espressionista

Il movimento artistico del teatro espressionista si sviluppa tra gli anni ’10 e ’20 in Germania e Francia e annovera tra i suoi maggiori esponenti Kokoschka e Kandinskij. Come l’impressionismo e il simbolismo, l’espressionismo nasce dalla reazione al naturalismo e al verismo di fine Ottocento e contrappone al materialismo di questi un’arte tesa all’assoluto, al soggettivismo estremo e a una sorta di irrazionalismo mistico. Nella sua forma teatrale, il rifiuto della realtà minuta e fattuale e l’enfasi stilistica portano a strutture drammatiche semplificate ed esemplari, di cui sono protagonisti non individui, ma tipi, caratteri, talora maschere indicate con nomi generici (il Padre, il Figlio, ecc.), nelle quali il rifiuto della psicologia e del chiaroscuro discorsivo porta a una parola tesa, vibrante, passionale, gridata più che parlata, con preferenze per il puro gesto e il monologo. Anticipato dall’opera di Wedekind e Büchner, l’espressionismo teatrale si articola in tre fasi: prima della prima guerra mondiale nasce a carattere etico-metafisico, con la mitologia degli istinti di Kokoschka (Il roveto ardente, 1911) e il misticismo religioso di Sorge (Il mendicante, 1912) e diviene più concreto nel dramma sociale Il figlio (1914) di Hasenclever. All’apocalisse bellica, ambigua nel suo dolore allucinato e nella sua esaltante suggestione, appartengono Guerra (1914) di Karl Hauptmann, Battaglia navale (1917) di Goering, Una stirpe (1917) del più rappresentativo von Unruh. Nel dopoguerra l’espressionismo teatrale si coniuga con alcune correnti razionaliste politicamente impegnate e predica l’avvento di un’umanità nuova, sorta dalle ceneri dell’abiezione in cui la nuova cultura della tecnica condanna l’uomo; nell’opera di Toller, tuttavia, (Hinkemann, 1923; Oplà, noi viviamo! , 1927) l’ultima stagione dell’espressionismo descrive con l’ausilio del linguaggio cinematografico, anche attraverso l’opera registica di Piscator, e in un linguaggio più realistico la miseria della vicenda umana, schiacciata da un destino astratto e terribile.

Elvin

Prokhorova; Mosca 1924), ballerina. Studia alla scuola del Bol’šoj. Solista del Bol’šoj nel 1944, si sposta a Londra l’anno successivo. Il primo ruolo con il Sadler’s Wells Ballet è quello della Principessa Florine nella nuova produzione de La bella addormentata al Covent Garden (1946). Danza in seguito tutti i ruoli da prima ballerina nei classici, rivelando il proprio notevole talento anche come Mugnaia nel Cappello a tre punte di Massine. Crea ruoli in Daphnis et Chloé , in Homage to the Queen e in Birthday Offering di Ashton, oltre a quello della Favorita ne La veneziana di Andrée Howard. Danzatrice di notevole fascino nonché di ragguardevole tecnica, si trasferisce in Italia dove, per un breve periodo, è direttrice del ballo al San Carlo di Napoli.

Efesto

Fondata nel 1984 a Catania dai coreografi e danzatori Donatella Capraro e Marcello Parisi, la compagnia Efesto si rivela vincendo nel 1985 il Concorso coreografico di Bagnolet con Il pozzo degli angeli, cui seguono diversi lavori come Humi Procumbere (1986), Harem (1988), Pietre (1993), Mater Odorosa (1996), L’occhio non è un organo fisso (1997), ai quali si affiancano creazioni per altre compagnie: Renard (Opera di Genova, 1986), Nei miei panni ravvolto (Balletto di Toscana, 1987), La sagra della primavera (Dennis Wayne Company, 1987), in cui si elabora un teatro di danza attento al rapporto con le arti visive e le altre tecniche interpretative dell’attore, la cui fisicità assume una forte valenza espressiva.

Ejfman

Si diploma all’Istituto coreografico di Kisinev. Dal 1970 al ’77 è coreografo presso il conservatorio di Leningrado. Nel 1977 fonda una sua compagnia, il Nuovo balletto di Leningrado, dal 1991 Teatro statale di balletto di San Pietroburgo. Dalla fine degli anni ’70 e per tutti gli anni ’80 incarna il modello di coreografo impegnato sempre al confine fra legalità e dissidenza; il suo stile magniloquente unisce alla base classica molti linguaggi contemporanei e esige dagli interpreti grandi capacità attoriali. Fra i suoi balletti L’idiota (1980), Una folle giornata (1982), La ventiduesima notte (1985), Il maestro e Margherita (1987), Il suicida (1991), Ciajkovskij , (1993) e Giselle rossa (1997), dedicato alla memoria di Olga Spessivtseva e ambientato fra la Russia sovietica degli anni ’20 e gli ambienti dell’emigrazione.

Enghibarov

Fra i migliori artisti circensi attivi in Urss nel dopoguerra, Enghibarov Leonid Georgevic nel 1959 si diploma in clownerie alla Scuola del circo di Mosca. Comincia a lavorare nel collettivo dell’Armenia, dove nel 1972 gli viene conferito il titolo di Artista del popolo. E. è uno dei primi clown moderni, che inserisce nelle proprie esibizioni fondamenti di mimo accanto a pure tecniche circensi. Per questo motivo la sua maschera è essenziale: trucco leggerissimo e costume semplice (salopette nera con una `bretella’ sempre slacciata). Dà grande importanza all’espressione facciale e al movimento del corpo, che padroneggia con utilizzo assai scarno dell’attrezzeria tradizionale del clown. La sua estetica comica viene definita ‘umana’: il suo personaggio si adatta alle circostanze mostrandosi di volta in volta triste o allegro, vigliacco o coraggioso, in una visione poetica del mondo a lui contemporaneo delle repubbliche dell’ex Urss. Valido acrobata e giocoliere, inserisce anche queste tecniche di base nel proprio repertorio di clownerie, che è vario e originale e che esegue anche in numerose tournée all’estero. Si distingue come attore teatrale di pantomima in I capricci di un clown . Interpreta vari cortometraggi comici. È autore di numerosi saggi sulla clownerie.

Edgar

Scrive i suoi primi lavori ( The National Interest , Rent , Caught in the Act , 1971-72) per `The General Will’, compagnia teatrale agit-prop basata su principi di agitazione e propaganda, derivati dai lavori degli anni ’30 di J. Littlewood e E. McColl. Basati su criteri d’efficacia prettamente politici e non teatrali, disegnati per incontri pubblici, picchetti o rappresentazioni di strada, dunque privi di scenario, ricchi di immagini dirette, strutturati in brevi sequenze episodiche, sono lavori che presentano tematiche d’immediata attualità e interesse per un pubblico di lavoratori. Adottando il medesimo impianto formale, Lay-By (1971) e England’s Ireland (1972) sono rivolti a un pubblico più ampio, e scritti da E. in collaborazione con altri drammaturghi fra cui Brenton e Hare. Di tutti questi lavori, in continuo aggiornamento e ricchi di improvvisazioni, sono pochi i testi sopravvissuti. Visti i limiti del teatro agit-prop, E. sviluppa presto un nuovo stile drammaturgico, che combina insieme particolari naturalistici ad elementi dell’agit-prop, realizzando Destiny (1976). Tra gli altri suoi lavori merita particolare menzione l’adattamento di Nicholas Nickleby (Royal Shakespeare Company, 1980): che più che un adattamento del romanzo dickensiano, un dramma su Dickens e una critica alla sua moralità sociale. In seguito E. approda al `community festival’ realizzando lavori del tipo di Entertaining Strangers (1985; adattato per il National Theatre nel 1987), scritti per attori non professionisti reclutati tra la popolazione del luogo allo scopo di rivitalizzare la comunità generando in modo diretto una coscienza sociale. Si ricordano ancora Mary Barnes (1978), Teendreams (1979), May Days (1983) e infine uno dei suoi lavori di successo più recenti: Pentecost (Rsc, 1994).

Ek

Fedele ai due grandi amori della sua vita – la danza e il teatro -, ma forse anche a un’idea dell’essere artista che presuppone ciclici cambiamenti di prospettive, di metodi, e un’inesauribile curiosità, Ek Mats è uno dei coreografi più importanti e influenti della sua generazione nell’ambito della danza narrativa . Figlio d’arte, secondogenito della celebre coreografa Birgit Cullberg e di Andreas Ek, noto attore svedese, si accosta alla danza moderna e in particolare alla tecnica Graham, grazie all’insegnamento di Donya Feuer, maestra all’Accademia di danza di Stoccolma. A diciassette anni forma, assieme al fratello Niklas, una piccola compagnia che interpreta i balletti della Cullberg nei parchi di Stoccolma, e al termine degli studi superiori, che compie alla scuola popolare di Marieborg nei pressi della città di Norrköping, si cimenta in una pièce del teatro nô, Kagekyio , che nel 1966 riesce a portare in scena al Teatro delle Marionette di Stoccolma. È l’inizio di un coinvolgimento nell’attività teatrale che non verrà mai meno. A un secondo allestimento – un Woyzeck di Büchner a cui partecipa il fratello Niklas nel ruolo del protagonista (ancora per il Teatro delle Marionette) – e alla realizzazione delle scene d’azione di Troilo e Cressida e del Coriolano , fa seguito, nel 1969, la sua assunzione come assistente regista e coreografo al `Dramaten’, il Teatro reale di Stoccolma. Il primo successo personale arriva con la messa in scena di Karlson sul tetto di Astrid Lindgren, romanziera svedese celebre per i suoi libri per ragazzi (come Pippi calzelunghe ). Quindi mette in scena l’ Andromaca di Racine, Il testamento di Tolstoj di Arne Tørnqvist e Romeo e Giulietta di Shakespeare, ma accetta anche l’ingaggio come assistente regista di un nuovo Woyzeck diretto da Ingmar Bergman.

Tra i suoi successivi allestimenti (Sogno di una notte di mezza estate per il Conservatorio svedese di arte drammatica, Una notte di febbraio di S. Goethens per il Teatro di Norrköping, L’ombra di Hjalmar Bergman per la televisione svedese) spiccano due regie d’opera: L’uccello di Sven-Erick Baecks e Paride ed Elena di Gluck. Nel 1973, all’età di ventisette anni, decide di abbandonare la brillante carriera già avviata in teatro per dedicarsi a tempo pieno alla danza. Non si tratta di un ritorno repentino, ma di un graduale riaccostamento all’esercizio fisico quotidiano (accelerato dall’entusiastica partecipazione alle prove di uno dei tanti riallestimenti di West Side Story di Jerome Robbins) che gli consentirà, dapprima, di entrare nelle file del Cullberg Ballet, e quindi di interpretare, da protagonista, alcune coreografie della compagnia di allora, tutte opere della madre Birgit: Adamo ed Eva , Euridice è morta e Sul limitare del bosco . Versatile e curioso, collabora per una stagione (1974-75) con l’Opera di Düsseldorf e stabilisce contatti, in seguito continuamente rinnovati, con il Nederlands Dans Theater. Nel 1976 firma la sua prima coreografia per il Cullberg Ballet, L’attendente (musica di Bartók), ritornando per la terza volta, con successo, al tema del Woyzeck . Nello stesso anno firma San Giorgio e il drago , in cui interpreta la parte del protagonista e crea per la madre Birgit un travolgente assolo di `madre primitiva’ che inserisce nel balletto Soweto (1979): il racconto, a tinte forti, di un tumulto razziale nella disperata periferia di Johannesburg in Sudafrica. In Bernarda Alba (1978), tratto dal celebre dramma di García Lorca, trasforma il conflitto sociale del precedente balletto in conflitto familiare e di sentimenti individuali e di entrambe le problematiche si avvale, nel 1982, per allestire la sua toccante versione moderna di Giselle. Questo classico del repertorio romantico è il primo di una serie di rivisitazioni ottocentesche ( Il lago dei cigni , 1987; Carmen, 1992 e La bella addormentata , allestita nel 1996, prima per il Balletto di Amburgo e poi per il Cullberg Ballet, a cui si unisce l’idea di un Don Chisciotte) che gli valgono il successo internazionale e l’invito delle maggiori compagnie classiche tradizionali, oltre alla meritata fama di coreografo-drammaturgo, in grado cioè di rivisitare i libretti ottocenteschi e di trasformarli in racconti attuali, ambientati per lo più nel nostro secolo e con forti motivazioni etiche, sociali e psicologiche, ma senza intervenire, se non con rapidi ritocchi, sulle partiture musicali originali.

È indicativo il fatto che a queste rivisitazioni (affiancate, nel 1984, da una non riuscita versione nipponica della Sagra della primavera di Stravinskij), E. abbia messo mano, sia durante gli anni della codirezione artistica del Cullberg Ballet (1980-85), accanto alla madre, che durante il periodo in cui diventa coreografo unico e direttore artistico (1985-1993) della compagnia e persino oltre, quando torna ad essere un free-lance (lasciando orfano il Cullberg Ballet, che tuttavia mantiene in repertorio gran parte delle sue creazioni ed è depositario del suo stile di danza accademico-moderno). Oltre ai classici, il suo repertorio include, tra l’altro,The Park e Grass (1987), As Antigone (1988), Old Children (1989), Pointless Pastures (1992), She Was Black e lo straordinario duetto Smoke (musica Arvo P&aulm;rt), creato per Sylvie Guillem e Niklas Ek, anche in versione video (1995), e ancora Solo for Two e Sort of (1997) allestito per il Nederlands Dans Theater. Di nuovo interessato al teatro, allestisce, come regista-drammaturgo, i suoi stessi testi ( On Malta del 1996, una pièce liberamente tratta da Christopher Marlowe, e Giovanna d’Arco del ’97) in cui spesso la parola, riservata agli attori, e la danza, interpretata da ballerini a lui fedelissimi, come la moglie-musa, Ana Laguna, o il fratello Niklas, coabitano. Segno distintivo delle sue coreografie dal segno robusto, solido e naïf (come tutte le scenografie dei suoi balletti anche firmate dalla sorella pittrice, Karin Ek) è che l’essere umano vi emerge simultaneamente a tre livelli: terrestre, extra-terrestre e spirituale, in un vortice di danza espressiva, portatrice di messaggi poetici e ironici, spesso, ma senza retorica, anche umanitari.