An-ski

Zainwil Rappoport; Casniki, Bielorussia, 1863 – Varsavia 1920), autore drammatico polacco di lingua russa e yiddish. In giovinezza studia approfonditamente il Talmud, per poi legarsi al movimento dell’ `Haskalah’, diretto contro l’oscurantismo religioso, e spostarsi progressivamente su posizioni atee. Influenzato dal programma dei narodniki , i populisti russi, lavora come fabbro, operaio di fatica, rilegatore di libri, e rompe in modo drastico con le autorità rabbiniche. Obbligato a lasciare la Russia, risiede in Germania, in Svizzera e a Parigi. Fino al 1904 scrive in russo; a partire dal 1905, data del suo ritorno in Russia, inizia a scrivere in yiddish leggende popolari e favole hassidiche. Tra il 1911 e il 1914 prende parte alla spedizione etnografica compiuta dal barone Ginzburg in Volinia e Podolia. Gli studi sul folclore ebraico effettuati in quella circostanza trovano espressione artistica nel dramma Il Dibbuk (Tsvishn tsvey Veltn), rappresentato a Varsavia nel 1920. La storia dell’amore tra il povero studente talmudista Hanan e la ricca Lea è ritratta a tinte mistico-simboliche: il rifiuto del padre di Lea di acconsentire alle nozze provoca la morte di Hanan, la cui anima si reincarnerà nella fanciulla. Il `dibbuk’, infatti, nella demonologia ebraica è un’anima in pena, erratica, sospesa tra due mondi, uno spirito inquieto a causa di una morte violenta, che cerca di soddisfare la propria sete di vita entrando nel corpo di un vivo. Gli esorcismi praticati dai rabbini per permettere a Lea di sposare un ricco pretendente porteranno alla cacciata del dibbuk, ma anche alla morte della ragazza. Una novità assoluta per la scelta di rappresentare sulla scena il mondo degli hasidim e dei cabalisti, Il Dibbuk ha conferito ad A. un eccezionale successo postumo, ben esemplificato da un adattamento operistico (libretto di Renato Simoni, musica di Lodovico Rocca; Scala 1934) e due cinematografici (Polonia 1938 e Israele 1968), nonché dalle rappresentazioni annualmente effettuate a Tel Aviv dalla compagnia Habimah; minor fortuna ha conosciuto la seconda – e incompiuta – opera teatrale di A., Giorno e notte (Tog un Nacht, 1920), giunta a noi soltanto in forma di frammento.