Faiella

La formazione teatrale di Alessandra Faiella avviene a Milano, dove si diploma alla scuola di mimo e teatro di ‘Quellidigrock’ e dove segue il corso di teatro comico di A. Corso, presso il Derby. A Parigi è allieva di Philippe Gaulier e del suo laboratorio sulla comicità, mentre a Pontedera segue uno stage di J. Grotowski. Dal 1988 al ’90 lavora con la compagnia Quellidigrock, con il Teatro Officina di Milano e con la compagnia Fo-Rame ( Il Papa e la strega , 1989), oltre ad allestire suoi testi, scritti insieme a Giorgio Ganzerli, come Bravi cani e Un vile ricatto . Subito dopo interpreta lo spettacolo Rosa tragico, scritto da lei insieme a Ganzerli e Ragusa, e partecipa alla rassegna `Un palcoscenico per le donne’, organizzata da F. Rame. Dal 1993 al ’95 conduce un laboratorio di teatro comico presso il Centro di Recupero Psicofisico per donne mastectomizzate di Milano e, nel ’97, segue uno stage sulla presenza dell’attore, sotto la guida di Roberta Carreri dell’Odin Teatret. Una buona popolarità è arrivata alla F. grazie alla televisione, dove ha interpretato personaggi comici in trasmissioni Rai quali Producer (1996) con S. Dandini e Pippo Chennedy Show (1997), dove impersonava la cubista Alexia e la signora Barozzi, la sfortunata madre di Alexia.

Forster

Dopo gli studi con Hans Züllig e Jean Cébron alla Folkwang Hochschule di Essen debutta con il Folkwang Tanzstudio nel 1978, per passare subito dopo nella Compagnia Tanztheater Wuppertal. Dopo una lunga collaborazione con la Josè Limón Dance Company (1983-1985) e con il regista Bob Wilson, nel 1986 rientra nel Tanztheater Wuppertal diventando in breve uno degli interpreti più significativi e carismatici della compagnia. Parallelamente inizia a dedicarsi all’insegnamento, diventando professore per la danza contemporanea alla Folkwang Hochschule e seguendo tra gli altri in qualità di maître la compagnia del Tanztheater di Brema.

Faulkner

Premio Nobel 1949, è autore di grandi romanzi, molti dei quali incentrati in una realistica e mitica contea del Sud degli Usa chiamata Yokpanatopha ( Mentre morivo , L’urlo e il furore , Luce di agosto ). Pubblicò nel 1951 il `romanzo-dramma’ Requiem per una monaca (Requiem for a Nun), non destinato alle scene; ma vi giunse alcuni anni dopo in vari adattamenti, fra i quali il più importante è quello del 1956, di Albert Camus. Vi si raccontava il passato di Temple Drake, la protagonista del romanzo Santuario (1931), ma più che descriverne il cammino verso l’abiezione, si dava spazio, in un linguaggio più adatto alla pagina che alla scena, alle sue riflessioni a posteriori fino alla presa di coscienza della propria colpa.

Filodrammatici

Nell’arco dei suoi oltre duecento anni di vita l’Accademia e Teatro dei Filodrammatici ha dato vita a eventi fondamentali della storia del teatro e della cultura italiana attraverso gli allestimenti realizzati al Teatro Filodrammatici e all’attività della Scuola d’arte drammatica. Fondata da Giovanni Bernardoni nel 1796 con il nome di Teatro Patriottico, nasce come associazione culturale con l’obiettivo di diffondere gli ideali della Rivoluzione francese (la prima sede fu una sala presso il Collegio dei Nobili all’interno del Palazzo Regio Ducale, poi Palazzo Reale). Diventa Accademia dei Filodrammatici nel 1805, anno in cui viene anche riconosciuta la scuola di recitazione e dopo che si è trasferito nella sede attuale ricavata da una chiesa sconsacrata – vicino al Teatro alla Scala – che viene completamente ristrutturata e dotata di sala teatrale. Nasce così il Teatro Filodrammatici che è inaugurato il 30 dicembre del 1800 con il Filippo dell’Alfieri. Vincenzo Monti è uno dei soci illustri insieme a Carlo Porta (che vi ha anche recitato), Ugo Foscolo, Cesare Beccaria e poi Giuseppe Giacosa (che fu anche insegnante di recitazione). Per alcuni anni ha proposto anche melodrammi (Giuseppe Verdi per due anni fu maestro di cembalo e vi si esibì come direttore). A segnare la storia della scuola sono i nomi illustri di insegnanti e presidenti, dopo Giuseppe Giacosa: Emilia Varini, Enrico Reinach, Gualtiero Tumiati. Vi si diplomano alcune figure chiave del teatro contemporaneo: Marta Abba, Kiki Palmer, mentre nel Teatro vi si esibivano la Duse (che tornerà in scena proprio qui, nel 1923, dopo dodici anni di assenza dalle scene) e, tra le altre primedonne: Sarah Bernhardt, Dina Galli.

Nel 1930 Anton Giulio Bragaglia presentò per la prima volta in Italia L’opera da tre soldi con il titolo La veglia dei lestofanti . Gli anni ’30 dell’Accademia sono segnati dalla figura di Esperia Sperani, la celebre attrice che fu insegnante di recitazione di un’intera generazione che avrebbe fatto la storia del teatro nel secondo dopoguerra. Si formeranno qui tra gli altri: G. Strehler, F. Parenti, T. Carraro e M. Melato. Colpito dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale il Teatro Filodrammatici fu ricostruito e reinaugurato nel 1970. Dopo la riapertura si succederanno altri direttori importanti (E. Calindri, fino 1985) fino all’attuale gestione legata all’attività della Compagnia del Teatro Filodrammatici (nata proprio nel 1970 ad opera di un gruppo di ex allievi). L’Accademia e la Compagnia, dirette da Riccardo Pradella, negli ultimi vent’anni hanno portato avanti con buoni risultati la tradizione del teatro italiano offrendo la possibilità di reinterpretare classici antichi e moderni ( La cameriera brillante di Goldoni, 1974-75; La mandragola di Machiavelli, 1977-78; Tristi amori di Giacosa, 1979-80; Criside di Piccolomini, 1985-86) e, soprattutto, dando spazio alla drammaturgia italiana mettendo in scena novità: Il benessere di Brusati e Mauri, 1971-72; L’anitra bianca di Bajini, 1972-73; Giardino d’inferno di Mainardi, 1975-76; Il vero Silvestri di Mainardi e Soldati, 1976-77; Il senatore Fox di Luigi Lunari, 1980-81; Il ladro in casa di Svevo e Un corpo estraneo di R. Rosso, 1983-84.

Fabrizi

Rielaborando attraverso le sue straordinarie doti di caratterista comico i modi popolari di una Roma tanto cinica quanto bonaria, Aldo Fabrizi debuttò nel 1931 al cinema Corso di Roma interpretando due caricature di sua composizione: Bruneri o Cannella? e Nel duemila. Affinò quindi le sue innate doti d’improvvisatore traendo spunto dalla conversazione col pubblico per dar vita a numerosi monologhi sull’attualità, e giunse al successo rappresentando nel teatro di rivista le sue più celebri macchiette, dal vetturino al pugile, dal postino al tranviere. Proprio a quest’ultimo personaggio – oltre che alla sua indisponente schiettezza – Aldo Fabrizi dovette il suo primo ancorché tardivo successo cinematografico in Avanti c’è posto! (1942), in cui l’ormai provato talento comico mostrava già i segni dell’inevitabile drammaticità che generalmente gli compete. Le avvisaglie di una nuova poetica cinematografica erano già avvertibili in questo film, cui succedette nel 1945, con Roma città aperta di Rossellini, la piena affermazione sia della tematica neorealista sia della statura attorale di Aldo Fabrizi, nella parte del prete partigiano don Morosini, al fianco di Anna Magnani. Durante le lunghe pause di lavorazione del film F., a ulteriore riprova della sua impellente passione creativa, interpretò al Salone Margherita e al Quirino una serie di commedie di ambiente romano originate dall’osservazione della povera e agitata cronaca di quel periodo: Buon Natale! , Salvo complicazioni, Poveri noi! e Tordinona lo videro nuovamente nelle vesti di autore, affiancato in un secondo tempo da M. Mattoli e M. Marchesi nella stesura delle successive Volemose bene e Come si dice in inglese. Al termine di queste rappresentazioni riprendeva però il via, a discapito del teatro e dopo il successo nel capolavoro di Rossellini, la sua carriera sul grande schermo, da cui trasse continui riconoscimenti da parte del pubblico italiano e internazionale (come nel caso della trilogia della famiglia Passaguai, di cui fu anche regista tra il 1951 e il ’52) e alterne soddisfazioni artistiche: dal bellissimo Guardie e ladri (1951) di Steno e Monicelli al serrato susseguirsi di produzioni commerciali con Tino Scotti, Totò e Peppino De Filippo. Solo nel 1963 tornò al teatro, ma per interpretare il suo ruolo più amato, il boia Mastro Titta nella commedia musicale Rugantino di Garinei e Giovannini. Soggettista, sceneggiatore, produttore e regista oltre che attore e comico in tutti i ruoli e le accezioni che il termine comporta, Aldo Fabrizi fu conscio della propria grandezza tanto da saper elevare i toni più grevi di una Roma plebea all’altissimo livello della sua arte.

Fiastri

; Roma 1937), autrice. Sceneggiatrice di film, da Vedo nudo di Dino Risi con Manfredi a Bianco rosso e… di Lattuada con Celentano, Pane e cioccolata di Franco Brusati con Manfredi, Basta guardarla , venne invitata da ? Garinei e Giovannini a collaborare ai testi di commedie musicali per sostituire Luigi Magni all’epoca (1969) impegnato nel suo primo film, Faustina . Si trattava di Angeli in bandiera , con Milva `prostituta’ al suo esordio in musical e Gino Bramieri `protettore’, dimagrito di cinquanta chili, al suo esordio con il nome in ditta nella scuderia G&G (c’era già stato, come comprimario, nella stagione 1955-56, in La granduchessa e i camerieri , con Wanda Osiris e Billi e Riva). Da quella stagione, e per trent’anni, la collaborazione è proseguita senza interruzione. Nel 1970 scrive Alleluja brava gente , musical ambientato nell’anno Mille, in attesa della `finis mundi’, con Rascel e Gigi Proietti (doveva esserci Modugno, che dette forfait prima della `prima’, insoddisfatto del suo ruolo). In una particina, Mariangela Melato. Lo spettacolo sarà ripreso nel 1995-96 con Massimo Ghini, Rodolfo Laganà e Sabrina Ferilli. Nel 1973, Aggiungi un posto a tavola , altra `finis mundi’ con diluvio universale, con Dorelli protagonista. Amori miei , prima edizione 1974 (con Ornella Vanoni), ripresa nel 1995 (con Marisa Laurito), una moglie che si divide tra due mariti (tre sere con uno, tre sere con l’altro e festività alternate) perché dispone di troppo amore (se ne ricavò anche un film di Steno con Monica Vitti, 1970). Accendiamo la lampada (1978) fu il primo musical realizzato dopo la scomparsa di Sandro Giovannini (1977), scritto da Garinei con la F., e interpretato da Dorelli, Paolo Panelli e Bice Valori e un’esordiente Gloria Guida, starlet del cinema. Nella storia di Alì, scrivano balbuziente, e di una lampada appartenuta forse ad Aladino, in scena per l’ultima volta la brava Bice Valori. Altri copioni: Taxi a due piazze (1984), Foto di gruppo con gatto (1993), con Enrico Vaime, per Bramieri e Gianfranco Jannuzzo. Quindi, Se un bel giorno all’improvviso (1993-94, con un miliardo in cerca di padrone), sempre Bramieri-Jannuzzo; Ma per fortuna che c’è la musica , biografia di Dorelli in duecento canzoni, scritta con Enrico Vaime; Bobbi sa tutto , per Dorelli e Loretta Goggi, fu un curioso esperimento drammaturgico (1995-96 e 1996-97) orchestrato da Pietro Garinei: quattro unici affidati a vari autori (con la F., Age e Scarpelli, Benvenuti e De Bernardi, Luigi Magni), tutti con la stessa battuta iniziale: “Bobbi sa tutto”, appunto. Nel ’97, firma con Vaime il musical d’insuccesso L’uomo che inventò la televisione con Pippo Baudo, Lello Arena e Gigliola Cinquetti.

Foà

Di origine ebraica dopo le prime esperienze con il teatro universitario Arnoldo Foà s’iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, dal quale però verrà espulso nel 1938 a causa delle leggi razziali. Continua comunque a lavorare in quel periodo come doppiatore utilizzando un nome d’arte. Dopo il secondo conflitto mondiale comincia la sua ascesa con La brava gente (1945) di I. Shaw e poi con Delitto e castigo e La luna è tramontata , regia di Visconti. Forte delle esperienze fatte con Luigi Cimara e Sarah Ferrati viene scritturato al Piccolo di Milano per interpretare una parte nel Giulio Cesare (1953-54). Con l’avvento degli anni Cinquanta, come molti, intraprende l’avventura del cinema che fioriva, e interpreta tra altri titoli minori Altri tempi (1951), Il processo (1962), Il sorriso del grande tentatore (1973). Mette poi in scena in qualità di regista teatrale una commedia da lui stesso scritta dal titolo Signori, buonasera e lavora contemporaneamente con Visconti e Squarzina. In seguito torna a collaborare con il Piccolo chiamato per La lanzichenecca (1964-65) e dopo pochi mesi fonda la sua prima compagnia. Interpreta Lazzaro di Pirandello, Paura di me (1965) di V. Bompiani, Ruy Blas (1966) di V. Hugo, Zio Vanja (1968) e Golem di Fersen è del 1969. Nel corso degli anni il suo discorso teatrale si arricchisce di sempre nuovi strumenti ed elementi e si orienta sempre più sulla drammaturgia e approfondisce le sue competenze e qualità di regista: esempi di questo intenso periodo sono Al testimone con Lea Padovani e Warner Bentivegna, Diana e la Tuda di Pirandello, La corda a tre capi da lui stesso scritto e diretto.

Fregoli

Nel 1890 Leopoldo Fregoli esordì come trasformista al caffè-concerto Esedra di Roma. La sua abilità consisteva nel saper eseguire fulminee e complete trasformazioni della propria persona dando vita a tipi e macchiette assai diverse tra loro. In realtà, egli fu assai di più di un abilissimo trasformista. Il suo successo, e questo sin dagli inizi della sua carriera, fu legato non semplicemente alla rapidità e alla perfezione delle sue trasformazioni ma alle sue forti doti comiche, di imitatore e di mimo. Sovente lui stesso autore delle sue pantomime, F. non si limitava a mutar d’abito o di maschera, ma cercava di restituire i personaggi che creava nella maniera più completa, in questo aiutato dalle sue eccezionali capacità fisiognomiche e da mezzi vocali estremamente duttili. Tra le sue doti, infatti, c’era anche quella di saper cantare su vari registri, così da tenore come da baritono e soprano. Nella sua vastissima galleria di figure, se rilevanti erano quelle maschili, straordinarie erano quelle femminili (in particolare quelle di sciantose, di `ingenue’ e di ‘cocotte’). Capace di guardare alla società che aveva di fronte e soprattutto al popolo, l’attore, alla pari del suo contemporaneo Petrolini, riusciva a riversare nel suo campionario di tipi inesauribili trovate mimiche e pungenti notazioni ironiche. F. fu popolare non solo in Italia, ma in ogni angolo del mondo; riscosse trionfali successi nelle maggiori capitali europee (Parigi, Londra, Berlino, Pietroburgo) e anche oltreoceano, in particolare a New York e in Sudamerica. Quando, quasi sessantenne, decise di ritirarsi dalle scene, godeva ancora di ampia popolarità e al suo attivo aveva totalizzato qualcosa come diecimila rappresentazioni. La sua ultima esibizione avvenne ai primi di febbraio del 1925 nella città di Niteroi, in Brasile.

Falcon

Allieva di Luciana De Fanti entra nella sua compagnia Il Corpo e la Mente e nel 1984 nel Ballet Théâtre l’Ensemble di Micha Van Hoecke, diventandone ben presto elemento di spicco. Ballerina dalle linee morbide e di temperamento romantico è protagonista di molti lavori di Van Hoecke tra i quali La dernière danse? , Aquilon , Voyage , l’assolo Fandango e L’histoire du soldat. Nel 1990 è anche protagonista de La Muette de Portici di Daniel Auber nella regia e coreografia di Van Hoecke al Ravenna Festival. È stata inoltre prima ballerina nella commedia musicale Se il tempo fosse un gambero (1987) e, dimostrando spiccata versatilità, nella trasmissione televisiva Fantastico 9 .

Franchini

Fu allieva, a Firenze, di L. Rasi. Nel 1899 prese parte ad alcuni spettacoli all’estero con la Duse. Fu scritturata nel 1904 dalla Talli-Gramatica-Calabresi-Ruggeri per interpretare la parte di Candia ne La figlia di Iorio di D’Annunzio: poco dopo, per il ritiro della Gramatica, assunse le vesti di Mila, figura che portò al trionfo. Nel 1905 fu la prima interprete di Gigliola nella Fiaccola sotto il moggio e successivamente ricoprì il ruolo della protagonista in altri lavori dannunziani. Nel 1924, Lucio D’Ambra la scelse insieme a Tullio Carminati per il Teatro degli Italiani a Roma che però ebbe vita breve. Fu attrice di grande tecnica e dizione perfetta, doti che mise a disposizione di un repertorio sia drammatico sia comico, recitando anche in tv fino agli anni ’70.

Faggioli

Nel 1990 vince il premio della critica al concorso `Il buttafuori’ di Torino. Inizia a lavorare nel 1981 con spettacoli di teatro-ragazzi, lavorando soprattutto su temi fiabeschi. I suoi spettacoli più importanti sono: Questione di centimetri (1990), in cui fa autoironia sulla sua bassa statura, e Anfibi (1996). Nel 1993 recita in Baol di S. Benni. Partecipa nel 1997 allo spettacolo tv Scatafascio di P. Rossi e recita a teatro in Woyzeck.

Faraboni

Il capostipite della famiglia Faraboni, Oreste (Milano 1876 – ivi 1955), allievo di Grassi e Coppini, ha studiato anche con Enrico Cecchetti e dal 1900, con la moglie Alma Petersen, ha avviato una intensa carriera internazionale con una piccola formazione dedita a esibizioni di danze classiche e acrobatiche, dal 1910 al ’19 composta anche da altri appartenenti alla famiglia (da cui il nome della compagnia, `I sette Faraboni’). In seguito ha creato un nuovo gruppo, il ‘Trio Faraboni’ (1924), sempre tra balletto classico e varietà, e dal 1937 al 1944 ha costituito la compagnia dei Balletti Italiani. Il figlio Pierino (Brno 1908 – Milano 1968), allievo del padre, ha debuttato nel 1922 con Cia Fornaroli alla Scala, dove nel 1929 ha interpretato La fata delle bambole di Bayer; in seguito ha lavorato con Léonide Massine. L’altro figlio di Oreste, Carlo (Milano 1916 – Bologna 1991), formatosi alla Scala con Nicola Guerra e Cia Fornaroli, è stato primo ballerino della compagnia dal 1936 al 1947 e ha interpretato ruoli di carattere in molti balletti di A. Milloss. Nel 1948 è stato primo ballerino al San Carlo di Napoli; ritiratosi nel 1954, in seguito è stato stretto collaboratore di Milloss e Massine come assistente alle coreografie.

Fantastichini

Ennio Fantastichini comincia nel teatrino parrocchiale a tredici anni con un Amleto . A quindici è già nel crogiolo romano delle avanguardie. Lavora con Memè Perlini e Simone Carella. Tra il 1974 e il ’75 è col gruppo di Giorgio Barberio Corsetti La Gaia Scienza, e poi con Falso Movimento. Ennio Fantastichini approda quindi alla compagnia di Dario Fo con cui vive la grande stagione dell’impegno politico a teatro. Alla Palazzina Liberty interpreta La marijuana della mamma , Non si paga, non si paga e Il Fanfani rapito. Maschera multiforme, la sua, riconosciuta anche dal cinema dopo vent’anni di teatro militante.

Fiorentino

La prima sua collaborazione importante è con il regista Franco Però, per il quale allestisce Singoli di E. Siciliano (1988), Purché tutto resti in famiglia di A. Ayckbourn (1989), Un saluto, un addio di A. Fugard (1990), I serpenti della pioggia di P.O. Enquist (1991), Spirito allegro di N. Coward (1992) e Chi ha paura di Virginia Woolf? di E. Albee (1992), dove una gabbia diventa metafora del fallimentare rapporto tra due coniugi della media borghesia. Negli ultimi anni, a questa collaborazione si è affiancata quella con Nanni Garella, per il quale cura Con la penna d’oro di I. Svevo (1991), in cui immagina un ambiente grigio, una sorta di scatola cinese congeniale allo sviluppo sistematico e quasi seriale degli eventi; Jack lo sventratore di V. Franceschi (1992), uno spoglio bunker seminterrato dall’atmosfera cupa; A piacer vostro di Shakespeare (1992); Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello (1993) e i recenti L’avventuriera di Svevo (1995) e Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni (1995), con un singolare e monocromatico Arlecchino.

Feydeau

Georges Feydeau si affermò nel 1887 con Sarto per signora (Tailleur pour dames) e fu per una trentina d’anni uno dei più brillanti fornitori di copioni per i teatri commerciali parigini, in una carriera che coincise quasi esattamente con la cosiddetta belle epoque. Ritenuto nel suo tempo non più che un artigiano abile e fortunato, lo si considera oggi, in Francia e altrove, uno dei maggiori autori comici dell’intera storia del teatro. È consuetudine suddividere i suoi vaudeville (si definiscono così le sue commedie, sulla scia di Labiche e di altri autori del Secondo Impero) in due gruppi. Nel primo del quale fanno parte, fra gli altri, Il signore va a caccia (Monsieur chasse, 1892), Champignol suo malgrado (Champignol malgré lui, 1892), L’albergo del libero scambio (L’Hôtel du Libre Echange, 1894), Il tacchino (Le dindon, 1896) e La pulce nell’orecchio (La puce à l’oreille, 1907) – si raccontavano in termini buffoneschi i pericoli che incombevano sulla coppia, presentando una gentile signora che si riteneva a ragione o a torto tradita e decideva di ricambiare il marito della stessa moneta (ma l’adulterio non veniva mai consumato). Il secondo filone – che comprendeva, per esempio, La palla al piede (Un fil à la patte, 1894), La dame de Chez Maxim’s (1899) e Occupati d’Amelia (Occupe-toi d’Amélie, 1908) – aveva invece come protagonista una cocotte coinvolta in vari imbrogli, o perché voleva conservare l’amante prossimo a convolare a nozze o perché, trascinata dalle circostanze o dal suo buon cuore, si trovava a recitare un ruolo che non le competeva. Si partiva in ogni caso da una situazione che racchiudeva in sé uno o più malintesi, e la si sviluppava in tutte le possibili conseguenze, con una virtuosistica scienza dell’intreccio e un dialogo di perfetta funzionalità comica, valendosi di personaggi visti solo nei loro comportamenti, senza pretese d’approfondimento psicologico. Più realistici furono gli atti unici (riuniti col titolo Dal matrimonio al divorzio) con i quali il commediografo chiuse la sua carriera prima di sprofondare nella follia. Vi si presentava (per esempio in Pupo prende la purga , On purge bébé, 1910 e in Ma non andare in giro tutta nuda, Mais n’te promène donc pas toute nue, 1911) una serie d’immagini quasi strindberghiane (ma volte al comico) dell’inferno familiare, con mogli spaventosamente autoritarie e mariti ridotti a vittime.

Fuchs

I suoi numerosi lavori, scritti per la maggior parte tra il 1890 e il 1914, testimoniano il suo eclettismo e la sua pluridisciplinarietà. Oltre alla sua produzione critica, Georg Fuchs cura adattamenti di Shakespeare e di Calderón ed elabora dei progetti per la scena dove la musica è spesso una componente di primo piano. Alcuni esempi sono Amore (Liebe 1893), tragedia in un atto con musica di Anton Beer e Das Tanzlegendchen (1908), uno spettacolo coreografico ispirato a Gottfried Keller con musica di Hermann Bischoff. La ricerca di Georg Fuchs è volta a un teatro di comunione spirituale tra attori e spettatori nel quale il ritmo e la musicalità siano elementi fondamentali. Sulla linea dell’eredità del dramma wagneriano e del mistero medioevale, assieme all’architetto P. Berens crea, per l’inaugurazione di un’esposizione a Darmstadt nel 1901, la cerimonia mistico-religiosa Il segno (Das Zeichen). Tra i progetti più significativi realizzati da F. va inoltre ricordato Il teatro dell’avvenire (1904) dove, in una dimensione ludica, viene esaltata l’estetica del corpo ed evitata ogni tendenza illusionistica. A partire dal 1908 Georg Fuchs dirige il Teatro d’Arte a Monaco, costruito dall’architetto wagneriano Max Littmann. Qui concepisce una delle sue opere teoriche più importanti: La rivoluzione del teatro (1909), per la quale può essere annoverato tra i grandi teorici della scena dell’inizio del secolo.

Flindt

Studia alla scuola del Balletto reale danese entrando nel 1955 a far parte della compagnia. Dopo la nomina a primo ballerino (1957), si trasferisce a Parigi dove si perfeziona con Harald Lander e danza come étoile all’Opèra; in seguito si esibisce con il London Festival Ballet, il Ballet Rambert e il Royal Ballet. Dal 1966 al 1978 è direttore artistico del Balletto reale danese; dal 1981 al 1988 del Balletto di Dallas. Tra i più importanti ballerini classici della sua epoca, mette alla prova il suo rigoroso talento coreografico in una serie di balletti drammatici spesso ispirati a testi letterari e teatrali o eventi storici, come La lezione (1963) e Il trionfo della morte (1971) da Ionesco, I tre moschettieri da Dumas (1966), le creazioni per Rudolf Nureyev, Il cappotto da Gogol’ (Maggio musicale fiorentino, 1989) e Morte a Venezia (Filarmonico di Verona, 1991), Caroline Mathilde (1994) e The Red Shoes (1998).

FEKS

Nemici del teatro borghese, del realismo superficiale, delle soluzioni esteriori e accomodanti, i fondatori del gruppo (G. Kozincev, G. Kryzickij, L. Trauberg, S. Jutkevic) dichiarano le proprie scelte in un manifesto (edito nel fascicolo `Eccentrismo’ del 1922) che sottolinea l’importanza dell’«elettrificazione» e dell’«americanizzazione» del teatro, il ruolo centrale del circo, dell’arte del clown, del music-hall, del cabaret. Il gruppo nel 1922 mette in scena Il matrimonio di Gogol’, definendolo `trucco in tre atti’ e articolandolo in una serie di numeri acrobatici e clowneschi. Dopo il successivo spettacolo, Commercio estero sulla torre Eiffel (1923), il gruppo si scioglie e tre dei componenti (Kozincev, Trauberg e Jutkevic) si dedicano al cinema.

Federal Theatre

Federal Theatre è un’organizzazione produttiva istituita nel 1935 dal Congresso degli Usa nell’ambito delle misure contro la disoccupazione. Fu il primo esempio americano di teatro interamente finanziato dal denaro pubblico. Affidato alla direzione di Hallie Flanagan (1890 – 1960), già responsabile del teatro sperimentale della Vassar University, diede lavoro a circa diecimila persone che svolsero le loro attività in quaranta Stati, fornendo a bassissimo prezzo spettacoli d’ogni genere e nelle sedi più diverse. Fra le sue molte iniziative si possono citare: l’istituzione di un teatro nero, per il quale O. Welles, ventunenne, allestì un famoso Macbeth in versione voodoo; l’ideazione di un nuovo genere teatrale, il `Living Newspaper’ (giornale vivente) che affrontava temi dell’attualità politica e sociale con le tecniche del teatro agit-prop; la rappresentazione contemporanea in ventiduemila città di Qui non può succedere (It Can’t Happen Here), scritto per l’occasione dal romanziere Sinclair Lewis. Poco gradito alle destre, l’organizzazione venne sciolta, per decisione del Congresso, nel 1939. La Flanagan ne avrebbe raccontato la storia nel volume Arena (1940).

Fontana

Dopo la laurea in Giurisprudenza Ciro Fontana entra a far parte come funzionario dell’Amministrazione del Comune di Milano e contemporaneamente inizia l’attività di autore di libretti melodrammatici e di traduttore di opere drammatiche latine nell’ambito teatrale. Il suo dramma Casa Regana vince il premio ‘Platee’ nel 1946 ma, per le scene scrive anche Ombre sul giardino di Sander, Ombre bugiarde, Tantalo, Tragedia di S. Stefano, Bagliori d’autunno. Inoltre compone opere in dialetto milanese quali El testament (1963) e si diletta anche nella rielaborazione-revisione del repertorio dialettale: riscrive Barchett de Boffalora di Cletto Arrighi, Il barone di Birbanza di Carlo Maria Maggi, Storie della Ninetta del Verzee e del Pepp parrucchiere (1974, variazioni su temi milanesi di Carlo Porta e Giuseppe Bossi) e, tra le sue opere più note, El Marchionn di gamb avert (1956) che si ispira e trae materia dal poemetto di Carlo Porta rappresentato per la prima volta al Teatro Olimpia di Milano nell’ottobre del 1956 dalla compagnia Tommei, Rinaldi, Casagrande. L’ultimo suo testo messo in scena al Filodrammatici è La mazurka bleu (1978).

Fields

C. Dukinfield; Filadelfia 1879 – Pasadena, California, 1946), giocoliere statunitense. Di famiglia poverissima, di genitori inglesi immigrati, scappa di casa dopo una lite con il padre e, bizzarramente, si sostenta imparando a fare il giocoliere. Mancano però notizie precise fino al suo impegno in un teatro all’aperto a Plymouth Park, Norristown: secondo alcuni nel 1894, secondo altri nel ’97. Nel 1898, comunque, debutta a New York, al London Theatre sulla Bowery, non solo come giocoliere ma anche come comico. Ed è così che comincia il successo: nel 1900 parte per l’Europa e ottiene gran risultati al Palace di Londra, al Winter Garten di Berlino, in Francia, in Belgio, in Spagna, Scozia e Irlanda. Tornato negli Usa, diventa famoso nel circuito del vaudeville e del musical ( The Ham Tree , 1905). Torna in Gran Bretagna, e nel 1908 è alle Folies Bergère in un programma nel quale è presente anche Maurice Chevalier. Nel 1914 la sua popolarità è tale che i produttori di Watch Your Steps di I. Berlin lo licenziano, convinti che avrebbe distolto il pubblico dai protagonisti Vernon e Irene Castle. Il successo di F. cresce con le sue partecipazioni agli spettacoli di Ziegfeld (1914-1921) e ancora nella rivista George White’s Scandals del ’22. Nel 1923 è protagonista (e coautore) a Broadway di Poppy , suo massimo successo personale, con 346 repliche. Poppy fu tradotto in film: muto, nel 1925, da D.W. Griffith, e ancora nel ’36, sonoro, dove F. è sempre protagonista. Ha interpretato parecchi film, diventando una star all’avvento del sonoro e collaborando spesso alla sceneggiatura con lo pseudonimo di Charles Bogle. Celebre per la sua lingua tagliente, per le battute crudeli, proiettava un’immagine sgradevole. Il suo ruolo più celebre è quello del signor Micawber nel film David Copperfield (1935). Durante gli ultimi anni della sua vita, amareggiato da critiche e insuccessi era diventato alcoolizzato. Anche qui una battuta fu più forte di tutto: «Ho tanto bevuto alla salute degli altri – disse – che ho finito con il perdere la mia».

Fabbri

Diplomatasi alla Scuola di recitazione di Firenze, inizia la sua attività al Teatro universitario del capoluogo toscano. Fa le sue prime prove importanti allo Stabile di Trieste. Negli anni ’60, entra nella Compagnia degli Associati, con la quale interpreta I lunatici di Middleton (1965) rivelando un sobrio talento drammatico. Interprete di forte presenza scenica, lega il suo nome a quello dei maggiori registi italiani del dopoguerra: Giorgio Strehler, Aldo Trionfo e Luca Ronconi. Con il primo recita nei I giganti della montagna di Pirandello (1966) e nella Cantata del fantoccio lusitano di P. Weiss (1968), dove appare stilisticamente impeccabile. Diretta da Trionfo interpreta Dialoghi con Leucò da C. Pavese (1964), Vincenz e l’amica degli uomini importanti di R. Musil (1964) e Elettra di Sofocle (1974). Ma è con Ronconi che la Fabbri offre il più ampio arco d’impegno, cominciato con I lunatici e proseguito, in modo abbastanza sistematico, a partire dal 1973, con l’ Orestea di Eschilo, portata al festival d’Automne di Parigi, a Belgrado, alla Biennale di Venezia, al festival di Spoleto, con cui propone un modello interpretativo acusticamente nuovo. Ma la vera `rivoluzione’ arriva nel ’78 con Le baccanti di Euripide per il Teatro regionale toscano. L’attrice offre una prova superba, «riflettente dell’autore e dello spettatore», ossia attenta alle ragioni del testo e alle esigenze della spettacolarità. Altra grande interpretazione nel 1986 con Ignorabimus di A. Holtz, in cui interpreta con ingenuo candore un personaggio maschile, l’occultista Ludwig. Seguono I dialoghi delle Carmelitane di G. Bernanos, Le tre sorelle di Cechov, riceve nel 1990 il premio Ubu per l’interpretazione nell’ Uomo difficile di H. von Hofmannsthal. Ancora nel ’90 è fra gli interpreti di Gli ultimi giorni dell’umanità di K. Kraus. Intensa la sua attività di monologante, con cui prende forma il suo accanito e mutevole lavoro sulla parola. Da ricordare il recital Dall’opaco con testi di I. Calvino. Non secondaria, anche se ridotta, la sua attività cinematografica in Sacco e Vanzetti di G. Montaldo (1970), Quattro mosche di velluto grigio di D. Argento (1971), Diario di un maestro di V. De Seta (1972) e Milarepa di L. Cavani (1974).

Falkenberg

Considerato uno dei registi più significativi nella storia del teatro del secolo, ha operato soprattutto presso i Kammerspiel di Monaco. Figlio di un mercante di strumenti musicali, studia filosofia e storia della letteratura a Berlino e a Monaco. Sin da giovanissimo, dopo aver visto al Deutsches Theater di Berlino l’attore Josef Kainz e i primi drammi di Hauptmann, si appassiona al teatro. A Monaco frequenta gli ambienti della bohème letteraria e, nel 1900, è fra i promotori del famoso cabaret Die Elf Scharfrichter (Gli undici boia) assieme a Wedekind. Divenuto direttore artistico dei Kammerspiel di Monaco nel 1913, mette in cartellone autori come Kleist, Hebbel e Ibsen; la sua messa in scena della Lulu di Wedekind suscita un forte scandalo. La bellezza e la perfezione delle sue regie vengono comunque unanimemente riconosciute dalla critica. Ha contribuito alla popolarità di Ibsen negli anni ’20 con le sue messe in scena ( Gli spettri , 1915) che si avvalevano delle scenografie espressioniste di Otto Reigbert. Tra il 1913 e il 1933 fa dei Kammerspiel di Monaco uno dei teatri più famosi d’Europa. Vi ha rappresentato sia i drammi naturalisti di Hauptmann sia quelli antinaturalisti di Wedekind e di Strindberg, le pièces espressioniste di Kaiser, Jost e Bronnen e i primi lavori di Brecht ( Tamburi nella notte , 1922). Resta in Germania durante il terzo Reich nonostante gli attacchi dei nazisti, mantenendosi fedele ai classici tedeschi e stranieri.

Forte

Dopo gli iniziali studi di violino al Conservatorio, a Roma studia recitazione e si diploma al Centro di cinematografia nel 1987. Del 1989 è il debutto teatrale, nei ruoli delle figlie, diretta da L. de Berardinis in Ha da passà `a nuttata , tratto dall’opera di E. De Filippo (Teatro di Leo, Festival di Spoleto), al quale segue I persiani di Eschilo, regia M. Martone (Inda, Teatro Greco di Siracusa 1990). Lavora quindi con la compagnia Teatri Uniti di Napoli, nella parte della regina in Rasoi di Enzo Moscato, co-regia M. Martone e T. Servillo (1991), in Zingari di R. Viviani, regia T. Servillo (1995). Ancora Servillo la dirige in Il misantropo di Molière (1996) nel ruolo di Celimène, che le vale il premio della Critica 1997 come attrice protagonista. Nel 1996 inizia a lavorare nella trilogia shakespeariana del regista C. Cecchi per il Teatro Garibaldi di Palermo: è Gertrude nell’ Amleto (1996), Titania nel Sogno di una notte di mezza estate (1997), Isabella in Misura per misura (1998), tre allestimenti ripresi e rappreentati a sere alterne nel settembre 1998. Attrice generosa e mobilissima, che può passare con disinvoltura dal teatro dialettale a Shakespeare, per scelta ha approfondito la sua ricerca all’interno del lavoro di gruppo con i rappresenanti della nuova scena napoletana, anche sul versante cineatografico. Protagonista dei film Libera (1993, Premio Linea d’Ombra 1994) e I buchi neri (1995, Premio Sacher 1996) di P. Corsicato (e presente anche nell’episodio La stirpe di Iana in I vesuviani del 1997), ha partecipato ai film di M. Martone Rasoi (1993) e Teatro di guerra (1998). Come protagonista di L’una e l’altra di M.Nichetti ha vinto il Nastro d’Argento, Ciak d’oro, Globo d’oro migliore atrice 1997. Tra le altre interpretazioni cinematografiche, Nitrato d’argento di M.Ferreri, Piccoli orrori di T.de Bernardi, Hotel Paura di R.De Maria nel 1996, Oltremare di N.Correale (1998).

Faggioni Streiff

Si è formata alla danza libera mitteleuropea seguendo gli insegnamenti di Kurt Jooss, Mary Wigman, Harald Kreutzberg e, dopo avere collaborato in teatro con Anton Giulio Bragaglia e avere insegnato danza euritmica a Genova, nel 1958 ha aperto a Firenze la prima scuola di danza della città, nella quale ha sviluppato la tecnica e le idee dell’espressionismo tedesco, anche attraverso coreografie come Danza eroica , Gong , Risveglio , formando danzatori moderni come Virgilio Sieni, Alessandro Certini, Roberta Gelpi, Paola Del Cucina.

Florilegio di Darix Togni

Fondato nel 1990 a Parigi dai fratelli Livio, Corrado e Davio Togni (figli di Darix), F. nasce come operazione di recupero del circo classico all’italiana, con spirito nostalgico, una forte autoironia e grande rispetto per la tradizione comica e farsesca. Caratterizzato da un’impronta forte di teatralità, più che sull’ingaggio di attrazioni esterne, F. si distingue per il virtuosismo della piccola troupe e per gli animali esotici. Gli spettacoli si staccano gradualmente dalla logica della successione di numeri, optando piuttosto per la costruzione di piccoli quadri evocativi. Dall’architettura rivoluzionaria, con un tendone ispirato allo sfarzo dei circhi stabili della belle époque, F. ha curato notevolmente anche l’ambientazione esterna del circo. Tale struttura architettonica è imitata da decine di circhi in tutta Europa, dove F. ha fatto numerose tourne.

Francia

Dopo gli studi artistici e un periodo a Ca’ Foscari a Venezia, Roberto Francia inizia a collaborare con Damiani per il Teatro stabile di Bologna. Pur lavorando anche con altri registi (per R. Guicciardini affronta La mandragola di Machiavelli, costumi di L. Ghiglia; Roma, Teatro Argentina, 1990), opera quasi esclusivamente con Maurizio Scaparro, per il quale firma numerosi e importanti allestimenti (Venexiana vince il premio Noce d’Oro 1965 per la migliore scenografia), mentre con J. Svoboda elabora un Cjrano de Bergerac di E. Rostand, (1977). Di recente si è occupato di Liolà di Pirandello (Genova, 1991); Don Quijote di R. Arzcana e M. Scaparro da M. de Cervantes (costumi di Emanuele Luzzati, Roma, 1992), concentrando tutto il paese in uno stanzone rustico, dall’insolito fondo `informale’ a riquadri; Teatro Excelsior di V. Cerami (Ravenna, 1993); Memorie di Adriano di M. Yourcenar (Torino, 1994) e Cirano de Bergerac di E. Rostand (Bologna, 1995).

Fornaroli

Allieva di Cecchetti alla Scala, Cia Fornaroli gli successe alla direzione della scuola di ballo nel 1929, restandovi fino al ’32. Danzatrice di limpida tecnica e di affascinante presenza scenica, fu chiamata come étoile in teatri internazionali (Barcellona, Madrid, Metropolitan di New York); durante la Prima guerra mondiale fu prima ballerina al Teatro Costanzi di Roma. Tornata alla Scala nel 1921, vi iniziò il suo più fecondo periodo come interprete, coreografa e insegnante. Per il teatro milanese ha creato e interpretato Mahit di Pick-Mangiagalli (1923), Il convento veneziano di Casella (1925), Casanova a Venezia ancora di Pick-Mangiagalli (1929). Fu la prima interprete italiana di Petruska di Stravinskij, in due edizioni alla Scala nel 1926 e nel ’27. Nel 1933 fondò la compagnia del Balletto Italiano di Sanremo, per la quale approntò Gli uccelli di Respighi. Lasciata l’Italia nel 1940, si stabilì negli Usa con il marito Walter Toscanini, figlio del celebre direttore d’orchestra; con lui organizzò una ricca collezione di libri, oggetti e costumi di danza, attualmente alla Public Library di New York. Insegnante al Ballet Theatre, ha diretto una scuola con metodo Cecchetti.

Fabbri

L’intensa attività teatrale – ben quarantaquattro sono i testi che recano la sua firma – trova il momento più fortunato negli anni ’40 e ’50, quando Diego Fabbri, insieme a Betti, si impone come il più rappresentato autore di spettacoli moralmente e civilmente impegnati. Sono questi gli anni in cui Diego Fabbri, formatosi giovanissimo nelle filodrammatiche cattoliche della nativa Forlì, approda a Roma e riesce ad assicurarsi una posizione di tutto rispetto con gli allestimenti di Orbite (Teatro Quirino, 1941), Paludi (rifacimento de Il nodo; Teatro delle Arti, 1942), La libreria del sole (Teatro Quirino, 1943; regia di Sergio Tofano), allestiti da compagnie di nome come la Bragaglia e la Tofano-Torrieri. La stagione più fortunata è comunque quella dei cosiddetti processi morali, quando F. riesce a dar pieno sviluppo, con una abilità drammaturgica accresciuta dalla parallela esperienza radiofonica (a cui farà seguito l’impegno di sceneggiatore per la tv), a un teatro di idee e di contenuti, ispirato da un cattolicesimo inquieto e conflittuale, ma anche saldamente ancorato alla `lezione’ dei padri della drammaturgia novecentesca, Pirandello su tutti. Le pièce a più forte impatto – anche se tuttora oggetto di discussione – sono Inquisizione (Teatro Odeon, Milano, 1950), Rancore (Teatro La Soffitta, Bologna, 1950, con l’interpretazione di Salvo Randone), Processo di famiglia (Teatro Carignano, Torino, 1953) e soprattutto Processo a Gesù , rappresentato per la prima volta al Piccolo di Milano nel 1955 per la regia di Orazio Costa e poi esportato – con straripante successo – in tutti i principali teatri mondiali. Parallelamente, secondo una traiettoria che spesso disorientò pubblico e critica, Diego Fabbri rivela tutta la sua abilità anche nei territori del profano, creando testi inclini a sondare usi e costumi dell’Italia del tempo, quali Il seduttore (Teatro La Fenice, Venezia, 1951, regia di Luchino Visconti) e La bugiarda (Teatro di via Manzoni, Milano, 1956). Gli anni ’60 e ’70 rappresentano un periodo di appannamento della vena creativa e di un conseguente ridimensionamento del suo successo. Numerosi sono comunque gli allestimenti di sicura efficacia come l’adattamento dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij (Teatro della Cometa, Roma, 1960), Il ritratto d’ignoto (Teatro della Cometa, Roma 1962), Lo scoiattolo (Teatro Nuovo, Milano, 1963), Il confidente (Teatro la Fenice, Venezia, 1964), L’avvenimento (Teatro Duse, Genova, 1967), l’adattamento dei Viceré di De Roberto (Teatro Ambasciatori, Catania, 1969) e quello del Mastro don Gesualdo di Verga (Teatro delle Muse, Catania, 1974), i lavori per la televisione: La notte della speranza , (1969), Ipotesi sulla scomparsa di un fisico atomico (1972), SMG 507 (1977). Al Dio Ignoto (1981) è l’ultima opera di un autore mosso dal desiderio di dare al pubblico «una verità autentica, che conti davvero per gli uomini sofferenti di oggi e di domani».

Fortebraccio

Forteleone Milano 1937), attore. Si diploma all’Accademia dei Filodrammatici con Esperia Sperani. Debutta allo Stabile di Bolzano con Fantasio Piccoli per approdare poi allo Stabile di Genova dove lavora con Luigi Squarzina e Carlo Quartucci, con il quale realizzerà anche Libere stanze (1969) di Roberto Lerici. In seguito passerà al Teatro stabile di Torino dove lavorerà con Franco Enriquez ( Il mercante di Venezia ) e De Bosio ( La devozione alla croce con Corrado Pani, I dialoghi del Ruzante con G. Mauri). Nel 1972 è al Piccolo Teatro dove lavora con Patrice Chéreau: ( Splendore e morte di Joaquín Murieta , Lulù di Wedekind). È tra i fondatori del Salone Pier Lombardo, dove con Franco Parenti farà tra gli altri l’ Ambleto di Testori. Sarà in seguito al Teatro stabile dell’Aquila dove recita in molti spettacoli di Giancarlo Cobelli e Antonio Calenda (Lear di E. Bond). Dopo una parentesi allo Stabile di Palermo, collabora con Franco Branciaroli. Con Calenda prenderà parte allo spettacolo La passione per il giubileo del 2000.

Frediani

Il capostipite della famiglia Frediani, Augusto (Firenze 1846) formatosi con Tramagnini, già maestro dei Fratellini, crea un proprio piccolo complesso, il Circo Toscano. Sposa Emilia Iacopinni dalla quale ha Guglielmo `Willy’ (Firenze 1871 – Barcellona 1947) e Aristodemo `Beby’ (Bielefeld 1880 – Castres 1958). I due fratelli, con un allievo, René, formano un trio di acrobati equestri fra i migliori d’inizio secolo. Nel 1900, al Noveau Cirque di Parigi, eseguono per la prima volta al mondo la colonna di tre uomini su di un solo cavallo. Altro esercizio inedito, il salto mortale dalle spalle di un atleta in piedi su di un cavallo a quelle di un altro atleta in piedi su di un cavallo che segue. Nel 1908 sono ingaggiati in America al Barnum & Bailey con il compenso di 500 dollari alla settimana. In seguito, Zizine, figlio di Guglielmo, rimpiazza René. Nel 1915 si stabiliscono in Catalogna dove si imparentano con altre famiglie circensi del posto. Dopo avere per anni studiato i clown negli spettacoli in cui si esibiva, Aristodemo passa alla clownerie, formando un duo con il già celebre Antonet. Sue doti principali la mimica facciale e la capacità di dicitore. La coppia si scioglie nel 1933.

Fazio

Fabio Fazio comincia la sua carriera esibendosi nei cabaret liguri con sketch giovanilistici e come abilissimo imitatore, ma subito tenta la via della televisione partecipando a un concorso Rai per nuovi volti. Comincia con la Carrà (Pronto Raffaella?, 1983) e poi passa di trasmissione in trasmissione mettendo a frutto le sue doti parodistiche e il suo umorismo leggero (Banane, su Telemontecarlo, 1990-91). Conquista la notorietà soprattutto grazie a Quelli che il calcio, programma in onda dal 1994 che segue attentamente (sdrammatizzandole) le domeniche sportive degli italiani Anima mia (1997). Conduttore discreto e ironico rappresenta in televisione un volto simpatico e intelligente. Nel 1994 esce il suo primo libro Qui una volta era tutta campagna , seguono: Il giorno più bello della vita , Guida al matrimonio (1995) e Anima Tour (1997). Infine, siamo nel 1996, lo vediamo come attore protagonista in Pole Pole di Massimo Martelli, fuori concorso al Festival di Venezia, e ancora come attore protagonista nel film-tv per la Rai Un giorno fortunato (1997).

Fontano

Studia danza classica e moderna a New York, perfezionandosi con Martha Graham; danza in seguito per Jerome Robbins (1975) e Alwin Nikolais (1980). Trasferitosi a Roma nel 1971, due anni dopo con Elsa Piperno fonda la compagnia Teatrodanza Contemporanea, per la quale firma numerosi lavori tra i quali Sfaccettature (1972), Time Break (1979), On The Radio (1980), Sala B ( 1982, musiche originali di Eugenio Bennato), Deep Breathing (1987). Lasciata la formazione, nel 1989 crea con il danzatore Stefano Valentini la compagnia Scenamobile ( Quartetto , 1990; Oltre le ombre , 1992); partecipa inoltre alla creazione della Fondazione Teatro Nuovo per la Danza (1994) dedicandosi contemporaneamente all’insegnamento. Come insegnante e animatore culturale, ha dato e continua a dare un contributo importante alla diffusione, in Italia, della `modern dance’ di Martha Graham ed è su questo linguaggio che concentra la sua ricerca coreografica.

Flaiano

Scrisse romanzi (Tempo di uccidere, 1947), racconti (Una e una notte, 1959) e raccolte d’aforismi, svolse in diversi periodi attività di critico drammatico (le sue recensioni furono in parte raccolte nel volume dal titolo: Lo spettatore addormentato) e tentò occasionalmente il teatro. Ennio Flaiano esordì nel 1946 con l’atto unico La guerra spiegata ai poveri che, attraverso uno scoppiettante susseguirsi di battute, spesso azzeccate, raccontava i meccanismi alle origini dei conflitti, ironizzando sulle figure dei potenti e solidarizzando, con pudica amarezza, su quelle delle vittime. Seguirono due farse di scarso spessore (La donna nell’armadio, 1957; Il caso Papaleo, 1960) e l’opera teatrale più impegnativa, Un marziano a Roma (1960), tratta da un breve racconto e travolta dai fischi alla prima rappresentazione al Lirico di Milano, anche a causa di una messinscena di V. Gassman, inutilmente faraonica. Vi si riproponeva, nelle vesti di una storiella fantascientifica, il tema non nuovo di come una tensione ideale poteva essere assorbita e svuotata da una realtà cinica e vischiosa. L’insuccesso portò l’autore ad affermare che «scrivere per il teatro è come scrivere in ottava rima. Una forma che non ci riguarda più». Ma ci provò ancora una volta, con La conversazione continuamente interrotta (1972), dove tre intellettuali, stancamente impegnati nello stendere una sceneggiatura, parlavano delle loro nevrosi e vivevano, quasi distrattamente, piccoli drammi non certo sufficienti a riempire il loro vuoto. E anche qui osservazioni graffianti s’innestavano in una struttura programmaticamente fragile. Come critico, ebbe soprattutto il merito di segnalare, fra i primi, il talento di C. Bene; ed è stato, come sceneggiatore cinematografico, il più importante collaboratore di Fellini (I vitelloni, La dolce vita ).

fenomeni

La baracca dei fenomeni è il luogo dove si ostentano per profitto esseri umani o animali portatori di anomalie fisiche o provenienti da luoghi esotici o dichiarati tali e artisti dotati di capacità straordinarie. L’usanza di tenere persone colpite da particolari handicap fisici, in special modo nanismo, era praticata già nell’antichità, soprattutto da regnanti e personaggi importanti. Nel XX secolo le figure eminenti della politica cominciano però a interrompere questo dialogo che era durato per millenni. L’interruzione aumenta con l’avvento del socialismo. L’esibizione di tali persone è proibita in Urss, in Cina e anche nella Germania nazista di Hitler (che però fa sterminare i nani e tutti coloro che portano anomalie fisiche in nome della purezza della razza). In ogni caso la f. nasce nel Novecento negli Usa col nome di Museum, come forma non itinerante di intrattenimento, spacciata per pedagogica e pseudoscientifica.

In seguito occupa un padiglione sistemato a lato del tendone principale di circhi o di luna park e per tale motivo nel paese d’origine è chiamata prevalentemente side show, mentre da noi prende il nome di baracca dei fenomeni. Diverse le tipologie dei fenomeni (freaks) esposti: oltre ad animali esotici e a volte portatori di bizzarre anomalie (la mucca con cinque zampe, la pecora con due teste), vi sono resti di creature mitologiche (la sirena delle isole Figi) e soprattutto esseri umani. Essi si possono dividere in born freaks , coloro che sono nati con particolari anomalie fisiche (nani, giganti, gemelli siamesi, ecc); made freaks , coloro che hanno sviluppato particolari anomalie come la smisurata crescita del peso corporeo, la lunghezza di unghie o capelli, il tatuaggio, o altro; novelty acts , numeri particolari, spesso rientranti nel genere del fachirismo (ingoiatori di spade, di fuoco, ecc). Vi sono poi i gaffed freaks , i fenomeni finti, coloro che attraverso simulazione di vario genere, fingono di rientrare in una delle categorie elencate. Il sistema produttivo è avviatissimo soprattutto negli Usa, dove viene portato al massimo fulgore da P.T. Barnum, alla fine del secolo scorso. Fra i fenomeni, ottengono grande successo i gemelli siamesi, che devono il loro nome ai primi del genere: due gemelli originari del Siam, Eng e Chang, nati nel 1811, in esibizione dal 1828. Nel nostro secolo raggiungono un successo considerevole, soprattutto negli Usa, Daisy e Violet Hilton, le `gemelle siamesi di San Antonio’.

Altra tipologia, abbastanza diffusa anche in Europa, è quella dell’uomo elefante e dell’uomo delle selve, o uomo scimmia, con folta barba e peli in tutto il corpo (l’analogo femminile è la donna barbuta). Poi i classici fuori misura: uomini o donne cannone (fra le italiane Liliana Tonini di 250 chili e Carmen Chierici di 254), i più rari uomini scheletro, i giganti (l’uomo più alto di tutti i tempi, documentato, è Robert Wadlow mt. 2,72) e i nani, questi ultimi fra i più diffusi. E ancora uomini tronco capaci di utilizzare la bocca o i piedi al posto degli arti superiori mancanti. Fra i più noti fenomeni italiani Francesco `Frank’ Lentini (1890-1964), l’uomo con tre gambe, nato a Rosolini in Sicilia, emigrato a otto anni in America, dove acquista una certa fama prima di ritirarsi in Florida nel 1952. Nei primi del ‘900 il morboso successo dei fenomeni da baraccone è supportato anche dalla grandissima diffusione delle cartoline illustrate (molte sono arrivate fino a noi), in un periodo in cui l’album di fotografie era la televisione di oggi. Il fascino morboso esercitato dai freaks è stato ben trattato dal cult movie Freaks (Tod Browning, 1932) e dal più recente The Elephant Man (David Linch, 1980). In Italia le baracche dei fenomeni sono completamente sparite fin dal dopoguerra, mentre esistono ancora alcuni side show negli Stati Uniti dove recentemente anche Ringling Bros. and Barnum & Bailey ha riproposto alcuni fenomeni come il lillipuziano Michu e `the living unicorn’, una pecora monocornuta presentata in sfarzose processioni. Ma all’estero tale forma di spettacolo sta conoscendo un’inaspettata riscoperta soprattutto nelle sue forme più vicine all’esasperazione delle moderne modifiche corporee, quali il tatuaggio, il piercing, la scarnificazione, come negli spettacoli di Jim Rose. Mentre le anomalie fisiche relative alle misure, quali il nanismo o l’obesità, sono piuttosto registrate nel Guinnes dei primati.

Fabre

Jan Fabre è nipote del grande entomologo Jean-Henri Fabre. Fin da giovanissimo è protagonista di ‘soli’ di arte performativa. A ventun anni dirige il suo primo spettacolo (Theatter geschreven met een K is een kater , ad Anversa) cui segue, nel 1982, This is theatre like it was to be expected and foreseen (Bruxelles). Celebre per l’uso della Bic blu con cui disegna soggetti onirici e colora carta, stoffe, legno e altri materiali, nella sua carriera d’artista espone, crea installazioni, rielabora ambienti in tutto il mondo. Nel 1984 debutta alla Biennale di Venezia con The power of theatrical madness e, a Documenta 8 (a Kassel) presenta Dance Sections, uno studio preliminare alla realizzazione di Das Glas im Kopf wird vom Glas (coreografia del 1990 per la De Vlaamse Opera di Anversa, musiche di Eugeniusz Knapik). Dopo Prometheus Landscape (1988), nel 1989 mette in scena The interview that dies, The Palace at four o’clock in the morning e The reincarnation of God , scritti nella seconda metà degli anni ’70. Su frammenti musicali di Knapik, Bernd Zimmermann e i Doors, nel ’90 allestisce il balletto The sound of one hand clapping (Francoforte). Tra il ’91 e il ’97 lavora, tra l’altro, a Silent Screams, Difficult Dreams (Documenta IX, Kassel, 1992) e alla trasfigurazione concettuale del corpo umano con la trilogia Sweet Temptations , Universal Copyright 1 & 9 e Glowing Icons . Interdisciplinare e irriducibile sperimentatore, contamina con spregiudicata e originale sintesi le sintassi dei diversi generi espressivi a cui si accosta sulla scorta delle suggestioni surreali di Magritte e Dalì e della lezione di Duchamp. Con gli scarabei e gli insetti che ricorrono in tutte le sue produzioni (dal teatro alla performance alle suggestioni figurative degli inchiostri o penne biro su vari materiali) lavora sulle qualità percettive e ri-creative di archetipi come il labirinto e la metamorfosi, alla ricerca della vita e della libertà rigenerativa sprigionata dall’elaborazione del deteriore e degli scarti.

Francioli

Dopo alcune esperienze cinematografiche e teatrali, nel 1959 debuttò in televisione con due lavori: Il maestro , diretto da Mario Landi, e Il vicario di Wakefield , con la regia di Guglielmo Morandi. Sempre Mario Landi, nel 1967 gli assegnò il ruolo del giornalista in Dossier Mata Hari . Tuttavia ciò che gli valse grande popolarità presso il pubblico televisivo fu un’interpretazione pubblicitaria per il marchio d’abbigliamento Lebole, di cui divenne l’uomo-immagine dal 1962 al 1967, diretto da Gianfranco Bettetini, Aldo Rossi, Valerio Bettetini, con i testi di Umberto Simonetta.

Feuer

Studia alla Juilliard School e con Martha Graham, con cui si esibisce in Oriente (1955). Fonda un suo gruppo, Studio for Dance (New York, 1956) con Sanasardo. Insegnante all’Accademia svedese di Lia Schubert (1963) e coreografa al Teatro drammatico di Stoccolma per Ingmar Bergman, collabora al film Il flauto magico (1975). Firma lavori per il Cullberg Ballet e il Norske Ballet di Oslo e anche telefilm: A Life e Requiem for a Dancer su Nijinskij. Artista poliedrica, ha influenzato anche Pina Bausch durante il periodo di studio da lei trascorso a New York.

Falconi&Frattini

Falconi Dino (Livorno 1902) e Frattini Angelo (1896 – 1967) formano un duo di attori indimenticabili. Falconi era figlio di famosi attori: Armando Falconi (a sua volta figlio d’attori: Pietro Falconi e Adelaide Negri) e Tina Di Lorenzo, `di radiosa bellezza’ e `di istintiva immediatezza’. Il teatro di rivista nasce negli anni Trenta, il primo spettacolo importante (1929) venne importato, si trattava di Donne all’inferno , con la compagnia viennese dei fratelli Schwarz, «punto d’incontro – si scrisse – tra operetta e varietà». nello stesso periodo nasce l’avanspettacolo, una rivista `di serie B’ da rappresentare due-tre volte al giorno (e la domenica quattro!) intervallandola a proiezioni cinematografiche. La nuova forma di spettacolo leggero, la rivista, attrae anche attori di prosa, e la prestigiosa compagnia diretta da Dario Niccodemi (1874 – 1934), prolifico autore di drammoni lacrimogeni ( La nemica ), di commediole effervescenti ( Scampolo ) o sentimentali (La maestrina ), si affida a un copione di F. (scritto con Oreste Biancoli) per cambiar genere: Triangoli (1930) viene interpretato da Elsa Merlini, Luigi Cimara, Nino Besozzi, tutti affermati attori di prosa. L’anno successivo (1931), ancora F. (con Biancoli) scrive un testo per Vittorio De Sica, Umberto Melnati, Pina Renzi, Giuditta Rissone, Camillo Pilotto. Si intitola Le lucciole della città e si ispira nel titolo a Le luci della città di Chaplin. Nel 1927, con Biancoli, F. aveva scritto Ultim’ora , rivista rappresentata al Salone Margherita di Roma con Titina De Filippo e un quasi esordiente Erminio Macario. Nel 1937 debutta la coppia d’autori Falconi&Frattini con Bertoldissimo , omaggio al popolare settimanale umoristico “Il Bertoldo” diretto da Giovanni Mosca e Vittorio Metz. Nel cast i fratelli De Rege. Nel 1941-42, i due scrivono La città delle lucciole (rifacendosi nel titolo al loro primo successo) con Enrico Viarisio, Giuseppe Porelli, Isa Pola. Luccicano, nel cast delle riviste di F. e F., le stelle della prosa: nel 1945-46, in Ah… ci risiamo! recitano Nino Besozzi, Vivi Gioi e Vittorio De Sica, che canticchiava e recitava anche dopo aver diretto Sciuscià per lo schermo. Nel 1951-52, con Spiller, firmano Cocoricò , rivista con un nuovo comico, Dario Fo (che imita Fausto Coppi), con il `fantasista’ Giustino Durano e la soubrette di colore Vickie Henderson. La stagione successiva, Fo e Durano, con Franco Parenti, rappresenteranno al Piccolo Teatro di Milano Il dito nell’occhio , una rivista con interpreti in calzamaglia nera, ricca di pantomime, parodie musicali e scenette satiriche d’elevatissimo livello, un successo bissato nella stagione successiva con Sani da legare . Falconi&Frattini, con Orio Vergani, scrivono Miracolo all’Olimpia per Nino Besozzi (1950-51). In epoca in cui la rivista era considerata genere minore perché disimpegnato, non meritevole di recensioni critiche e semmai attaccato perché offriva ospitalità ben retribuita ad attori `seri’ di prosa, Falconi&Frattini scrissero (1953) un’abile e indiscriminata agiografia intitolata Guida alla rivista e all’operetta.

Fratellini

Dei numerosi Fratellini si ricorda soprattutto il trio formato da Francesco, Alberto e Paul, attivo a Parigi, prima al Cirque d’Hiver poi al Medrano, e saltuariamente in tournée internazionali. I Fratellini, che vengono considerati i fondatori del trio clownesco moderno, si distingono per la definizione originale dei personaggi, l’abilità recitativa notevole e un ricchissimo repertorio farsesco, rinnovato in certi casi ogni settimana, con fervida immaginazione nell’invenzione di storie, accessori, costumi e trovate comiche. Idolatrati dalle masse come dai critici, sono applauditi dalle maggiori personalità politiche e artistiche del mondo. Insegnano al Vieux-Colombier di Jacques Coupeau, si esibiscono alla Comédie-Française e per loro Jean Cocteau e Darius Milhaud compongono Le Beuf sur le Toit . Di una certa notorietà sono anche i tre Fratellini-Colombo, contemporanei e cugini del più celebre trio, nel circuito internazionale del circo e del music-hall. Nelle generazioni successive dei Fratellini sono applauditi negli anni ’50 e ’60 i cascatori Fratellini-Craddocks (figli di Francois), con il clown Baba; e, negli anni ’80 e ’90, il figlio di quest’ultimo, Tino (1947-1993).

Fraccaroli

Si distinse per lo stile arguto e umoristico, si occupò del rapporto tra realtà e finzione, rielaborando temi di Chiarelli e Pirandello. I suoi testi furono interpretati da compagnie famose, come Quello che non t’aspetti (1921), messo in scena da Talli e Melato, e Il problema centrale (1926), allestito da Niccodemi. Scrisse in dialetto veneto e milanese, ottenendo nel ’52 uno straordinario successo con Siamo tutti milanesi . Con Barzini, fu anche sceneggiatore per il cinema.

Fracci

Milano aveva la Scala e la Scala le ballerine della Scala. Il vivaio che rese possibile la fioritura romantica e tardoromantica nel mondo. Le ballerine se ne stavano lassù, dove c’erano il timpano del Piermarini e le vetrate della Sala Trieste. In primavera si affacciavano, belle e irraggiungibili, simbolo di una città che correva indaffarata dietro il suo `boom’. Nell’immediato dopoguerra il ballo non era una moda ma un modo. Per sbarcare il lunario e forse fare fortuna. La pensava così anche Fracci Luigi, manovratore, che passava e ripassava lì sotto con il suo tranvai e la sua campanella. Un giorno prese per mano la Carlina, Carla Fracci, e le mostrò gli ‘angeli reclusi’ del timpano. Non fu una cosa semplice, e solo il Caso, condito di bonomia tutta meneghina, assicurò all’aspirante `spinazitt’ un posto alla sbarra della Sala Trieste: «prendee anca questa», concesse la direttrice Mazzucchelli, «la ghà un bel faccin». È il 1946, per la Fraccina iniziano giorni e anni che non passano mai. Tanta danza, un po’ di francese, un po’ di aritmetica, un po’ di noia. Il coretto di Bohème : voglio la tromba e il cavallin. Finché un giorno, dall’alto del regno degli `angeli reclusi’, vede arrivare una creatura bellissima. È Margot Fonteyn, che la innamora e la motiva. Diventerà suo idolo, suo modello, sua madre spirituale. Sui primi degli anni ’80 un griffatissimo Romeo e Giulietta le accostava ancora sulla scena del Metropolitan di New York; Margot era Madonna Capuleti. Il Caso dunque consegna alla Carlina, che voleva fare la parrucchiera e rimpiangeva i prati della periferia, quella coscienza di sé che l’avrebbe trasformata in emblema della danza. Quella classica. Per farla rimanere in carica dagli anni ’50 a oggi. E oltre. Unico punto di riferimento di un Paese che se da un lato, Scala a parte, sottovalutava come inferiore la tradizione operistica, dall’altro aveva totalmente scordato la danza, cui pure aveva dato i natali. I pochi allievi delle pochissime scuole private guardavano a Carla Fracci come all’unica. E non potendone imitare il resto le scippavano il look: allora come ora fatto di pizzi, veli, abiti, calze e scarpe rigorosamente bianchi; capelli raccolti da preziosi pettini e collo ornato da lunghe collane ambrate e di corallo. Alla Scala il 5 marzo del ’55 è il giorno del passo d’addio dei diplomandi.

Ancora il Caso vuole che la data sia la stessa di una Sonnambula che metteva assieme Maria Callas, Leonard Bernstein e Luchino Visconti. C’è tutta Milano che non può non vedere quella ballerinetta alle prese con Le spectre de la rose , accanto a Mario Pistoni. L’anno successivo, sempre il Caso fa ammalare Violette Verdy e consegna a Carla il ruolo protagonista della Cenerentola di Rodrigues. Nello stesso anno Massine le affida Mario e il mago , libretto di Visconti e musica di Mannino. Il teatro la nomina solista e, nel 1958, prima ballerina. Il caso Fracci esplode a Nervi ’57 dove, accanto a Yvette Chauviré, Alicia Markova e Margarethe Schanne, Carla è la Cerrito nel famoso Pas de quatre di Dolin-Pugni. Nel 1958 John Cranko costruisce su di lei il personaggio di Giulietta, nel Romeo e Giulietta che il complesso scaligero tiene a battesimo al Teatro Verde dell’isola di San Giorgio a Venezia. Intanto, sempre in Sala Trieste (che non c’è più), la Carlina incontra l’aiuto di Visconti Beppe Menegatti (che sposerà nel 1964), figura che non tarda a rivelarsi professionalmente indispensabile. Con lui e Antonio Gades, in una Spoleto di quegli anni, nasce la coreografia sulla Pavane pour une infante défunte (Ravel) dove la Fracci, tutta veli e remote suggestioni, diventa la Fracci. Quindi arriva la prima Giselle , il suo cavallo di battaglia. Arriva Erik Bruhn, il ballerino danese `maestro’ di Nureyev che costituirà con la Fracci l’altra coppia, speculare a quella Fonteyn-Nureyev. Con Bruhn Carla va in America e, divenuta `guest artist’ alla Scala, si lega al complesso più famoso del mondo, l’American Ballet Theatre. Da questo momento in poi è impossibile anche solo riassumere tappe, nomi, circostanze, allori. Il reperorio si allarga a dismisura. Prima, dopo e in mezzo ai tre titoli cajkovskiani ( Lago dei cigni , Bella addormentata , Schiaccianoci ) e ai tre grandi balli di Prokof’ev ( Romeo e Giulietta , Cenerentola , Il fiore di pietra ) si allineano quasi tutti i balletti romantici ( La Sylphide , La gitana , La Péri ), Secondo Impero ( Coppélia ), tardoromantici ( Il talismano ), i balli grandi manzottiani ( Excelsior ), i gioielli diaghileviani ( Sylphides , Shéhérazade , Après-midi d’un faune , Petruska ), i titoli di Petit ( Le loup , Les demoiselles de la nuit , il recentissimo Chéri ), di Béjart ( Bolero , L’heure exquise , da Beckett, di TorinoDanza ’98), di Tetley e di Tudor. Intanto i partner si chiamano Gilpin, Babilée, Nureyev (un lungo sodalizio), Vassiliev, Barišnikov, Bortoluzzi, Miskovitch, Dupont, Bujones, Cragun, Vu-An. I più giovani Liepa, Ezralow, Bocca, Fournial, Iancu, Bolle e Murru: compensazione tecnico-artistica del tempo che passa. E intanto ancora Carla recita: è Ariele nella Tempesta , Titania nel Sogno di una notte di mezza estate , Luna in Nozze di sangue .

Partecipa a film e filmati: è la Karsavina nel Nijinskij di Herbert Ross, Giuseppina Strepponi nel Verdi televisivo di Castellani, Marguerite Gauthier ne La storia vera della signora delle camelie di Bolognini. Riprende quasi tutte le divine Otto e Novecento nel telefilm Le ballerine con Peter Ustinov. Carla Fracci è la prima che abbandona il Ballo della Scala nel nome di libertà e pluralità espressiva; la prima che fa un figlio, operazione assolutamente bandita dall’etereo mondo delle `classiche’ dell’epoca; la prima che porta la danza nei teatri di periferia e negli chapiteaux. L’unica dotata di una voce calda e sensuale e di una naturale attitudine alla recitazione. Possiede una musicalità (è lontana parente di Verdi) che permette a Riccardo Muti di affidarle molti 7 dicembre scaligeri. È intelligente, determinata, istintivamente colta. Altrimenti come avrebbe potuto sostenere le parti che Beppe, suo marito, le ha cucito e continua a cucirle freneticamente addosso? La `Duse della danza’, la `Sarah Bernhardt’, il `monstre sacré’, liberty dalle corone umbertine e bambola di Kokoschka della Secessione viennese, Carla è Léa, “maternità impura di donna senza figli”, Rosina solare, Gelsomina surreale, Mila appassionata, metamorfosi di Orlando, Medea insanguinata, Zelda Fitzgerald che raccoglie e getta le lacrime con una mano che è la stessa che accompagna la curva del ventre gravido di una Filumena Marturano di segno espressionista. E anche la stessa che batte il suo dorso contro il palmo dell’altra mentre danza rapita e dolente l’ Ave Maria di Schubert: una danza Duncan. I meravigliosi assoli di Isadora li hanno e li stanno ricostruendo per lei i filologi Kenneth Archer e Millicent Hodson: si chiamano Patetica , Internazionale , Morte di Åse Ma chi è veramente Carla Fracci? Una che accosta a una fisicità evanescente e smaterializzata straordinarie doti di `tragédienne’, che ha vinto con fatica ogni ostacolo per identificarsi nella tecnica ferrea e apollinea di matrice Blasis-Cecchetti. Una che la vedi e pare un sogno, ma è anche una donna volitiva, caparbia, costante: «Il successo, che fatica! Noi qui, alle otto, siamo tutti in piedi». La danzatrice che ha ripetuto cento volte gli stessi ruoli sempre ricreandoli da dentro, facendoli più suoi perché potessero essere anche più nostri. Una creatura che con la stella c’è nata, e il Caso gliel’ha fatta scoprire. Lasciandole il compito di spogliarsi, potenziarsi e rimanere fedele a se stessa. Donna padana e artista planetaria.

Fanfulla

Luigi Fanfulla, figlio di Mercedes Mendlesi, detta `Diavolina’ sulle locande del varietà, considerato il più dotato della sua epoca. Eppure, curiosamente per scelta personale, rimase confinato in quel genere minore che ad altri comici era invece servito come palestra d’apprendimento e trampolino di lancio per la rivista vera e propria: da Totò a Rascel, da Fabrizi a Dapporto, da Tognazzi a Bramieri, da Taranto a Billi e Riva, tutti militarono per anni in avanspettacolo prima del salto in alto verso ribalte più prestigiose. Accanto a Fanfulla, vanno nominati altri talentuosi comici d’avanspettacolo rimasti tali: Fredo Pistoni, Vanni Romigioli, Mario Ferrero, Renato Maddalena, e una serie di fratelli: i Martana, i Bonos, i Maggio, i De Rege. Fanfulla, in un’intervista a Oreste del Buono del 1970, a proposito della sua carriera, ebbe a dire: «Io, che alla fine della guerra godevo di una popolarità immensa, mi sono visto superare da tanti in fama e guadagni. E allora qual è stato lo sbaglio? Per cominciare, credo che un qualche sbaglio ci sia stato nel nome. Lo conoscono tutti, d’accordo, ma forse è riduttivo. A Roma avevo zii, parenti vari in posti importanti. Mi occorreva uno pseudonimo. Restai incerto tra Fanfulla e Attila. E poi decisi per Fanfulla. Chissà, Attila avrebbe funzionato meglio. Va a sapere…». Nonostante il cognome non aveva nessun legame con i Visconti di Modrone lombardi, questo coincidenza, però suggerì uno scherzo all’autore di riviste Ruggero Maccari. Intervistato da un giovane e inesperto giornalista, rivelò che era in quel periodo intento alla stesura di un copione importante, commissionatogli nientemeno che da Visconti. Si trattava, ovviamente, di Fanfulla, ma il giornalista abboccò e attribuì al già famoso regista Luchino il proposito d’esordire in rivista.

Fanfulla comico d’una comicità surreale (come Rascel), che si presentava indossando giacche di colori impossibili, citava battute sapide prese a prestito dalle riviste d’umorismo “Marc’Aurelio” e “Bertoldo”, arricchiva i suoi spettacoli con ospiti a sorpresa: se attore di prosa, impegnato in un monologo; se cantante, nell’esecuzione di alcuni motivi di successo. Nel 1942, in compagnia ebbe Alberto Sordi nel ruolo di presentatore. E Sordi ricorda: «Ogni settimana un ospite. Una volta venne la Magnani, un’altra Fabrizi. Una sera presentai Federico Fellini e Giulietta Masina che, appena sposati, erano in viaggio di nozze. Li feci salire sul palcoscenico e invitai il pubblico a regalare loro, come dono di nozze, un bell’applauso. E gli spettatori si pelarono le mani a furia di batterle». Il settimanale di spettacolo “Otto” così giudicò Fanfulla: «Questa del cambiar vestito ad ogni quadro è una trovata che indubbiamente rende molto sul piano dello spettacolo: appena Fanfulla va fuori scena con il suo vestito celestrino, il pubblico resta lì ad aspettarlo al varco chiedendosi come riapparirà dopo; e dopo c’è il vestito rosa e poi quello verde smeraldo e quindi quello rosso fuoco, e arancione, e giallo, e indaco, e violetto. Una trovata spettacolare, come quella del passo addormentato, degli occhi socchiusi, del viso immobile, del lievissimo sorriso, della grattatina alla suola della scarpa, del sudore al gomito, dell’indice ribelle da ripiegare con mansuetudine. Mille trovate che fanno di Fanfulla un attore comico». Un attore consapevole del suo talento. Stava per fare compagnia con Wanda Osiris, e quindi stava per compiere il salto di categoria. Non accettò l’ordine di apparizione sul manifesto. Voleva: «Fanfulla presenta Wanda Osiris». Gli fu ribattuto: «Wanda Osiris presenta Fanfulla». Rifiutò. Al suo posto, venne chiamato Renato Rascel. Mai banale, neppure nei titoli degli spettacoli: Il romanzo di due orfanelle povere e due sergenti miserabili padroni delle ferriere: misteri di Parigi , un bigino di feuilleton firmato da Amendola e Mac (Ruggero Maccari), stagione 1946-47 al Valle di Roma. Nel cast, Mara Landi e il cantante Achille Togliani; scene di Onorato.

La stagione successiva, sempre al Valle (F. si muoverà poco da Roma) va in scena La favola di tutti i tempi di Sullin, con satira politica «non sempre di buon gusto». Ma in scaletta c’è anche un incontro di boxe tra donne. Sempre a Roma, nella stagione 1948-49, tre assi in concorrenza: Fanfulla varietà , Rascel varietà e Bustelli varietà , il mago dai mille trucchi. In Tante piccole cose , Roma 1950-51, con Fanfullaci sono Edmea Lari, la ‘spalla’ Carlo Rizzo e il ballerino Harry Feist. In Follie di primavera di Amendola e Mac, Fanfulla sdrammatizza la discesa in serie B della squadra calcistica Roma, recitando Er fattaccio sportivo (1951-52). Dopo anni di intenso e proficuo lavoro al servizio dell’avanspettacolo, F. risente anch’egli della crisi che attraversa quel genere, sconfitto da strip-tease, cabaret e commedie musicali. Nel 1965, va in scena Che donne, ragazzi! ; nella stagione 1967-68, un `superavanspettacolo’ firmato da Dino Verde e intitolato Divertentissimo . Stile e talento di F. furono esaltati in due film di Federico Fellini. Ne I clown , 1970, ma soprattutto in Satyricon (1969), rilettura trasgressiva dell’opera di Petronio. Nella debosciata Roma imperiale, F. fu il comico Vernacchio, ricalcato sull’iconografia dei mosaici che esprimeva una desolata, ambigua e grassa comicità. Ottenne per tale incisiva interpretazione il Nastro d’argento. «Sboccato, ilare con tristezza e amaro con risvolti giocosi», chiosò l’autorevole Pietro Bianchi.

Friel

Deve il suo successo teatrale a un sapiente sfruttamento delle tecniche del racconto breve, che risente peraltro della lezione di Cechov. Nei primi anni ’60 esordisce a teatro insieme ad autori come Murphy, Kilroy e Leonard e diviene con loro il simbolo della nuova generazione drammaturgica irlandese. L’emigrazione rappresenta per lui la piattaforma drammatica su cui esplorare i diversi stati di isolamento e d’angoscia ( The Loves of Cass McGuire , 1967; The Gentle Island , 1971; Aristocrats , 1979; Faith Healer , 1979). Il topos dell’esilio e l’emigrazione divengono nei suoi testi una condizione metafisica che colpisce la nuova generazione; all’interno della sfera individuale privata F. trova terreno fertile per indagare il divario tragico tra coscienza ed esperienza. Tra gli altri suoi lavori si ricordano: Philadelphia, Here I Come! , (1965), scritto in seguito alla sua esperienza di esilio formativo a Minneapolis; The Mundy Scheme , (1969); Living Quarters , (1977), un dramma basato sul mito di Fedra; Translations , (1981), sulla storia e le alterne fortune della lingua irlandese, che funge sia da soggetto sia da mezzo per stimolare nel pubblico la questione dell’identità nazionale. Tra i più recenti: Wonderful Tennesse , (1993), dove F. presenta la chiesa come un monumento decaduto e offre il teatro come spazio sacro sostitutivo; Dancing at Lughnasa , (1990), ridotto per il cinema da Frank McGuinness; e Molloy Sweeney , (1994).

farsa

La farsa è una forma drammatica di solito breve, a contenuto comico burlesco, di tono popolare. Dal latino farcire e con riferimento alle primitive forme ludiche, in particolare le fabulae atellanae, del teatro romano. Al tardo medioevo francese appartiene l’elaborazione di questa forma drammatica laica che si caratterizza come irruzione profana e goliardica all’interno dell’orizzonte sacro dei Misteri e delle Moralità. Espressione di una drammaturgia festiva legata alle celebrazioni del nascente ceto borghese, la farsa sia in Francia sia in Germania sviluppa secondo una prospettiva parodistica in un breve scenario la situazione di figure tipizzate appartenenti all’universo mercantile e commerciale. Tra le più note La farce de maître Pàthelin e La farsa di Carnevale leggiadra . Rimasta viva nella pratica scenica della goliardia accademica del Quattrocento (la parodia d’ambiente accademico pavese nota come Ianus sacerdos ) e nel Cinquecento, nella sperimentazione dialettale comica colta e popolare (le farse piemontesi dell’astigiano Alione, le ‘farse cavaiole’ del napoletano Caracciolo, le farse dei senesi della Congrega dei Rozzi, del padovano Ruzante e i lazzi farseschi della Commedia dell’Arte), la tradizione della farsa arriva fino a Molière – che esordisce a corte nel 1658 con la farsa Il dottore amoroso – e al vaudeville ottocentesco.

La farsa è la più diretta eredità della commedia dell’arte e sopravvive fino all’immediato dopoguerra nelle compagnie girovaghe specializzate (volgarmente note come ‘guitti’) che si distinguono per la recitazione enfatica o nei piccoli circhi, in cui gli artisti concludevano lo spettacolo con la ‘farsa finale’, attinta da un repertorio antichissimo e variata quotidianamente per attirare maggiore pubblico. I canovacci delle farse erano generalmente adattamenti di libretti d’opera o della letteratura teatrale, quando non materiale della commedia dell’arte contaminatosi nei secoli con tradizioni popolari successive, come ad esempio quella napoletana, dove l’influenza di artisti come Petito genera il talento di Viviani, Scarpetta e dei De Filippo. Il repertorio proprio della farsa sopravvive nelle compagnie di burattinai mentre l’unico circo che ancora oggi le rappresenti è l’Arena di Valerio Colombaioni, attiva nel Lazio. Efficaci testimonianze delle compagnie di f. si hanno nelle memorie di Petrolini o nella ricostruzione del teatro dei guitti data da Eduardo nel proprio film Fortunella (1958). Come riferimento di genere comico e popolare è entrata anche nel linguaggio delle avanguardie novecentesche, indicando uno stile più che una formula di genere; in questo senso, farsesco è il teatro di Dario Fo, o figure come quella di Totò che sono assunte, insieme al teatro di varietà e al teatro comico popolare, come elementi di contaminazione del lavoro di Leo de Berardinis.

Fontana

Dopo una fase dedicata principalmente all’astrattismo e a una certa geometrizzazione di matrice costruttivista, Lucio Fontana nell’immediato dopoguerra teorizzò lo spazialismo, con ben sette manifesti tra il 1947 e il ’53. La sua ricerca, incentrata principalmente sulla rappresentazione dello spazio, lo portò a realizzare tagli e buchi sulle tele, liberandolo da ogni definizione materica e da ogni vincolo di senso rinascimentale o naturalistico. Nel 1964, in seguito a un’opera intitolata Teatrini, Fontana sviluppò l’idea per una messa in scena del proprio stile, che lo spingerà a realizzare le scenografie per La scatola magica , in collaborazione con Pietro Consagra, Fabio Mauri e Giulio Turcato, e soprattutto le scene e i costumi del Ritratto di Don Chisciotte , balletto di Petrassi con la coreografia di A. Milloss (Scala 1967).

Franco B

Esponente di spicco della bodily art e resosi noto per alcune performances di natura sadomasochistica in cui si presenta nudo, imbrattato di sangue e un collaboratore sadico lo schiaffeggia su una sedia a rotelle, gli cuce la bocca, gli infila cateteri, lo percuote o lo appende con catene… Il corpo di F. B è violentato fino all’inverosimile e diventa qualcos’altro da sé, un simbolo e una proiezione di una natura umana alterata e reclusa nelle Istituzioni Totali in cui il dolore (il sangue che sgorga) da «suicidato della società» (Artaud) è l’unico tramite tra gli esseri umani. When I Grow up I Want to Be Beautiful (1994), Protect Me e Slush Puppy and Mama I Can’t Sing! sono i titoli di alcune sue performance.

Folco-Portner

Proviene, da parte di madre, da una grande famiglia italiana di circo il cui capostipite è Erminio (1869 – 1953) e i cui componenti la terza generazione, Erminio (1927), Alberto (1931), Luigi (1935 – 1998), Enrico (1940) e Amedeo (1942), si sono distinti nelle più varie discipline, dall’acrobatica a terra a quella equestre, dalla clownerie, all’ammaestramento di animali. Nata a Cipro, quando la famiglia era ingaggiata dai Konyot, la F.-P. a nove anni è già in possesso delle tecniche di base di danza e acrobatica, e inizia il lavoro sul cavallo. Ben presto realizza un passo a due, con il fratello e il cognato vestiti da arlecchini, che riscuote molto successo ed è scritturato dai principali circhi d’Europa. È l’unica donna del suo tempo in grado di eseguire il salto mortale a cavallo. La sua grazia e la sua eleganza recuperano la classica figura della ballerina a cavallo, che aveva ispirato pittori e poeti della belle époque. Appare nel film Trapezio (Carol Reed, 1956).

Ferrari

Paolo Ferrari debutta con la compagnia del Piccolo Teatro di Milano in Il corvo di C. Gozzi, per la regia di Strehler al IX Festival internazionale del Teatro alla Fenice di Venezia (1948) e nel ’49 è al Festival belga di Knokke-Le-Zoute nei Giganti della montagna (uno dei fantocci) e nel Corvo. Resta al Piccolo per la stagione 1949-50 (La famiglia Antropus di T. Wilder, Questa sera si recita a soggetto di Pirandello e Riccardo III di Shakespeare). Passa poi alla Gioi-Cimara-Bagni (1951, Sogno ad occhi aperti di Elmer Rice). Nel ’54 è con Alberto Bonucci in Senza rete , al Manzoni di Milano, con loro in uno spettacolo derivato da un’amplificazione del Teatro dei Gobbi (di cui Bonucci è stato un fondatore) ci sono Paolo Panelli, Marina Bonfigli, Anna Menichetti, Monica Vitti, Francesco Mulè, scene e costumi di Piero Zuffi e nel ’57 è nel Ballo dei ladri di J. Anouihl al Sant’Erasmo, diretto da G. De Bosio. Molta televisione poi il primo successo di rilievo in Anima nera di Patroni Griffi con la Compagnia dei Giovani, regia di De Lullo (1961). Sempre negli anni Sessanta è nella compagnia dei Quattro, diretto da F. Enriquez (Antonio in Il mercamte di Venezia e Guildestern in Rosencranz e Guildestern sono morti di T. Stoppard). In coppia con Ileana Ghione interpreta un discusso Rosmersholm di Ibsen, regista Mina Mezzadri. Votatosi al repertorio leggero, per alcuni anni è in ditta con Valeria Valeri con la quale stringe un sodalizio affiatatissimo  (Fiore di cactus di P. Barillet e J. P. Gredy,1981; Vuoti a rendere di M. Costanzo,1986; Sinceramente bugiardi e Senti chi parla , 1989 entrambi con la regia di G. Lombardo Radice). La tv gli offre in questi ultimi anni grande popolarità in fiction di tutto riposo.

Ferrara

Formatasi alla scuola di ballo del Teatro dell’Opera di Roma Diana Ferrara ne diventa prima ballerina nel 1972 ed étoile nel 1978. Devota in maniera particolare al repertorio classico interpreta i principali titoli dell’Ottocento (Il lago dei cigni, Don Chisciotte, Schiaccianoci) e balletti neoclassici moderni (La dama di picche di Roland Petit, Apollo Musagète di George Balanchine, Carmen – di Alberto Alonso). Congedatasi dal teatro nel 1988 si dedica con la sua compagnia Astra Roma Ballet, fondata nel 1985, alla coreografia (Incontri a colori ) e alla riproduzione dei grandi balletti classici nella loro edizione originale o in versione rinnovata.