Casorati

Il primo impegno teatrale di C. fu La vestale di Spontini, allestita per il Maggio musicale fiorentino del 1933. In quel periodo l’artista era giunto, dal purismo volumetrico degli anni Venti, dominato da una dialettica di scansioni e contrasti prospettici, a una maggiore emotività dello spazio architettonico; in seguito, l’elemento descrittivo dei bozzetti verrà sempre più semplificato dall’artista. Nelle scenografie per il balletto La follia di Orlando di Petrassi (Scala 1947) C. realizzò una composizione di grandi pannelli dipinti, collocati in un ampio spazio: un progetto che egli definì, in uno scritto sul proprio lavoro teatrale, «le scene che ho dipinto con maggiore convinzione»; puntualizzava anche come il balletto fosse la forma teatrale che più lo entusiasmava, per la relazione «meno utilitaristica» tra musica e pittura, e perché lo scenografo vi si trovava «meno costretto a quelle concessioni realistiche» dalle quali, col tempo, tendeva ad allontanarsi. Le scenografie per Norma di Bellini, sempre per il Maggio musicale (1935), segnano un momento particolarmente riuscito: per la dinamica visiva, colta nel variare delle soluzioni prospettiche da un atto all’altro; i colori perlacei delle scene, che stemperavano il rigore geometrico in effetti di risonanze emotive; i costumi, racchiusi in una volumetria che riduceva al minimo i dettagli dei movimenti, e che voleva realizzati «con stoffe opache e rigide, mai con seta, raso o velluto e soprattutto mai con stoffe leggere e trasparenti», né «troppo variopinti e tormentati da dettagli». Didone e Enea di Purcell, del 1949, con la nota ultima scena composta nel fondo dalla struttura alternata di mura e vele, dove si levava la prua altissima di una nave rossa, e dieci anni dopo l’ Elektra di R. Strauss nell’edizione diretta da Mitropulos, col forte cromatismo espressionista, concludono la sua collaborazione al Maggio fiorentino. Tra gli altri lavori ricordiamo le scenografie per la Scala: La donna serpente di Casella (1942), dove all’unità del tono grigio pietra dello spazio architettonico, che risuscita la memoria di Appia, fa da contrasto il rosso spettacolare dei drappeggi; Fidelio di Beethoven (1949) e Il principe di legno di Bartók (1951).