Pirandello, Luigi

Drammaturgo, romanziere e poeta, Luigi Pirandello è uno dei massimi esponenti della letteratura italiana del Novecento.

Drammaturgo, romanziere e poeta, Luigi Pirandello è uno dei massimi esponenti della letteratura italiana del Novecento. Con Henrik Ibsen e August Strindberg ha rivoluzionato il dramma moderno in tutti i suoi aspetti, divenendo uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi.

Il teatro di Luigi Pirandello

Sin dai primi scritti, Luigi Pirandello affianca alla propria produzione narrativa l’attività per le scene, che contribuisce a consacrare la sua fama fino al premio Nobel del 1934. La vocazione per la scrittura teatrale è assai precoce in lui: l’atto unico L’epilogo è del 1892 (poi in scena come La morsa) e Il nibbio del 1895, ripresa poi nel 1916 dalla compagnia milanese di Marco Praga, con il nuovo titolo Se non così. Ed è proprio in questi anni che Pirandello si orienta in maniera decisa verso l’attività di drammaturgo.

La fase del teatro siciliano: Liolà, Il berretto a sonagli e La giara

Nel 1916 l’incontro con Nino Martoglio e Angelo Musco sarà determinante per la sua carriera di drammaturgo. All’invito del catanese Nino Martoglio corrisponde, infatti, la riduzione teatrale della novella Lumìe di Sicilia. Cui fanno seguito Pensaci, Giacomino!, Liolà, Il berretto a sonagli e La giara. Queste opere, appartenenti alla fase del “teatro siciliano”, vedono Pirandello lavorare a stretto contatto con l’attore Angelo Musco, e in costante interscambio con novelle e capitoli di romanzo, che spesso costituiscono la base per l’invenzione drammaturgica vera e propria.

La collaborazione con Musco fu molto sofferta, ma fondamentale per far capire a Pirandello cosa volesse dire scrivere per un attore. La lezione gli serve quando comincia a scrivere per capocomici come Virgilio Talli o per attori come Ruggero Ruggeri. A loro si deve la messinscena e l’interpretazione di Così è (se vi pare), al Teatro Olympia di Milano, e di Il piacere dell’onestà, al Teatro Carignano di Torino.

La fase umoristica: La patente, Ma non è una cosa seria e Il giuoco delle parti

Nel 1917 Pirandello inaugura con Così è (se vi pare) e Il piacere dell’onestà la fase “umoristica” della propria produzione. Attraverso una scrittura che si richiama al teatro da salotto di Ibsen, Pirandello innesta il suo tema centrale, quello del conflitto vita e forma. All’interno delle trame consuete inserisce delle riflessioni che finiscono per corrodere dall’interno la vicenda drammatica e per far prevalere il ragionamento e la visione paradossale di alcuni personaggi.

All’interno di questi drammi assume un’importanza fondamentale la figura del raisonneur, il personaggio che guarda dall’esterno la vicenda. Si fa portavoce della voce dell’autore, osservando la realtà che lo circonda spesso con una sottigliezza eccessiva, fino a diventare esasperante e a suscitare inquietudini negli altri personaggi.

Tra il 1918 e il 1919, troveranno la via del palcoscenico: La patente, Ma non è una cosa seria, Il giuoco delle parti. Sono opere in cui troviamo una prospettiva fortemente critica nei confronti delle convenzioni borghesi, che poggia su alcuni elementi ricorrenti che l’autore porta al massimo livello espressivo nell’unica opera da lui stesso definita “tragedia”, ovvero l’Enrico IV del 1922.

Una svolta nel teatro di Luigi Pirandello: Sei personaggi in cerca d’autore e il metateatro

L’anno dopo è quello dei Sei personaggi in cerca d’autore, al Teatro Valle di Roma (clamorosa caduta) e al Teatro Manzoni di Milano (clamoroso successo).

Assistiamo alla terza svolta significativa nel teatro pirandelliano, quella del metateatro. Come si vede nella trilogia che ai Sei personaggi in cerca d’autore fa seguire Ciascuno a suo modo nel 1924 e Questa sera si recita a soggetto nel 1930, il conflitto tra forma e vita viene trasposto oltre la “quarta parete” scenica, analizzando la possibilità stessa di una finzione separata dalla vita, nella distanza incolmabile tra ciò che i personaggi sono e ciò che sono chiamati ad essere in scena.

Nel 1922, Ruggeri interpreta Enrico IV, mentre a Londra, in versione inglese, qualche mese prima erano stati recitati i Sei personaggi. È l’inizio della rapida diffusione all’estero del teatro pirandelliano. Nel 1923, Crémieux traduce i Sei personaggi per la celebre messinscena di Pitoëff. Nel medesimo anno, la direzione del Fulton Theater di New York invita Pirandello per una serie di rappresentazioni del suo repertorio e intitola la stagione: Pirandello’s Theater. 

Il teatro dei miti: La nuova colonia, Lazzaro e I giganti della montagna

Dopo la trilogia del teatro nel teatro la radicale innovazione che Luigi Pirandello ha apportato a tutto il linguaggio teatrale del tempo, si chiude nella quarta fase, quella dei “miti”. Qui Pirandello, scegliendo esplicitamente ambientazioni mitico-favolistiche, pare proiettare la propria riflessione in una dimensione “altra”, utopica ed immaginifica. Il motivo profondo dei tre miti pirandelliani è l’evasione: evasione nell’utopia politica (La nuova colonia), nella fede religiosa (Lazzaro), nell’arte (I giganti della montagna). In nessuno dei tre lavori l’evasione ha successo, ma ciò che conta, per il drammaturgo, è il tendersi a una dimensione alternativa, verso quell’oltre a cui guardano tante sue pagine.

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Yourcenar, Marguerite

Marguerite Yourcenar ha lasciato una traccia indelebile non solo nella storia letteratura d’Oltralpe, ma anche nella narrativa mondiale.

Marguerite Yourcenar è stata una scrittrice e poetessa francese. Il suo romanzo più noto, Memorie di Adriano, vide la luce dopo un lungo decennio di difficoltà e di privazioni e la consacrò definitivamente al successo di critica e di pubblico. Tutta la sua produzione letteraria è caratterizzata dai temi ricorrenti dell’esistenzialismo e della morte, con escursioni nella critica e nella saggistica.

Marguerite Yourcenar, l’amore per le lingue classiche e le prime opere

Nata a Bruxelles nel 1903, Marguerite de Crayencour si dimostra fin da bambina una lettrice precoce, interessandosi a soli otto anni alle opere di Jean Racine e Aristofane. A dieci anni impara il latino e a dodici il greco. All’età di diciassette anni, da poco trasferitasi a Nizza, Marguerite pubblica sotto lo pseudonimo di Marguerite Yourcenar, anagramma del suo vero nome, il suo primo libro di poesie.

Nel 1924, in occasione di un viaggio in Italia, visita per la prima volta Villa Adriana. Alloa iniziò la stesura dei primi Taccuini di note di Memorie di Adriano. Il suo primo romanzo, Alexis o il trattato della lotta vana, è del 1929.

Marguerite Yourcenar libri: il successo di Memorie di Adriano

Seguono anni di viaggi in Europa e negli Stati Uniti, paese in cui si trasferisce nel 1939. Negli Stati Uniti insegna letteratura francese e storia dell’arte. Inizia così un decennio di privazioni, che ella stessa definirà più tardi come il più difficile della sua vita. Questo periodo si conclude con la pubblicazione delle Memorie di Adriano, sicuramente il suo capolavoro.

Nel 1974 pubblica il primo volume della storia della sua famiglia, Care memorie, di cui Archivi del Nord costituisce il seguito cronologico. Nel 1981 viene eletta, prima e unica donna, tra gli «Immortali» dell’«Académie Française»..

I testi per il teatro

Nota soprattutto per la sua attività di romanziera, Marguerite Yourcenar ha tuttavia realizzato una breve serie di opere teatrali. Le dialogue dans le marecage (1930), Feux (1936), Electre ou la chute des maques (1943), La petite sirène (1943), Le mystère d’Alceste (1963, prima versione nel 1943), Rendre à César (adattamento del romanzo Denier du rêve ), Qui n’as pas son Minotaure? (1963, prima versione nel 1960). Chiamata a definire la propria attività drammaturgica e a motivare la scelta frequente di affidare i propri lavori a compagnie minori, o addirittura di dilettanti, Yourcenar ha affermato di considerare il teatro un’attività solo quantitativamente secondaria rispetto alla scrittura in prosa. Il teatro rappresenta in forma esplicita e diretta il gusto per le voci, per la sonorità del narrato che ha accompagnato tutta la sua attività di scrittrice e non ha importanza che a dare vita a questi testi siano voci note di attori affermati.

Il teatro della Yourcenar va inteso, nelle parole dell’autrice, come la realizzazione sulla scena di un labirinto di monologhi o di dialoghi “allo stato puro”. Lo stesso stile netto ed essenziale dei romanzi è dunque riprodotto dai suoi testi teatrali. Anche i temi essenziali dei romanzi vengono riproposti nei testi teatrali, quando non ne sono una trasposizione diretta. La cultura classica osservata dall’interno attraverso il filtro del vissuto dei personaggi, la ricerca ferma della verità, la morale stoica, intrisa di venature protestanti.

Sola variante, La petite sirène operina da camera scritta all’inizio dell’esilio volontario negli Stati Uniti. Come ha avuto modo di dichiarare l’autrice stessa, La petite sirène ha costituito un vero e proprio spartiacque tra la vita condotta prima del 1940, incentrata soprattutto sull’umano, e quella successiva al 1940, in cui l’essere umano si muove sullo sfondo del tutto.

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Xirgu, Margarita

Margarita Xirgu si affermò tra le migliori attrici comiche, ma fu anche insuperabile tragica della scena catalana.

Margarita Xirgu è stata un’attrice teatrale spagnola naturalizzata uruguaiana. Dotata di straordinaria versatilità, di sensibilità acutissima e di grande spontaneità di espressione, si affermò ben presto tra le migliori attrici comiche, ma fu anche insuperabile tragica della scena catalana.

Margarita Xirgu, una vita per il teatro

Formata una propria compagnia, Margarita Xirgu recitò dapprima al Teatro Principal di Barcellona, dove interpretò Mariana Pineda di García Lorca con scenografia di Salvador Dalí (1927). Da quel momento iniziò una stretta collaborazione sia col poeta granadino, di cui mise in scena tutte le opere più importanti, sia con altri giovani autori anticonformisti.

Il sodalizio con Federico García Lorca

Grazie al suo sodalizio con Federico García Lorca, Margarita Xirgu interpretò numerosi dei suoi lavori teatrali. Il suo repertorio vastissimo e una cultura di largo respiro le consentirono interpretazioni di una vasta gamma di personaggi.

Durante la guerra civile si trasferì in America Latina, continuando a recitare opere di García Lorca. Definitivamente esiliata dal 1939, visse in Argentina, Cile e Uruguay. A Buenos Aires interpretò Lo spauracchio di R. Alberti (1944) e La casa di Bernarda Alba di Lorca (1945).

A Montevideo diresse il Teatro Nazionale, promuovendo un ampio repertorio di autori classici e moderni. Fondò la Scuola municipale d’arte drammatica che formò intere generazioni di attori.

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Orson Welles

Considerato uno degli artisti più versatili e geniali del Novecento, Orson Welles ha da sempre tentato di stupire il suo pubblico.

Orson Welles è stato un attore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense. Considerato uno degli artisti più versatili e geniali del Novecento, ha da sempre tentato di stupire il suo pubblico. Che si trattasse di gettare il panico leggendo via radio La guerra dei mondi di H. G. Wells o di realizzare a soli 25 anni uno dei più grandi film della storia della settima arte, Quarto potere.

Orson Welles in teatro e in radio

Genio eccessivo e precoce, Orson George Welles esordisce in teatro all’età di sedici anni, interpretando la parte del duca di Wurtemburg in Süss l’ebreo, al Gate Theatre di Dublino. Inizia da qui il suo viaggio verso notorietà. Dopo le prime difficoltà incontrate per riuscire a lavorare sulle scene di Londra e Broadway e dopo una serie di viaggi in giro per il mondo, Welles riesce ad entrare nella compagnia di Katherine Cornell. Debutta così a 19 anni a Broadway in un Romeo e Giulietta nel ruolo di Tibaldo.

La sua versione radiofonica di La guerra dei mondi di H.G. Wells nel 1938 crea involontariamente un’ondata di panico nazionale. Il fatto denuncia, agli occhi dei più attenti osservatori della società di massa, le potenzialità manipolatorie dei media sulle reazioni emotive e sui comportamenti collettivi.

Prima di investire nel cinema le sue eccezionali risorse, firma due controversi spettacoli, che fecero scalpore e lo resero famoso poco più che ventenne: un Macbeth `voodoo’ interpretato da attori neri per il Negro People’s Theatre di New York nel 1936. E, l’anno dopo, un Giulio Cesare trapiantato nell’Italia fascista per il Mercury Theatre, da lui fondato con John Houseman.

Orson Welles a Hollywood: Quarto potere e L’orgoglio degli Amberson

Ormai famoso, Welles viene scritturato dalla compagnia cinematografica RKO, con la quale stipula un contratto a dir poco incredibile per un regista esordiente come lui. Welles potrà produrre, dirigere, scrivere e interpretare due film per 225.000 dollari oltre ad una percentuale dei profitti e, soprattutto, in totale libertà.

Orson Welles inizia la produzione di Quarto Potere, considerato uno dei film più belli della storia del cinema, la cui regia innovativa ha influenzato intere generazioni di registi.

Quarto potere di Orson Welles
Quarto potere di Orson Welles

Da allora la sua carriera fu una lotta incessante tra un talento artistico smisurato e le logiche asfissianti dell’industria cinematografica. Nel 194 esce L’orgoglio degli Amberson, disconosciuto dall’autore stesso perché la produzione tagliò quarantatré minuti di pellicola montandone una nuova versione senza la supervisione del regista che, con risentimento, abbandonò Hollywood per andare in Europa.

Il Macbeth e l’addio a Hollywood

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Welles ritorna alla regia con Lo Straniero, prodotto dal produttore indipendente Sam Spiegel e con La Signora di Shangai in cui spicca la splendida interpretazione di Rita Hayworth (all’epoca ancora sua moglie).

Nel 1948 esce Macbeth il primo film della trilogia dedicata a Shakespeare seguito dall’ Otello del 1952 e dal Falstaff del 1966. Ma il Macbeth si rivela l’ennesimo insuccesso commerciale e allontana quasi definitivamente Welles da Hollywood.

Otello di Orson Welles
Otello di Orson Welles

I riconoscimenti arrivano invece dal Vecchio Continente: l’Otello, film girato in tre anni, abbandonato e ripreso più volte per una serie di incredibili disavventure, tra produttori falliti e sequestri dei negativi, vince il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes. Nel 1958 è la volta di un altro capolavoro, L’Infernale Quinlan, rimontato contro i voleri del regista. Nel 1963 Welles gira Il Processo tratto dal romanzo di Kafka.

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Ubaldi, Marzia

Dopo aver mosso i primi passi al Piccolo Teatro di Milano, Marzia Ubaldi ha avuto una brillante carriera da doppiatrice e attrice.

Marzia Ubaldi è un’attrice, cantante e doppiatrice italiana. Dopo aver mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo al Piccolo Teatro di Milano, ha avuto una brillante carriera da doppiatrice, attrice teatrale e televisiva. Numerosissime le sue interpretazioni teatrali, fra le quali vanno ricordate Il gabbiano, Le tre sorelle, La donna serpente.

Marzia Ubaldi al Piccolo Teatro di Milano

Dopo essersi diplomata dalla Scuola del Piccolo di Milano, Marzia Ubaldi debutta nella compagnia dello Stabile nel 1960 con La congiura di Giorgio Prosperi diretta da Luigi Squarzina, che poi la scrittura allo Stabile di Genova. Inizia così una brillante carriera di attrice teatrale, televisiva, cinematografica e di doppiatrice.

A Spoleto recita in I carabinieri di Joppolo nell’unica regia teatrale di Roberto Rossellini. Dopo una pausa decennale, torna al palcoscenico con Lupi e pecore di Ostrovskij, regia di Sciaccaluga e con L’orologio americano di Arthur Miller. Con Alberto Lionello interpreta la seconda edizione del musical Ciao Rudy. Si dedica quindi a una intensa attività di doppiatrice, mentre a teatro fa compagnia con il marito Gastone Moschin (Delitto all’isola delle capre di Ugo Betti). Fra gli ultimi spettacoli L’impresario delle Smirne di Goldoni con la regia di Missiroli.

La carriera da doppiatrice e in televisione

Negli anni Sessanta ha avuto anche una breve carriera come cantante, incidendo tra l’altro per la Karim; la Ubaldi incise la prima versione di La ballata dell’amore cieco, scritta per lei da Fabrizio De André.

Oltre ad aver dato voce come doppiatrice a molte famose attrici straniere, come Judi Dench, Maggie Smith, Anne Bancroft, Gena Rowlands, Vanessa Redgrave, Jeanne Moreau, ha anche interpretato diverse pellicole cinematografiche, come Il medico delle donne (1962), o Controsesso (1964), di Marco Ferreri.

In televisione ha partecipato a numerosi sceneggiati televisivi e fiction come Giallo sera, Nero Wolfe, La coscienza di Zeno, Incantesimo, Elisa di Rivombrosa, o le sitcom Professione fantasma e 7 vite.

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Marisa Minelli

Totò

Con la sua recitazione esilarante e la sua comicità a tratti surreale,Totò fu tra gli attori più amati del 900.

Totò, pseudonimo di Antonio De Curtis, è stato un attore, commediografo e sceneggiatore italiano. Tra i più famosi e amati attori italiani del Novecento, con la sua recitazione esilarante e la sua comicità a tratti surreale, ha rappresentato l’incontro tra la grande tradizione della commedia dell’arte, la spontaneità dell’avanspettacolo e l’anima malinconica della città di Napoli.

Totò, lo “scugnizzo” del rione Sanità

Totò, il cui vero nome era Antonio De Curtis, nacque a Napoli nel 1898. Fu cresciuto dalla madre in povertà nel popolare rione Sanità e concluse a fatica gli studi liceali. Si appassionò, invece, agli spettacoli di strada e al teatro dialettale napoletano, e ben presto, grazie al suo innato talento comico, si cimentò in esilaranti imitazioni attingendo al repertorio di artisti già affermati.

Dal 1917 lo troviamo a Roma, al teatro Jovinelli con un repertorio di imitazioni. Già da allora si esibisce in quel personaggio di marionetta disarticolata che diventerà un suo vero e proprio marchio. Tra il 1920 e il 1925 frequenta il palcoscenico dei principali caffè-concerto italiani, sempre con un repertorio di macchiette e parodie. Sembra fosse alla Sala Umberto la prima apparizione di Totò in quella che doveva diventare con gli anni la sua divisa. Bombetta malandata, redingote frusta e nera, pantaloni a righe, ma corti sulle caviglie, a scoprire certe inverosimili calze colorate. Totò aveva inventato delle macchiette che erano a metà tra il comico di avanspettacolo e il clown. Dal repertorio più tradizionale dei clown aveva ricavato infatti quella sua marionetta che pian piano si insinuò, trasformandosi, in molte sue apparizioni.

Dal teatro popolare al cinema d’autore

Nel 1926, accanto a Isa Bluette, è per la prima volta in rivista e lavora con Mario Castellani, che sarà la sua spalla di sempre. La sua popolarità è in ascesa, nel 1931 e nel 1932 partecipa a spettacoli di varietà e, finalmente, nel 1933, diventa capocomico e agisce con la sua formazione nell’avanspettacolo.

Il pubblico di Totò è un pubblico popolare che il comico porta all’entusiasmo e al delirio con doppi sensi, lazzi, trascinanti marce sulla scena, con la golosa ferocia infine della sua volgarità. Il pubblico popolare arriva di slancio a capire la genialità di Totò; per il pubblico borghese, invece, non solo ci vuole più tempo, ma serviranno anche illustri mediazioni. I primi ad accorgersi del potenziale di Totò (per poi sfruttarlo in cinema) furono Carlo Ludovico BragagliaCesare Zavattini.

Film Totò: il successo cinematografico con Totò, Peppino… e la malafemmina

Il successo cinematografico arrivò con I due orfanelli (1947) di Mario Mattoli, dieci anni dopo l’esordio in Fermo con le mani! di Gero Zambuto. Presto Totò dimostrò di saper far esplodere la comicità del suo personaggio, sia in film più leggeri – 47 morto che parla (1950) di Carlo Ludovico Bragaglia, Totò a colori (1952) di Steno e Mario Monicelli, Siamo uomini o caporali? (1955), Totò, Peppino… e la malafemmina (1956) e Tototruffa ’62(1961) di Camillo Mastrocinque; sia in opere più complesse, come Napoli milionaria (1950) di Eduardo De Filippo, Guardie e ladri (1951) di Steno e Monicelli, I soliti ignoti (1958) di Monicelli, sino al poetico Uccellacci e uccellini (1966) di Pier Paolo Pasolini.

Totò e Peppino in La Banda degli onesti
Totò e Peppino in La Banda degli onesti

L’avanspettacolo e il teatro di rivista

Ma il suo mondo più vero era il teatro. Lui stesso dichiarava che il pubblico, la sua presenza, gli dava una carica e voleva la sala abbastanza illuminata per vederlo, rispondergli, recitare per lui. Quando tornò a teatro, alla fine del 1940, l’avanspettacolo era già tramontato, sostituito dalla “rivista“. In un’Italia appena entrata in guerra e sotto la ferrea censura del fascismo, Totò debuttò al teatro Quattro Fontane di Roma insieme a Mario Castellani e una mirabile scatenata Anna Magnani in Quando meno te l’aspetti di Michele Galdieri. Totò strinse con Galdieri un sodalizio da cui presero vita Quando meno te l’aspetti, Volumineide, Orlando Curioso, Con un palmo di naso e Che ti sei messo in testa.

Proprio quest’ultima rivista creò problemi al comico napoletano, che dopo le prime rappresentazioni al teatro Valle di Roma, venne dapprima intimorito con una bomba all’entrata dal teatro, poi denunciato dalla polizia, insieme ai fratelli De Filippo. Si segregò in casa fino al 4 giugno, il giorno della liberazione della capitale.

Gli spettacoli del dopoguerra

Il 26 giugno riprese a recitare: tornò al teatro Valle con la Magnani nella nuova rivista Con un palmo di naso, in cui diede libero sfogo alla sua satira impersonando il Duce (sotto i panni di Pinocchio), e Hitler, che dissacrò ulteriormente dopo l’attentato del 20 luglio 1944, rappresentandolo in un atteggiamento ridicolo, con un braccio ingessato e i baffetti che gli facevano il solletico, e mandando l’intera platea in estasi.

Alla stagione 1947-48 risale C’era una volta il mondo: Totò al suo massimo, lo sketch del manichino, la carica dei bersaglieri, lo sketch inimitabile del vagone letto che dagli otto minuti di durata iniziale si dilatò, per la felicità del pubblico, fino a tre quarti d’ora. Nel 1949 Bada che ti mangio alternava a fastosi quadri coreografici lunghe scenette o monologhi di uno straordinario Totò, che stava per lasciare la rivista a favore del cinema. Più di trenta film in sei anni e, infine, un ritorno in palcoscenico, questo davvero l’ultimo, con la straordinaria rivista A prescindere nella quale il grande Totò recuperava il suo passato e rievocava i suoi migliori sketch e personaggi. 

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Alberto Sordi

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Vittorio Gassman

Sordi, Alberto

Alberto Sordi fu un perfetto esempio della commedia all’italiana e rappresentante di spicco della romanità.

Alberto Sordi fu uno dei più grandi interpreti della storia del cinema italiano, perfetto esempio della commedia all’italiana e rappresentante di spicco della romanità. Attore estremamente versatile, ha partecipato a circa 160 pellicole. Tra i film più rappresentativi della sua carriera cinematografica ricordiamo Un americano a Roma, I vitelloni, Il marchese del Grillo, La grande guerra, Lo sceicco bianco, Un borghese piccolo piccolo, Il vedovo, Il vigile, Il medico della mutua.

Alberto Sordi biografia: dalla gavetta all’incontro con Fellini

Alberto Sordi nasce il 15 giugno 1920 a Roma. Ultimo figlio di un professore di musica e di una maestra delle scuole elementari, coltiva la sua passione per la recitazione fin dalla tenera età e canta come soprano nel coro di voci bianche della Cappella Sistina. Nel 1936, Sordi incide un disco di fiabe per bambini per la casa discografica Fonit. Il ricavato di questa esperienza lavorativa gli consente di partire per Milano, dove si iscrive all’Accademia dei filodrammatici, da cui fu espulso a causa del suo accento romanesco.
Torna quindi a Roma l’anno successivo, lavorando come comparsa a Cinecittà. Straordinario attore di cinema, emblema dell’italiano medio e mediocre, ricettacolo di vizi e virtù del borghese piccolo piccolo, Alberto Sordi debutta nell’avanspettacolo e varietà, dove incrociò il suo destino con quello di Federico Fellini che lo scelse per i suoi primi film.

Film di Alberto Sordi: il successo degli anni Cinquanta

Dopo Lo sceicco bianco (1952) di Fellini, Alberto Sordi recita in I vitelloni (1953), Un giorno in pretura (1953), Un americano a Roma (1954) e Piccola posta (1955). In questi film assume il ruolo del ragazzo approfittatore, vigliacco, indolente e scansafatiche. E arriva così il grande successo, rendendo il volto di Sordi uno dei più conosciuti dagli spettatori italiani.

Con l’avvento della commedia all’italiana dà vita a una serie di personaggi che, secondo la critica, sono assimilabili all’italiano medio. Queste figure sono tendenzialmente prepotenti coi deboli e servili coi potenti. Da ricordare anche il suo ruolo in Bravissimo (1955) di Luigi Filippo D’Amico, in Venezia, la luna e tu (1958) di Dino Risi e in Il vedovo (1959) sempre di Dino Risi.

I ruoli drammatici e l’approdo alla regia

Negli anni Sessanta si verifica una svolta: Alberto Sordi si cala in ruoli drammatici, oltre che comici. Vanno ricordate le sue interpretazioni in La grande guerra (1959), Tutti a casa (1960), Una vita difficile (1961), Il boom(1963), Il medico della mutua (1968). Nel 1972 si aggiudica l’Orso d’argento al Festival di Berlino per il suo ruolo in Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy.

Alberto Sordi e Monica Vitti in Aiutami amore mio
Alberto Sordi e Monica Vitti in Aiutami amore mio

Nel 1966 Alberto Sordi esordisce come regista con Fumo di Londra e Scusi, lei è favorevole o contrario?. Dirige poi altre sedici pellicole, delle quali in tre è anche co-protagonista insieme a Monica Vitti: Amore mio aiutami (1969), Polvere di stelle (1973) e Io so che tu sai che io so (1982).  Memorabili pure Un italiano in America (1967) e Finché c’è guerra c’è speranza (1974).

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Rodari, Gianni

Attraverso racconti, filastrocche e poesie, divenute in molti casi classici per bambini, Gianni Rodari ha contribuito a rinnovare profondamente la letteratura per ragazzi.

Gianni Rodari è stato uno scrittore, insegnante e giornalista. Attraverso racconti, filastrocche e poesie, divenute in molti casi classici per bambini, ha contribuito a rinnovare profondamente la letteratura per ragazzi. Fu uno fra i maggiori interpreti del tema “fantastico” nonché, grazie alla Grammatica della fantasia, uno fra i principali teorici dell’arte di inventare storie. Tra le sue opere maggiori si ricordano Filastrocche in cielo e in terra, Il libro degli errori, Favole al telefono, Il gioco dei quattro cantoni, C’era due volte il barone Lamberto.

Gianni Rodari, il maestro della fantasia

Gianni Rodari è nato a Omegna nel 1920. Dopo la guerra inizia la sua carriera da giornalista e collabora per numerose pubblicazioni, tra cui “L’Unità”, il “Pioniere”, “Paese Sera”. Negli anni Cinquanta comincia a dedicarsi alla scrittura per l’infanzia: scrive racconti, favole, cura rubriche e libri per ragazzi, lavora come autore televisivo di programmi per l’infanzia.

Nel 1950 lasciò Milano per Roma, dove fondò e diresse, con Dina Rinaldi, il giornale per ragazzi “Pioniere”, con cui collaborò per una decina d’anni, fino alla cessazione della pubblicazione. In tale periodo fondò il campeggio estivo dei Pionieri, con sede prima a Sestola e poi a Castelluccio di Porretta Terme.

Gianni Rodari poesie e filastrocche

Stringe una intensa collaborazione con Giulio Einaudi Editori che con Editori Riuniti pubblicava i suoi libri, apprezzati anche all’estero e tradotti in molte lingue. Tra le sue opere più significative: Le avventure di Cipollino, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Filastrocche in cielo e in terra, Favole al telefono, Il libro degli errori, C’era due volte il barone Lamberto.

Alcuni suoi testi per l’infanzia, tra i quali la celeberrima Ci vuole un fiore, vengono musicati da Sergio Endrigo e da altri cantautori.

Negli anni Sessanta e Settanta Rodari ha partecipato a conferenze e incontri nelle scuole con insegnanti, bibliotecari, genitori, alunni. E proprio dagli appunti raccolti in una serie di questi incontri ha visto la luce, nel 1973, Grammatica della fantasia, che è diventata fin da subito un punto di riferimento per quanti si occupano di educazione alla lettura e di letteratura per l’infanzia.

Favole in teatro

Le storie di Gianni Rodari dedicate all’infanzia hanno spesso conosciuto una riduzione per il teatro (è stata questa la sorte, tra le altre, di C’era due volte il barone LambertoFavole al telefonoLa freccia azzurraIl sole neroLa grammatica della fantasia).

Tra i lavori specificatamente pensati per il teatro si trovano Le storie di re Mida (Torino, teatro Carignano 1967), Le avventure di Cipollino (Milano, circolo Brecht 1973), Il paese dei 99 cani (Roma, Teatro del Pavone 1975), Avventura con il televisore (Enna, scuola elementare 1975), Caccia a Nerone(Terranova Bracciolini 1976), Marionette in libertà (Palermo, scuola elementare `Arcoleo’ 1976), La storia di tutte le storie (La Spezia, centro Allende 1976), Le farsefavole (Bologna, parco della Montagnola 1976), Gip nel televisore (Venezia Lido, La Perla del Casinò 1977), La gondola fantasma (Agerola, Napoli, 1981), Quando la terra girava (in collaborazione con V. Franceschi, 1981), Gli esami di Arlecchino (1996). La gran parte della produzione teatrale di Rodari è contenuta in due libri: Le storie di re Mida (1983) e Gli esami di Arlecchino (1987).

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Quattrini, Paola

Da énfant prodige a regina delle commedie brillanti, la carriera di Paola Quattrini è costellata di successi.

Da énfant prodige a regina delle commedie brillanti, la carriera di Paola Quattrini è costellata di successi. Ha in particolare recitato nelle commedie della ditta “Garinei e Giovannini”, oltre a un repertorio che include pièce di Sartre, Pasolini e Tennessee Williams.

Paola Quattrini biografia: gli esordi tra grande e piccolo schermo

Paola Quattrini debutta nel mondo dello spettacolo a soli quattro anni nel film Il bacio di una morta di Guido Brignone. Pochi anni dopo affianca Corrado nella trasmissione radiofonica “Cavallo a dondolo” e a dieci anni è a teatro con la trasposizione di Il potere e la gloria di Graham Greene, per la regia di Luigi Squarzina.

A quindici anni frequenta le cantine romane interpretando Tanti fiammiferi spenti di Luciani, che le vale l’appellativo di `ninfetta del teatro di prosa’ dell’epoca.

La regina delle commedie brillanti

Nel 1968 è Jessica in Le mani sporche di Sartre allo Stabile di Torino, recita Pirandello in Diana e la Tuda, ma nelle sue corde c’è soprattutto il repertorio brillante, con titoli come Il gufo e la gattina al fianco di Walter Chiari, Due sull’altalena con Corrado Pani, La papessa Giovanna (1973) di Josè Quaglio con Andrea Giordana, Non è per scherzo che ti ho amato di Fabbri (1977) con Carlo Giuffrè. Lavora quindi con Ernesto Calindri, Stefano Satta Flores, e quasi tutti i grandi del teatro d’intrattenimento.

Con Stefano Santospago è protagonista di A piedi nudi nel parco (1982). Negli anni ’70 la troviamo in molte commedie prodotte dalla Rai direttamente per il piccolo schermo. Nel 1987 è con Dorelli nel musical Se devi dire una bugia dilla grossa. Poi, nel 1988 con Bramieri nel delizioso Una zingara mi ha detto. Nel 1993 torna a un testo impegnativo interpretando Affabulazione di Pasolini con la regia di Ronconi.

Paola Quattrini nelle vesti di doppiatrice e conduttrice

Al cinema è stata diretta da Vittorio Gassman in Di padre in figlio (1982) e con lo stesso Gassman recita in uno dei suoi ultimi film: La bomba (1999). Nel 1993 vince il Nastro d’Argento alla migliore attrice non protagonista per l’interpretazione di Lea in Fratelli e sorelle di Pupi Avati.

Anche doppiatrice, ha dato la voce, tra le altre a Halle Berry e Milla Jovovich. In tv partecipa a sceneggiati di successo e conduce con Johnny Dorelli il varietà “Finalmente venerdì” nel 1989.

Nel 2003 il presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi le conferisce l’onorificenza di Commendatore della Repubblica Italiana, per una vita dedicata al cinema, alla televisione e al teatro.

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Milva

Gemelle Kessler

Marisa Minelli

Neruda, Pablo

Poeta dell’amore per eccellenza, ma anche uomo politico e militante, Pablo Neruda è stato tra le più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento.

Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, è stato un poeta, tra le più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento. Poeta dell’amore per eccellenza, ma anche uomo politico e militante, nel 1971 vince il Premio Nobel per la Letteratura. Tra le sue opere più importanti vi sono Residenza sulla terra, I versi del Capitano, Cento sonetti d’amore, Canto generale, Odi elementari, Stravagario, Le uve e il vento, il dramma Splendore e morte di Joaquin Murieta e il libro di memorie Confesso che ho vissuto.

Pablo Neruda poesie: i primi anni e gli esordi letterari

Nato nella cittadina di Parral nel 1904, Pablo Neruda già da adolescente scoprì il suo amore per la scrittura senza però essere incoraggiato a continuare.

Il suo primo poema La canzone della festa viene pubblicato quando aveva 17 anni. Nel 1920 il giovane non decise di adottare lo pseudonimo di Pablo Neruda in onore del poeta ceco Jan Neruda. Un anno dopo si trasferì a Santiago, dove sperava di cambiare vita diventando un insegnante.

La sua passione per la poesia, però, lo spinse a desistere e a pubblicare le sue prime raccolte in versiCrepuscolario, seguito a distanza di un anno da Venti poesie d’amore e una canzone disperata. Una raccolta di poesie d’amore di stile modernista ed erotico, motivo che spinse alcuni editori a rifiutarlo. Successivamente si dedicò alla carriera diplomatica. Come console del Cile vive per alcuni anni in Oriente, esperienza che lo ispira a scrivere Residenza nella terra.

La guerra di Spagna e la poesia politica

Allo scoppio della Guerra civile spagnola, anziché mantenersi neutrale, come diplomatico, si schierò con la Repubblica contro i franchisti e per questo venne destituito. La partecipazione alla Guerra civile spagnola segnò il passaggio alla poesia sociale e politica con la raccolta La Spagna nel cuore.

Nel 1945 viene eletto senatore in Cile nella lista del Partito comunista, ma tutto cambia quando il candidato ufficiale del Partito Radicale per le elezioni presidenziali, Gabriel González Videla intraprende una dura repressione contro i minatori in sciopero nella regione di Bío-Bío, a Lota, nell’ottobre 1947. La disapprovazione di Neruda culmina in un discorso davanti al Senato cileno, chiamato in seguito Yo acuso, dove legge l’elenco dei minatori tenuti prigionieri.

Videla emana un ordine d’arresto contro Neruda, costringendo il poeta ad una fuga di 13 mesi. Dovette lasciare il Paese e, durante il lungo esilio, fu anche in Italia, dove scrisse I versi del capitano e Le uve e il vento.

Nel 1971 ricevette il Premio Nobel per la Letteratura; poi già sofferente per una grave malattia, ritornò a Santiago, dove morì il 23 settembre 1973. Dopo la sua morte uscirono le sue memorie, Confesso che ho vissuto.

Pablo Neruda drammaturgo: Splendore e morte di Joaquin Murieta

Il teatro non è stato sicuramente al centro delle attenzioni di Pablo Neruda. Di fatto il suo contributo si riduce ad una sola opera, Splendore e morte di Joaquím Murieta bandito cileno giustiziato in California il 23 luglio 1953. Scritta da Neruda nel 1966, fu allestita a Santiago, presso l’Istituto del Teatro dell’Università del Cile, nel corso dell’anno successivo, con la regia di Pedro Orthous e le musiche di Sergio Ortega. La pièce è incentrata sulla figura del diseredato contadino sudamericano, che ottiene la gloria con il suo martirio, diventando il simbolo di tutti i popoli che lottano per la libertà. Il primo allestimento italiano si è tenuto al Piccolo Teatro di Milano, a cura di Patrice Chéreau, nel corso della stagione 1969-70.

Nel 1972, con adattamento e regia di Adriano Musci, è stato rappresentato Pelleas e Melisande, recital di ballate, canzoni e poesie di Pablo Neruda.  Nel 1964 Neruda ha effettuato la traduzione di Romeo e Giulietta che, nel corso dello stesso anno, è stata messa in scena a Santiago.

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Fernando Pessoa

Jacques Prévert

Federico García Lorca

Milva

Milva è una delle poche cantanti italiane ad aver lavorato sia nel mondo della musica leggera che nell’impegnato teatro di Brecht e Strehler.

Milva, pseudonimo di Ilvia Maria Biolcati, è stata una cantante e attrice teatrale, protagonista della musica italiana negli anni Sessanta e Settanta. I suoi 50 anni di carriera l’hanno portata su alcuni dei palchi più prestigiosi del mondo, dalla Scala al Piccolo Teatro di Milano dallo Châtelet all’Opéra di Parigi, fino alla Carnegie Hall a New York. Ad oggi detiene il record di artista italiana con il maggior numero di album realizzati in assoluto, ben 173, ed è una delle poche cantanti italiane ad aver lavorato sia nel mondo della musica leggera che nell’impegnato teatro di Brecht e Strehler.

Milva canzoni: da Sanremo al Piccolo teatro

Milva, inizia giovanissima a cantare nelle balere del basso ferrarese con il nome d’arte Sabrina, e lì viene notata per la sua grinta e la sua straordinaria voce. Dopo aver trionfato in un concorso di voci nuove della Rai nel 1959, arrivando prima su ben 7600 partecipanti con le canzoni Acque amare di Carla Boni e Dicembre m’ha portato una canzone di Nilla Pizzi, comincia ad incidere per la Cetra, la casa discografica di Stato, partecipando al Festival di Sanremo 1961, nel quale arriva terza con Il mare nel cassetto. Alla competizione sanremese parteciperà poi, nel corso della sua lunga carriera, undici volte.

Nel 1962 interpreta il suo primo filmLa bellezza d’Ippolita con Gina Lollobrigida. Ma è la carriera di cantante che procede a gonfie vele, incidendo prima in Germania nel ’62 il disco Liebelei e poi in Italia nel ’63 Canzoni da cortile, seguito l’anno dopo da Canzoni da tabarin. Grazie anche alla vicinanza di Maurizio Corgnati, che sposa nel ’61, alterna all’attività nel mondo della canzone commerciale, anche l’impegno in un repertorio di canzoni della tradizione popolare italiana, che nel ’64 culmina nello spettacolo Canti della libertà, che l’anno dopo presenta sempre con Arnoldo Foà al Lirico di Milano, invitata da Paolo Grassi. È lì che la nota Giorgio Strehler.

Il sodalizio Milva – Strehler

Il regista dirigerà Milva in due recital, Poesie e canzoni di Bertolt Brecht e Ma cos’è questa crisi. Ancora Strehler nel ’68 le cucirà addosso il recital Io, Bertolt Brecht, che le darà un successo europeo. Nello stesso anno ha il suo vero e proprio debutto teatrale come attrice, nel Ruzante diretto da Gianfranco De Bosio.

L’anno successivo segue Strehler transfuga dal Piccolo Teatro di Milano, e nel Teatro Azione da lui diretto è tra le interpreti di La cantata del mostro lusitano di Peter Weiss; ma ancora nel ’69 partecipa al festival di Sanremo e alla commedia musicale Angeli in bandiera di Garinei e Giovannini, a dimostrazione della versatilità del suo talento e della sua voce. Nel ’70 si esibisce per la prima volta alla Carnegie Hall di New York.

L’addio alla musica leggera

Il ’73 può essere considerato un anno di svolta: ancora Strehler la sceglie per il ruolo di Jenny delle Spelonche in L’opera da tre soldi. Da questo anno abbandonerà sempre di più il mondo della musica leggera per specializzarsi in un repertorio di grandi autori: nel ’75 canta Io, Bertolt Brecht n.2, nel ’78 è alla Piccola Scala in Diario dell’assassinata di Gino Negri e al Regio di Torino in Orfeo all’inferno di Offenbach, nel ’79 interpreta Io, B.B., n.3 e nell’82 è alla Scala per La vera storia di Luciano Berio. Nell’84 alla Bouffes du Nord, il teatro di Peter Brook, è insieme ad Astor Piazzolla in El tango.

In teatro torna nell’86 a Parigi con Giorgio Strehler per l’edizione francese dell’Opera da tre soldi con uno straordinario successo personale, cui seguirà un’esperienza non così felice con la Lulu di Wedekind diretta da Giancarlo Sepe. Tra le sue interpretazioni più recenti, La storia di Zazà nel ’93 diretta ancora da Sepe, e nel ’95 Tosca, ovvero prima dell’alba di T. Rattigan, spettacolo interrotto tragicamente per la morte del deuteragonista Luigi Pistilli.

Nel ’95 è anche la volta di un nuovo recital di canzoni brechtianeNon sempre splende la luna, che porta in giro per il mondo, per tre anni. Tra le altre attività recenti, la partecipazione al film Celluloide di Lizzani (1995) e al documentario di Werner Herzog sulla vita di Carlo Gesualdo da Venosa. Nel ’97 con la regia di Filippo Crivelli mette in scena una nuova versione del recital El tango de Piazzolla.

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Virna Lisi

Gemelle Kessler

Marisa Minelli

Lisi, Virna

La vita e la carriera di Virna Lisi, l’attrice italiana che rifiutò Hollywood per tornare in Italia.

Virna Lisi, nome d’arte di Virna Pieralisi, è stata un’attrice italiana. Nella sua carriera ha collezionato sei Nastri d’argento, quattro David di Donatello, il premio come migliore interpretazione femminile a Cannes e il titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Una carriera costellata di successi che l’hanno condotta fino al tempio del cinema, a Hollywood, per poi prendere la decisione di tornare in Italia.

Virna Lisi biografia: i precoci passi nel mondo del cinema e della pubblicità

Virna Lisi trascorre l’infanzia a Jesi, in provincia di Ancona, fino a quando il padre commerciante non decide di trasferirsi con tutta la famiglia a Roma. A 17 anni inizia la sua carriera nel cinema grazie a un famoso amico di famiglia che la nota per il portamento e la bellezza. Recita in diversi film commerciali per poi lavorare prima coprotagonista con Marisa Allasio e poi con Alberto Sordi.

Ma è con la pubblicità che raggiunge la popolarità nazionale, nel 1957, a 21 anni, dove in Carosello presenta un dentifricio il cui slogan è ancora conosciuto, e ai tempi un vero tormentone nazionale: “con quella bocca può dire ciò che vuole”.

Virna Lisi, un’antidiva a Hollywood

È il 1957 e l’attrice sempre più apprezzata, recita in diversi sceneggiati per la Rai: Orgoglio e PregiuzioOttocento e in alcuni film in costume molto in voga ai tempi dove si fa notare per il portamento elegante. Viene notata anche da Giorgio Strehler che la vuole al Piccolo di Milano nei Giacobini. Lavora a teatro anche per Michelangelo Antonioni.

Nonostante sia sempre stata un’antidiva, riservata e schiva, la sua immagine diventa sempre più conosciuta. Lisi è un’attrice che buca lo schermo come poche, ma è anche professionale e di talento. Nel 1964 è al fianco di Alain Delon nel Tulipano nero di Christian Jaque.

Viene quindi chiamata ad Hollywood dove lavora per diversi anni. Recita in Come uccidere vostra moglie, U 112 – assalto al Queen Mary, Due assi nella manica. Ma la attrice non ama il cliché che lo star system americano vuole darle e sceglie di rinunciare a ruoli importanti.

Il ritorno in Italia

Lisi torna quindi in Europa dove riprende a lavorare in importanti produzioni italiane e straniere. Nel 1989 vince il Nastro d’Argento con il film di Luigi Comencini Buon Natale, Buon anno; successo che ripete nel ruolo di Caterina De’ Medici nella Regina Margot di Patrice Chèreau, che le regala la Palma d’Oro a Cannes. Nel 1996 recita nel film Va dove ti porta il cuore, mentre nel 2002 è diretta da Cristina Comencini in Il più bel giorno della mia vita. Nel 2009 ha ricevuto il David di Donatello alla carriera.

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Milva

Gemelle Kessler

Marisa Minelli

Kessler, Alice ed Ellen

Gli esordi e la carriera di Alice ed Ellen Kessler.

Alice ed Ellen Kessler, note anche come le Gemelle Kessler, sono un duo artistico tedesco, che ha avuto grande notorietà in Italia a partire dagli anni Sessanta. Native di Nerchau, cittadina della Sassonia, con il loro “Da-da-umpa”, “Pollo e champagne” e “La notte è piccola”, hanno conquistato una popolarità straordinaria nei più noti programmi televisivi della RAI.

Gemelle Kessler, gli esordi in RAI e il successo

Da sempre il varietà televisivo ha pescato i suoi protagonisti sui palcoscenici del varietà, dell’avanspettacolo, della commedia musicale. Rari, recenti e non sempre fortunati i tragitti inversi. Diversa la sorte toccata alle gemelle Kessler. Nel gennaio 1961 il decennio televisivo si apre sulle loro gambe leggendarie. Le Kessler sostengono i funzionari RAI addetti al buoncostume, propongono un erotismo “freddo”, che non emoziona e non turba, teutonico e perciò nordico quanto basta. Protagoniste di Giardino d’inverno e poi di Studio Uno, fastoso e prestigioso varietà del sabato sera di Antonello Falqui, le Kessler, con il loro “Da-da-umpa”, “Pollo e champagne” e “La notte è piccola”, conquistano una popolarità straordinaria.

Prendono parte a numerose trasmissioni di prestigio dell’epoca, come La prova del nove e Canzonissima, dando vita a una nutrita discografia costituita da 45 giri. Negli anni Settanta diradano le loro apparizioni televisive, recitando in teatro in commedie musicali di Garinei e Giovannini.

Le gemelle Kessler dal varietà televisivo al teatro

Nella stagione 1967-68 Garinei e Giovannini scritturarono le gemelle Kessler per la loro commedia musicale più astratta e pirandelliana, Viola, violino e viola d’amore. Dove il violino era il marito, la viola era la moglie e la viola d’amore era l’amante. Non si trattava però del solito triangolo: il protagonista, Enrico Maria Salerno (sottratto dalla prosa, come Mastroianni per Ciao, Rudy era stato rubato al cinema) era il marito d’una bella-bionda-tedesca, programmata e freddina, prevedibile e noiosetta. Sogna un’amante dalle stesse fattezze della moglie, ma più calda e passionale. E quando la moglie freddina si adegua, l’insoddisfatto marito torna a sognare la noiosetta-programmata. Nel cast, anche Pippo Franco, segnalato dal coautore del copione, Luigi Magni, che l’aveva visto in un cabaret.

Tutti i quadri dello spettacolo seguivano un’ideale traccia musicale: ouverture, suite, rondò capriccioso, concerto da camera, toccata e fuga. Ma c’era anche un fantasioso rumoresque. Il copione finì in tribunale, accusato di plagio dal commediografo francese Félicien Marceau, autore di una pièce da poco in scena a Parigi. Ma Garinei e Giovannini dimostrarono facilmente che l’idea della donna `sdoppiata’ era antica quanto il teatro.

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Milva

Elena Giusti

Joyce, James

Maestro del flusso di coscienza, James Joyce esordisce come poeta e drammaturgo, ma passerà al secolo come romanziere.

James Joyce esordisce come poeta e drammaturgo, ma passerà al secolo come romanziere, autore di Ritratto dell’artista da giovane, Gente di Dublino, Ulisse e La veglia di Finnegan. È considerato il maestro del romanzo del flusso di coscienza, lo stream of consciousness novel, narrazione in forma di monologo interiore che trasmette le sensazioni più profonde dell’io basandosi sui procedimenti “illogici” propri dell’inconscio, della fantasia e del sogno.

James Joyce biografia: la formazione e le prime opere

James Joyce nacque il 2 febbraio 1882 a Dublino. Fin dall’adolescenza Joyce si appassiona alla letteratura e in particolare a due scrittori contemporanei: Ibsen, i cui drammi mettevano a nudo falsità e ipocrisie della vita borghese, e Yeats, rappresentante della letteratura nazionalista irlandese. Nella sua formazione letteraria rientrano anche lo studio dell’Odissea e della Divina Commedia dantesca.

Il 1904 rappresenta un anno di svolta per Joyce, sia sul piano personale che professionale: il 16 giugno 1904 (giorno in cui si svolgerà l’epopea di Leopold Bloom nell’Ulisse) Joyce conosce Nora Barnacle che diventa la sua compagna di vita e da cui avrà due figli. In quello stesso anno tentò di pubblicare Ritratto dell’artista da giovane, ma senza successo. Continuerà a lavorarci per parecchi anni, cambiando il titolo in Stephen Hero, ma senza essere convinto del risultato. Fino all’effettiva pubblicazione dell’opera nel 1916 con il titolo originale The Portrait of the Artist as a Young Man.

L’esilio volontario e l’amicizia con Italo Svevo

Insieme a Nora nel 1904 James Joyce partì per una sorta di esilio volontario, andando a lavorare a Pola (allora territorio austriaco) come insegnante di inglese agli ufficiali austro-ungarici. Nel 1909 tornò a Dublino per cercare di pubblicare la sua raccolta di racconti Dubliners: era solo l’inizio di una lunga diatriba editoriale che lo ricondurrà a Dublino nel 1912 per l’ultima volta.

Nel frattempo, da Pola si era trasferito a Trieste dove aveva stretto grande amicizia con un suo studente, Ettore Schmitz (Italo Svevo), che gli fu amico, critico e gli servì anche da modello per il protagonista dello Ulysses, Leopold Bloom.

Gli ultimi anni tra Zurigo e Parigi

Nel 1915 si spostò a Zurigo dove entrò in contatto con grandi intellettuali, uno fra tutti Ezra Pound. Lo scrittore lo introdurrà a Harriet Shaw Weaver, un’editrice femminista che diventerà sua mecenate permettendogli di smettere di lavorare per dedicarsi solo alla scrittura. Riuscirà così a scrivere la pièce intitolata Exiles, a concludere il Portrait of the Artist as a Young Man e a iniziare Ulysses. Alla fine della guerra Joyce decise comunque di tornare a Trieste, non più come insegnante ma come artista a tempo pieno.

L’Ulisse di James Joyce
L’Ulisse di James Joyce

Nel 1920 accettò poi un invito da parte di Ezra Pound a recarsi a Parigi, dove resterà per il resto della sua vita pubblicando lo Ulysses e dedicandosi poi alla scrittura di Finnegans Wake, che richiederà ben 17 anni.

James Joyce drammaturgo

Il suo interesse per il teatro appartiene soprattutto alla fase giovanile, quando recita in gruppi filodrammatici. 

Il suo acceso interesse per Ibsen, da lui considerato genio supremo, lo spinge a imparare il norvegese per leggere le sue opere, ma soprattutto per entrare in corrispondenza con lui. Nel 1918 viene pubblicato quello che rimarrà il suo unico testo teatraleEsuli, dramma influenzato dalla passione ibseniana, scritto tra il 1914 e il 1915 e messo in scena per la prima volta a Monaco nel 1919, in cui i personaggi tentano di sfuggire alle convenzioni morali della tradizione e a un asfissiante passato.

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Luigi Pirandello

Stefan Zweig

Ibsen, Henrik

Henrik Ibsen fu l’inventore del teatro del salotto borghese e padre della drammaturgia moderna.

Henrik Ibsen è stato un drammaturgo, poeta e regista teatrale norvegese, considerato il padre della drammaturgia moderna. L’opera di Ibsen segnò la fine del teatro romantico e l’affermazione del dramma borghese, esercitando una profondissima influenza sulla produzione dei più importanti autori del Novecento. Tra i suoi testi più noti Brand, Peer Gynt, Un nemico del popolo, Cesare e Galileo, Casa di bambola, Hedda Gabler, Spettri, L’anitra selvatica e La casa dei Rosmer.

Henrik Ibsen biografia: le prime fasi della carriera

Henrik Ibsen fu l’inventore del teatro del salotto borghese. L’approdo al dramma borghese, però avviene solo dopo una prima fase in cui Ibsen ha modo di esercitare la funzione di drammaturgo per i teatri di Cristiana. Questo periodo gli consente di approfondire la drammaturgia contemporanea francese, impadronendosi dei meccanismi di scrittura e svelandone i limiti.

Alcuni viaggi nell’Europa del sud concorrono a sviluppare in lui una grandissima conoscenza delle tematiche e delle tecniche di scrittura teatrale dell’epoca. Così, nella sua prima serie di testi, che vanno da drammi storici a poemi drammatici, coniuga la novità della sua ispirazione con le conoscenze pregresse.

Gli anni di Bergen

L’attività di drammaturgo inizia nel 1848 con il dramma, Catilina, che traeva ispirazione da Schiller. Nel 1851 è scritturato dal teatro di Bergen, con la qualifica di direttore artistico. Qui avverrà la sua vera maturazione di autore drammatico. Vengono rappresentati La notte di San Giovanni, Il tumulo del guerriero, Donna Inger di Olstraat, Olaf Liljekrans, Il festino a Solhaug, tutti ispirati alle tradizioni popolari norvegesi. Tra il 1858 e il 1864 scrive I guerrieri a Helgoland, La commedia dell’amore, I pretendenti al trono.

Questa prima fase della sua produzione, tuttavia, lo delude al momento della rappresentazione in scena. Numerosi gli insuccessi che fanno maturare in lui la convinzione che occorre cambiare approccio.

L’inizio della drammaturgia moderna

Dopo l’insuccesso dei poemi drammatici, lo stesso Henrik Ibsen dichiara in una lettera che si dedicherà al “teatro fotografia”.  Si tratta di un teatro che restituisca sulla scena una rappresentazione veritiera della realtà, fino alla crudezza delle relazioni interpersonali dei suoi contemporanei, con particolare riguardo ai rapporti familiari. È l’inizio del dramma borghese. Quello che gli interessa è una drammaturgia di ambientazione contemporanea in cui l’attenzione sia rivolta al personaggio, allo scandaglio della sua psicologia e al suo rapporto con le convenzioni sociali.

La prima conseguenza è che nei suoi drammi l’azione diventa secondaria. Quello che importa è la reazione all’azione. La resa dei conti di personaggi che hanno sbagliato, magari nel passato, sacrificando le loro aspirazioni in nome delle buone convenienze, di scelte economicamente o personalmente vantaggiose. Di qui una rappresentazione della società borghese critica, amara e spesso polemica.

Casa di bambola e il teatro del salotto borghese

Il primo testo che rivela Henrik Ibsen ai contemporanei come un drammaturgo controcorrente e scomodo è Casa di bambola. Al centro del dramma la storia di una giovane moglie, Nora, sposata all’avvocato Torvald Helmer, che la coccola come una bambola. Custodisce però un segreto: per poter curare il marito malato ha falsificato la firma del padre e si è così garantita un prestito, ma non è riuscita a ripagarlo. La scoperta del suo errore dà avvio a un dramma familiare. Finalmente consapevole della farsa che è stato il suo matrimonio, Nora prende una decisione scandalosa e irrevocabile.

Testo celeberrimo e molto rappresentato, Casa di bambola fece scalpore e fu giudicato un manifesto del femminismo. In realtà, al di là di ogni polemica contingente, ciò che Nora con la sua scelta rappresenta è il distacco dalle convenzioni borghesi, indifferenti alle giustificazioni individuali e alle aspirazioni più sincere dell’animo umano.

Henrik Ibsen opere: i capolavori degli anni Ottanta

Dal 1879 Ibsen fornirà al teatro i suoi capolavori. Dopo Casa di bambola, che rese Ibsen una figura centrale del teatro europeo, scrive Spettri, il dramma che lo consacra a livello internazionale; e ancora Un nemico del popolo, L’anitra selvatica, Rosmersholm, La donna del mare, Hedda Gabler. Anche queste opere vanno nella direzione dello scandaglio dell’interiorità del personaggio a scapito dell’azione.

Il passato diventa l’elemento scatenante su cui i personaggi sono chiamati a confrontarsi e l’azione diventa sempre più inconsistente. Gli scambi dialogici servono a mettere in luce i drammi nascosti all’interno della psiche. Questo ci spiega perché accanto alla fama di autore naturalista e che si basa sulla ricostruzione perfetta dell’ambiente, matura anche la fama di autore capace di un’analisi psicologica che si apre anche al simbolismo.

Anche l’ultimo Ibsen va nella direzione di un superamento dell’azione e una concentrazione assoluta sulla figura del personaggio, che negli anni Novanta incarna la figura del capitalista, del self-made man. Proprio su questo modello si concentra la sua attenzione negli ultimi drammi: Il costruttore SolnessIl piccolo EyolfJohn Gabriel Borkmann e Quando noi morti ci destiamo.

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August Strindberg

Gabriele D’annunzio

Frank Wedekind

Ernest Hemingway

Ernest Hemingway è stato tra i romanziere più celebri del Novecento, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1954.

Ernest Hemingway è stato uno scrittore e giornalista statunitense. Romanziere tra i più celebri del Novecento, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1954, Hemingway inaugurò quella narrativa sconcertante (hard-boiled) che ha avuto tanti seguaci e imitatori. Fece parte della comunità di espatriati americani a Parigi durante gli anni 1920, conosciuta come la “Generazione perduta” e da lui stesso così chiamata nel suo libro di memorie Festa mobile. Autore del più importante romanzo sulla Prima guerra mondiale, Addio alle armi, tra le sue opere principali occorre citare anche Per chi suona la campana e Il vecchio e il mare.

Ernest Hemingway biografia: gli anni della Prima guerra mondiale

Fu una vita straordinariamente piena e avventurosa quella di Ernest Hemingway. Nato il 21 luglio 1899 a Oak Park, vicino a Chicago, ebbe un’infanzia serena, circondato dalla natura nella regione dei Grandi Laghi. Condivideva con suo padre la passione per la caccia, la pesca e la vita all’aria aperta,  esperienze che ispirarono profondamente i suoi romanzi. Fu già alle scuole elementari che, notata la sua attitudine alla scrittura, Hemingway venne spronato da alcuni insegnanti a scrivere molto, il che forgiò indelebilmente la sua nascente indole di scrittore.

Arrivò il 1917 e con quell’anno la Prima Guerra Mondiale per gli Stati Uniti d’America. Il giovane Hemingway decise di arruolarsi volontario per andare a combattere in Europa. Un difetto della vista lo tenne lontano dalla prima linea: fu invece impiegato come autista di ambulanze per la Croce Rossa Americana e inviato al fronte italiano nella città di Schio.

Agnes von Kurowsky, il primo amore di Hemingway che ispirò Addio alle armi

Il giovane Hemingway desiderava, però, assistere alla guerra da vicino. Fece domanda per essere trasferito sulla riva del Basso Piave come assistente di trincea, dove si recava quotidianamente tra le prime linee per distribuire generi di conforto ai soldati. Durante le sue mansioni fu colpito dalle schegge dell’esplosione di una bomba austriaca e venne trasferito a Milano per essere operato. Lì rimase tre mesi, durante i quali s’innamorò, ricambiato, di un’infermiera statunitense di origine tedesca, Agnes von Kurowsky, che però lo abbandonò alla fine del conflitto. Il suo rifiuto ispirerà, nel 1929, il racconto Addio alle armi.

Festa mobile: Ernest Hemingway e la Lost Generation a Parigi

Ritornato in America, Hemingway si trasferì a Toronto, città che lo introdusse al mondo del giornalismo. Rimase però molto deluso dalla società americana, che gli appariva troppo superficiale e incapace di comprendere la tragedia che aveva appena devastato l’Europa. Nel dicembre 1921 ottenne l’incarico di corrispondente e inviato speciale in Europa dal Toronto Star e decise di trasferirsi a Parigi, la capitale culturale dell’epoca. Con lui andò Hadley Richardson, pianista del Missouri con cui si era appena sposato.

In Francia la coppia frequentò la comunità di espatriati statunitensi che girava attorno a Gertrude Stein e che comprendeva i più grandi artisti del periodo: James Joyce, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald, Pablo Picasso, Joan Miró. Nel suo libro di memorie Festa mobile, uscito postumo, fu Hemingway stesso a riunirli tutti sotto il nome di “Generazione perduta“.

L’inizio della carriera letteraria e il successo di Addio alle armi

A Parigi iniziò ufficialmente la carriera letteraria di Ernest Hemingway, dietro al grande sostegno di Gertrude Stein e agli insegnamenti del poeta Ezra Pound. Il suo primo romanzo, Il sole sorge ancora, gli valse un’immediata celebrità. L’opera ebbe un percorso editoriale tortuoso, durante il quale Hemingway fu aiutato da Pauline Pfeiffer, redattrice di moda di Vogue, che divenne presto la sua amante, provocando una frattura nel suo matrimonio. Nel giro di un anno, Hemingway divorziò da Richardson e sposò Pfeiffer, con cui andò a vivere a Key West, in Florida. Fu lì che iniziò a scrivere Addio alle armi, il suo romanzo più celebre.

Ernest Hemingway libri: la vita e le opere dello scrittore statunitense
Ernest Hemingway libri: la vita e le opere dello scrittore statunitense

Nel 1928, dopo la nascita del suo secondo figlio, l’autore restò profondamente segnato da un evento che lo tormenterà per il resto della sua vita: il suicidio del padre.

Secondo molti biografi fu allora che Hemingway cominciò a bere e a condurre un’esistenza ancor più spericolata. Il tema della sfida alla morte divenne una costante tanto nella sua vita, costellata di safari, corride, battute di caccia e di pesca, tanto nei romanzi parzialmente autobiografici Morte nel pomeriggio e Verdi colline dell’Africa.

La guerra di Spagna in Per chi suona la campana

Gli anni Trenta segnarono una svolta nella sua vita. Nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola, lo scrittore partì per Madrid, dove lavorò come corrispondente di guerra. Questa esperienza gli fornì l’ispirazione e il materiale per il suo prossimo romanzo Per Chi Suona la Campana, ambientato durante la guerra civile spagnola e il cui protagonista, un partigiano americano combatte dalla parte dei repubblicani contro i fascisti. 

L’ultimo romanzo di Ernest Hemingway: Il vecchio e il mare

Nel 1941, quando gli Stati Uniti entrarono nella Seconda guerra mondiale, Ernest Hemingway lavorò di nuovo come corrispondente di guerra. Prese parte anche al D-Day, lo sbarco in Normandia il 6 giugno 1944, con le forze alleate e li seguì fino a Parigi, partecipando alla liberazione della città.

Dopo la guerra visse soprattutto a Cuba. Nel 1953 pubblicò Il Vecchio e il Mare che gli valse il premio Pulitzere nel 1954 ottenne il Premio Nobel per la Letteratura.

Negli ultimi anni della sua vita soffrì vari problemi di salute e depressione, temendo il declino fisico e mentale si uccide con un colpo di pistola nella sua casa in Idaho nel 1961.

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Gassman, Vittorio

Soprannominato il Mattatore, Vittorio Gassman è ritenuto uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana.

Vittorio Gassman è attore, regista e sceneggiatore, protagonista del cinema e del teatro italiano del Novecento. Con Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi, Gassman è ritenuto uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana. Soprannominato il Mattatore (dall’omonimo spettacolo televisivo da lui condotto nel 1959), è ricordato per l’assoluta professionalità (al limite del maniacale), per la versatilità e per il magnetismo.

Vittorio Gassman biografia: dagli esordi ai vertici della gerarchia di palcoscenico

Genovese di nascita ma romano d’elezione e formazione, Vittorio Gassman ha debuttato ventenne a Milano nella Nemica di Niccodemi con Alda Borelli. Si è affermato subito dopo all’Eliseo di Roma, tanto da associare ben presto il suo nome a quelli di Adani-Calindri-Carraro. Passa con pari bravura dal genere brillante al drammatico, dal divertimento sofisticato alla commedia borghese.

Vittorio Gassman è salito ai vertici della gerarchia di palcoscenico con la compagnia diretta da Luchino Visconti. Con lui Ruggero Ruggeri, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Paola Borboni, Vivi Gioi. Esuberante Kowalski in Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, è capace di trascorrere dagli shakespeariani Rosalinda o Come vi piace e Troilo e Cressida a un alfieriano Oreste. È stato poi protagonista, con il Teatro Nazionale diretto da Salvini, dell’ibseniano Peer Gynt, della Commedia degli straccioni di Caro, di Detective Story di Kingsley, del Giocatore di Betti.

Il Teatro d’Arte Italiano di Vittorio Gassman e Luigi Squarzina

Con Luigi Squarzina, Gassman ha fondato e co-diretto il Teatro d’Arte italiano (1952-53). Insieme misero in scena un Amleto in versione integrale, il fin allora mai ripreso Tieste di Seneca, I Persiani di Eschilo, Tre quarti di luna di Squarzina. Interprete tragico per antonomasia, in familiarità con i classici greco-latini, è stato particolarmente attratto da Shakespeare, contribuendo a rendere memorabile l’Otello (1956-57) in cui si scambiava con Randone i ruoli del Moro e di Jago.

Una professionalità al limite del maniacale

La sua esuberanza giovanile lo ha indotto talvolta a concedere un po’ troppo al virtuosismo del grande attore di matrice ottocentesca. Lo abbiamo visto moltiplicarsi, ad esempio, nei nove personaggi dei Tromboni di Zardi (quasi coevi alla serie televisiva Il mattatore). O lasciarsi tentare dal congeniale Kean nel suo O Cesare o nessuno (1975), specchio del genio e sregolatezza degli anni verdi, poi pienamente governato nella più sorvegliata maturità.

Fino all’ultimo fedele al teatro di parola, restìo ad avanguardismi di facciata, cresciuto con il culto della foné, ha avuto in odio il minimo difetto di pronuncia, un accento sbagliato, un’inflessione dialettale. Il suo credo artistico è rimasto sostanzialmente fedele a una drammaturgia di scrittura alta. Fino a cimentarsi nell’avventura generosa dell’Adelchi di Manzoni fatto conoscere a mezzo milione di spettatori, dal suo itinerante Teatro Popolare con ‘chapiteau’ circense (1960-63).

Vittorio Gassman film: dal teatro al cinema con I soliti ignoti e L’armata Brancaleone

Tentato dal cinema, Vittorio Gassman ha interpretato oltre cento film, riscuotendo particolare successo sul versante comico-farsesco con film come I soliti ignoti L’armata Brancaleone.

Vittorio Gassman film: I soliti ignoti
Vittorio Gassman film: I soliti ignoti

È tornato in palcoscenico a più riprese per riproporre Otello venticinque anni dopo, affrontare Macbeth (con la Guarnieri), inscenare un collage dostoevskijano con gli allievi della Bottega del teatro da lui fondata a Firenze e portare a Los Angeles e ad Avignone i sempre più prediletti assemblaggi di autori vari.

Con il figlio Alessandro Gassman avuto da Juliette Maynel, ha ripreso Affabulazione di Pasolini (1986);  è stato Achab nel Moby Dick tratto da Melville (1992); ha affrontato lo scontro generazionale nell’autobiografico Camper (1994), avversato dalle sue ricorrenti crisi depressive.

Particolarmente rilevante è stato lo spazio concesso, nei sempre più frequenti recital, a poeti d’ogni età e Paese, soprattutto alle consentanee cantiche dantesche. È stato sposato con le attrici Nora Ricci (da cui nel 1945 ha avuto la figlia Paola, anch’essa attrice), Shelley Winters, Diletta D’Andrea.

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Futurismo

Il futurismo in teatro, tra manifesti, teatro di varietà e sintesi futuriste.

Il teatro futurista comprende tutte quelle esperienze teatrali che si svilupparono in seno al movimento futurista e che investirono i diversi campi dell’arte teatrale: dalla drammaturgia alla scenografia, dalla recitazione fino alla relazione teatrale che lega l’evento allo spettatore. Il futurismo italiano fu la prima avanguardia in Europa a intuire l’importanza del teatro quale luogo socialmente privilegiato per trasmettere al grande pubblico nuove idee e manifestare pienamente le moderne tecnologie.

I manifesti del teatro futurista

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento la drammaturgia europea aveva trovato espressione nel teatro naturalista,  nel teatro psicologico e di atmosfera (Henrik Ibsen, Anton Cechov) e nel teatro simbolista. In Italia, accanto al teatro verista (Giuseppe Giacosa, Giovanni Verga) e a quello dialettale, si era avuta la significativa esperienza decadentista di Gabriele D’Annunzio, autore anche di drammi in versi, ispirati all’antica tragedia classica. In contrasto con queste forme di teatro tradizionale, si pone la linea avanguardistica del futurismo.

Il futurismo in teatro è scandito, come per la pittura, la letteratura e le altre arti, dalla pubblicazione di una serie di dichiarazioni poetiche di carattere radicale e polemico. Filippo Tommaso Marinetti, già personalità principale dell’intero movimento, a partire dal 1913, teorizza il teatro futurista attraverso la stesura di tre manifesti: quello del Teatro di varietà (1913); del Teatro sintetico futurista (1915); del Teatro della sorpresa (1921).

In questi scritti viene sottolineata la volontà di ripudiare le rappresentazioni naturalistiche, di evitare qualsiasi tentativo di illusione realistica e di realismo psicologico. Il teatro futurista si svolge in un tempo e in uno spazio teatrali apertamente diversi da quelli reali. Si prediligono situazioni che si risolvono in tempi brevissimi, spesso di un unico rapido quadro. Le scenografie e la coreografia, strettamente collegate al testo, non sono mai ambientazioni realistiche, ma generalmente astratte o metaforiche, allusive.

Lo spettatore, spesso, diventa protagonista attivo di quanto avviene sulla scena. Gli stessi attori, provocandolo, arrivano a creare un dialogo serrato che può sfociare in vere e proprie contestazioni verbali vicine alla rissa.

Futurismo teatrale: le serate futuriste e il teatro di varietà

A partire dal gennaio del 1910, Marinetti diede il via al programma delle “Serate futuriste“. Si trattava di eventi spettacolari che si svolgevano in teatri o, per cerchie più ristrette di spettatori, in gallerie d’arte. Questi incontri consistevano in letture di poesie e di manifesti futuristi, ascolti musicali, presentazione di quadri.

Il futurismi in arte
Il futurismi in arte

Lo spirito che le animava era volutamente provocatorio, nei confronti sia delle istituzioni culturali sia del pubblico, coinvolto e partecipe dell’evento, che spesso degenerava in scontri verbali, lanci di oggetti e risse.

Negli anni successivi, Marinetti individuò nel “Teatro di Varietà” una forma di spettacolo particolarmente adatta a rappresentare i princìpi del futurismo. Il ritmo veloce, l’utilizzo di varie discipline (tra cui l’importante cinematografo, simbolo di modernità) che lavorano in sinergia tra loro, la rumorosità; ma anche il punto di incontro tra differenti strati sociali, l’abbandono del bon-ton a favore della parola libera.

Le sintesi futuriste

All’elaborazione teorica si accompagna la composizione drammaturgica di un numero abbastanza esiguo di opere. Le cosiddette “sintesi” futuriste scritte da Marinetti (Simultaneità, 1915), Settimelli, Corra, Chiti, Balla, Cangiullo, Depero e altri. Rappresentate dalla compagnia Berti-Masi in diverse città italiane, ottennero le volute reazioni polemiche e violente del pubblico.

Costituite su micro situazioni paradossali o grottesche, le sintesi sono fatte di brevi dialoghi o di sequenze di pure azioni fisiche per la durata di pochi minuti. Significative sul piano teorico per la trasgressione alle convenzioni rappresentative del naturalismo,  furono spesso in sé deludenti su quello rappresentativo.  Risultarono, invece, efficaci le appropriazioni spettacolari che ne fece il varietà degli anni Trenta. Fu nel balletto-pantomima di Prampolini e Depero (Balli plastici, 1918) e nella ‘scenotecnica’ luministica  che il futurismo raggiunse in Italia i risultati esteticamente più significativi.

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Fortunato Depero

Enrico Prampolini

Gabriele D’annunzio

Eco, Umberto

Autore de Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault, Umberto Eco è tra gli intellettuali più importanti della storia culturale italiana.

Umberto Eco, è stato uno degli intellettuali più importanti della storia culturale italiana. Semiologo, filosofo, medievalista, massmediologo, scrittore, traduttore e docente universitario, durante la sua lunga carriera ha co-diretto la casa editrice Bompiani, contribuito alla formazione del Gruppo 63 e fondato nuovi pionieristici corsi di laurea (il DAMS e Scienze della Comunicazione all’Università di Bologna). Tra i suoi romanzi più famosi figura Il nome della rosa, vincitore del Premio Strega e bestseller internazionale tradotto in più di 40 lingue.

Umberto Eco biografia: l’esperienza in RAI e il Gruppo 63

La passione per la storia e la cultura medievale nasce in Umberto Eco negli anni dell’università e lo accompagna per tutta la sua vasta produzione letteraria, saggistica e narrativa. La sua primissima pubblicazione, infatti, è un ampliamento della sua tesi di laurea dedicata alla figura di Tommaso d’Aquino.

Dopo gli studi, Umberto Eco approda in RAI. L’esperienza televisiva sarà uno dei cardini su cui Eco fonderà l’impianto teorico di buona parte della sua saggistica. Nel 1961 pubblica, infatti, Fenomenologia di Mike Bongiorno, poi seguito da Diario minimo.

L’esperienza vissuta in RAI non influisce però soltanto sull’elaborazione del pensiero di Eco, ma è per lui essenziale anche da un punto di vista più strettamente personale. È in questa circostanza, infatti, che conosce altri intellettuali, con i quali darà vita al Gruppo 63, storica neoavanguardia letteraria interessata a sperimentare nuove forme di espressione, rompendo con gli schemi tradizionali.

Dal 1959 al 1975, Eco è co-direttore della casa editrice Bompiani. Nel frattempo, negli anni Sessanta ha inizio la lunga carriera universitaria. Insegna in vari atenei italiani, da Torino a Milano, da Firenze a Bologna, prima di approdare nelle più prestigiose università del mondo. Finirà infatti per tenere lezioni anche alla Columbia, a Yale, Harvard e Oxford.

Umberto Eco libri: Il nome della rosa, Il pendolo di Foucault e Il cimitero di Praga

Affermatosi negli anni ’60 come uno dei più brillanti studiosi di estetica e di semiotica (Opera aperta, Apocalittici e integrati, La struttura assente), saggista di effervescente intelligenza e umorismo (Diario minimo, Sette anni di desiderio), Umberto Eco esordisce in narrativa solo nel 1980, con quello che sarà per sempre considerato il suo capolavoro, Il nome della rosa. Seguono Il pendolo di Foucault, L’isola del giorno prima, Baudolino, La misteriosa fiamma della regina Loana, Il cimitero di Praga e Numero zero.

Umberto Eco libri: Il nome della rosa, Il pendolo di Foucault e Il cimitero di Praga
I libri di Umberto Eco

Tra le sue numerose opere di saggistica (accademica e non) si ricordano: Lector in fabula, Sulla letteratura e Dire quasi la stessa cosa.

I testi per il teatro

Nel teatro è presente con l’atto unico Le forbici elettroniche, messo in scena nel 1960. Il protagonista della pièce è una intelligenza artificiale, il Censore elettronico che, scambiando la realtà con gli intrecci dei copioni cinematografici riversati nella sua memoria, arriva a credere nella propria esistenza in vita. Il teatro diventa così, nell’intenzione di Umberto Eco, il luogo di indagine sul rapporto fra il mondo ormai dominato dalla tecnica e la realtà intesa come fenomeno di linguaggio.

Frequentatore dei cabaret milanesi dei primi anni ’60 si è anche divertito a fornire qualche testo. Tra questi,  Tanto di cappello, messo in scena da Filippo Crivelli con Sandro Massimini e una giovanissima Mariangela Melato.

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D’annunzio, Gabriele

Esteta e superuomo, autore de Il piacere e La pioggia nel pineto, Gabriele D’Annunzio è tra i poeti che più hanno segnato la letteratura italiana di fine 800 e inizio 900.

Gabriele D’Annunzio è, insieme a Giovanni Pascoli, il principale esponente del Decadentismo italiano. Originario di Pescara, ha un ruolo fondamentale nella sua vita e nella sua poetica la città di Roma, dove l’autore scopre e nutre il suo amore per il lusso e la vita mondana, e dove scrive il suo romanzo più noto Il piacere. Soprannominato il Vate, cioè “poeta sacro, profeta”, occupò una posizione preminente nella letteratura e nella vita politica italiana di fine 800 e inizio 900.

Gabriele D’annunzio biografia: gli esordi letterari e Il piacere

Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia più che benestante. Già dai primi studi mostra subito un grande interesse per la letteratura ed è proprio negli anni del collegio che pubblica la sua prima raccolta di poesie, Primo Vere. Si trasferisce a Roma per frequentare l’università, ma il periodo romano sarà soprattutto un periodo di lavoro giornalistico e di vita mondana nei salotti letterari e aristocratici. 

Il grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere. Incentrato sulla figura dell’esteta decadente, rompe con i canoni estetici del naturalismo e del positivismo allora imperanti.

La vita che conduce a Roma lo sommerge di debiti e per scappare ai creditori comincia un periodo di viaggi per la Penisola. Giunto a Venezia conoscerà colei che diventerà il grande amore della sua vita, la bellissima attrice Eleonora Duse.

L’incontro con Eleonora Duse

Fino al 1894, l’attività di Gabriele D’Annunzio alternò opere di poesia con opere di narrativa. L’incontro con Eleonora Duse fu determinante per l’attività di autore teatrale, e soprattutto per il teatro italiano che stentava a rinnovare un repertorio ormai logoro e ripetitivo. Insieme a Eleonora Duse, cominciò ad approfondire la lettura dei classici. Orestea, Edipo, Antigone e Fedra rappresentano le tappe più significative di un percorso di ricerca destinato a sviluppare l’idea di una tragedia moderna, modellata su suggestioni contemporanee.

Eleonora Duse, la musa di Gabriele D’annunzio
Eleonora Duse, la musa di Gabriele D’annunzio

Con Sogno di un mattino di primavera (1897) e Sogno d’un tramonto d’autunno (1901), veri e propri capolavori di sperimentazione scenico-linguistica, D’Annunzio contribuisce in maniera determinante a inserire il teatro italiano nel clima europeo dominato dalle figure di Claudel, Strindberg, Ibsen, Hofmannsthal, Wedekind e Schnitzler. Con i due Sogni, scelse la via del teatro patologico: costruito su una struttura onirica, carico di colori, con personaggi che si muovono ai limiti di una follia che, a volte, si tinge di panismo, a volte di soluzioni metamorfiche, altre di passione. La figura della Demente e della Dogaressa anticipano, oltre che altre creature dannunziane, anche quelle del teatro espressionista, in quanto vivono situazioni d’incubo, di sogno, di magia. Si muovono sul palcoscenico come fiere prese nella rete: hanno gli occhi smarriti, il volto esangue, i capelli scarmigliati, la carne che vibra.

Un avanguardismo particolare, dunque, che ritroviamo ne La città morta (1898), andata in scena al Teatro Lirico (1901, con la Duse e Zacconi), certamente il tentativo più esplicito di coniugare la tragedia ellenistica con quella moderna.

I testi teatrali di Gabriele D’Annunzio

La Duse, intanto, gli aveva fatto conoscere il teatro di Ibsen, sulla cui fascinazione modellò La Gioconda (1899). Seguono due tragedie che alla prima rappresentazione fecero molto scalpore: La Gloria (1899) e Francesca da Rimini (1902). Due insuccessi ai quali seguirono due grandi vittorie: La figlia di Jorio (1904) e La fiaccola sotto il moggio (1905). Il successo della compagnia Talli, a Milano, fu straordinario. La Duse si trovava all’Eden Palace di Genova, per gli amici ammalata; in verità recitava la tragedia che era stata scritta per lei all’amica Matilde Serao, con tanta rabbia per essere stata esclusa.

Un anno dopo il successo de La figlia di Jorio, sempre al Teatro Lirico, andò in scena La fiaccola sotto il moggio. Tra fiaschi, incertezze e trionfi seguirono Più che l’amore (1906) e La nave (1908). Il ritorno al mito classico e al mito cristiano avviene con Fedra (1909) e Le martyre de Saint Sébastien(1911). Tra le ultime composizioni: Parisina (1921), La pisanella (1913). Il ferro (1914) può essere senza dubbio considerata una delle sue più belle tragedie, non solo per come tratta l’argomento dell’incesto, ma anche per uno stile e un linguaggio più trattenuti.

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Albert Camus

Albert Camus è un romanziere, saggista e drammaturgo francese.

Albert Camus è un romanziere, saggista e drammaturgo francese. Con Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir rappresenta una figura di spicco dell’esistenzialismo francese. È conosciuto per romanzi come Lo straniero (1942) e La Peste (1947) e per il suo lavoro nelle cause di sinistra.  Nel 1957 il Premio Nobel per la letteratura ne consacra la fama.

Albert Camus, biografia dello scrittore francese

Albert Camus nasce il 7 novembre 1913 in Algeria a Mondovi, oggi Dréan. Rimasto prestissimo orfano di padre, morto nella battaglia della Marna, conobbe un’infanzia e una giovinezza di stenti. Si distinse, tuttavia, negli studi universitari, che non riuscì a completare per il cattivo stato di salute e per il continuo lavoro cui era costretto. Fu commerciante, commesso, impiegato e attore nella compagnia di Radio Algeri. La tubercolosi colpisce Albert Camus giovanissimo: la malattia purtroppo gli impedisce di frequentare i corsi e di continuare a giocare a calcio come portiere, attività sportiva nella quale eccelleva. Finirà gli studi da privatista laureandosi in Filosofia nel 1936.

L’impegno politico e l’antifascismo

Nei primi anni ’30 aderisce al movimento antifascista e successivamente al Partito Comunista Francese da cui si allontanerà, accusato di trotskismo. Durante questi anni intraprende una storia con Simone Hie dalla quale si separa dopo due anni per una sua dipendenza dagli psicofarmaci. Si fidanza diversi anni dopo con Francine Fauré con la quale rimane fino alla fine della vita.

La sua militanza continua a manifestarsi all’interno delle redazioni di giornali dove si specializza nei resoconti dei processi e dei reportage. Passione politica e impegno giornalistico, sono due caratteristiche del suo modo di concepire la vita e le battaglie a favore dell’uomo. Le sue denunce contro lo sfruttamento degli arabi in Francia e la denuncia delle loro condizioni miserabili vissute sotto il colonialismo francese, gli portarono censure e fastidi.

Nel 1940 si sposta in Francia dopo aver ottenuto un posto al Paris-Soir, dove manifesta la sua intolleranza verso il regime nazista. Nell’ambiente intellettuale della resistenza coinvolge anche Jean-Paul Sarte, con cui instaura una forte amicizia.

Ad agosto 1945, a guerra conclusa, Albert Camus è l’unico intellettuale occidentale (a eccezione del fisico tedesco Albert Einstein) a condannare apertamente la scelta da parte degli Stati Uniti di bombardare Hiroshima e Nagasaki.

Albert Camus libri: Lo straniero, La peste e il premio Nobel

Intorno al 1937 esordisce nel mondo letterario con la raccolta di prose liriche e di saggi intitolata Il rovescio e il diritto. Affermatosi nel 1942 con il romanzo Lo straniero e con il saggio Il mito di Sisifo, raggiunse un vasto riconoscimento di pubblico con La peste (1947). Nel 1957 ricevette il premio Nobel per la letteratura per aver saputo esprimere come scrittore “i problemi che oggi si impongono alla coscienza umana”.

Dalla filosofia ai testi teatrali

Albert Camus dedica parte della sua opera anche alla creazione di testi teatraliIl malinteso (1944) e Caligola (1945), cui seguirono Stato d’assedio (1948) e I giusti (1950).

La sistematicità, caratteristica generale dell’opera camusiana, fa sì che i due momenti dedicati al teatro si inseriscano in un preciso disegno metodologico ed ermeneutico. Secondo l’analisi dello stesso Camus, Caligola e Il malinteso apparterrebbero dunque al ciclo dell’assurdo, Stato d’assedio I giusti farebbero invece parte della fase detta della ‘rivolta’. I temi trattati dalle prime due pièce rispecchiano la prima fase della ricerca di Albert Camus. Una fase distruttiva, di presa di coscienza del vuoto di senso in cui l’essere umano è immerso. In Caligola, soprattutto, Albert Camus affronta il problema della morte, della realtà banale e terribile per cui “gli uomini muoiono e non sono felici”. Il protagonista dell’opera cerca di opporsi a questa legge ineluttabile incarnando l’arbitrarietà e la cecità delle leggi che muovono l’esistenza. Il tipo di libertà sperimentata da Caligola, tuttavia, è senza via di uscita e non può che esprimersi nel crimine. Voler plasmare l’uomo sulle forze che ne precedono la creazione implica infatti la distruzione dell’umanità e la condanna alla solitudine.

In Stato d’assedio e I giusti Albert Camus dà prova dell’evoluzione del suo pensiero: dalla presa di coscienza dell’assurdo al suo superamento attraverso la solidarietà tra gli uomini, vero e proprio sentimento di simpatia, di condivisione del dolore. In particolare, I giusti – opera che analizza i legami ideologici e sentimentali degli appartenenti a una cellula rivoluzionaria nella Russia del 1905 – riesce a tradurre questa fase ulteriore della ricerca camusiana, di un nuovo umanesimo in un’epoca disperata.

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esistenzialista

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Benigni, Roberto

Roberto Benigni è un attore, regista, scrittore e sceneggiatore italiano.

Roberto Benigni è un attore, regista, scrittore e sceneggiatore italiano. Numerosi i riconoscimenti che l’hanno portato fino alle vette più alte di Hollywood, diventando l’unico interprete maschile italiano a ricevere l’Oscar come Miglior attore protagonista. Sin dai suoi esordi, alterna le sue apparizioni su palcoscenici teatrali, set cinematografici e studi televisivi. Così Roberto Benigni si è imposto nel panorama dello spettacolo italiano come una figura di riferimento senza eguali, in virtù della sua esuberanza e gioiosa irruenza.

Roberto Benigni biografia: gli esordi tra teatro e televisione

Roberto Remigio Benigni nasce a Castiglion Fiorentino, un piccolo paese della Toscana, il 27 ottobre 1952, dai contadini Luigi Benigni e Isolina Papini. Dopo un’esperienza in seminario e il diploma da ragioniere, comprende che la sua vera passione è una sola: lo spettacolo. La decisione di tentare la carriera di attore avviene nel 1972. A vent’anni, con la sola chitarra per bagaglio, lascia la Toscana e si trasferisce a Roma, insieme agli amici fedeli, Donato Sannini, Carlo Monni e Lucia Poli.

Dopo alcune comparsate in televisione (Le sorelle Materassi) e in ruoli secondari, è Giuseppe Bertolucci a “scoprirlo”. Nel 1975, gli cuce addosso all’Alberichino di Roma, il teatro più off dell’epoca, il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. Sotto la luce di una nuda lampadina, le mani in tasca, il giovane raccontava la sua grama vita di paese, il sesso, gli amici, il partito, la madre morta, con una smisurata esuberanza gestuale e soprattutto verbale.

Fu il successo immediato e crescente che, dalla saletta del teatro d’avanguardia, portò in tutta Italia il monologo di  Roberto Benigni. Bertolucci trasformò lo spettacolo in un film, Berlinguer ti voglio bene, divenuto nel tempo un vero e proprio cult. La popolarità più estesa però arrivò con la televisione, grazie a un programma domenicale di Renzo Arbore, L’altra domenica, in cui Roberto Benigni si fingeva critico di cinema.

Film Benigni: l’esordio alla regia, Nicoletta Braschi e Massimo Troisi

Per il suo debutto alla regia bisogna aspettare il 1983, quando dirige e interpreta Tu mi turbi. È durante le riprese di questo film che Roberto Benigni conosce Nicoletta Braschi che diventerà sua moglie nel 1991 e che da quel momento sarà praticamente presente in tutti i film diretti dal marito.

Da quel momento in poi Benigni recita sempre più spesso in film da lui stesso scritti e diretti. Nascono così Non ci resta che piangere, accanto a Massimo Troisi, Il piccolo diavolo, con Walter Matthau, Johnny Stecchino e Il mostro. Tutti film che ottengono un vasto successo tra il pubblico italiano.

Roberto Benigni in Il mostro
Roberto Benigni in Il mostro

Da allora Benigni alterna l’attività cinematografica a quella teatrale. Ed è ancora Giuseppe Bertolucci a filmare con Tuttobenigni un’antologia dal vivo delle esibizioni del comico condotte in varie piazze d’Italia. Un a solo a ruota libera, in cui sferzanti battute si susseguono impietose a colpire personaggi e fatti d’attualità, spaziando dagli aspetti della ritualità cattolica ai vizi e alle ipocrisie della società e del potere politico.

L’Oscar e il successo internazionale con La vita è bella

Nel 1998 firmerà il suo capolavoro, La vita è bella, la storia del cameriere ebreo Guido Orefice che finisce in un campo di concentramento con moglie e figlio e che cerca di mascherare volontariamente la realtà dei fatti al proprio bimbo. È un progetto ambizioso che gli assicurerà il successo internazionale. Grazie a La vita è bella, Roberto Benigni vince l’Oscar come migliore attore, premio che va a ritirare dalle mani di Sophia Loren, camminando sulle poltroncine della sala. Al film, in una notte indimenticabile per il cinema italiano, vanno anche altre due statuette: quella per il miglior film in lingua straniera e quella per la musica di Nicola Piovani.

Roberto Benigni e Nicoletta Braschi in La vita è bella
Roberto Benigni e Nicoletta Braschi in La vita è bella

Pinocchio, il film più costoso del cinema italiano

Nel 2002 porta sullo schermo la storia del burattino Pinocchio di Carlo Collodi, di cui è regista e attore protagonista. La pellicola si rivelerà il film più costoso della storia del cinema italiano (45 milioni di euro). In Italia il film ottenne ottime recensioni da parte della critica aggiudicandosi due David di Donatello,un Nastro d’argento e uno strepitoso successo al botteghino. Nel resto del mondo, e in particolare in Usa, il film fu invece un flop.

Il Dante Alighieri di Roberto Benigni

Benigni si è impegnato anche come lettore, interprete a memoria e commentatore della Divina Commedia di Dante Alighieri, in un tour Tutto Dante, spettacolo che parte da piazza Santa Croce a Firenze nell’estate 2006 per girare molte piazze e teatri italiane per approdare poi su RaiUno in 14 serate di grande successo. Nelle vesti di divulgatore ha, inoltre, recitato il Canto degli Italiani, i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana e i dieci comandamenti biblici ricevendo consensi di pubblico e critica.

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Sergio Bini

Nicola Piovani

Giuliana Lojodice

Woody Allen

Woody Allen è un regista, attore e sceneggiatore, tra le personalità artistiche più influenti del panorama cinematografico contemporaneo.

Woody Allen è un registaattoresceneggiatore e scrittore di origine ebraica, vincitore di quattro premi Oscar e del Leone d’oro alla carriera. Tra le personalità artistiche più influenti del panorama cinematografico contemporaneo, si è fatto le ossa come autore televisivo, scrivendo sketch che interpretava nei club newyorkesi e commedie per Broadway. Ma non è certo in questo campo che ha espresso al meglio il suo talento. Allen porta sul grande schermo il suo amore per New York, la musica jazz, la letteratura, la psicanalisi, la magia e l’illusione, dando vita a personaggi comicamente sfortunati e pieni di nevrosi.

Woody Allen biografia: le origini tra cabaret e scrittura

Woody Allen nasce col nome di Allan Stewart Königsberg il 1º dicembre 1935 nel quartiere del Bronx (New York), da una famiglia ebrea. Racimola i primi guadagni vendendo i suoi sketch a noti comici televisivi ed esibendosi nei club newyorchesi come stand-up comedian, alternando esibizioni comiche e musicali. All’età di diciassette anni, sceglie lo pseudonimo Woody Allen, in onore del celebre clarinettista jazz Woody Herman, ed è in questi anni che inizia la sua carriera come autore televisivo.

Prima di tentare la strada del cinema, ottiene un grande successo a Broadway con le sue commedie Don’t Drink the WaterPlay It Again, Sam. Accolte con indifferenza dalla critica, vengono gradite dagli spettatori e successivamente tradotte in film (Come ti dirotto il jet e Provaci ancora, Sam). Nel 1964 riceve dal produttore Charles Feldman l’incarico di scrivere la sceneggiatura di Ciao Pussycat, al quale partecipa anche come attore. Dal teatro al cinema il passo è breve. Decide quindi di sedere dalla parte opposta della macchina da presa, girando i film Amore e guerraIo e Annie Manhattan.

Woody Allen migliori film: la consacrazione con Io e Annie e Manhattan

I maggiori successi di Allen arrivano nel decennio che inizia nel 1977, data di uscita di Io e Annie. Il film racconta dell’amore tra due intellettuali che nasce, tentenna, sbanda e si conclude per le strade della Grande Mela. Protagonisti, lo stesso regista e Diane Keaton che, proprio in quel periodo, stava mettendo fine alla loro storia d’amore nella vita reale. Questa malinconica commedia sentimentale è l’opera che definisce appieno il suo stile e il suo più grande successo commerciale. La pellicola si aggiudica quattro premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior attrice protagonista a Diane Keaton) e un Golden Globe.

Woody Allen e Diane Keaton in Io e Annie
Woody Allen e Diane Keaton in Io e Annie


La produzione di Allen entra in una fase nuova: i toni passano dal comico all’umoristico, l’ironia pervade ogni dialogo; fanno la loro comparsa problemi di coppia, nevrosi, psicanalisi, temi esistenziali, riflessioni filosofiche. E, soprattutto, Diane Keaton. Insomma, i tòpoi alleniani per eccellenza. Appartiene a questa fase anche Manhattan, suo capolavoro assoluto. Considerata la sua opera magna, è una grandissima manifestazione d’amore verso New York, la sua città natale, in un misto di romanticismo, nostalgia e sogno. Come protagonista l’immancabile vita sentimentale di un protagonista divorziato e in cerca del senso della vita, in un percorso pieno di monologhi, riflessioni e sottile umorismo.

Woody Allen e Mariel Hemingway in Manhattan
Woody Allen e Mariel Hemingway in Manhattan

L’inarrestabile vena creativa degli anni Ottanta

Gli anni Ottanta vengono inaugurati da Stardust Memories, film dalla forte componente autobiografica, ispirato al cinema europeo e in particolare a Federico Fellini e Ingmar Bergman. L’anno successivo Allen scrive e dirige Zelig, finto reportage su un uomo camaleontico che trasforma anima e corpo secondo chi si ritrova vicino. Sono gli anni d’oro, in cui Allen crea alcune delle sue opere migliori: Broadway Danny Rose, La rosa purpurea del Cairo, Hannah e le sue sorelle e, soprattutto, Crimini e misfatti, vetta assoluta all’interno del suo percorso drammatico.

Da Midnight in Paris all’ultimo film di Woody Allen: la crisi, i boicottaggi e la ribalta

Gli anni Duemila coincidono con una fase di crisi. Il ritorno alla ribalta, quando tutti ormai lo consideravano un regista sulla via del tramonto, avviene grazie a due film: Match Point, con Jonathan Rhys-Meyers e Scarlett Johansson, e Midnight in Paris. La trasferta francese è un successo al botteghino e permette all’autore di conquistare un Golden Globe per la miglior sceneggiatura originale e il suo quarto Oscar. 

Nel 2019 esce Un giorno di pioggia a New York realizzato con grandi difficoltà a causa delle pesanti controversie che il regista ha subito per delle accuse di abuso sessuale risalenti al 1992. L’anno successivo, Woody Allen porta al cinema Rifkin’s Festival. Nel film il regista si sofferma su uno dei suoi temi più caratteristici: il rispecchiarsi della vita nell’arte e dell’arte nella vita. Non è difficile, infatti, intravedere dietro Mort Rifkin, ex professore e fanatico di cinema sposato, il Woody Allen del tempo, emarginato dalla critica cinematografica e travolto dalle vicende giudiziarie.

Dopo tre anni, Allen torna ancora una volta al cinema con il suo primo film in francese, Un colpo di fortuna – Coup de Chance, presentato in anteprima fuori concorso all’80esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

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D’Errico

Giunto alla composizione drammatica apparentemente per caso, dopo una lunga carriera di successi narrativi e di composizioni radiofoniche, esordì vincendo un concorso con Un uomo in più (1948). Ottenne successi di pubblico e di critica con testi di tono e fattura molto diversi . Scrisse alcune commedie leggere come La dama di cuori e La corona di carta , che presenta la rivolta di un impiegato alla mortificante situazione di schiavo stipendiato . In La sei giorni (1953, messa in scena al Piccolo da Strehler), l’intrecciarsi e sciogliersi di molte vite conduce a un corale compianto per la vittima dell’indifferenza e della fretta di tutti, segno di una attenzione dell’autore alla tematica dei sentimenti. Scrisse poi drammi di critica sociale come Il formicaio , sulla condizione dell’uomo contemporaneo oppresso dal conformismo, Tempo di cavallette e La foresta. Questi ultimi, apparentati al teatro dell’assurdo, ebbero scarso successo in Italia, mentre ottennero vasta risonanza e numerose rappresentazioni all’estero.

Sbragia

Figlio dell’attore Giancarlo e della principessa Ruspoli, nel 1972 Mattia Sbragia esordisce recitando Majakowskij. In seguito interpreta diversi ruoli in televisione: ne La figlia di Iorio di D’Annunzio, in Vita di Gramsci e in Delitto e castigo . Successivamente farà al cinema Ritratto di borghesia in nero di T. Cervi (1978) e Il caso Moro di Ferrara (1986). Fra i testi per il teatro di cui è autore si ricordano Ore rubate e Ultimi calori . Nel 1988 inizia a collaborare con Piccolo Teatro di Milano per il quale recita in Libero di R. Sarti e in Siamo momentaneamente assenti di L. Squarzina (1992) e, più di recente, in L’anima buona di Sezuan di Brecht (1995-96) e ne L’isola degli schiavi di Marivaux (1995-96).

Jakobson

Terminati gli studi all’Istituto coreografico di Leningrado, Leonid Venjaminovic Jakobson ha danzato sino al 1933; ha quindi svolto attività di coreografo al Bol’šoj di Mosca dal 1933 al 1942, al Kirov di Leningrado dal 1942 al ’50 e dal 1955 al ’75. Come ballerino è stato impiegato in ruoli grotteschi e di carattere; la sua prima importante coreografia è il secondo atto dell’ Età dell’oro (1930). Da ricordare l’allestimento di Spartaco per il Kirov (1956) e per il Bol’šoj (1962), ma la sua forma espressiva preferita è stata la `miniatura’ coreografica: con il titolo Miniature coreografiche ha riunito nel 1958 al Kirov vecchi e nuovi lavori. Proseguendo in questa direzione, nel 1969 ha fondato a Leningrado il Teatro delle Miniature coreografiche, compagnia per la quale ha realizzato Pas de deux, Il volo della Taglioni, Danza medievale con baci, La morte del cigno, Il Minotauro e la Ninfa, Mozartiana, facendo spesso ricorso a musicisti del ‘900 (Stravinskij, Prokof’ev, Honegger); in Occidente la compagnia ha debuttato a Venezia nel 1981 con il nome di Ballet Jakobson. Ha curato le coreografie del film L’uccello azzurro (1976). Molti dei suoi balletti, giunti sino alla prova generale, non hanno mai visto la prima, a causa dell’ostilità del regime sovietico: un frammento di un suo balletto sulla Nona sinfonia di Šostakovic, Il dittatore impazzito , realizzato nel 1971, è andato in scena soltanto nel 1985. Seguace e continuatore dell’opera di Fokine, si è allontanato in gioventù dalla danza classica per poi farvi ritorno e sostenere il balletto drammatico, lontano però dai principi del `drambalet’ sovietico, sempre alla ricerca di nuove forme espressive.

Barbarini

Inizia gli studi di danza con Giannina Censi, la `danzatrice futurista’ con la quale ha modo di conoscere la `danza aerea’, che riallestisce insieme a Alessandra Manari in Programma di aerodanze (1979) e Siio Vlummia Torrente (1980). Attiva nel teatro di prosa e di ricerca, nel 1985 fonda con Franco Senica, Giovanna Summo, Ian Sutton, Giuditta Cambieri e Giuseppe Scaramella il gruppo Vera Stasi, per il quale crea tra l’altro Quartetto d’ombre (1986) e Piazze Meridiane (1988). In seguito sviluppa la ricerca sui codici della danza futurista in Siio Vlummia Torrente n. 2 (1990), Siio Vlummia Torrente n.3 (1994), Danze del Manifesto (1997).

Lucignani

Diplomatosi in regia all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ nel 1948, Luciano Lucignani assunse la direzione del primo Teatro stabile di Firenze nel 1949, che inaugurò con la prima edizione italiana di Peccato che sia una sgualdrina di J. Ford (con F. Mammi, R. Grassilli e G. Albertazzi al suo debutto). Successivamente affiancò all’attività di regista quella di critico e studioso. Dal 1946 al ’56 fu critico del “l’Unità” di Roma. Fra gli altri suoi spettacoli si ricordano: Madre Coraggio e i suoi figli (1952, primo allestimento italiano di un testo di Brecht), La mandragola di Machiavelli (1953), Kean di Dumas nella riduzione di Sartre (1955, in collaborazione con V. Gassman), Orestiade di Eschilo nella versione di Pasolini al Teatro greco di Siracusa (interprete Gassman), Girotondo di Schnitzler e Un amore a Roma di E. Patti (1959), Elettra e Clitennestra di F. Mannino. Per il cinema ha diretto quattro film: L’amore difficile (1962), Le piacevoli notti (1966), L’alibi (in cui apparve anche come attore) e Una su tredici (1968 e 1970). Molto attivo alla Rai (come conduttore di rubriche radiofoniche e collaboratore dei programmi culturali della tv), ha insegnato recitazione al Centro sperimentale di cinematografia e, dal 1998, all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’.

Curino

Tra i fondatori di Laboratorio Teatro Settimo, Laura Curino ha accompagnato con la sua forte presenza gli spettacoli più significativi del gruppo, da Esercizi sulla tavola di Mendeleev (1984) al folgorante Elementi di struttura del sentimento , sino alla Storia di Romeo e Giuliett. Nel 1992 con Passioni e nel 1996 con Olivetti , sola in scena, ha raccontato con grande forza espressiva storie di donne e atmosfere di generazioni perdute, lasciando un segno nel teatro di narrazione al femminile.

Giuranna

Diplomato all’Accademia d’arte drammatica ‘S. D’Amico’ nel 1958, Paolo Giuranna ha debuttato al Teatro stabile di Genova dirigendo Le colonne della società di Ibsen. Ha inaugurato il Teatro stabile dell’Aquila nel 1965. Dal 1959 al 1973 ha messo in scena trenta spettacoli per i Teatri stabili di Roma, Genova, Bologna, L’Aquila e per compagnie come Carraro-Porelli, Tieri-Lojodice, Buazzelli, Attori Associati; in prima rappresentazione nazionale ha proposto testi di Alfieri ( Il divorzio ), A. Miller, A. Adamov, E. Schwarz (Il drago), Buero Vallejo, Vico Faggi (Il processo di Savona ), A. Tolstoj (La potenza delle tenebre), G.B. Shaw (Il dilemma del dottore). Dal 1983 al 1986 ha diretto a Genova per il Teatro stabile la prima recitazione integrale in teatro della Divina Commedia con i più importanti attori italiani. Ha ottenuto il premio Verga per la regia nel 1967. Dal 1973 è stato attore e regista nella compagnia Attori Associati e dal 1980 ha recitato in spettacoli diretti da Costa, Krejca, De Lullo, Sbragia, Albertazzi, Squarzina. Ha svolto un’intensa attività didattica, iniziata per una precoce vocazione nel 1959 e proseguita ininterrottamente presso l’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’. L’incontro con V. Gassman lo porterà a insegnare alla Bottega teatrale di Firenze sino al 1992. Ha insegnato, inoltre, nelle scuole del Teatro stabile di Genova, del Teatro Bellini di Napoli, del Centro sperimentale di cinematografia e dell’Istituto nazionale del dramma antico di Siracusa. Ha diretto per la Raidue testi teatrali: Rumore d’incendio e Il segreto dell’erbe . Il dramma La vocazione del capitano Lang , tradotto in tedesco, è stato rappresentato in Svizzera, Austria e Germania. Con La ferita nascosta ha vinto nel 1986 il premio nazionale per la drammaturgia Luigi Pirandello.

Buenaventura

Teorico della creazione collettiva, Enrique Buenaventura ha fondato nel 1955 il Teatro Sperimentale di Cali, uno dei gruppi di teatro indipendente più interessanti dell’America Latina negli anni Sessanta e Settanta. I suoi allestimenti si basano sul lavoro dell’attore e la creazione collettiva nella linea di un teatro popolare e politico e nella ricerca di un’identità latinoamericana. I testi di partenza sono a volte i propri come Alla destra di Dio Padre (En la diestra de Dios Padre), 1960 o I fogli dell’inferno (Los papeles del infierno) 1968, o quelli di altri autori. Tra le opere più rappresentate di B. si possono ricordare Réquiem por el padre Las Casas, 1963; La denuncia, 1977, sull’United Fruit Company e Il crocevia (La encrucijada), 1982.

Franco

Pippo Franco inizia la carriera a metà degli anni ’60 come musicista, animatore di complessi beat dai nomi zoologici, I gatti e successivamente I pinguini. È autore e interprete di canzoni che propone nei locali di cabaret di Roma e Milano. Il suo disco Vedendo una foto di Bob Dylan (1968) ottiene anche un buon risultato di vendite. Nel 1967 si mette in luce nel cast di Viola, violino e viola d’amore di Garinei e Giovannini. Esordisce intanto anche sullo schermo televisivo in spettacoli di varietà come Diamoci del tu (1967) e Roma quattro (1967). Nel 1969 entra stabilmente nella compagnia del Bagaglino di Castellacci e Pingitore dove recita e canta al fianco di Pippo Caruso, Enrico Montesano, Oreste Lionello, Gianfranco D’Angelo e Gabriella Ferri. Prosegue la carriera televisiva con La cocca rapita (1969) e molti altri varietà; ma è con Dove sta Zazà (1973) in coppia con Gabriella Ferri che raggiunge una vasta popolarità. Il successo dei due si ripete con Mazzabubù (1975) e viene immediatamente sfruttato dal cinema in Remo e Romolo-Storia di due figli e di una lupa (1976) e Nerone (1976). Al cinema partecipa a numerosissime commedie (tutte B-movie) come Scherzi da prete (1978), L’imbranato (1979), Il casinista (1980), Attenti a quei P2 (1982), Il tifoso, l’arbitro e il calciatore (1982), Sfrattato cerca casa equo canone (1983), Gole ruggenti (1992), quasi sempre con lo stesso staff di sceneggiatori, attori e registi con cui è attivo al Bagaglino; ma è anche nel cast di brillanti film d’autore come Che cosa è successo tra tuo padre e mia madre? (1972) di Billy Wilder. Nel 1989 insieme a Oreste Lionello e Leo Gullotta rispolvera gli ingredienti del vecchio avanspettacolo (caricatura dei difetti fisici dei politici più noti, scenette derisorie di vita coniugale, battute di scherno di spirito goliardico) per portare la cosiddetta satira politica in televisione nello spettacolo Biberon, programma che cambia titolo in tutte le successive stagioni pur rimanendo perfettamente identico, anche quando dal 1995 passa dalle reti Rai a quelle Fininvest. Ha all’attivo numerose incisioni discografiche sia di canzoni di cabaret come “I personaggi di Pippo Franco” (1968), “Cara Kiri” (1971), “Vietato ai minori” (1981), sia di canzoni per bambini come “Nasone Disco Show” (1981), sia di canzoni dialettali come “C’era una volta Roma” (1979), interpretato in coppia con la exmoglie Laura Troschel.

Antonio

Ruiz Soler; Siviglia 1921 – 1996), ballerino spagnolo. Studia con Realito e a soli sei anni debutta a Liegi con la cugina Rosario (Florencia Perez Padilla) sotto la sigla di Los Chavalillos Sevillanos , inaugurando una celebrata partnership di fama internazionale, destinata a durare venticinque anni. In seguito fonda la sua compagnia, con la quale si dedica anche all’allestimento di grandi produzioni, tra cui spiccano i balletti su musica di Manuel De Falla El amor brujo e El sombrero de tres picos . Considerato il più famoso e affascinante ballerino spagnolo della sua generazione, è stato il primo `riformatore’ del flamenco, al quale ha cercato di restituire la purezza nelle linee e nei gesti. Memorabile in questo il suo zapateado , esempio di squisita perfezione ritmica e stilistica.

Amati

Amati Olga tudia con Cia Fornaroli, Vittorina Mazzucchelli e Vera Volkova alla Scuola del Teatro alla Scala, entrando a far parte del suo Corpo di ballo e divenendone prima ballerina nel 1942. Valorizzata da A. Milloss che per lei crea numerosi ruoli (La dama dalle camelie , 1945; Coppélia , 1946; Le Creature di Prometeo ,1952) grazie alla sua tecnica fortissima e al suo stile diventa una delle interpreti favorite anche di G. Balanchine (Balletto Imperiale , 1952; Le Palais de Cristal, 1955), M. Wallmann (La giara , 1949) e L. Massine (Quattro Stagioni , 1950). Lasciata la Scala nel 1956, è prima ballerina ospite del Teatro Comunale di Firenze sempre per creazioni di Milloss (Vienna si diverte , 1957). Dal 1961 fino alla morte è stata maestra alla Scuola di ballo del Teatro dell’Opera di Roma.

Magazzini (Criminali) / Il Carrozzone

Magazzini (Criminali)/Il Carrozzone è una compagnia teatrale che partecipa fin dal 1972 alla ‘nouvelle vague’ della scena italiana con Morte di Francesco (1972) e La donna stanca incontra il sole (1973). Di evidente matrice figurativa, il debutto di Federico Tiezzi, Sandro Lombardi e Marion D’Amburgo, all’epoca riuniti ancora sotto il nome di Il Carrozzone, si colloca storicamente nel periodo di transizione che, a cavallo tra i ’70 e gli ’80, vede affacciarsi sulla scena nazionale una folta e agguerrita rappresentanza di registi, interpreti e autori avocati, per il carattere anticonvenzionale del loro lavoro e il costante riferimento all’arte moderna e contemporanea, al filone della `nuova avanguardia’.

Su questo sfondo, di fertile e contraddittoria elaborazione formale e tematica, è possibile leggere anche il percorso ormai trentennale della compagnia che dalle spinte trasgressive e dagli studi sullo spazio di allestimenti come Presagi del vampiro (1977) o Vedute di Porto Sud (1978) approda negli anni alla rilettura di classici antichi (lo Shakespeare di Scene di Amleto , 1998) o contemporanei (il Brecht di Nella giungla delle città , del ’97).

Lombardi e D’Amburgo in scena, con Tiezzi nei panni di regista, si affermano a livello italiano ed europeo verso la fine degli anni ’70 con due lavori, Punto di rottura e Crollo nervoso , sotto la nuova denominazione di Magazzini Criminali. Nel successivo decennio l’accento della ricerca del gruppo si sposta verso il `teatro di poesia’ che connota la produzione del gruppo tra l’84 e l’85 (Genet a Tangeri , Ritratto dell’attore da giovane , Vita immaginatria di Paolo Uccello e Perdita di memoria , presentato alla Biennale di Venezia) e le successive ricognizioni di alcune delle figure chiave del teatro del Novecento.

All’esplorazione sui `padri’ della sperimentazione (Artaud e il teatro della crudeltà, il teatro dell’assurdo, Genet) seguono il Beckett di Come è dell’87, con la drammaturgia di Franco Quadri (sullo stesso autore torneranno nel ’92 con Finale di partita ), e l’Heiner Müller di Hamletmaschine e Medeamaterial (1988).

Modello definitivo del `teatro di poesia’ inteso sia come scrittura scenica sia come drammaturgia in versi sono le tre cantiche della Commedia di Dante rivisitate in collaborazione con Edoardo Sanguineti, Mario Luzi e Giovanni Giudici (1989-91). La stessa poetica continuerà a influenzare le successive produzioni (tra le altre, l’Adelchi di Manzoni nel ’92 e, nel ’94, Porcile di Pasolini, che per primo concepì e parlò di un `teatro di poesia’) per tornare anche in Felicità turbate di Luzi (al Maggio musicale fiorentino del 1995, con musiche di Giacomo Manzoni) e nel dittico testoriano di Edipus e Cleopatràs tra il ’94 e il ’96.

Bini

Sergio Bini si è affermato col nome d’arte di ‘Bustric il mago’. È stato allievo a Parigi della Scuola di circo di A. Fratellini e P. Etex, ha fatto apprendistato con E. Decroux e si è laureato in lettere al Dams di Bologna. Dal ’75 al ’90 ha girato l’Italia e l’Europa – ma anche America e Africa – con un bagaglio di scena consistente in valigia, cappello e giacchetta, vivendo a bordo di un furgone come gli attori girovaghi di un tempo. I suoi primi spettacoli di clownerie, recitazione e illusionismo nascono in collaborazione con il Centro di ricerche teatrali di Pontedera. Dopo un esilarante Napoleone (1994), il 1995 segna il suo debutto sui palcoscenici `tradizionali’ al fianco di A. Galiena in La vita è un canyon (regia di A.R. Shammah), in cui non rinuncia a improvvisare magie. Nel ’96 interpreta Atterraggio di fortuna , nel ’97 è nel film di Benigni La vita è bella e nel ’98 è in tournée con Variété , concerto-spettacolo di M. Kagel.

Wilder

Thornton Wilder cominciò ad accostarsi al teatro con due raccolte di atti unici, pubblicate rispettivamente nel 1928 e nel 1931. Della seconda faceva parte – e le dava il titolo – Il lungo pranzo di Natale (The Long Christmas Dinner) che, condensando in un’ora novant’anni di banchetti natalizi, raccontava la storia di una famiglia, preannunciando modi e temi delle opere maggiori. In una scena che consisteva soltanto di un lungo tavolo con relative sedie e due porte, l’una inghirlandata di fiori e l’altra parata a lutto, si sviluppava la piccola saga dell’uomo comune con le sue gioie e le sue tristezze.

Il discorso rimase sostanzialmente lo stesso nella sua commedia più famosa, Piccola città (Our Town, 1938), che descriveva le piccole vite di una cittadina di provincia, e soprattutto le nozze e la morte di una ragazza; ma le vicende erano epicizzate dalla presenza in scena di un regista che le presentava e commentava, e passavano fluidamente dal mondo dei vivi a quello dei morti, con risultati di notevole suggestione che rendevano meno ovvio lo scoperto elogio degli ideali piccolo borghesi.

A una teatralità dichiarata si richiamava pure La famiglia Antropus (The Skin of Our Teeth, 1942), che ricostruiva il tribolato cammino dell’umanità dall’età della pietra in poi, evitando i pericoli della retorica predicatoria, grazie all’uso di tecniche mutuate dal teatro di varietà e al continuo intreccio fra passato e presente. Il suo terzo successo, La sensale di matrimoni (The Matchmaker), si ispirava a una commedia di Nestroy: fu un fiasco nella prima versione del 1938 (dal titolo The Merchant of Yonkers), piacque nell’edizione definitiva del 1954 – che non era molto più di una farsa ben scritta e ben costruita – e trionfò dieci anni dopo, tradotto in musical col titolo Hello, Dolly! . Irrilevanti furono invece i drammi successivi, fra i quali Una vita nel sole (A Life in the Sun, 1955) che rielaborava il mito di Alcesti.

Ripellino

Fra i più accreditati slavisti italiani, Angelo Maria Ripellino fu anche il curatore di una riduzione per il palcoscenico del Processo di Kafka, per la regia di M. Missiroli (1975). Il suo contributo più importante resta comunque quello dato allo studio e alla comprensione del teatro russo dei primi del secolo e subito posteriore alla rivoluzione d’ottobre. Vanno in particolar modo ricordati testi come Majakovskij e il teatro dell’avanguardia (1959), Il trucco e l’anima (1965) – in cui il filo della rievocazione della grande stagione primonovecentesca dello spettacolo russo è sviluppato a partire da un ricco corredo di documenti e testimonianze dell’epoca – e Praga magica (1973).

Illica

Giovane intemperante, Luigi Illica visse un forte contrasto con il padre; per quattro anni condusse vita di mare, combattendo anche nel 1876 contro i Turchi. Fu un suo cugino a indirizzare il suo estro artistico, avviandolo alle lettere. Nel 1881 fondò a Bologna il quotidiano “Don Chisciotte”, di umori radicali e repubblicani, apprezzato da Carducci. Nel 1882 pubblicò una raccolta di bozzetti e prose dal titolo Intermezzi drammatici : scritti satirici nei confronti di autori, attori e critici legati a schemi considerati superati. Debuttò come autore di teatro con I Narbonnerie La Tour (1883), un successo immediato; in questo ambito l’opera che gli riservò maggior fama fu L’ereditaa del Felis (1891), un lavoro in dialetto milanese che risente di alcuni temi ibseniani. Il suo nome è legato soprattutto all’attività di librettista lirico. Scrisse infatti i testi per Wally di Catalani (1892), Andrea Chénier di Giordano (1896), Iris di Mascagni (1898); per Puccini, oltre alla traccia per Manon Lescaut (1893), i libretti di Bohème (1896), Tosca (1900) e Madama Butterfly (1904), in collaborazione con Giacosa.

Morselli

Il contatto con l’ultima scapigliatura toscana lo portò a condurre uno stile di vita da bohémien, fino all’avventura, anche guerresca, in Sudamerica. Rivisitò i miti classici in chiave antieroica, attraverso le sue due opere fondamentali: la tragicommedia Orione (1910) e la tragedia Glauco (1919). Morì di tisi mentre stava lavorando alla farsa Belfagor , dai toni vivi e popolari, fino al boccaccesco. L’opera venne completata da Sillani e musicata da Respighi nel 1930.

Giusti

Elena Giusti fu nel panorama della rivista italiana la rappresentante dell’eleganza classica, facendosi confezionare a sue spese dal sarto Schubert modelli raffinati ed esclusivi che potevano arrivare al costo esplosivo di un milione cadauno. Iniziò la carriera, come lei stessa ha confessato, scappando da casa, a Malta, nel 1938, a diciasette anni e a quarantasei chili, battezzata con un nome d’arte esotico, Elena Napir. Fu scritturata per uno show d’arte varia in tournée coloniale in Africa per 130 lire al giorno, facendo un’audizione a Roma in un pessimo inglese e con una gonnellina hawaiiana molto kitsch. Naturalmente la famiglia non era favorevole, il padre tentò in ogni modo di dissuadere la figlia cui aveva fatto studiare il piano e la stenodattilografia. Ma la signorina Elena Giusti aveva deciso ed ebbe anche un suo personale successo: girò sette mesi, fece il canale di Suez in cammello, ebbe flirt molto altolocati. E il dado del varietà era tratto, in un ambiente allora considerato poco conveniente per una ragazza di buona famiglia che nel 1941-42 ebbe il suo debutto italiano a Milano accanto al Trio Lescano e Natalino Otto in Fantasia musicale e a Roma in Maddalena dieci in condotta, parodia di un famoso film. Oltre agli spettacoli di beneficenza dell’epoca, nel 1943-44 la G. figura in locandina a Roma con Che ti sei messo in testa? di Galdieri con Totò che imita Aligi in La figlia di Ionio e la Magnani che inneggia alla libertà polemizzando alla grande con i nazisti in sala. E sempre con Totò sarà nel 1944-45 in Con un palmo di naso accanto alla Merlini e Lucy D’Albert, passando lo stesso anno anche col `bauscia’ Tino Scotti nello show Ridiamoci sopra . Nel 1943-44 è con De Sica e la Merlini in Ma dov’è questo amore? e nel 1944-45 è la soubrette del Cappello sulle 23 di Morbelli, con Spadaro e Viarisio, regia di Mastrocinque. Si trasferisce a Napoli, dove nel 1945-46 recita in Polvere di Broadway, accanto al cremonese U. Tognazzi, che diventerà poi il suo partner fisso per tre stagioni con epicentro al Lirico di Milano.

Ma prima la Giusti lavora per Garinei e Giovannini in Si stava meglio domani (1946-47) accanto alla `maestra’ W. Osiris e a G. Agus e soprattutto impara l’arte da Totò in Ma se ci toccano di Nelli e Mangini, C’era una volta il mondo nel 1947-48 e Bada che ti mangio , sempre obbligata, come tutta la compagnia, a correre alla bersagliera sulla passerella, fino allo sfinimento. Svezzata con l’attività radiofonica («la voce di cristallo dell’Eiar») e al fianco dello chansonnier O. Spadaro, la Giusti lavora con i grandi comici dell’epoca e si afferma definitivamente all’inizio degli anni ’50. Con Macario è la soubrette di Votate per Venere , nel 1950-51, accanto ad altre bellezze in ascesa come F. Lillo, D. Gray e L. Masiero, oltre a Bramieri; con C. Dapporto lavora in Buondì zia Margherita di Galdieri nel 1948-49. È la soubrette classica, al servizio del comico di cui sopporta occhiate maliarde e qualche battuta dozzinale, ma in compenso indossa e cambia a ripetizione vestiti così sfarzosi che mandano in tilt le signore delle prime file. Con Tognazzi, che si vanta di aver scoperto, fa coppia fissa, è la soubrette ufficiale di tre riviste scritte da Scarnicci e Tarabusi: Dove vai se il cavallo non ce l’hai? (1951-52), (in cui la G. canta “Scalinatella” come una turista americana a Napoli), Ciao, fantasma (1952-53) e Barbanera bel tempo si spera (1953-54), in cui appare anche la `spalla’ di Tognazzi, il giovane R. Vianello. Dopo aver abbandonato lo sfortunato show Baratin con T. Scotti nel 1954-55, per cui le chiesero 32 milioni di danni (ma ne pagò soltanto 7), e dopo una tournée come cantante in America, la G. dà l’addio alle scene ancora giovane – scegliendo il ruolo di madre e aprendo poi una ricca boutique a Milano – con Il diplomatico (1959) in cui, già incinta, apparve per l’ultima volta al fianco di Dapporto, alla fine di un’epoca.

Rudner

Formatasi con Mia Slavenska, alla New York School of Ballet, danza con la compagnia di Sanasardo (1964-1966), con quella della Tharp (1966-1974), in cui emerge come interprete e co-creatrice, e con il Pilobolus (1975). Crea balletti per la propria compagnia e per vari gruppi indipendenti: Dancing on View (1975), un quartetto di cinque ore, il solo Yes (1975) e One Good Turn (1976), rimontati poi per il gruppo di Lubovitch, e Dancing May’s Dances (1976). Interprete carismatica, è oggi apprezzata coreografa.

Alfonsi

Dopo aver esordito in campo filodrammatico è entrata nella compagnia di A. G. Bragaglia dove ha debuttato (1950) in Anna Christie di O’Neill. È stata poi accanto a E. Zareschi, S. Randone, L. Cimara e altri importanti attori dell’immediato dopoguerra. Portata per temperamento ai ruoli drammatici, ha interpretato sia i classici greci (Sofocle, Euripide) sia latini (Seneca), affrontando nel contempo con la sua forte personalità autori contemporanei (Betti fra gli altri); ha avuto una breve esperienza anche al Piccolo Teatro di Milano (Arlecchino servitore di due padroni ) e allo Stabile di Genova, dove è stata Delia Morello in Ciascuno a suo modo di Pirandello (1961) accanto a Turi Ferro e Alberto Lionello, regista L. Squarzina. Dotata di grande fascino e di un volto alquanto espressivo, grandi occhi e zigomi marcati, Lydia Alfonsi ha raggiunto la vera fama soltanto attraverso il mezzo televisivo, come protagonista di alcuni popolari sceneggiati: in particolare ne La pisana (1961) dal romanzo di Nievo, nel ruolo di Bianca Trao nei Malavoglia da Verga (1962) e in Luisa Sanfelice (1966). Dopo la non breve parentesi televisiva fu protagonista sulla scena di Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill (1972). Nel 1975 ha formato una sua compagnia intitolata a Eleonora Duse, durata solo qualche stagione. Più rare le sue apparizioni cinematografiche (La legge di J. Dassin, 1959 e La vita è bella di R. Benigni, 1998).

Desarthe

Debutta nel 1962 alla Comédie de Bourges in Les cheval dans la cuisine . Ha lavorato con alcuni dei maggiori registi teatrali francesi: Roger Planchon ( La remise , 1964); Patrice Chéreau ( Riccardo II , 1970 e Re Lear , 1975 di Shakespeare; La dispute , 1976; Peer Gynt , 1981); Jean-Pierre Vincent ( Nella giungla delle città , 1972). Inoltre ha interpretato il monologo Jean-Jacques Rousseau di B. Chartreux e J. Jourdheuil (1978, al Petit Odéon di Parigi; ripreso nel 1987 al Piccolo Teatro di Milano) e L’illusion , regia di Strehler (1984).

Sturno

Autodidatta, Roberto Sturno ha coperto vari ruoli tecnici prima di intraprendere la professione di attore. Ha lavorato con registi quali B. Besson, F. Enriquez, A. Fersen, L. Ronconi, A. Trionfo, E. Marcucci, M. Bolognini, G. De Monticelli e F. Però. Nel 1981 fonda con Glauco Mauri la compagnia omonima, con cui prosegue l’attività ricoprendo ruoli sempre più impegnativi (il `fool’ nel Re Lear , Mefistofele-Faust nel Faust , Puck nel Sogno di una notte di mezza estate , Sganarello nel Don Giovanni , alcuni tipici personaggi beckettiani), in un vasto repertorio che comprende anche Sofocle, Cechov, Brecht, Müller, Mamet. Nella stagione 1991-92 è stato protagonista del Riccardo II di Shakespeare, per la regia di Mauri, con il Teatro Stabile di Trieste. Nell’ambito di questa collaborazione è il protagonista di Anatol di Schnitzler (1992-93, regia di N. Garella) e interpreta il Principe Myskin ne L’idiota di Dostoevskij, per la regia di Mauri. Interpreta quindi Edipo e Polinice nello spettacolo Edipo (1994) e Calibano ne La tempesta di Shakespeare (1997), sempre con la regia di Mauri. Nel 1998 interpreta Osvald in Spettri di Ibsen, con la compagnia del Teatro Eliseo di Roma. Nella stagione 1998-99 affronta il ruolo di Berenger in Il rinoceronte di Ionesco (regia di Mauri).

Kiss

Dopo aver danzato con le principali compagnie russe e francesi (anche con Balanchine, 1929-35), nel 1938 si stabilisce a Parigi per dedicarsi all’insegnamento, fondando in seguito una propria scuola (1946). Molto conosciuta anche all’estero (ha insegnato anche a Roma, Bruxelles, Colonia, Toronto), è stata una delle insegnanti più celebri del secondo dopoguerra.

Magyari

Diplomata all’Accademia nazionale di Budapest e perfezionatasi alla scuola del Teatro Bol’šoj di Mosca, Anita Magyari danza come solista del corpo di ballo dell’Opera della sua città. Trasferitasi in Italia nel 1982, entra nel corpo di ballo della Scala, diventandone prima ballerina nel 1986. Qui, spesso a fianco di grandi étoile internazionali (Rudolf Nureyev, Maximiliano Guerra), interpreta gran parte dei ruoli principali del repertorio ottocentesco ( Don Chisciotte ) e del Novecento ( Manon di Kenneth MacMillan), nei quali ha modo di mettere in luce la sua tecnica puntuale e la sua vivacità.

Molinari

Studente di giurisprudenza, Vito Molinari si avvicina al teatro mettendo in scena le riduzioni sceniche di alcuni importanti processi dell’antichità. Nel 1950 recita in Aulularia di Plauto, allestita nel teatro dell’Università di Genova. Dal 1954 lavora in Rai come regista (ha diretto la contestata Canzonissima del 1962, condotta da Dario Fo e Franca Rame). All’attività televisiva alterna le regie teatrali, in cui dimostra di preferire il tono leggero della commedia: Io e la margherita , per la compagnia di Walter Chiari (1959); Sembra facile (1961-1962) e Hobbyamente (1965-1966) del trio Del Frate-Pisu-Bramieri; Sogno di un valzer (1963) e Il pipistrello (1964) di Strauss. Segnaliamo tra i suoi ultimi lavori l’omaggio televisivo a Govi (1981) e uno special con Paolo Poli per Radiodue (1994).

Maccari

Fondatore e direttore dal 1926 del “Selvaggio” e collaboratore del “Mondo”,Mino Maccari iniziò nel teatro con i costumi per Il campanello di Donizetti nel 1941 al Teatro delle Arti di Roma dove, dieci anni dopo, realizzò le scene e i costumi del Turco in Italia di Rossini. Sempre nel 1951 collaborò al festival di Venezia per Commedia sul ponte di Martinù. Nel 1961 lavorò al Signor di Pourceaugnac di Molière per il Piccolo Teatro di Milano, con la regia di Eduardo De Filippo, col quale lavorò ancora al Maggio musicale fiorentino per il Naso di Šostakovic (1964) e per il Falstaff di Verdi (1970).

Barilli

Dopo il diploma alla scuola del Teatro dell’Opera di Roma, nel 1989 entra nel corpo di ballo del Maggio Musicale Fiorentino, MaggioDanza, ricoprendo ruoli solistici in classici e lavori contemporanei ( Black and Blue di Louis Falco). Con MaggioDanza partecipa a creazioni di Enzo Cosimi ( Il fruscio del rapace , 1993), Paco Decina ( Il banchetto di sabbia , 1994), Karole Armitage ( The Predators’ Ball , 1996 e Weather of Reality , 1997). Danza anche con la Compagnia Virgilio Sieni contribuendo con il suo stile nervoso e guizzante alla creazione di numerosi spettacoli ( Cantico , 1994; Orestea/Trilogia del Presente , 1996).