Appia

Musica, tridimensionalità, spazi ritmici, luce sono le vere e proprie scoperte che fanno di Adolphe Appia uno dei padri del teatro novecentesco e uno dei più tenaci assertori della necessità del primato di uno spazio scenico che sfugga alle secche del naturalismo. L’approccio al teatro di questo grande teorico che in palcoscenico ha lavorato pochissimo a causa di una gravissima nevrosi che lo rendeva balbuziente, e che lo farà morire alcolizzato in una clinica per malattie nervose, avviene attraverso l’esperienza musicale. Che per Adolphe Appia prende corpo soprattutto in quella forma di `teatro totale’ che l’opera di Wagner suggerisce. Proprio la visione de L’anello dei Nibelunghi gli fa comprendere come una realizzazazione piattamente realistica rischi di impoverire la straordinaria forza della musica wagneriana. Ma l’antipatia di Cosima Wagner, vedova del compositore, gli impedisce di vedere realizzate le scene create per L’oro del Reno e per La Valchiria. Partendo da queste scenografie e dalla necessità che la musica si rispecchi in uno spazio che ne esalti la forte caratteristica di Wort-Ton-Drama, A. scrive La messinscena del dramma wagneriano (1895) in cui si gettano le basi di una visione del teatro che verrà compiutamente espressa in L’opera d’arte vivente (1921).

La novità del suo modo di intendere il teatro musicale si realizza dal vivo ben poche volte e con scarso successo: in due regie, per Manfred e Carmen e nelle scenografie di Tristano e Isotta per la Scala nel 1923 e de L’oro del Reno e La valchiria al Teatro di Basilea. In questi stessi anni conosce e collabora con Jean Jaques Dalcroze, fondatore della danza ritmica. Insieme a lui, anche in spettacoli studiati per la `città sperimentale’ di Hellerau, analizza il rapporto fra la tridimensionalità del corpo umano e quella dello spazio in cui il corpo si muove. Anzi è proprio la plasticità corporale a suggerirgli l’importanza dell’uso di un’illuminazione in grado di esaltarla. Il legame musica-forma, plastica-luce, lo spinge a creare i celebri `spazi ritmici’: progetti di scene scandite da pilastri e da gradinate, da luce e da buio, di una rara e classica purezza (racconterà, in proposito, di essere stato folgorato dall’affresco di Puvis de Chavannes Santa Genevieve veglia su Parigi addormentata). Questi spazi ritmici costituiranno la base per studi sul movimento ma si ritroveranno anche nell’invenzione di scenografie per testi scespiriani come Re Lear e come Sogno di una notte di mezza estate . Con la sua idea di un’illuminazione atemporale e di una realtà vista attraverso gli occhi dell’eroe, si confronteranno più tardi il teatro espressionista e le avanguardie futuriste e costruttiviste, ma anche registi come Max Reinhardt e musicisti come Gustav Mahler.