Hockney scenografo, divenuta più ricca e impegnativa con la collaborazione avviata nel 1974 con il festival di Glyndebourne (The Rake’s Progress di Stravinskij, regia di J. Cox, 1975). Dopo Septentrion di R. Petit per il Balletto di Marsiglia (1975), nel 1978 lavorò ancora a Glyndebourne al Flauto magico di Mozart, dandone una eclettica versione ispirata a un Egitto favolistico. Risale al 1979 la sua collaborazione con il Metropolitan di New York per un trittico novecentesco: Parade di Satie, Les mamelles de Tirésias di Poulenc, L’enfant et les sortilèges di Ravel, inventati nelle scenografie con un gioco di immagini, colori, luci che ne sottolineavano l’aspetto magico o umoristico. David Hockney tornò a collaborare con il Metropolitan nel 1981 per uno spettacolo dedicato a Stravinskij (Le sacre du printemps, Le rossignol, Oedipus rex), creando scenografie dove mito e antichità si intrecciavano in un’interpretazione ludica.

Hutter

Trasferitasi a Torino nel 1923 insieme alla sorella Raja, vivace esponente del gusto modernista condiviso con il `Gruppo dei Sei’ di Felice Casorati, Bella Hutter si è imposta per la portata innovatrice della sua coreografia, ispirata alla danza libera di origine mitteleuropea e influenzata dalla collaborazione con Clotilde Von Derp e Aleksandr Sakharov. Sostenuta dall’élite intellettuale torinese del salotto artistico di Riccardo Gualino, ha iniziato la sua attività di danzatrice e insegnante nella sede del Teatro di Torino; dopo l’interruzione della guerra, l’ha ripresa negli anni ’50 formando una importante generazione di danzatrici moderne, tra le quali Sara Acquarone e Anna Sagna.

Hendel

Colto, ironico, graffiante con il suo accento fiorentino grazie al quale può permettersi di dire le battute più crudeli mantenendo sempre un tono gentile e raffinato, Paolo Hendel è l’espressione di una comicità attenta alla quotidianità che sa farsi satira politica e di costume. Comincia tardi, irrompendo sulla scena del cabaret accanto a David Riondino (l’aneddoto vuole che salga sul palco durante un recital di quest’ultimo e si rompa in testa dei cocomeri, 1986). Debutta come autore e interprete di Via Antonio Pigafetta navigatore (1987) e continua a scrivere e presentare recital, rigorosamente da solo: Caduta libera (1990), Alla deriva (1992) e Nebbia in val padana (1995). Contemporaneamente inizia una fortunata carriera televisiva con Mai dire gol (1996), dove dà vita a personaggi esasperati che diventano popolarissimi – basti citare Carcarlo Pravettoni – e che confluiranno nell’ultimo suo recital, Il meglio di Paolo Hendel (1996). Significative, infine, le sue apparizioni cinematografiche: Speriamo che sia femmina di M. Monicelli (1986), Domani accadrà (1988) e La settimana della sfinge (1990), entrambi di D. Lucchetti, e Il ciclone di L. Pieraccioni, campione d’incassi nel 1996.

Howes

È da considerare la pioniera della danza classica in Sudafrica. Ha studiato a Londra con Webb, Crask e la Karsavina; danzò anche accanto ad Anna Pavlova, di cui subì l’influenza. Rientrata nel 1932 nel suo Paese d’origine, vi fondò l’University of Cape Town School Ballet. Molti dei suoi allievi sono poi divenuti star di prima grandezza al Sadler’s Wells Ballet e al Royal Ballet; tra essi Cranko, Doyle, Mosayal, Bosman.

Harris

Fra le più dotate della sua generazione, si afferma in ruoli di donne apparentemente fragili e vulnerabili, ma dotate di grande forza interiore, che interpreta con intelligenza sottile e con grande maestria tecnica. Fra i suoi successi giovanili, Invito di nozze di C. McCullers (1950), Io sono una macchina fotografica di J. Van Druten (1951) e L’allodola di Anouilh (1955); fra quelli in età matura, Quaranta carati di Barillet e Grédy (1949) e La bella di Amherst (The Belle of Amherst, 1976), uno spettacolo su Emily Dickinson di cui fu autrice, regista e unica interprete.

Höflich

Dopo aver lavorato dal 1903 al 1932 al Deutsches Theater di Berlino, si dedicò all’insegnamento. Sposata con l’attore E. Jannings, dal 1946 al ’50 diresse il teatro di Schwerin e recitò occasionalmente in diverse sale berlinesi. Formatasi con M. Reinhardt, si distinse per la sua abilità naturale e la sua istintiva semplicità. Interpretò ruoli quali Franziska nella Minna von Barnhelm di Lessing (1905), Cordelia in Re Lear (1908), Margherita nel Faust (1909), Nora in Casa di bambola (1917) e la signora Alving ne Gli spettri (1927). La critica apprezzò in lei la capacità di liberare dagli schemi i ruoli sentimentali del teatro classico, per ricondurli con naturalezza alla loro umanità. Tra le sue ultime interpretazioni si ricorda La casa di Bernarda Alba di García Lorca, con la regia di Stroux (Düsseldorf 1952).

Hernández

Dopo gli studi di balletto classico, danza moderna e flamenco con la Argentinita, inizia a lavorare come maestra e coreografa di danza moderna all’Istituto delle arti di Città del Messico, per poi fondare (1952) la sua compagnia di danza folclorica, il Ballet Folclorico del Messico, divenuto in seguito la più importante formazione coreutica del suo Paese, con oltre duecento danzatori, un grande centro didattico e un proprio teatro. Negli anni ’80 ha fondato anche il Balletto classico nazionale del Messico.

Hanka

Formatasi all’Accademia di Vienna, si è perfezionata con Kurt Jooss a Essen, entrando nel Folkwang Ballet nel 1933. Solista del corpo di ballo di Düsseldorf dal 1936 al ’39, nel 1941 è entrata alla Staatsoper di Vienna come maître de ballet e coreografa. Dopo il successo dell’allestimento di Joan von Zarissa di Egk è nominata direttrice del corpo di ballo viennese, incarico che ha conservato fino alla morte con energia e forte senso teatrale. Ha contribuito alla creazione di un solido repertorio drammatico, con balletti quali Titus Feuerfuchs (1941), Hollische G’schicht (1949), Der Mohr von Venedig (1955).