Baseggio

Veneziano di famiglia, educazione, studi, anche se nato a Treviso, Baseggio Cesco abbandonò giovanissimo e all’improvviso lo studio del violino, alla vigilia della Grande guerra, per cimentarsi in una filodrammatica diretta da Gianfranco Giachetti, fiorentino di nascita ma veneziano di elezione. Fu lo stesso Giachetti, alla fine del primo conflitto mondiale, a fargli abbandonare il `posto fisso’ nel frattempo ottenuto alle Ferrovie, scritturandolo nella `Ars Veneta’ da lui stesso costituita. Dopo un triennio accanto a Carlo Micheluzzi – con cui avrebbe più volte riformato compagnia – il non ancora trentenne Baseggio si cimentò come capocomico, per poi partecipare all’ambiziosa quanto sfortunata avventura del Teatro di Venezia diretto dal commediografo Guglielmo Zorzi e poi dal suo collega Alberto Colantuoni. Alla fine degli anni ’30 il nome di B. era già assurto a simbolo dell’attore goldoniano per antonomasia, grazie anche ai memorabili spettacoli estivi organizzati dalla Biennale di Venezia nei campi e campielli della città, e più tardi al Teatro Verde nell’isola di San Giorgio. Con le regie di Renato Simoni, Giorgio Strehler, Carlo Lodovici, l’ultimo dei grandi interpreti del teatro di lingua veneta svariò dal Sior Todero brontolon a ll bugiardo , da Le baruffe chiozzotte a Il campiello , da I rusteghi a La putta onorata , da La casa nova a Chi la fa, l’aspetta. In quello stesso fervido periodo B. fu attratto dalla drammaturgia del Ruzante, riuscendo a rendere intelligibile, con accorte variazioni personali, l’arduo `snaturale’ della parlata `pavana’ e a trasmetterne la sotterranea poesia. Così prepotente fu il redivivo Ruzante di B. da essere ritenuto dalla maggioranza dei critici all’altezza del suo insuperato Pantalone. Strepitoso Paròn Fortunato nelle goldoniane Baruffe , B. sublimò i laceri panni del contadino «vegnù da campo», ovvero del reduce protagonista del Parlamento , e le sanguigne personificazioni del vendicativo Bilòra (nell’omonima commedia) e del berteggiato villano che nella Moscheta osa cimentarsi con un soldataccio bergamasco che gli ha sequestrato la moglie. Se Goldoni e Ruzante furono i due grandi amori dell’esule in patria, stroncato da un infarto nella lontana Catania, memorabili sono rimaste anche le sue interpretazioni del disilluso Miciel in La famegia del santolo di Giacinto Gallina, del Sior Tita paròn e di Se no i xe mati no li volemo di Gino Rocca, dei prediletti Tramonto , Congedo , La vedova , Carlo Gozzi di Renato Simoni. Ebbe anche in repertorio commedie di Eugenio Ferdinando Palmieri, Enzo Duse, Carlo Lodovici, Arnaldo Boscolo, avendo di volta in volta al suo fianco Elsa Merlini, Toti Dal Monte, Cesarina Gheraldi, Elsa Vazzoler, Wanda Benedetti, Marina Dolfin e la frizzante nipote Luisella, troppo presto ritiratasi dalle scene.